bando strumenti informatici cassa forense

Bando Cassa Forense per l’acquisto di strumenti informatici per lo Studio Legale

Cassa Forense, per promuovere l’aggiornamento tecnologico in campo legale, ha stanziato 1 milione e 600 mila euro per l’acquisto di strumenti informatici, da parte di avvocati e praticanti.

Verrà offerto il rimborso sino al 50% per acquistare strumenti informatici, con una spesa massima di 1.500 euro. Un’opportunità estesa a tutti coloro che risultano iscritti o che hanno una procedura d’iscrizione in corso presso l’Ente previdenziale.

Il contributo verrà calcolato come il 50% del totale della spesa che è stata sostenuta per acquistare gli strumenti informatici, al netto dell’IVA, e verrà erogato soltanto per le spese che riguardano un solo tipo di strumento informatico tra quelli indicati nel bando.

Tra gli strumenti inclusi nel contributo troviamo:

– desktop pc;
– notebook;
– monitor;
– monitor con webcam microfono casse audio integrale;
– tablet;
– cuffie, auricolari, microfono;
– webcam;
– stampante multifunzione laser;
– sistema video ed audio per videoconferenze;
– lavagne interattive e sistema audio video per video conferenze;
– licenza antivirus e software per la gestione degli studi legali e relativi applicativi e
aggiornamenti;
– firewall;
– abbonamento per l’utilizzo di piattaforme per videoconferenze;
– dispositivi per l’archiviazione, server protezione e/o condivisione dei dati dello
studio;
– abbonamento e/o acquisto di servizi di cyber security per la protezione delle reti
professionali dello studio legale.

A proposito:dai un’occhiata ai prodotti Servicematica😊

Per garantire un’equa distribuzione delle risorse, Cassa Forense ha stabilito le condizioni specifiche per riuscire a beneficiare di tale contributo.

Bisognerà essere in regola con tutte le comunicazioni reddituali alla Cassa per tutto il periodo d’iscrizione e non aver ottenuto un rimborso totale o parziale per le stesse identiche finalità da parte di altri enti.

La scadenza per la presentazione della domanda di contributo è stata fissata al 15 giugno 2023, entro le ore 24. Si potrà presentare la domanda con la procedura messa a disposizione online da Cassa Forense. I richiedenti dovranno allegare, in formato telematico, una copia delle fatture quietanzate oppure delle ricevute di pagamento riguardo gli acquisti effettuati.

Tale iniziativa mira a sostenere gli avvocati italiani nel processo di adeguamento agli strumenti informatici di oggi, permettendo loro di migliorare l’efficacia e l’efficienza degli Studi Legali. Gli avvocati, con questa opportunità di rimborso, potranno investire nelle tecnologie all’avanguardia per riuscire ad offrire un servizio sempre più competitivo e qualificato nell’esercizio della professione.

Clicca qui sopra per leggere il bando del concorso, e qui sopra per inviare la richiesta online.


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Amazon utilizzerà l’IA per scoprire le recensioni false

Premio Serafino Famà: 2.600 euro per praticanti e giovani avvocati

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Amazon utilizzerà l’IA per scoprire le recensioni false

Amazon sfrutterà l’intelligenza artificiale per riuscire a velocizzare alcune attività, come l’individuazione di prodotti che risultano danneggiati ancor prima della spedizione. Inoltre, ha comunicato che l’intelligenza artificiale viene già utilizzata per riuscire a scoprire le recensioni fake e per scrivere un riassunto di quelle affidabili.

Da anni, Amazon tenta di contrastare la pubblicazione delle recensioni false: il problema principale è rappresentato dai broker, che utilizzano piattaforme di terze parti, come i social network, per riuscire ad acquistare, vendere e ad ospitare recensioni false.

Il colosso fondato da Bezos sfrutterà modelli di machine learning per poter analizzare migliaia di dati e per rilevare tempestivamente comportamenti fraudolenti.

Di recente sono stati adottati degli strumenti di intelligenza artificiale molto più sofisticati, che considerano diversi parametri per poter individuare recensioni fake, quali numero di login, cronologia, correlazione tra l’account dell’utente e quello del venditore.

Grazie ai nuovi metodi, comunica Amazon, sono già state bloccate più di 200 milioni di recensioni fake nel 2022. Sostanzialmente, quello che fa l’intelligenza artificiale, in questo caso, è capire se le recensioni sono state scritte da un’altra intelligenza artificiale.


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Premio Serafino Famà: 2.600 euro per praticanti e giovani avvocati

Siete pronti a passare ore ed ore con un visore sulla testa?

Premio Serafino Famà

Premio Serafino Famà: 2.600 euro per praticanti e giovani avvocati

È stato pubblicato il bando di concorso per il premio biennale dedicato all’avvocato Serafino Famà. L’iniziativa da parte della Camera penale di Catania è ormai giunta alla sua 11esema edizione, e ha sempre avuto lo scopo di ricordare il penalista, ucciso nel 1995 dalla mafia, emblema della dedizione alla professione forense, che arriva sino al sacrificio personale.

Il premio, corrispondente a 2.600 euro, sarà assegnato ad un praticante abilitato o ad un giovane avvocato, autore e firmatario di un atto giudiziario depositato nell’ambito di un procedimento penale, nel quale sia stato difensore o sostituto processuale.

La scadenza per poter partecipare al concorso è stata fissata al 31 luglio 2023, ed entro tale data bisognerà inviare gli elaborati alla PEC della Camera penale di Catania, camerapenalecatania@pec.it

Per poter partecipare bisogna presentare:

  • l’atto giudiziario con attestazione di deposito alla Cancelleria Segreteria del Magistrato che lo ha ricevuto;
  • il certificato di iscrizione all’Albo o al registro dei Praticanti;
  • una presentazione sintetica del processo nel quale è stato prodotto l’atto.

I candidati, per preservare la riservatezza dei soggetti coinvolti negli atti giudiziari, dovranno occultarne le generalità o qualsiasi indizio che permetta di risalire all’identità di questi.

La Commissione sarà composta da Presidente dell’Unione della Camere penali italiane, dal Presidente del COA catanese, dal Presidente della Camera Penale di Catania e da tre membri designati da quest’ultima, che dovrà scegliere tra avvocati, magistrati e docenti universitari.

Hai bisogno di una PEC? Servicematica può aiutarti. Clicca qui sopra per avere maggiori informazioni.


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Siete pronti a passare ore ed ore con un visore sulla testa?

Le Autorità possono attivare da remoto il microfono e la fotocamera dello smartphone?

apple vision

Siete pronti a passare ore ed ore con un visore sulla testa?

È un momento importante per i visori per la realtà virtuale e per la realtà aumentata. Apple ha appena presentato il suo visore Vision Pro, dopo il lancio di un nuovo visore sia da parte di Meta che di Lenovo. Sicuramente resteranno in circolazione per un bel po’ di tempo, ma non è detto che tutti siano disposti ad indossarli.

Dopo un decennio dalla derisione dei Google Glass, l’ultimo annuncio Apple ha suscitato parecchie perplessità simili. Il visore in alluminio sembra essere progettato con cura, anche se le immagini mostrate da Apple non rappresentano in alcun modo comodità o praticità nell’indossare un computer facciale.

Il nuovo visore Apple fa discutere

Anche se Apple riuscisse a conquistare i fan della produttività e la loro immaginazione, non sembra così semplice l’idea trovare una base di utenti che abbiano intenzione di spendere 3.499 dollari per il suo visore.

Infatti, l’indossabilità resterebbe un gran problema. Apple non ha rivelato quanto pesa il suo Vision Pro, e nemmeno quanto dura esattamente la batteria. Dalle immagini, tuttavia, sembra che il dispositivo sia molto ingombrante e collegato ad una batteria esterna.

Dichiara Leo Gebbie, analista che si occupa di realtà virtuale: «Le persone hanno una tolleranza limitata quando si tratta di indossare qualcosa sulla testa per un periodo di tempo prolungato. Un oggetto che va indossato tutto il giorno deve essere sottile, leggero e comodo. Nessuno ha ancora raggiunto questo obiettivo nel mondo della Vr».

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Il visore Apple, così come altri modelli, è un dispositivo per la realtà mista, che consente agli utenti di interagire con alcuni elementi virtuali e con una parte del mondo reale. Questo passaggio attraverso il mondo reale è un aspetto su cui Apple si è concentrata tantissimo per il lancio di Vision Pro, presentando il visore in quanto oggetto da indossare mentre si cammina.

Dunque, non c’è rischio di urtare continuamente mobili, animali, bambini, ecc, anche se essendo un visore, oscura l’intero campo visivo. I Google Glass (così come i Facebook Ray-Ban di Meta) non hanno tutte le funzioni che offre il Vision Pro, ma consentono comunque di vedere tutto intorno.

Inoltre, gli schermi che utilizziamo tutti i giorni non sembrano essere del tutto affidabili: pensiamo alle situazioni in cui un’app si blocca. Se dovesse accadere la stessa cosa con il campo visivo intero, l’utente potrebbe restare al buio.

Inoltre, i visori non hanno un aspetto così accattivante. Si tratta di dispositivi che non sono così discreti da poter essere indossati con disinvoltura: chi, in aereo, per guardare Netflix, indosserebbe un visore senza sentirsi in imbarazzo?

È probabile che nel corso dei prossimi anni i visori per la realtà virtuale diventino meno ingombranti, più sottili e più semplici da indossare. Tali dispositivi dovranno, inoltre, superare il senso di isolamento che caratterizza queste esperienze immersive.


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Le Autorità possono attivare da remoto il microfono e la fotocamera dello smartphone?

Triplicati i siti che pubblicano fake news con l’Intelligenza Artificiale

Le Autorità possono attivare da remoto il microfono e la fotocamera dello smartphone?

In Francia si sta molto discutendo di una disposizione controversa all’interno di un disegno di legge approvato dal Senato. Secondo quanto è stato stabilito, le Autorità potranno attivare da remoto microfoni e fotocamere sugli smartphone degli utenti a loro insaputa.

Tale misura ha due principali obiettivi, ovvero geolocalizzare gli utenti in tempo reale, abilitando l’acquisizione di suoni e di immagini a distanza. Il legislatore prevede che tali strumenti possano essere utilizzabili soltanto per contrastare reati gravi, ovvero quelli che prevedono una reclusione di almeno 10 anni.

Nonostante non sia stato approvato in Parlamento, il provvedimento è stato stigmatizzato, in quanto ogni dispositivo mobile potrebbe diventare un potenziale strumento di sorveglianza di massa. La disposizione è stata ritenuta sproporzionata, visto il gran rischio di aprire le porte ad un modus operandi che impatterà negativamente sulla privacy dei cittadini.

Il ministro della Giustizia francese difende il provvedimento, dichiarando che le tecniche di attivazione di microfoni e videocamere da remoto si utilizzano già ora. Oggi è ancora necessaria l’installazione fisica di dispositivi per il monitoraggio, attività che potrebbe risultare rischiosa per gli inquirenti.

Il provvedimento sarebbe sostenuto anche da tutele per quanto riguarda l’attuazione pratica, che sarà esclusivamente subordinata all’approvazione di un giudice, per assicurare la tutela della legalità e dei diritti.

Spyware

L’attivazione da remoto del microfono e della fotocamera dello smartphone, all’insaputa dell’utente che non fornisce alcun consenso, è qualcosa di possibile a livello teorico. Per poter eseguire un’azione in questo senso, un aggressore potenziale dovrebbe compromettere il dispositivo con l’installazione di un particolare software, uno spyware.

Dopo essere entrato in esecuzione sullo smartphone, l’app consentirà effettivamente ad un utente remoto di assumere il controllo di un gran ventaglio di funzionalità del dispositivo, come l’utilizzo di microfono e fotocamera.

I malintenzionati potrebbero sferrare un attacco che porta direttamente all’installazione e al caricamento di app spia in diversi modi: potrebbero sfruttare vulnerabilità del sistema operativo non ancora risolte, oppure applicazioni non sicure, o ancora, tecniche di ingegneria sociale per potere l’utente ad installare volontariamente il software malevolo.

Trojan di Stato

In Italia si possono utilizzare app per monitorare le attività degli utenti sui loro dispositivi: si tratta dei captatori informatici, ovvero i trojan di Stato, che vengono utilizzati soltanto nelle ipotesi di reato più gravi, che registrano tutte le operazioni svolte dagli utenti, andando a condividerle con le forze di polizia.

Per utilizzare i trojan di Stato bisogna installarli preventivamente sui dispositivi delle persone oggetto di indagine.

Il disegno di legge francese, nella sua forma attuale, va oltre tutto questo, e sembra anche prevedere delle possibilità in più: infatti, le autorità potrebbero essere anche autorizzate a richiedere ai gestori di app di terze parti di collaborare per poter acquisire audio, video e foto.

Per poter ottenere queste informazioni, si dovranno seguire delle specifiche procedure legali. Ma arrivati a questo punto, sembra che la privacy degli utenti verrà sacrificata per effettuare indagini di polizia.

Eventuali ordini giudiziari potrebbero entrare in contrasto con la cifratura end-to-end (utilizzata da WhatsApp, per esempio), ma anche di altre misure di sicurezza che impediscono al gestore del servizio e a soggetti terzi di accedere alle informazioni personali degli utenti.

La maggior parte degli sviluppatori di app risponderà, verosimilmente, che attivare fotocamera e microfono non è possibile a distanza, ma soltanto su richiesta esplicita dell’utente. Introdurre un comportamento diverso potrebbe all’installazione di una backdoor (una codice grazie al quale un utente può entrare come amministratore di siti o pc senza esserne autorizzato) all’interno delle singole app.

Con tutto quello che ne consegue: pensiamo ai potenziali problemi di sicurezza che ne deriverebbero se utenti senza autorizzazione scoprissero in che modo sfruttare la backdoor oppure il giudizio negativo che le app potrebbero ottenere in sede di audit.

Dunque, il provvedimento francese apre ad un precedente molto importante, destinato a far discutere oltre i confini del Paese.


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fake news intelligenza artificiale

Triplicati i siti che pubblicano fake news con l’Intelligenza Artificiale

NewsGuard, l’agenzia americana che si occupa di monitorare gli organi di stampa e che pubblica dei report periodici sulla loro affidabilità ha di recente fatto debuttare il Centro di Monitoraggio delle informazioni che vengono generate dall’IA.

Lo scopo è quello di tenere sotto controllo siti che pubblicano notizie inaffidabili, in quanto generate dall’IA. Oggi, questi siti sarebbero circa 150: NewsGuard produrrà report, fact-checking e analisi per quanto riguarda la disinformazione e le narrazioni fake che riguardano l’intelligenza artificiale.

Nell’ultimo mese questi siti hanno cominciato a triplicarsi. NewsGuard tenta di studiare in che modo i media statali cinesi e russi abbiano utilizzato dei testi generati dall’intelligenza artificiale per riuscire a diffondere affermazioni false facendole sembrare vere.

Leggiamo in una nota di NewsGuard: «Il China Daily ha citato ChatGPT come fonte a supporto della notizia falsa secondo cui gli Stati Uniti gestiscono un bio-laboratorio in Kazakistan che starebbe conducendo ricerche sulla trasmissione dei virus dai cammelli all’uomo al fine di sviluppare un’arma biologica da utilizzare contro la Cina. Ad aprile, un altro sito generato dall’IA ha dato la falsa notizia della morte dell’attuale presidente degli Stati Uniti, Joe Biden».

All’interno del centro di monitoraggio è inoltre disponibile il numero dei siti Unreliable AI-Generated News, Uain. In questi siti le notizie sono inaffidabili, create dall’intelligenza artificiale, e lavorano con poca o con nessuna supervisione da parte dell’uomo.

Fino ad ora, sono stati identificati ben 150 siti Uain, e gli analisti hanno intenzione di continuare ad aggiornare il Centro di Monitoraggio.

Pubblicità e scarsa trasparenza

Lo scorso maggio, quando NewsGuard ha cominciato il monitoraggio dei siti Uain, il numero complessivo era di 49. Dichiara Steven Brill, l’amministratore delegato: «Uno dei motivi per cui 5 anni fa abbiamo creato NewsGuard era la facilità e il basso costo di produzione delle content farm».

«I siti di notizie generati dall’intelligenza artificiale di oggi sono simili alle content farm macedoni», continua, «che diffondevano disinformazione qualche anno fa, con la differenza che i costi di produzione sono ancora più bassi e che queste nuove fonti possono diventare ancora più prolifiche grazie ai progressi dell’intelligenza artificiale».

L’altro amministratore delegato di NewsGuard, Gordon Crovitz, ricorda come «la maggior parte di questi siti è stata creata sulla base del modello commerciale che genera entrate dalla pubblicità programmatica, che sembra funzionare bene. I marchi non hanno alcuna intenzione di inserire annunci su siti che non sono sicuri per la loro reputazione, eppure la scarsa trasparenza del sistema di gestione della pubblicità programmatica fa sì che le loro inserzioni, fornite da aziende di tecnologia pubblicitaria come Google, appaiano comunque su questi siti».

Fake news

Secondo le stime, l’intelligenza artificiale generativa consentirà ad un numero sempre maggiore di aziende di aumentare i 2,6 miliardi di dollari da parte delle entrate pubblicitarie che ogni anno vengono destinati ai siti che pubblicano fake news.

Leggiamo nel report di NewsGuard che questi siti, di solito hanno dei nomi generici, come World Today News e Top News Press, e pubblicano costantemente tantissimi articoli su argomenti diversi tra loro.

Questi siti operano con poca o addirittura nessuna supervisione umana, pubblicando articoli scritti da bot. Dunque, non offrono affatto dei contenuti giornalistici tradizionali.

Sono riconoscibili in quanto utilizzano un linguaggio ripetitivo, banale, tipico dei testi prodotti dai modelli di intelligenza artificiale generativa. Per NewsGuard, questi articoli contengono anche informazioni false.


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Chi sono i facilitatori digitali annunciati dal Governo?

Meglio WhatsApp o Telegram?

facilitatori digitali

Chi sono i facilitatori digitali annunciati dal Governo?

È nata una nuova rete di luoghi fisici dove rivolgersi per potersi avvicinare alle pratiche digitali senza alcuna ansia.

La Rete nazionale dei punti di facilitazione è il nome dato al network di sportelli nel quale si potrà gestire la propria identità digitale, attivando lo Spid, per esempio, oppure per ottenere informazioni riguardo la propria identità digitale, sull’app IO e per accedere all’Anagrafe Online.

Sarà possibile anche prendere confidenza con fake news, chiamate, videochiamate, servizi di home banking e servizi online.

I cittadini potranno contare sull’assistenza dei cosiddetti facilitatori digitali”, ovvero enti locali, comuni e rappresentanti del terzo settore, che parteciperanno al progetto con bandi regionali, sostegno delle società in-house e con l’apertura dei punti di facilitazione in tutta Italia.

L’iniziativa conta sul Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio, e ha un obiettivo ambizioso, ovvero potenziare l’inclusione e le competenze digitali di due milioni di cittadini italiani entro il 2026.

Il progetto fa parte del PNRR, e mira a fornire sostegno a quelle fasce della popolazione maggiormente esposte ai rischi delle differenze digitali a livello culturale, che allontana il nostro Paese dalla media Ue. Infatti, soltanto il 46% della popolazione è in possesso delle competenze digitali di base, contro una media del 54% all’interno dei Paesi membri Ue.

Spiega Alessio Butti, sottosegretario con delega all’Innovazione tecnologica: «Con la firma dei Piani operativi da parte di tutte le Regioni entriamo nel vivo di un progetto fondamentale per la digitalizzazione del paese. Grazie alle risorse del PNRR, che per questa misura mette a disposizione 135 milioni di euro, l’obiettivo è creare 3mila presìdi in tutta Italia, sia fisici che itineranti, per diffondere la cultura digitale, contrastare il digital divide e favorire l’inclusione delle categorie più fragili».

«Dall’utilizzo dell’App IO all’anagrafe digitale», continua Butti, «ma anche gli adempimenti fiscali o gli acquisti online, grazie al lavoro dei facilitatori puntiamo ad aumentare le competenze digitali di base di 2 milioni di cittadini entro il 2026».

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I fondi saranno in mano alle regioni e alle province autonome per poter aprire i nuovi punti, con lo scopo di semplificare i rapporti tra cittadini e PA. I facilitatori digitali, molto probabilmente, saranno operatori del terzo settore oppure dipendenti pubblici che avranno ricevuto una formazione ad hoc.

I cittadini, rivolgendosi a tali sportelli, potranno ricevere l’aiuto necessario per accedere ai servizi digitali della PA, come la piattaforma PagoPA, il Fascicolo Sanitario Elettronico e l’Anagrafe. Inoltre, riceveranno assistenza per servizi come la dichiarazione dei redditi precompilata, i servizi previdenziali, l’abbonamento per il trasporto pubblico locale, i servizi assistenziali e previdenziali.

L’iniziativa prevede anche ulteriori attività che vadano a consentire ai cittadini di raggiungere un livello base per quanto riguarda le competenze digitali che richiede il mondo del lavoro, l’inclusione sociale, lo sviluppo personale e la cittadinanza attiva.


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Meglio WhatsApp o Telegram?

WhatsApp e Telegram sono le due piattaforme di messaggistica istantanea più famose in tutto il mondo, e da sempre vengono messe a confronto. Quello che si sente dire più spesso è che Telegram è meglio, ma WhatsApp lo usano tutti.

Quando WhatsApp va in down tutti si fiondano subito su Telegram, anche se il primato, in termini di utenze, resta a WhatsApp, con i suoi oltre 1,5 miliardi di iscritti che inviano 65 miliardi di messaggi al giorno. Telegram, invece, può contare su più di 400 milioni di utenti e 15 miliardi di messaggi ogni giorno.

WhatsApp

Lanciata nel 2009 su iOS e Android, oggi WhatsApp è una delle piattaforme di messaggistica istantanea maggiormente utilizzate in tutto il mondo.

Nel 2014 è stata acquistata da Facebook, oggi Meta, per 19 miliardi di dollari. Questo ha consentito di velocizzare lo sviluppo di alcune funzionalità, come l’interfaccia web, le famose spunte blu, la crittografia end to end e le chiamate vocali.

Telegram

Telegram, invece, nasce nel 2013 e la sua sede centrale, oggi, si trova a Dubai.

Nei primi anni di vita, la crescita di utenti è stata esponenziale, e nel 2018 si contavano già più di 200 milioni di utenti attivi ogni mese. È un traguardo impressionante, soprattutto se pensiamo che non è mai avvenuta una vera e propria campagna pubblicitaria dell’app e che sembra essere cresciuta soltanto con il passaparola degli utenti.

L’obiettivo principale di Telegram è quello di voler garantire una maggior sicurezza degli iscritti, andando a tutelare l’anonimato grazie all’utilizzo del nickname, senza dover per forza rendere pubblici il numero di telefono e altri dati personali.

Differenze e punti in comune

Entrambe le app, comunque, presentano un grande numero di funzioni per gli utenti della messaggistica istantanea.

Consentono di scambiare messaggi, documenti, immagini, e file vari con i contatti, privatamente o nei gruppi. Sia WhatsApp che Telegram permettono di effettuare videochiamate e chiamate vocali, e tutte e due dispongono della versione web.

L’unica differenza è che Telegram non obbliga a rivelare il proprio numero di cellulare, anche se sembra che la funzione sarà a breve disponibile anche su WhatsApp. Sono app molto simili, anche se concepite in modo diverso: WhatsApp bada alla semplicità e Telegram alla completezza.

Qual è l’app più sicura tra le due?

Per riuscire a rispondere a questa domanda dobbiamo considerare diversi aspetti, come la crittografia end-to-end, un sistema di comunicazione cifrata grazie alla quale soltanto la persona che riceve il messaggio è in grado di conoscere la chiave di decifrazione.

Contrariamente a WhatsApp, su Telegram le chat non dispongono in maniera automatica della crittografia end-to-end, visto che bisogna selezionare l’opzione Chat Segreta, che non è disponibile per le chat di gruppo.

Inoltre, Telegram mette a disposizione Persone Vicine, la funzione che consente di trovare nuovi amici e gruppi vicini grazie al Gps. La funzione, che non si attiva automaticamente, potrebbe essere pericolosa se non le si presta abbastanza attenzione.

WhatsApp, comunque, prende spunto da Telegram, copiando la possibilità di inserire un passcode o l’impronta digitale per proteggere le proprie chat. Inoltre, ora c’è anche la possibilità di utilizzare la funzione di autodistruzione per foto, video e messaggi.

Se non ci sono particolari preferenze o esigenze, il servizio non cambia più di tanto. La scelta di solito viene decretata da quale piattaforma utilizzano di più i nostri parenti e i nostri amici.

E visto che WhatsApp è l’app più diffusa, conta anche su una community più grande.

Sezione Aggiornamenti

Secondo alcune indiscrezioni, tra poco i Canali vedranno il loro debutto su WhatsApp: la rivalità tra i due servizi sembra aumentare sempre più.

I Canali, racconta lo stesso Zuckerberg, mirano alla solida protezione della privacy ma con un bel po’ di libertà d’azione sui contenuti da parte degli amministratori, con una nuova sezione che si chiama Aggiornamenti, che comparirà in uno spazio separato.

Ci saranno i messaggi condivisi dalle persone e dalle organizzazioni che posteranno update, notizie e broadcast. Come su Telegram, potremmo decidere se seguire o meno un canale. Ma per il momento, non sappiamo quando la funzione sarà disponibile anche in Italia.


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phishing poste

Sta girando una brutta truffa che prosciuga i conti postali

Arriva un sms da Poste Italiane: il mittente sembra il vero Poste, ma siamo di fronte ad una truffa, una delle più brutte attualmente in circolazione, visto che sta svuotando migliaia di euro dai conti correnti.

I cybercriminali giocano sull’urgenza: «Gentile cliente, è stata richiesta una spesa di 284 euro, se non è lei segua il link».

Ma se clicchiamo sopra il link finiremo semplicemente in una pagina simile a quella di Poste, ma che non è affatto quella vera! Verranno richiesti i dati d’accesso e il numero di cellulare, che i truffatori richiedono per poter bloccare il finto bonifico, mai avvenuto nella realtà.

Il vero bonifico, purtroppo, avverrà a loro vantaggio nel momento in cui abbocchiamo all’inganno. Ci chiameranno immediatamente, al fine di ottenere la one time password che ci arriverà tramite sms. Grazie a questa, i cybercriminali potranno effettuare il bonifico.

Nella telefonata, la persona dall’alto lato della cornetta potrebbe sembrare allarmata, insistendo parecchio su quanto sia urgente conoscere subito la password per riuscire a bloccare il bonifico.

Purtroppo, tantissime persone stanno abboccando, e i danni arrivano fino a 15mila euro: soldi che i clienti, probabilmente non rivedranno più.

Spiega Paolo Dal Checco, uno dei più noti ingegneri informatici forensi: «Sono casi frequenti e non c’è una chiara giurisprudenza sui rimborsi. A volte la banca lo fa, a volte dà il 50%, a volte lo nega. A volte, nel dubbio, rimborsano in un primo momento e poi si riprendono tutto. E i contenziosi giudiziari tra utente e banca durano molto tempo».

La banca, secondo la normativa, può negare un rimborso soltanto in due condizioni: se dimostra di aver attuato ogni misura di sicurezza possibile e se da parte dell’utente c’è dolo, colpa grave o frode.

Spiega l’esperto di sicurezza informatica Dario Fadda: «Nel caso del phishing c’è colpa grave se c’è un coinvolgimento diretto del cliente a fornire la password temporanea». In passato, invece, c’era il sim swapping, in cui la password temporanea veniva intercettata direttamente dai cybercriminali.

La prevenzione è sempre la prima arma di difesa. Poste Italiane ricorda, con una nota, che non richiederà mai «le tue credenziali di accesso al sito www.poste.it e alle App di Poste Italiane, i dati delle tue carte e i codici segreti per autorizzare le operazioni».

«Non ti sarà mai richiesto di disporre transazioni di qualsiasi natura paventando falsi problemi di sicurezza sul tuo conto o la tua carta tantomeno spingendoti a recarti in Ufficio Postale o in ATM per effettuarle. Se qualcuno, spacciandosi per un operatore di Poste Italiane o PostePay dovesse chiederti quanto sopra riportato, puoi essere sicuro che si tratta di un tentativo di frode, quindi non fornirle a nessuno».

Dunque, è sempre meglio cancellare sms e mail che richiedono queste informazioni. I cybercriminali, infatti, sono in grado di alterare l’identificativo del mittente inserendo qualsiasi nome. Si tratta di una truffa contro la quale l’Autorità Garante delle comunicazioni ha deciso di combattere con il “Nuovo Registro Alias”, che nei prossimi mesi entrerà in funzione bloccando queste truffe.

Un altro consiglio utile proviene direttamente da Poste: «Digita direttamente l’indirizzo internet www.poste.it all’interno della barra degli indirizzi del web browser per visitare il sito di Poste Italiane».

Se siamo già caduti nella truffa, non è detto che tutto sia per forza perduto: si possono contestare gli addebiti sul sito della banca e si può anche aprire un contenzioso.


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Lo specialista Nicolas Neubert ha condotto un esperimento per capire in che modo le intelligenze artificiali intendono la bellezza umana. Ebbene, i risultati non nascondono affatto quanto questi strumenti siano influenzati dai nostri pregiudizi.

Infatti, circa l’84% delle 264 foto generate durante l’esperimento, ritraeva persone bianche e giovani, a prescindere dal genere. Dunque, la bellezza, per l’IA, ha una connotazione precisa ed estremamente limitata.

Sul social Reddit, un utente ha deciso di condurre un esperimento simile, sempre per dimostrare pregiudizi e bias dell’IA generativa. L’utente in questione ha postato un video, Come Midjourney vede i professori, a partire dal Dipartimento di provenienza.

Il video dimostra chiaramente quanti stereotipi ci siano nell’IA: gli uomini insegnano fisica, ingegneria e matematica, mentre le donne insegnano storia dell’arte e discipline umanistiche. Su Twitter è partito il trend in cui docenti reali hanno deciso di pubblicare le loro foto accostate a quelle generate dall’AI.

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I pregiudizi e i bias delle intelligenze artificiali sono conseguenze dirette di come apprendono tali sistemi. Tutto comincia da una grandissima quantità di dati e di immagini, che vengono processate per poter creare delle correlazioni e per comprendere che cosa generare a seconda delle richieste.

Se un generatore di immagini che si basa su un’intelligenza artificiale viene addestrato in un set di dati che raffigura in maniera sproporzionata alcuni gruppi di persone, le immagini generate andranno a riprodurre il pregiudizio.

Come racconta un esperimento condotto da Hugging Face, questo è più o meno ciò che accade con sistemi quali Midjourney o Stable Diffusion, che tendono a riprodurre i pregiudizi presenti nella nostra società. Per esempio, alla richiesta di ritrarre una persona in una posizione di potere, nel 97% dei casi sono apparse immagini di maschi bianchi.

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La lotta agli stereotipi è un tema veramente importante per il futuro delle IA. Con la diffusione di questi sistemi, infatti, si potrebbe finire per rafforzare e riprodurre bias molto pericolosi, su scala sempre più ampia.

Dichiara Emily Bender, una linguista della Washington University: «Mi piacerebbe vedere trasparenza. Mi piacerebbe che l’utente possa sempre essere in grado di distinguere testi o immagini sintetiche. E non solo: sarebbe importante anche poter tornare indietro per scoprire come il sistema è stato effettivamente addestrato».

Cammina verso questa direzione anche l’AI Act, approvato recentemente dall’Eurocamera. Infatti, nel testo del procedimento leggiamo che le intelligenze artificiali dovranno rispettare alcuni specifici requisiti di trasparenza.


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Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

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