Linguaggio non ostile dentro e fuori il processo

Gli osservatori sulla giustizia civile hanno pubblicato un decalogo di buone norme, finalizzate all’utilizzo di un linguaggio non ostile dentro e fuori il processo.

Il decalogo è ispirato al Manifesto della Comunicazione non ostile dell’Associazione Parole O_Stili.

Alcune delle regole si rivolgono direttamente a giudici e avvocati. Altre, invece, sono più generiche, e richiamano norme deontologiche o valori etici. Di seguito, riportiamo il decalogo completo:

  1. Virtuale è reale – Dico e scrivo in rete come se fossi in presenza. Comunico in modo commisurato al contesto e ai destinatari, nel rispetto delle regole deontologiche.
  2. Si è ciò che si comunica – Quello che dico e scrivo è pertinente, chiaro, sintetico e non retorico. Nel comunicare considero i destinatari, il contesto e il tipo di conflitto, cercando di essere il più possibile comprensibile.
  3. Le parole danno forma al pensiero – Ogni parola influisce sull’andamento e sul risultato del dialogo: scelgo con cura le parole per esprimere in modo trasparente ed efficace il mio pensiero evitando tecnicismi e inutili sfoggi di erudizione.
  4. Prima di parlare bisogna ascoltare – Ascolto sempre con attenzione il mio interlocutore, e se dubito di aver compreso chiedo chiarimenti. Parlo o scrivo soltanto dopo avere ascoltato gli altri, senza interromperli.
  5. Le parole sono un ponte – Come giudice parlo o scrivo in modo da mettere le parti e i difensori in grado di comprendere il mio pensiero sulla controversia e di valutare la possibilità e l’opportunità di una conciliazione. In particolare, evidenzio sempre le conseguenze di ogni possibile decisione. Come avvocato mi esprimo in modo che il mio assistito possa comprendere la diversità dei punti di vista che hanno causato il conflitto, al fine di favorire soluzioni consensuali.
  6. Le parole hanno conseguenze – Sono consapevole che ogni parola, detta o scritta, avrà delle conseguenze, potrebbe creare sofferenza, generare false aspettative, esasperare il conflitto.
  7. Condividere è una responsabilità – Condivido il mio sapere e le mie esperienze. Ritengo il confronto un momento di crescita e lo cerco anche con figure professionali diverse dalla mia. Come giudice contribuisco alla accessibilità della giurisprudenza del mio ufficio e condivido provvedimenti e documenti con i colleghi. Come avvocato offro il mio aiuto ai colleghi più giovani e dedico tempo alla loro formazione.
  8. Le idee si possono discutere – Le persone si devono rispettare. In quello che dico e scrivo non utilizzo toni ironici, svalutanti o moralistici. Evito di esprimere un giudizio quando affronto un contesto che non conosco. Come giudice sorveglio ogni possibile pregiudizio inconscio. Come avvocato contrasto le tesi altrui senza deridere o aggredire.
  9. Gli insulti non sono argomenti – Non utilizzo parole offensive, toni sarcastici, argomentazioni che screditano le parti o i loro difensori, la controparte o il giudice. Come giudice, richiamo le parti e i difensori al rispetto della controparte.
  10. Anche il silenzio comunica – Non parlo solo per occupare spazio né per esibizione personale. Non mi sottraggo al dovere di rispondere. Il silenzio può essere offensivo quando è mio dovere rispondere tempestivamente.

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