La catastrofe dell’informazione: nel futuro il nostro corpo sarà fatto di bit?

Spesso immaginiamo un futuro pieno di pandemie, di alieni, o di altre presenze inquietanti. Nessuno pensa, invece, ad un futuro in cui gli umani si libereranno completamente dal corpo per trasformarsi in bit. È un futuro probabile: anzi, è quasi realtà.

L’informatica non è propriamente la scienza dei computer, ma quella dell’informazione, poiché qualsiasi cosa all’interno dei pc produce informazioni, che prendono forma di byte. Il mondo risulta sempre più dipendente dall’informazione, e, di conseguenza, le unità digitali cominciano a dominare il nostro Pianeta

Bit – il termine sta per binary information digit, ed è l’unità di base nelle comunicazioni digitali e dell’informazione in informatica. È la più piccola unità di informazione binaria, e costituisce la base per tutti i dati nella tecnologia digitale. Non esiste nulla di più piccolo del bit: è il contenitore più piccolo in cui un’informazione può essere archiviata. I bit vengono principalmente utilizzati per descrivere l’utilizzo dei dati e la velocità di trasmissione di internet, dei telefoni e dei servizi di streaming. La velocità di trasmissione corrisponde alla quantità di bit che vengono trasmessi ogni secondo.

Byte – i byte sono sequenze di bit e vengono utilizzati per descrivere le capacità di memoria. 1 byte equivale a 8 bit.

Usiamo risorse come petrolio, carbone, silicio, rame e alluminio per realizzare computer e dar forma all’informazione digitale. In tal senso non stiamo redistribuendo soltanto l’informazione, ma la materia in quanto tale. Gli atomi di cui siamo composti cominciano a non essere più le particelle prevalenti: lo sono quelle digitali, che per alcuni studiosi, rappresentano il quinto stato della materia.

Scrive il fisico Melvin M. Vopson: «Attualmente, produciamo circa 10^21 bit digitali di informazioni ogni anno sulla Terra. Ipotizzando un tasso di crescita annuo del 20%, stimiamo che tra circa 350 anni, il numero di bit prodotti supererà il numero di tutti gli atomi sulla Terra, all’incirca 10^50».

L’energia necessaria per tenere in movimento i bit corrisponderà al nostro consumo totale di energia. Già nel 2030 arriveremo a consumarne il 51%, e nel 2070 ci sarà 1 kg di bit immagazzinato all’interno di qualche cloud per ogni nostro telefono cellulare, tablet o computer.

Se l’incremento annuo arrivasse al 50%, tra 150 anni arriveremmo alla saturazione. È una stima molto realistica, se teniamo conto della crescita della popolazione e dell’aumento all’accesso alle varie tecnologie. Per Vopson, ci troviamo di fronte ad una catastrofe dell’informazione, che avverrà in concomitanza a quella energetica, climatica e di migrazione delle popolazioni.

L’informazione è fisica

Il fisico tedesco Rolf Landauer sosteneva che l’eliminazione di un bit produceva una quantità minima di calore, e che il processo fosse irreversibile. L’informazione, dunque, è fisica.

Anche Einstein teorizzò che energia e massa sono equivalenti. L’informazione non è affatto un concetto astratto, ma una cosa fisicamente concreta. Per questi motivi viene considerata come quinto stato della materia, dopo gas, liquido, solido e plasma.

Tra 500 anni, il contenuto digitale rappresenterà oltre la metà della massa della Terra, che nel frattempo diventerà un enorme processore.

Un atomo è grande 10 alla meno 9 – un decimo di miliardesimo di metro. Un bit, invece, è 25 volte più grande. La massa totale di bit prodotti ogni anno è di 23,3 x 10 -17 kg. Poca roba, direte voi: ma questo non impedirà che nel 2245, l’intera massa del nostro Pianeta sarà composta da bit.

Senza troppi dati e giri di parole, tutto questo significa che il mondo sarà completamente dominato da bit e codici del computer. Tutto questo è partito dalla prima messa a punto dei transistor, ovvero nel 1947.

Un lasso di tempo brevissimo, insomma. Si pensi, inoltre, che il 90% dei dati attualmente presenti sono stati creati soltanto negli ultimi dieci anni – e con la pandemia abbiamo cominciato a produrne una mole significativa.

Tra cento anni, sempre secondo Vopson, la linea che separa realtà virtuale e materia fisica comincerà ad assottigliarsi sempre più, cominciando a non essere più visibile. Se vogliamo evitare di arrivare al punto in cui, dopo aver impostato la società sulla tecnologia, non avremo più abbastanza energia o spazio per sostenerla, sarà fondamentale far sì che l’informazione cominci ad occupare meno spazio possibile.

Per esempio, potrebbero essere utilizzati i fotoni, oppure gli ologrammi. Anche in natura, d’altronde, l’informazione è veicolata dal Dna e dall’Rna. Molti ricercatori starebbero studiando proprio la possibilità di utilizzare tali molecole per immagazzinare i bit.

Il primo a pensare a questo metodo è stato Mijhail Neiman, uno scienziato sovietico, che riuscì a tradurre in Dna un testo con linguaggio Html. Un grammo di Dna è in grado di ospitare 215 milioni di gigabyte: dura migliaia di anni ed è ultra compatto. Tutti i dati prodotti fino ad ora, in questo modo potrebbero essere messi in contenitori grandi quanto un paio di camion.

Oppure, se vogliamo continuare ad immagazzinare i dati, dovremmo cominciare a cercarci un nuovo pianeta dove trasferire alcune delle nostre operazioni.

Questo articolo è basato su uno scritto apparso nel 2020 su Business Insider.

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