Pensioni a rischio per i condoni: buco da 6,6 miliardi nei conti INPS

Le ripetute operazioni di saldo e stralcio dei contributi previdenziali non versati fino al 2015 hanno lasciato un segno profondo nei conti dell’INPS: un buco da 6,6 miliardi di euro, che dovrà ora essere ripianato dallo Stato per garantire in futuro il pagamento delle pensioni.

L’allarme arriva dal Consiglio di indirizzo e vigilanza (Civ) dell’INPS, che ha approvato una delibera sui «riaccertamenti dei residui attivi e passivi al 31 dicembre 2023». Il Civ, presieduto da Roberto Ghiselli, ha chiesto agli organi istituzionali — in primis il Governo — di garantire interventi compensativi a carico della fiscalità generale, ovvero dei contribuenti, per evitare che gli oneri futuri ricadano sull’ente previdenziale.

Le cancellazioni dei contributi evasi, decise dai governi Conte (2018), Draghi (2020) e Meloni (2022), hanno comportato la rinuncia a crediti per oltre 18 miliardi di euro, di cui 15 miliardi solo nel 2024. Di questi, i condoni del 2021 e 2022 avrebbero generato effetti diretti sulle gestioni pensionistiche dei lavoratori dipendenti, secondo quanto evidenziato anche dalla Commissione Entrate ed Economico-Finanziaria del Civ.

A sollevare la questione anche il capogruppo del Partito Democratico al Senato, Francesco Boccia, che annuncia un’interrogazione parlamentare:

«Lo stralcio dei crediti fino a mille euro, relativi al periodo 2000-2015, introdotto dalla prima manovra del Governo Meloni, da solo vale 9,9 miliardi. Il Governo deve chiarire come intende coprire il costo delle prestazioni future».

Non si è fatta attendere la replica del sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, che ha respinto le accuse parlando di «allarme infondato» e di «abbaglio» da parte di chi considera un danno alla collettività la cancellazione di vecchie posizioni contributive, alcune risalenti a oltre 25 anni fa, per importi fino a 5.000 euro.

Ma per il Civ dell’INPS la questione resta seria: senza coperture certe e interventi strutturali, i conti del sistema previdenziale rischiano di trovarsi esposti a squilibri futuri.


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Lavoro in Veneto, partenza lenta per la stagione turistica: 8.000 assunzioni in meno nel primo trimestre

Con la stagione turistica partita in ritardo, complice una Pasqua caduta più tardi del solito, e con un ricorso ancora diffuso alla cassa integrazione, il mercato del lavoro dipendente in Veneto segna una frenata: nel primo trimestre del 2025 si registrano 8.000 assunzioni in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, di cui quasi 7.000 soltanto a marzo. Un calo che colpisce soprattutto le donne, che segnano 5.800 assunzioni in meno nel trimestre e ben 3.600 solo nel mese di marzo.

I dati emergono dal report trimestrale “La Bussola” elaborato da Veneto Lavoro, che evidenzia anche un calo del 5% nelle assunzioni complessive, che arriva a -15% nel solo mese di marzo. Nonostante tutto, il saldo dei posti di lavoro creati resta positivo: +51.300, anche se inferiore di 7.400 unità rispetto allo stesso trimestre del 2024.

A commentare la situazione è Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro: «A influire è soprattutto la partenza posticipata della stagione turistica, che ha spostato in avanti le assunzioni legate al settore, e il continuo utilizzo della cassa integrazione, che blocca le nuove entrate anche in contesti di crisi».

Nel dettaglio dei contratti, quelli a tempo indeterminato diretti scendono a 33.100 nel trimestre, con una flessione di 2.000 unità rispetto al 2024. Tuttavia, crescono le stabilizzazioni: +11%, ovvero 2.000 trasformazioni in più (19.000 contro 17.000). Un segnale che indica una preferenza per la stabilità occupazionale, ma che non riesce a compensare del tutto la flessione delle assunzioni iniziali.

L’industria resta al palo: 41.600 assunzioni nel trimestre, 800 in meno rispetto al 2024 e quasi 5.000 in meno rispetto al 2023. In calo soprattutto i settori dell’abbigliamento (-240 posti), dell’occhialeria (-71) e, in misura minore, delle calzature (-37).

Anche il lavoro part-time perde colpi, soprattutto tra le donne, dove la riduzione è più marcata rispetto agli uomini: -9% contro -2%.

Un quadro che racconta un mercato del lavoro ancora fragile, dove la prudenza delle imprese e l’incertezza economica si riflettono sulla qualità e quantità delle nuove assunzioni.


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NIS2, via alle PEC dell’ACN: le aziende devono agire subito

L’attuazione della direttiva europea NIS2 entra nel vivo: a partire dal 12 aprile 2025, l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) ha avviato l’invio delle PEC ufficiali alle imprese e agli enti pubblici che rientrano nel nuovo perimetro nazionale di sicurezza informatica previsto dal Decreto Legislativo 123/2023.

Le comunicazioni, recapitate digitalmente, notificano l’inserimento formale dei destinatari nel registro degli operatori di servizi essenziali e importanti, cioè le aziende obbligate a garantire elevati standard di sicurezza informatica per proteggere dati, reti e infrastrutture critiche.

Chi riceverà la PEC?

Le notifiche sono indirizzate a soggetti pubblici e privati attivi nei settori strategici indicati dalla direttiva, tra cui:

  • energia, trasporti, sanità, bancario e finanziario,
  • infrastrutture digitali, pubblica amministrazione,
  • fornitori di servizi cloud, data center e telecomunicazioni.

Cosa bisogna fare subito

Per le aziende coinvolte, la notifica avvia ufficialmente una serie di adempimenti. Non si tratta di una semplice comunicazione informativa: l’inclusione comporta l’obbligo di adeguarsi a un sistema rigoroso di prevenzione e risposta agli incidenti informatici. Tra gli obblighi immediati:

Designazione del referente per la sicurezza ICT
L’azienda deve nominare un punto di contatto interno responsabile della comunicazione con l’ACN e del coordinamento delle misure di cybersecurity.

Valutazione del rischio
Entro tempi brevi, le organizzazioni devono condurre una mappatura dei rischi e definire un piano di gestione, monitoraggio e mitigazione degli stessi.

Comunicazione obbligatoria degli incidenti
Eventuali violazioni o attacchi significativi devono essere segnalati tempestivamente all’ACN entro 24 ore dalla rilevazione.

Adozione di misure tecniche e organizzative adeguate
Le imprese dovranno dimostrare di adottare sistemi di sicurezza informatica aggiornati, formazione del personale e procedure di controllo periodico.

Cosa si rischia

Chi non si adegua rischia sanzioni molto severe, che possono arrivare fino al 2% del fatturato annuo globale, a seconda della gravità della violazione. L’ACN, insieme ad altri enti ispettivi, potrà disporre controlli e richiedere la documentazione necessaria a verificare la conformità alle norme.

Una normativa che cambia il paradigma

La direttiva NIS2 – recepita in Italia con il D.lgs. 123/2023 – potenzia il quadro normativo europeo in materia di sicurezza informatica, estendendo l’ambito soggettivo rispetto alla precedente NIS1 e introducendo obblighi stringenti anche per imprese private non precedentemente incluse.

L’obiettivo è aumentare la resilienza dell’intero sistema-Paese, rafforzando la protezione contro minacce sempre più sofisticate e diffuse.

Le imprese interessate devono dunque attivarsi immediatamente, anche rivolgendosi a consulenti specializzati o certificatori accreditati, per non farsi trovare impreparate davanti a una rivoluzione normativa che è già operativa.


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La Commissione investe 140 milioni di € per la diffusione delle tecnologie digitali fondamentali

La Commissione ha pubblicato quattro nuovi inviti a presentare proposte per un valore di 140 milioni di € nell’ambito del programma Europa digitale (DIGITAL) per promuovere il lancio dell’intelligenza artificiale (IA), favorire le competenze digitali avanzate, ampliare la rete dei poli europei dell’innovazione digitale (EDIH) e combattere la disinformazione.

Di questi 140 milioni di € , 55 milioni di € sono messi a disposizione per introdurre l’IA generativa nella pubblica amministrazione e nel settore agroalimentare, nonché per assicurare la conformità alla normativa unitamente al sostegno all’alleanza per i processori e le tecnologie dei semiconduttori e gli spazi di dati.

Al fine di affinare le competenze digitali avanzate nell’UE, altri 27 milioni di € serviranno a formare quattro nuove accademie delle competenze digitali nella tecnologia quantistica, nell’IA e nei mondi virtuali.

Inviti per un valore di 11 milioni di € si concentreranno sul completamento e sull’ampliamento della rete EDIH nei paesi associati, nonché sul sostegno a una maggiore attenzione all’IA.

La Commissione destinerà inoltre 47 milioni di € al lancio e all’uso ottimale di nuove tecnologie digitali, sostenendo nel contempo la rete dei centri “internet più sicuro”. Nell’ambito di questo invito da 47 milioni di € , 5 milioni di € saranno destinati alla creazione di una rete europea di verificatori di fatti, in linea con gli orientamenti politici per il periodo 2024-2029 della Presidente Ursula von der Leyen. Tra gli elementi fondamentali figureranno un sistema di tutela contro le molestie per i verificatori di fatti, un repertorio di verifiche dei fatti e una capacità di risposta alla verifica dei fatti, anche in situazioni di emergenza.

Tutti e quattro gli inviti si chiudono il 2 settembre 2025. Tanto gli inviti a presentare proposte per le competenze digitali avanzate quanto quelli della rete EDIH contribuiscono agli obiettivi della piattaforma per le tecnologie strategiche per l’Europa (STEP), ossia l’iniziativa della Commissione volta a promuovere lo sviluppo e la produzione di tecnologie critiche nell’UE.

Si tratta della prima serie di inviti a presentare proposte nell’ambito del programma di lavoro DIGITAL 2025-2027, che mette l’accento sulla diffusione di tecnologie innovative di prossima generazione in tutta Europa.

Maggiori informazioni sugli inviti e sulla procedura di presentazione delle domande sono disponibili sul portale EU Funding &Tenders Portal.


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Pignoramenti 2025: nuovi limiti su stipendi, pensioni, beni e prime case

Pignoramenti 2025: cambiano le regole. Nuovi limiti, importi e possibilità di blocco per chi ha debiti con il Fisco o con creditori privati. Il pignoramento resta la principale arma a disposizione dei creditori — siano essi banche, finanziarie o l’Agenzia delle Entrate — per recuperare somme non pagate, e può colpire beni mobili, immobili, stipendi, pensioni e perfino crediti vantati verso terzi.

Nel 2025 entra in vigore una serie di modifiche che riguardano da un lato i limiti di pignorabilità, dall’altro le procedure per l’avvio e la sospensione delle azioni esecutive. Ecco cosa cambia nel dettaglio.


Stipendi e pensioni: ecco quanto si può pignorare

Per gli stipendi, la legge stabilisce che il pignoramento massimo possibile resta fissato al 20% del netto percepito (esclusi contributi previdenziali e imposte). Tuttavia, il prelievo varia a seconda della fascia di reddito:

  • Fino a 2.500 euro, pignorabile fino al 10%
  • Tra 2.501 e 5.000 euro, pignorabile fino al 14,3%
  • Oltre 5.000 euro, pignorabile fino al 20%

Per le pensioni, la soglia di impignorabilità è fissata a 1.000 euro mensili. Oltre questo importo, vale la regola del quinto, ma solo sulla parte eccedente. Anche qui, si applicano percentuali differenziate:

  • Fino a 1.000 euro, pensione impignorabile
  • Tra 1.001 e 2.500 euro, pignorabile fino al 10%
  • Tra 2.501 e 5.000 euro, pignorabile fino al 14,3%
  • Oltre 5.000 euro, pignorabile fino al 20%

Case e terreni: quando la prima casa è al sicuro

Sul fronte immobiliare, la prima casa resta impignorabile solo se il creditore è un ente pubblico, come l’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Se invece il creditore è privato (una banca, una finanziaria o un altro soggetto), la prima casa può essere pignorata, anche se adibita ad abitazione principale.


Le tre nuove regole del 2025

Il 2025 introduce anche tre novità chiave che impattano direttamente sulle modalità e i tempi del pignoramento:

  1. Pignoramento senza cartella esattoriale
    È ora possibile procedere con il pignoramento anche senza invio della cartella esattoriale, grazie al cosiddetto accertamento esecutivo. Si tratta di un atto dell’Agenzia delle Entrate che vale come invito a pagare: dopo 60 giorni dalla notifica e 30 giorni ulteriori senza saldo, può scattare l’esecuzione forzata automatica.

  2. Tempi dimezzati per i debiti fiscali locali
    I Comuni possono attivare procedure di pignoramento rapido per debiti relativi a imposte locali (IMU, TARI, Tosap ecc.). I tempi per l’azione esecutiva passano da 180 a 60 giorni, con facoltà per l’ente locale di prevedere anche forme agevolate di regolarizzazione.

  3. Blocco del pignoramento con 50 euro
    Entra in vigore la possibilità di rateizzare i debiti fiscali partendo da una rata minima di 50 euro al mese. Il pagamento della prima rata consente il blocco immediato delle procedure di pignoramento e anche dei fermi amministrativi sui veicoli, purché la domanda di rateizzazione includa tutti i debiti pendenti. Attenzione, però: saltare anche una sola rata fa decadere il beneficio.

Il nuovo impianto normativo sui pignoramenti per il 2025 punta a snellire le procedure per il recupero dei crediti, ma allo stesso tempo introduce maggiore flessibilità per il debitore, con soglie più chiare e meccanismi per evitare il blocco dei beni essenziali. Una riforma che tocca da vicino milioni di contribuenti e lavoratori, tra tutele e doveri rafforzati.


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Crisi d’impresa, il correttivo 2024-2025 cambia le regole del gioco

Il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII) è stato aggiornato con un importante correttivo per il biennio 2024-2025, che introduce significative novità in tema di sovraindebitamento. L’obiettivo? Rendere le procedure più accessibili, rapide ed equilibrate, offrendo maggiori strumenti ai debitori – che siano imprese o persone fisiche – per affrontare le difficoltà economiche con soluzioni sostenibili.

Al centro dell’intervento legislativo c’è una visione più moderna della gestione delle crisi, orientata non solo alla tutela dell’impresa e della continuità aziendale, ma anche al rispetto dei diritti dei creditori. Un equilibrio delicato, che si cerca di raggiungere attraverso nuove misure operative e giuridiche.

La moratoria sui crediti privilegiati: fino a due anni per respirare

Tra le novità più rilevanti del correttivo c’è la modifica all’articolo 67 del CCII, che consente al debitore di chiedere una moratoria – fino a due anni dall’omologazione del piano – per il pagamento dei crediti privilegiati o garantiti. Si tratta di una vera e propria “boccata d’aria” per chi si trova in una situazione di crisi, perché consente di dilazionare obbligazioni gravose senza la pressione di doverle estinguere in tempi strettissimi.

Questa possibilità favorisce anche i creditori, i quali – pur vedendo rinviato il pagamento – ottengono maggiori garanzie di rientro grazie a piani più realistici e sostenibili. In altre parole, il legislatore mira a prevenire la liquidazione immediata, incentivando invece soluzioni alternative di ristrutturazione.

Resta aperta, tuttavia, la questione sulla possibilità di derogare al limite dei due anni. La Cassazione, con la sentenza n. 22291/2020, ha sottolineato l’importanza della valutazione della convenienza del piano da parte dei creditori, posizione confermata anche dalla recente sentenza n. 576/2024 della Prima Sezione Civile: dilazioni più lunghe sono ammissibili, purché vi sia trasparenza e partecipazione delle parti.

Piani di ristrutturazione più flessibili e meno burocratici

Il correttivo interviene anche sull’articolo 70 del CCII, ampliando la possibilità per il debitore di modificare o integrare il proprio piano di ristrutturazione. Il giudice potrà concedere ulteriori quindici giorni per apportare modifiche, correggere lacune o fornire documentazione aggiuntiva.

Una svolta che risponde all’esigenza di snellire le procedure e ridurre gli ostacoli formali che spesso rallentano o compromettono l’efficacia delle soluzioni di risanamento. Si tratta di un approccio più pragmatico e meno rigido, che punta a garantire tempi più brevi per l’omologazione dei piani, evitando l’effetto paralizzante della burocrazia.

Il diritto di reclamo: più garanzie per tutte le parti

Altro tassello fondamentale del correttivo è l’introduzione del diritto di reclamo contro le decisioni del giudice nelle procedure di sovraindebitamento. Prima d’ora, le possibilità di contestazione erano fortemente limitate, lasciando debitori e creditori in balia di provvedimenti difficilmente rivedibili.

Ora, invece, sarà possibile presentare reclamo, favorendo maggiore trasparenza, correttezza e controllo sulle decisioni assunte. Una garanzia ulteriore per le parti coinvolte e un segnale di rafforzamento dell’equità procedurale. Inoltre, la possibilità di revisione delle decisioni riduce i rischi di contenziosi prolungati, favorendo una gestione più snella delle controversie.

Verso un sistema più dinamico e giusto

Il correttivo 2024-2025 al CCII rappresenta un passo deciso verso un sistema di gestione delle crisi economiche più dinamico, flessibile e attento all’equilibrio tra i soggetti coinvolti. La moratoria estesa, la maggiore elasticità nella gestione dei piani e il diritto di reclamo sono strumenti concreti che puntano a semplificare le procedure, rafforzare la fiducia tra le parti e promuovere la cultura del risanamento, in un momento storico in cui la tenuta economica di imprese e famiglie è messa a dura prova. Resta ora da verificarne l’efficacia concreta nelle aule dei tribunali.


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ChatGPT alla sbarra: l’IA protagonista nei Tribunali di Roma e Firenze

ChatGPT, il più noto sistema di intelligenza artificiale generativa, finisce al centro del dibattito giuridico italiano. Due recenti vicende, rispettivamente nei Tribunali di Roma e Firenze, riportano l’attenzione sulle implicazioni legali e deontologiche dell’utilizzo di questi strumenti nel contesto professionale e giudiziario.

Roma: la legittimità della sanzione del Garante

La prima vicenda riguarda direttamente OpenAI, società statunitense creatrice di ChatGPT, che ha presentato ricorso contro il provvedimento n. 755/2024 con cui il Garante per la protezione dei dati personali ha inflitto una sanzione amministrativa di 15 milioni di euro. Le violazioni contestate vanno dalla mancata notifica di un data breach alla carenza di una base giuridica per il trattamento dei dati, fino all’insufficiente tutela dei minori.

Il procedimento, iscritto al n. R.G. 4785/2025, è ora all’esame del Tribunale di Roma, che con ordinanza del 21 marzo ha sospeso cautelarmente il provvedimento del Garante, subordinandone però l’efficacia al versamento di una cauzione da parte di OpenAI. I giudici dovranno pronunciarsi nel merito sulla proporzionalità della sanzione e sulla legittimità delle contestazioni, ma la posta in gioco è ben più ampia.

La decisione del Tribunale romano potrebbe tracciare una linea guida per il futuro assetto regolatorio italiano ed europeo in materia di IA, in un momento in cui la Commissione UE sta valutando una semplificazione del GDPR. Un verdetto atteso, quindi, non solo dai giuristi ma anche dai decisori politici e dai player tecnologici.

Firenze: le “allucinazioni” di ChatGPT negli atti difensivi

La seconda vicenda, meno eclatante ma altrettanto significativa, proviene dal Tribunale di Firenze. In un procedimento in materia di marchi e contraffazione, uno degli avvocati ha fatto uso di ChatGPT per una ricerca giurisprudenziale. Il risultato? Sentenze inesistenti, generate dal sistema in quella che viene comunemente definita “hallucination”.

Nonostante l’errore, il Tribunale ha scelto di non sanzionare il legale, ritenendo che il riferimento a decisioni mai emesse non abbia inciso sulla sostanza della strategia difensiva. Tuttavia, l’episodio ha sollevato interrogativi cruciali sull’affidabilità dell’IA generativa e sulle responsabilità professionali nell’uso di strumenti digitali.

Verso una regolamentazione etica e giuridica

Nel frattempo, numerose imprese ed enti pubblici stanno adottando policy interne sull’uso dell’intelligenza artificiale, a testimonianza di una crescente consapevolezza sull’urgenza di governare – e non subire – l’innovazione.

Se da un lato l’IA rappresenta una straordinaria opportunità per il mondo del lavoro e per la giustizia, dall’altro ne emerge la necessità di fissare regole chiare, evitando improvvisazioni pericolose. E i giudici italiani, da Roma a Firenze, sembrano ormai chiamati a fare da apripista in questo nuovo e delicato territorio.


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Addizionale sull’energia bocciata dalla Consulta: era contraria al diritto UE

È incostituzionale l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica prevista dal decreto-legge 511/1988, poi abrogata nel 2012. Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 43/2025, depositata il 15 aprile, accogliendo la questione sollevata dal Tribunale di Udine. Secondo la Consulta, la norma istitutiva della tassa violava il diritto dell’Unione europea poiché destinava genericamente il gettito “in favore delle province”, senza indicare alcuna finalità specifica, come invece richiesto dalle direttive comunitarie in materia di fiscalità energetica.

La Corte ha richiamato in tal senso la giurisprudenza di legittimità, in particolare la Cassazione (sent. 27101/2019 e ord. 24373/2024), che ha già chiarito come la genericità della destinazione dell’imposta non sia sufficiente a giustificarne la compatibilità con il diritto UE, essendo assimilabile a una finalità meramente di bilancio.

Nel valutare la questione, la Consulta ha inoltre fatto riferimento alla recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (11 aprile 2024, causa C-316/22 Gabel), che ha aperto alla possibilità per il cliente finale di agire direttamente contro lo Stato qualora non possa rivalersi sul fornitore. Tuttavia, a seguito della pronuncia di incostituzionalità – che ha effetto ex tunc, salvo per i rapporti già esauriti – sarà ora possibile per i clienti agire direttamente nei confronti dei fornitori per ottenere la restituzione dell’indebito, lasciando a questi ultimi l’eventuale azione di rivalsa verso lo Stato.

Nel merito, la Corte ha quindi dichiarato:

  1. l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, lett. c), e 2 del d.l. 511/1988 (come modificato dal d.lgs. 26/2007), per contrasto con i vincoli europei;
  2. inammissibile la costituzione in giudizio del Consorzio energia Assindustria Vicenza – Energindustria;
  3. inammissibili le questioni sollevate dal Collegio arbitrale di Vicenza in merito all’art. 14, comma 4 del Testo unico sulle accise (d.lgs. 504/1995), per carenza di rilevanza nel giudizio a quo.

Una sentenza destinata ad avere rilevanti ricadute anche sul contenzioso pendente, restituendo ai consumatori la possibilità di recuperare somme indebitamente versate nel passato.


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Testamento valido anche con monosillabi: la Cassazione dà ragione al de cuius

Il testamento è valido anche se il testatore, affetto da un grave deficit motorio, ha espresso la propria volontà con semplici monosillabi o movimenti della testa. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9534 depositata ieri, respingendo i ricorsi dei fratelli del de cuius, che contestavano la validità dell’atto per presunta assenza di una chiara dichiarazione di consenso.

Secondo i giudici della Seconda sezione civile, “la modalità espressiva adottata dal testatore era perfettamente coerente con le sue condizioni fisiche, senza che ciò infici la genuinità e la piena manifestazione della volontà testamentaria”. Confermata così la decisione della Corte d’appello di Genova, che aveva accertato come l’infermità fosse di natura motoria, senza intaccare la capacità di intendere e volere.

Il de cuius, si legge in sentenza, risultava lucido sia nel procedimento per l’interdizione, conclusosi con una semplice inabilitazione, sia nei colloqui con il consulente tecnico d’ufficio e i medici curanti. Il notaio, rispettando le formalità previste dall’art. 603 del codice civile, aveva letto la scheda testamentaria alla presenza dei testimoni, raccogliendo le conferme da parte del testatore secondo le modalità a lui possibili.

La Suprema Corte ribadisce: “Non si può negare validità al consenso manifestato attraverso monosillabi o movimenti del capo, se questa è l’unica forma di comunicazione compatibile con lo stato fisico del testatore, e se tale volontà risulta chiara e coerente”.

Sul fronte procedurale, la Cassazione ha inoltre respinto l’eccezione relativa alla presenza di giudici onorari nel collegio d’appello. Ha infatti ricordato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 41/2021, ha ritenuto temporaneamente tollerabile la partecipazione dei giudici ausiliari nei collegi, in attesa della piena attuazione della riforma della magistratura onoraria, fissata al 31 ottobre 2025.

Fino a tale data, dunque, le sentenze emesse con la partecipazione dei giudici onorari non possono essere annullate solo per questo motivo.


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Il processo telematico e la trappola degli avvocati

Solo pochi giorni fa, un Tribunale della Libertà ha dichiarato inammissibile un’istanza di riesame relativa a un sequestro preventivo, semplicemente perché il sistema della cancelleria non riusciva a “leggere” la firma digitale del difensore. Firma che era perfettamente regolare, come dimostrato da una consulenza tecnica. Fortunatamente, in quel caso, si è ottenuta una remissione in termini. Ma il dato resta: oggi basta un intoppo informatico a compromettere un diritto di difesa.

È solo uno dei molti esempi di quello che Giandomenico Caiazza, avvocato e già presidente dell’Unione delle Camere Penali, definisce una vera e propria “lotteria del deposito atti”. Una quotidiana trappola per i difensori, in balia di interpretazioni soggettive di alcuni cancellieri o dei malfunzionamenti di un Portale telematico che avrebbe dovuto semplificare e che invece complica, quando non tradisce.

E intanto, nei Palazzi di Giustizia, si è consolidato un doppio binario: PM e giudici hanno accesso pieno al fascicolo telematico; gli avvocati no. Possono solo depositare, sperando che la procedura venga accettata. “Siamo soggetti esterni al Portale – scrive Caiazza – dei paria che partecipano alla lotteria, incrociando le dita”.

Ma il problema, più che tecnico, è culturale. La cultura inquisitoria – continua Caiazza – considera ancora PM e giudici i veri padroni di casa, e gli avvocati come ospiti tollerati, meglio se silenziosi. Una cultura che oggi si è persino aggravata: si è perso quel principio del favor impugnationis che un tempo tutelava la volontà di impugnare anche in caso di errori formali.

Oggi è il contrario: si attende il minimo inciampo – una PEC all’indirizzo sbagliato, una firma “non leggibile” – per dichiarare l’inammissibilità, falcidiando i ricorsi e gonfiando le statistiche. “Il problema – conclude Caiazza – si fa ogni giorno più serio”. E mina, alla radice, i princìpi del giusto processo.


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