sanzione avvocato-mediatore

Sanzione per l’avvocato-mediatore se non separa la sede dell’organismo dallo studio

Sospensione per l’avvocato mediatore che ha sede dell’organismo di mediazione presso il proprio Studio. Basta l’ingresso comune, infatti, a creare una sovrapposizione di ruoli che il codice deontologico cerca proprio di evitare.

Questo è quanto chiarito dalla Cassazione, Sezioni unite, con la sentenza 25440/2023, che conferma la decisione presa dal Cnf.

Il Consiglio di disciplina di Messina aveva sottolineato come il «disvalore scritto alla coincidenza ovvero contiguità tra sede dell’organismo di mediazione e sede dello studio legale derivava dalla necessità di evitare anche la mera apparenza di una commistione di interessi, di per sé sufficiente a far dubitare dell’imparzialità dell’avvocato mediatore».

Secondo la Suprema corte, la decisione del Cnf ha rilevato anche che «la mera contiguità spaziale possa costituire un fattore sufficiente a far dubitare i terzi dell’imparzialità e dell’indipendenza dell’avvocato-mediatore. L’apparente commistione di interessi è idonea a ledere l’immagine della professione e dell’istituto della mediazione».

Si era espressa in questi termini anche la circolare illustrativa 24/2011 del Cnf, oltre al Ministero della Giustizia, con circolare del 27 novembre 2013: «La contemporanea qualifica di mediatore e di avvocato, l’obbligatorietà dell’assistenza legale nella c.d. mediazione obbligatoria, la necessità comunque dell’assistenza legale nella mediazione facoltativa per addivenire alla formazione immediata del titolo esecutivo (art.12), il regime di autonomia in materia di formazione e aggiornamento riconosciuto agli avvocati, costituiscono indici normativi che – nel delineare un regime speciale riservato dal legislatore all’avvocato-mediatore – pongono l’esigenza di alcune indicazioni, funzionali ad evitare profili di sovrapposizione tra l’esercizio della professione forense e lo svolgimento dell’attività di mediatore».

L’articolo 55 comma 4 del codice deontologico forense vieta all’avvocato di far coincidere l’organismo di mediazione presso il suo studio o viceversa; ciò al fine di escludere che vengano sovrapposti i ruoli, tutelando l’immagine imparziale del mediatore-avvocato.

Lo svolgimento imparziale dell’attività di mediazione, conclude la Cassazione, è un dovere del mediatore, rispetto alle parti del procedimento di mediazione, come stabilito dall’art. 4 del regolamento di cui al dm 180/2010, che stabilisce i criteri necessari per l’iscrizione al registro degli organismi, stabilendo anche come l’autorità vigilando debba verificare che ci siano le «le garanzie di indipendenza e imparzialità».


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Ocf, atti processo civile: le regole in vigore dal 1° settembre vanno riviste

Ocf mantiene la sua posizione critica nei confronti del quarto comma dell’art. 46 del Codice di procedura civile, che accoglie il recepimento integrale dei correttivi che sono stati proposti nel dm firmato da Carlo Nordio.

Inoltre, respinge i tentativi di addossare agli Avvocati una responsabilità nella lentezza dei processi, dovuta all’eccessiva lunghezza degli atti difensivi. Ocf crede invece che gli Avvocati si siano sempre adoperati per un funzionale e corretto svolgimento del processo, compensando anche le lacune causate da altri soggetti.

Dunque, nessun plauso per l’introduzione di una norma che codifichi le modalità per la redazione degli atti processuali, che sembra contribuire all’immagine di un’Avvocatura che va contro la speditezza del processo.

Tutto questo non va ad incidere sulla riduzione dei tempi dei giudizi civili, ma introduce dei limiti alla difesa, a discapito dei cittadini, istituendo dei profili inaccettabili di responsabilità professionale.

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Ocf dichiara che se addossiamo la causa della lentezza della giustizia civile italiana alla dimensione degli atti difensivi, significa ignorare lo stato reale di questa, di tutte le carenze organiche e strutturali, e in alcuni casi addirittura di sedi.

Dunque, Ocf fa appello al Ministro della Giustizia, al Presidente del Consiglio dei Ministri e a tutte le forze politiche, per rivedere la riforma del processo civile in collaborazione con tutta l’avvocatura, abrogando il quarto comma dell’art. 46 e provvedendo con molta tempestività alla revisione delle varie criticità contenute nel dm.


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Avvocati, legittimo impedimento: assoluta impossibilità anche per un raffreddore

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Bando Revisori Legali: domande entro il 28 settembre

È stato pubblicato il bando in G.U. per l’ammissione all’esame di idoneità professionale per l’abilitazione all’esercizio della revisione legale. Sarà il primo esame a svolgersi secondo le nuove regole dettate dal decreto n.71 del 13 febbraio 2023, in vigore dallo scorso 1° luglio.

Tutte le istanze dovranno essere presentate entro e non oltre il 28 settembre, previo pagamento di 100 euro, corrispondente al contributo per le spese d’esame e 16 euro per il bollo sulle istanze trasmesse telematicamente attraverso il servizio @e.bollo.

La comunicazione della data, dell’ora e della sede in cui si svolgeranno le prove avverrà almeno 30 giorni prima della prima prova scritta.

La domanda potrà essere presentata soltanto online, attraverso il Portale della Revisione legale: la procedura deve essere completata entro il 28 settembre 2023. La data della presentazione online della domanda viene certificata dal sistema informatico.

Quest’ultimo rilascia, infatti, un numero identificativo, con la ricevuta di avvenuta iscrizione, che ogni candidato dovrà stampare e sottoscrivere con firma autografa, prima di consegnarlo durante l’identificazione nel giorno della prima prova scritta. Necessaria anche una copia di un documento d’identità valido.

Una commissione esaminatrice verificherà la regolarità delle domande: chi non verrà ammesso o non avrà diritto all’esonero parziale riceverà una comunicazione tramite Pec.

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Nell’esame sono previste tre prove scritte e una prova orale. La prima prova scritta comporta la risoluzione di 3 quesiti a risposta aperta, sulle seguenti materie:

  • contabilità generale;
  • contabilità analitica e di gestione;
  • disciplina del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato;
  • principi contabili nazionali e internazionali;
  • analisi finanziaria;
  • informatica e sistemi operativi;
  • economia politica, aziendale e finanziaria;
  • principi fondamentali di gestione finanziaria;
  • matematica e statistica.

Nella seconda prova scritta, invece, si dovranno risolvere tre quesiti a risposta aperta sulle seguenti materie:

  • diritto civile e commerciale;
  • diritto societario;
  • diritto fallimentare;
  • diritto tributario;
  • diritto del lavoro e della previdenza sociale.

Nella terza prova scritta si dovrà rispondere ad un quesito pratico inerente alle seguenti materie:

  • gestione del rischio e controllo interno;
  • principi di revisione nazionali e internazionali;
  • disciplina della revisione legale;
  • deontologia professionale e indipendenza;
  • tecnica professionale della revisione.

Alle prove orali saranno ammessi i candidati con punteggio pari o superiore a 18/30 in tutte le prove scritte.


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Una proposta di legge di FdI mira ad ampliare le situazioni in cui ai difensori degli imputati potrà essere concesso il legittimo impedimento, il diritto a rinviare l’udienza a causa di assoluta impossibilità a partecipare a questa.

L’istituto è diventato celebre grazie agli storici avvocati di Silvio Berlusconi; ora, i deputati Pietro Pittalis, Tommaso Calderone e Annalisa Patriarca ripropongono la legge, al fine di garantire «diritto alla fuga dal processo».

Basterà che il legale presenti un certificato medico di qualsiasi tipo oppure dimostri di avere impegni professionali contemporanei all’udienza. Secondo Giuseppe Santalucia, presidente Anm, una rivoluzione del genere avrebbe degli effetti «intollerabili sul sistema processuale».

Al fine di evitare abusi, la legge lascia molta discrezionalità al giudice. Secondo l’articolo 420-ter c.p.p. non si definisce che cosa sia «assoluta impossibilità di comparire», tranne in un comma che garantisce il rinvio delle udienze alle avvocate nei due mesi precedenti e nei tre mesi successivi al parto.

La Cassazione ha da sempre interpretato la norma in modo restrittivo: una malattia, infatti, «deve essere tale da incidere sulla capacità di intendere e volere, impedendogli per tutta la sua durata qualsiasi attività».

In sostanza, non basta farsi certificare un raffreddore da un medico amico, ma la proposta di FdI potrebbe cambiare tutto. Leggiamo: «Si ritiene legittimamente impedito a comparire il difensore che tempestivamente abbia comunicato una qualsiasi malattia o infortunio, attestati da certificati di medici di assistenza primaria o di medicina generale».

A prescindere dal caso, costituiranno sempre legittimo impedimento «la malattia o l’infortunio della prole di età inferiore ai tre anni, attestati da struttura pubblica o accreditata, o la necessità di prestare assistenza a familiari di condizione di handicap grave».

L’impedimento sarà garantito anche dalla «concomitanza con altri impegni professionali idoneamente documentata». La norma non specifica il tipo di impegni, dunque, sembrerebbe che tutti gli impegni siano validi.

Per la Cassazione, comunque, al fine di ottenere il rinvio l’avvocato dovrà indicare «specificamente le ragioni che rendono essenziale l’espletamento della sua funzione nel diverso processo, rappresenti l’assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l’imputato e l’impossibilità di avvalersi di un sostituto».

I deputati, nella relazione scrivono come le norme ipotizzate siano state «fortemente sollecitate dall’avvocatura», soprattutto dopo il negato rinvio dell’udienza di una penalista romana che aveva un day hospital del figlio.

Spiega Pittalis, il vicepresidente della Commissione Giustizia della Camera: «A noi interessa creare un sistema di regole per consentire agli avvocati di usufruire delle stesse garanzie dei magistrati». La proposta, anticipa Pittalis, se non troverà un’intesa sulla calendarizzazione, verrà trasformata in un emendamento al ddl giustizia penale presentato dal Guardasigilli Carlo Nordio.

La prospettiva, comunque, preoccupa molto la magistratura: «Nei termini in cui è presentata, la proposta è di una tale ampiezza e genericità da rischiare di causare situazioni sistematicamente intollerabili».


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Supporto formazione e lavoro: come funziona la nuova misura

Dal prossimo 1° settembre 2023 verrà introdotta una nuova misura, ovvero il Supporto formazione e lavoro, che prevede la partecipazione a dei corsi di formazione e/o riqualificazione professionale, oltre all’erogazione di 350 euro al mese per 12 mesi.

La misura, come riporta l’Inps, non è compatibile con la pensione e il reddito di cittadinanza. L’attuale governo Meloni, infatti, con la Legge di Bilancio 2023, aveva cambiato tutti i requisiti e le modalità d’accesso al sostegno, introducendo ulteriori misure, come, per esempio, il Supporto formazione e lavoro.

Per richiedere il Supporto bisogna avere tra i 18 e i 59 anni e avere un Isee familiare pari o inferiore a 6.000 euro.

Secondo il vademecum Inps, anche i singoli membri dei nuclei familiari possono accedere alla misura, soltanto se «percepiscono l’assegno di inclusione e non sono calcolati nella scala di equivalenza e che partecipano ai percorsi di formazione pur non essendo sottoposti agli obblighi correlati al percorso personalizzato di inclusione sociale e lavorativa».

Sul valore patrimoniale immobiliare valgono gli stessi identici requisiti dell’Assegno di inclusione: l’Isee non deve superare i 30mila euro, escludendo l’abitazione entro un determinato valore a fini Imu di 150mila euro.

Il patrimonio mobiliare non dovrà superare i 6.000 euro, valore al quale dobbiamo aggiungerne ulteriori 2.000 per ogni componente del nucleo familiare, 5.000 euro per ogni componente con disabilità e 7.500 euro in caso di disabilità grave o persona non autosufficiente.

Il richiedente non dovrà essere destinatario di condanne o misure cautelari nei 10 anni precedenti alla richiesta. Non deve, inoltre, essere disoccupato a causa di dimissioni volontarie, «fatte salve le dimissioni per giusta causa, nonché la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, intervenuta nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7, legge 604/1966».

I richiedenti, inoltre, non dovranno risiedere in strutture a carico pubblico, essere intestatari o disporre di aeromobili, imbarcazioni, navi e auto con cilindrata superiore a 1.600 cc immatricolati nei 36 mesi precedenti alla richiesta.

Tutti i beni e i redditi patrimoniali che non compaiono nell’Isee dovranno necessariamente essere dichiarati nella domanda.

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La domanda deve essere presentata telematicamente, attraverso la piattaforma digitale del Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa (Siisl). La richiesta dovrà comprender la Did, ovvero la Dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e l’autorizzazione per la trasmissione dei dati.

Tutti i richiedenti che non hanno portato a termine la scuola dell’obbligo, con età compresa tra 18 e 29 anni, dovranno presentare anche l’iscrizione a percorsi di istruzione.


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Cnf, equo compenso: chiarimenti sull’esecutività del parere di congruità

Aiga: necessarie correzioni su un errore sul voto minimo

Secondo AIGA, è «necessario un intervento urgente nell’interesse dei giovani praticanti».

L’Associazione mostra particolare interesse per il punteggio minimo necessario per l’accesso alla seconda prova orale dell’esame per l’abilitazione alla professione e al rilascio del certificato della pratica.

L’Associazione Italiana Giovani Avvocati ha interrogato il Ministero della Giustizia riguardo «possibili criticità relative alla prossima sessione d’esame», sottolineando l’urgenza di chiarimenti in particolar modo sul certificato di compiuta pratica.

Secondo Francesco Paolo Perchinunno, Presidente di AIGA, si è vista la rappresentazione del «possibile errore materiale contenuto nelle nuove disposizioni che regolano l’esame d’abilitazione per l’anno 2023/2024 e nel bando d’esame pubblicato il 04.08.2023 in GU», che disciplina le varie modalità in cui devono svolgersi le prove.

«Dall’analisi del testo della Legge 87/2023», prosegue Perchinunno, «che ha convertito l’articolo 4 quater Decreto-legge 10 maggio 2023, 51 e dal bando è emerso infatti che il punteggio minimo richiesto per il superamento della seconda prova orale è pari a 105, per le cinque materie da affrontare nel secondo orale trifasico».

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Per Roberto Scotti, Coordinatore del Dipartimento AIGA di Accesso alla Professione e M.U.R., «è evidente un errore, in quanto dovrebbe indicarsi quale punteggio minimo complessivo quello di 90, che corrisponderebbe a 18 per materia/prova e, conseguentemente, la sufficienza in ogni singola fase dell’orale».

Per Giulia Pesce, Coordinatrice della Consulta dei Praticanti AIGA, è «necessario, ed ancora più urgente, un chiarimento sul rilascio del certificato di compiuta pratica, ad oggi subordinato al superamento di una prova valutativa del percorso di scuola forense, ed ostativa all’ammissione all’esame».

«Anche al fine di agevolare Ordini territoriali e Scuole Forensi e per garantire la necessaria uniformità territoriale nella valutazione dei candidati, l’AIGA ritiene più opportuno che la prova valutativa indicata dal Legislatore, pur obbligatoria, non sia ostativa al rilascio del certificato di compiuta pratica, quanto meno per la sessione di quest’anno», conclude.


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Cnf, equo compenso: chiarimenti sull’esecutività del parere di congruità

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Cnf, equo compenso: chiarimenti sull’esecutività del parere di congruità

Le disposizioni sull’equo compenso devono applicarsi anche senza una pattuizione preventiva tra le parti. Fornisce il chiarimento sulla legge 49/2923 il CNF, a seguito di alcuni quesiti posti dagli Ordini degli Avvocati di Bari, Brindisi, Bologna, Massa Carrara, Padova, Pisa e Torino.

La delucidazione è arrivata in seguito ad una domanda posta sull’art.7 della legge relativa al «parere di congruità con efficacia di titolo esecutivo».

In particolar modo a risposta si è concentrata sull’applicazione o meno dei compensi richiesti dopo la pattuizione preventiva tra le parti, e sui compensi richiesti basandosi sulla convenzione oppure basandosi su «ogni tipo di accordo preparatorio o definitivo, purché vincolante per il professionista».

Secondo il CNF, l’art. 7 deve applicarsi «ai rapporti professionali aventi ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale […] regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative nonché delle loro società controllate, delle loro mandatarie e delle imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di cinquanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro…».

Prosegue il CNF: «E’ pacifica l’applicazione alle prestazioni rese nell’ambito di convenzioni così come a ogni tipo di accordo preparatorio o definitivo, purché vincolante per il professionista». Questo consente «di ritenere che le disposizioni in materia di equo compenso si applichino anche in assenza di pattuizione preventiva tra le parti».

«Se infatti per pattuizione preventiva di intende il perfezionamento di un accordo sul compenso, è giocoforza ritenere che il riferimento, di cui all’articolo 2, agli accordi preparatori anticipi l’applicabilità della legge anche alla fase preparatoria e, dunque, antecedente alla pattuizione».

La pattuizione preventiva, di conseguenza, non è necessaria per l’applicabilità della legge.

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L’articolo 7, ribadisce il CNF, non può applicarsi ad ogni contratto d’opera professionale, ma soltanto con quelli che vengono stipulati con i “clienti forti”. Inoltre, l’art. 7 rimanda alla legge 241/1990 per quanto riguarda la procedura fa eseguire nell’adozione del parere di congruità, per la quale il richiamo sembra essere «comprensivo evidentemente anche dell’obbligo motivazionale, che è peraltro coessenziale alla funzione di garanzia ascritta al rispetto delle norme in materia di procedimento amministrativo».

Sempre l’art. 7 introduce un nuovo titolo esecutivo stragiudiziale, che soddisfa tutti i requisiti previsti dal codice di rito, ovvero un diritto certo, esigibile e liquido, senza che ostacoli la natura stragiudiziale del titolo. Di conseguenza, passati 40 giorni senza che la controparte debitrice faccia opposizione al giudice, «il titolo esecutivo può ritenersi validamente formato senza necessità di ulteriori adempimenti, e il credito può, pertanto, procedere alle conseguenti azioni esecutive».

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Ai sensi dell’art. 11 della legge 49/2023, le disposizioni non devono applicarsi «alle convenzioni in corso, sottoscritte prima della data di entrata in vigore della medesima legge». L’art. 7 potrà essere applicato solo alle prestazioni che si basano su convenzioni stipulate dopo l’entrata in vigore della legge.

Per il CNF è corretto riportare l’art. 7 comma 1, nella parte in cui si afferma che «il parere di congruità emesso dall’ordine o dal collegio professionale sul compenso o sugli onorari richiesti dal professionista costituisce titolo esecutivo, anche per tutte le spese sostenute e documentate, se rilasciato nel rispetto della procedura di cui alla legge 7 agosto 1990, n.241, e se il debitore non propone opposizione innanzi all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’art. 281-undecies del codice di procedura civile, entro quaranta giorni dalla notificazione del parere stesso a cura del professionista».


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Atti processo civile: dal 1° settembre nuove regole di redazione

L’11 agosto 2023 è stato pubblicato in GU il Decreto del Ministero della Giustizia 110/2023:

«Regolamento per la definizione dei criteri di redazione, dei limiti e degli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo, ai sensi dell’articolo 46 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile».

Tutte le disposizioni si applicano ai procedimenti introdotti dopo la data del 1° settembre 2023.

Per quanto riguarda la redazione degli atti processuali del pm e delle parti private ci dovrà essere massima sinteticità e chiarezza. È prevista, dunque, una specifica articolazione con tanto di:

  • Intestazione, con l’indicazione dell’ufficio giudiziario e la tipologia dell’atto;
  • Parti;
  • Massimo 20 parole chiave, che individuano l’oggetto del giudizio;
  • Estremi del provvedimento nelle impugnazioni;
  • Esposizione specifica dei fatti e dei motivi in diritto;
  • Riferimento puntuale ai documenti offerti, che vengono indicati con ordine numerico progressivo;
  • Esposizione di eventuali questioni preliminari, pregiudiziali e di merito riguardo ai motivi di diritto;
  • Conclusioni;
  • Specifica indicazione dei mezzi di prova + indice dei documenti prodotti;
  • Valore della controversia;
  • Richiesta di distrazione delle spese;
  • Eventuale indicazione del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese delle Stato.

Vengono inoltre indicati:

  • I limiti dimensionali degli atti processuali per cause con valore inferiore a 500mila euro;
  • Tecniche redazionali: 12 punti per le dimensioni, interlinea 1,5 e margini di 2,5 cm;
  • Le note vengono ammesse soltanto per riferimenti alla dottrina o alla giurisprudenza;
  • I provvedimenti del giudice soggetti ad impugnazione vengono redatti in modo chiaro e conciso.

Inoltre, gli atti giudiziari dovranno rispettare tutte le istruzioni per la redazione contenute nell’art. 11 del dm 44/2011, e dovranno essere accompagnati anche da schemi informatici conformi alle specifiche tecniche. I criteri verranno poi inseriti all’interno delle linee programmatiche che sono state proposte alla scuola superiore di magistratura dal Ministero.

Si prevede anche l’istituzione di un osservatorio permanente riguardo i limiti dimensionali e la funzionalità dei criteri redazionali.

Nell’articolo 8 ci sono anche le regole del PCT sulla forma dell’atto. In particolare, è necessario inserire i dati prescritti dall’art. 34 del decreto 44/2011. L’atto del PCT rimane un file .pdf, così come previsto dall’art. 12, che deve essere sottoscritto con firma digitale e con tanto di file XML.

Per consultare le Linee Guida per la Redazione degli Atti del Processo Civile

cliccare sopra questo link.


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Digital Services Act: in vigore nuove norme europee per le aziende digitali

L’intelligenza artificiale che indovina le password attraverso il suono dei tasti

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Digital Services Act: in vigore nuove norme europee per le aziende digitali

Venerdì 25 agosto 2023 sono entrate in vigore le norme europee per quanto riguarda il settore digitale, in particolar modo per motori di ricerca, piattaforme social, e-commerce e società che offrono contenuti e/o servizi online.

Le norme appena entrate in vigore fanno parte del DSA, il Digital Services Act, una legge UE che tratta della sicurezza, della trasparenza dei servizi digitali e la moderazione dei contenuti. Si tratta di una legge che, a livello formale, era entrata in vigore nel corso del 2022, ma c’era tempo sino al 25 agosto 2023 per adeguarsi alle indicazioni del DSA.

Con il DSA viene aggiornata una direttiva risalente a 20 anni fa, e va a regolare le attività delle piattaforme che si pongono come intermediari tra le aziende che offrono servizi, prodotti o contenuti e i vari utenti che ne usufruiscono.

Il Digital Services Act viene applicato a tutte le aziende che operano online, e mantiene un certo grado di rigidità nei confronti delle Big Tech, ovvero le piattaforme che hanno più di 45 milioni di utenti attivi in Ue.

Parliamo di circa 20 società, tra le quali troviamo Facebook, Instagram, YouTube, TikTok, Amazon, Apple, Booking, Alibaba, Google, Pinterest, LinkedIn, Zalando e Snapchat. I servizi digitali un po’ più piccoli, invece, avranno ancora tempo per adattarsi a tutte queste nuove regole.

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La legge richiede che le aziende siano maggiormente trasparenti sui dati, sugli algoritmi e sulle loro attività, ma soprattutto richiede che siano molto più attente nella moderazione, nel filtraggio, e nella rimozione e/o nel blocco dei contenuti pericolosi.

Nel regolamento sono previsti anche tempi rapidi per rimuovere i contenuti e l’obbligo di sospensione degli utenti che violano ripetutamente il regolamento. Al fine di verificare le varie attività delle aziende, nel DSA sono previsti controlli annuali. Se presenti ripetute infrazioni, le sanzioni potrebbero arrivare sino ad un massimo del 6% del fatturato totale annuo.

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Le nuove norme, tra le varie cose, prevedono che le aziende condividano tutti i dettagli sul funzionamento degli algoritmi con le autorità di regolamentazione, soprattutto se sono previste personalizzazioni nei contenuti e pubblicità basate sugli interessi degli utenti.

Varie aziende, nel corso degli ultimi mesi, hanno deciso di adottare dei provvedimenti al fine di conformarsi al Digital Service Act. Per esempio, TikTok, Facebook e Instagram ora vietano la pubblicità personalizzata agli utenti con meno di 18 anni.

TikTok, inoltre, con l’ultimo aggiornamento consente di disattivare la personalizzazione dei contenuti.


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L’intelligenza artificiale è in grado di sottrarre password agli utenti ascoltando semplicemente ciò che digitano sulla propria tastiera. Questo è quanto dimostrato dai ricercatori della Cornell University, che recentemente hanno svolto un esperimento particolare.

Infatti, dopo l’addestramento di un’intelligenza artificiale al riconoscimento del suono riprodotto dai tasti premuti, questa sarebbe stata utilizzata con il fine di riconoscere le sequenze digitate sulla tastiera di un pc, per scoprire che l’IA era capace di identificare le parole con una precisione del 95%.

Per riuscire ad indagare quali fossero i limiti dell’intelligenza artificiale, i ricercatori hanno deciso di testarne la precisione anche nel corso di una videocall sulla piattaforma Zoom, registrando le sequenze dei tasti attraverso il microfono del pc.

In questo caso, il modello ha avuto una precisione per quanto riguarda le parole digitate sulla tastiera del 93%, ovvero una percentuale un po’ più bassa rispetto alla precedente.

Tutto ciò non dipende dall’eccessivo rumore prodotto dalla tastiera meccanica. Secondo quanto riferito dai ricercatori, il modello di intelligenza artificiale in questione è stato addestrato per riuscire a riconoscere la forma d’onda, ovvero il livello di pressione sonora prodotto da un segnale, il tempo e l’intensità di ogni battitura, al fine di identificare i tasti che compongono una sequenza.

Dunque, se premiamo un tasto con una frazione di ritardo di una frazione di secondo rispetto ad altri a causa del proprio stile di battitura, allora l’IA lo riconoscerà. Uno strumento del genere, comunque, consente ai malintenzionati di accedere facilmente a password, messaggi, discussioni o altre informazioni sensibili.

Ma come possiamo difenderci dagli hacker che tentano di ricorrere a questi strumenti per rubare i nostri dati sensibili? Prima di tutto, dovremmo evitare di digitare le nostre password attraverso Touch Id e Windows Hello.

Inoltre, si potrebbe pensare di ricorrere ad un buon gestore di password, al fine di assicurarsi di mettere in sicurezza i dati di accesso su tutti gli account.

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