Il mondo del lavoro sta vivendo una delle sue fasi più complesse, caratterizzata da un crescente disallineamento tra domanda e offerta di competenze. E il settore logistico è oggi uno dei fronti più esposti. Secondo l’Osservatorio Contract Logistics “Gino Marchet” del Politecnico di Milano, il 40% delle figure professionali richieste in questo comparto risulta difficile da reperire. Solo tre anni fa la percentuale si fermava al 27%, segno di un divario strutturale che continua ad ampliarsi.
Nel 2023, a fronte di oltre 4,6 milioni di ricerche di personale da parte delle aziende, circa 800mila posizioni nel comparto logistico sono rimaste vacanti. Il fenomeno del “talent shortage”, ovvero la carenza di personale con competenze adeguate, riguarda soprattutto profili tecnici e specializzati. Ma il paradosso è doppio: non solo mancano lavoratori qualificati, ma cresce anche la quota di candidati sovraqualificati costretti ad accettare ruoli al di sotto delle proprie competenze e aspirazioni.
Una dinamica aggravata dall’emorragia di lavoratori registrata nell’ultimo anno. Nel 2024 oltre un milione di italiani ha lasciato volontariamente il proprio impiego, malgrado due terzi fossero assunti a tempo indeterminato. Un dato che racconta di insoddisfazione, precarietà psicologica e mancato riconoscimento del valore professionale.
Le competenze più carenti? Quelle legate alle discipline STEM — scienza, tecnologia, ingegneria e matematica — oggi imprescindibili in un mercato del lavoro sempre più digitalizzato e interconnesso. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) stima che a livello globale oltre 1,3 miliardi di lavoratori non possiedano le skill richieste dal mercato contemporaneo, con un impatto economico annuo stimato in circa 8.000 miliardi di dollari. In Italia, il disallineamento coinvolge circa 10 milioni di lavoratori: il 35% dei candidati risulta sotto o sovra qualificato rispetto alle posizioni disponibili.
Ma non si tratta solo di competenze. È il modello stesso di lavoro che appare in crisi. Il fenomeno del “quiet quitting” — l’abbandono silenzioso, emotivo e motivazionale del posto di lavoro prima delle dimissioni formali — si sta diffondendo anche in Italia, sintomo di un malessere diffuso e di un rapporto deteriorato tra lavoratori e imprese.
Le aziende, nel frattempo, provano ad adattarsi. Secondo l’Osservatorio, rispetto al 2020 le offerte di lavoro online sono aumentate dell’80%, mentre quelle che prevedono flessibilità oraria sono cresciute del 2400%. Un segnale chiaro: oggi non basta più offrire un impiego, serve ascoltare, costruire ambienti inclusivi, investire in welfare e formazione continua, e soprattutto dare un senso condiviso all’esperienza lavorativa.
In uno scenario che cambia rapidamente, la logistica diventa un indicatore privilegiato delle trasformazioni in atto: un settore centrale per l’economia, ma incapace, oggi, di attrarre e trattenere i talenti di cui ha bisogno. E se il sistema non riuscirà a colmare presto questo gap, il rischio è che a rallentare non siano solo i trasporti, ma l’intero motore produttivo del Paese.
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