IT-Alert veneto

IT-Alert: sperimentazione dell’allarme pubblico anche in Veneto, ecco cosa fare

Giovedì 21 settembre 2023, alle ore 12, le persone che si trovano in Veneto, Lazio e Valle d’Aosta riceveranno un messaggio di allarme sul loro telefono.

Si tratta del test del nuovo sistema IT-alert, in fase di sperimentazione in tutta Italia, pensato appositamente per informare la popolazione in caso di catastrofi o gravi emergenze.

Il messaggio che arriverà avrà un suono particolare, e non sarà un SMS: si tratta di un avviso di emergenza, e il sistema si deve assicurare di essere letto da più persone possibili, e quindi non potrà essere liquidato come notifica ordinaria.

Dunque, se la notifica arriva sul nostro dispositivo, tutte le altre funzionalità, come l’invio di messaggi o l’apertura di app, verranno bloccate temporaneamente.

Per riportare il telefono alla normalità e per riuscire ad utilizzarlo normalmente bisogna aprire la notifica e confermare la ricezione e la lettura del messaggio d’emergenza.

Nel testo del messaggio sarà presente un questionario, che dovrà essere compilato per l’implementazione del sistema. Per ricevere il messaggio d’emergenza non sarà necessario scaricare alcuna app, poiché la notifica verrà inviata a tutti i cellulari che risultano collegati in una determinata area.

IT-Alert verrà utilizzato per la comunicazione di:

  • Maremoti generati da sisma;
  • Collassi di grandi dighe;
  • Eruzioni di vulcani;
  • Incidenti nucleari o situazioni di emergenza radiologica;
  • Incidenti rilevanti;
  • Precipitazioni intense.

IT-alert ha lo scopo di divulgare rapidamente informazioni su eventuali situazioni di pericolo. Attualmente le date prestabilite per effettuare i test sono le seguenti:

  • 12 settembre in Campania, Friuli-Venezia Giulia e Marche;
  • 14 settembre in Piemonte, Puglia e Umbria;
  • 19 settembre in Basilicata, Lombardia e Molise;
  • 21 settembre nel Lazio, in Valle d’Aosta e Veneto;
  • 26 settembre in Abruzzo e nella Provincia Autonoma di Trento;
  • 27 settembre in Liguria;
  • 13 ottobre nella Provincia Autonoma di Bolzano.

Pericolo Phishing

Nonostante le finalità positive, IT-alert ha messo in allerta alcuni esperti in materia di cybersecurity, che sembrano essere preoccupati che i criminali informatici sfruttino il sistema per diffondere campagne di phishing su larga scala.

«Molte persone non hanno ancora familiarità con il concetto di messaggio di allerta e l’aspetto del messaggio stesso», spiega Adrianus Warmenhoven di NordVPN. Senza conoscere l’aspetto dei messaggi di IT-Alert, tantissime persone «possono essere facilmente ingannate da truffatori e hacker via SMS».

Nel messaggio push gli utenti troveranno un link ufficiale che porta ad un questionario che «non richiede alcuna informazione personale, tranne la città di residenza, il brand dello smartphone e la compagnia telefonica utilizzata, informazioni necessarie per valutare la qualità del servizio».

Se vi capita di ricevere un messaggio simile alla comunicazione del sistema di IT-Alert, ma non appartenente al test ufficiale, l’unica cosa da fare è ignorarlo e provvedere ad avvisare le autorità competenti.

Leggi anche: IT-alert: il primo test regionale del sistema di allarme pubblico

Per il momento sono stati compilati quasi 800.000 questionari. Il 20% delle persone che ha ricevuto il messaggio ha riportato di aver provato una sensazione di spavento, e in molti hanno pensato di aver preso un virus.


In Italia crescono gli attacchi hacker: a rischio le Pmi

I social influenzano le nostre scelte politiche?

In Italia crescono gli attacchi hacker: a rischio le Pmi

Il furto di dati sensibili, il cosiddetto ransomware, nel secondo trimestre del 2023 è cresciuto del 34,6% in Italia, mentre a livello globale si registra una crescita del 62%. Il numero delle aziende che cadono vittime degli attacchi ransomware sembra inoltre essere aumentato del 185% rispetto all’inizio dell’anno e del 105% rispetto al secondo trimestre del 2022.

Le vittime, nell’80% dei casi, sono Pmi, e nel 91% dei casi sono aziende che hanno un fatturato inferiore a 250 milioni di euro. Tra aprile e giugno 2022, in Italia ci sono stati attacchi informatici che hanno coinvolto principalmente aziende di servizi, e 190mila dispositivi sono stati compromessi.

Commenta Pierguido Iezzi di Swascan: «La convergenza tra diverse tipologie di minacce è una dimostrazione della complessità e dell’adattabilità del panorama degli attacchi. Attacchi come phishing, ransomware e malware stanno seguendo una curva di crescita che supera le spiegazioni legate a fenomeni casuali. Questa tendenza sottolinea l’urgenza di adottare strategie di difesa avanzate nell’era digitale per proteggere il patrimonio, l’economia e i cittadini».

1.451 le vittime globali di questa tipologia di attacchi, responsabili della diffusione di software malevoli capaci di criptare i dati, per i quali si chiede di pagare un riscatto. Aumentano anche le gang di cybercriminali che stanno dietro questi attacchi.

Tali attacchi sembrano avere un preciso obiettivo, ovvero le aziende. L’80% di questi attacchi, in Italia, ha colpito le Pmi, a dimostrazione del fatto che i cybercriminali ritengono queste aziende molto più vulnerabili rispetto alle big.

Le aziende di servizi costituiscono il 47% degli attacchi. Di seguito troviamo il settore manifatturiero con il 16% e quello tecnologico, con il 6%. Le minacce non risparmiano comunque anche altri settori, come quello finanziario, quello immobiliare e molti altri.

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Il panorama delle minacce informatiche, nel secondo trimestre del 2023, ha visto il phishing affermarsi come una delle minacce più popolari. In Italia, gli episodi di phishing riguardano principalmente il settore bancario, che viene preso molto di mira dagli attaccanti.

Quasi otto milioni di dispositivi sono stati compromessi soltanto nel secondo trimestre del 2023. Da tali dispositivi sarebbero state “esfiltrate” delle credenziali molto preziose, rendendo accessibili i dati sensibili e le informazioni personali.

In Italia sono stati compromessi 189.049 dispositivi, mentre in Europa si parla di 1.370.950 dispositivi. I malware predominanti sembrano essere gli Infostealer, ovvero malware appositamente specializzati nel rubare delle informazioni considerate confidenziali da parte degli host infettati.

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I social influenzano le nostre scelte politiche?

Nuovo Codice della Strada: multe triplicate e obbligo di alcolock

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Ancora oggi non abbiamo idea di quale sia il reale impatto dei social sulle persone. Per questo motivo dalla Bocconi è nato un progetto di ricerca, Social Media: Measuring Effects and Mitigating Downsides, con l’obiettivo di costruire degli studi empirici per dimostrare quali sono gli effetti di Facebook e degli altri social media sulla nostra salute mentale e sulle nostre decisioni politiche.

Spiega Luca Braghieri, a capo del progetto: «Oggi più della metà del mondo è in qualche modo presente sui social: un passaggio avvenuto inoltre molto rapidamente, nel giro di circa vent’anni. Sappiamo poco di quali siano stati gli effetti. Certo, possiamo scovare molti elementi nei dati, scoprendo che chi usa queste piattaforme ha determinate caratteristiche o magari è più incline alla depressione, ma spesso si tratta di correlazioni che poco ci dicono del rapporto di causalità. Una parte del progetto è quindi quello relativo alla comprensione degli effetti e, dove questi effetti sono presenti, come invece mitigarli».

Alcuni studi recenti avrebbero sminuito il reale impatto dei social sulle nostre decisioni politiche. Tuttavia, per Braghieri, questi risultati hanno problemi alla base: «Questi paper ci dicono che gli effetti dei social, per esempio, nelle elezioni statunitensi del 2020 sono stati quasi trascurabili. Ciò riguarda però il 2020, quando già Facebook aveva drasticamente ridotto il numero di contenuti politici presenti sulla piattaforma. È comunque importante capire cosa sia invece avvenuto nelle elezioni precedenti».

Oggi, la circolazione delle fake news sembra essere molto ridotta rispetto ad anni fa, nello stesso modo in cui si riduce la visibilità dei network delle pagine che sostengono i movimenti populisti.

«L’esperimento che voglio condurre prende le mosse da una considerazione: negli Stati Uniti, tra il 2004 e il 2006, Facebook è stato accessibile soltanto nei college, dove tra l’altro ha conquistato un successo immediato», prosegue Braghieri.

«Considerati i meccanismi che regolano i social, ancora oggi dovremmo vedere differenze nei tassi di penetrazione di Facebook tra le persone che sono andate al college al tempo in cui Facebook è stato introdotto e chi invece non è andato al college. Grazie alle informazioni a cui possiamo accedere negli Stati Uniti, relative al coinvolgimento politico delle persone, il loro anno di nascita, l’istruzione e la presenza su Facebook, possiamo così stimare l’impatto di questo social sull’affluenza, la preferenza politica e le donazioni ai partiti».

Ci sono altri progetti che prevedono di valutare quanto sono propensi gli utenti a seguire pagine social di maggior qualità, oppure valutare il potenziale impatto positivo delle pagine social che raccontano quali sono gli effetti dei social sulla nostra salute mentale.

Un ulteriore esperimento che potrebbe raggiungere importanti risultati è relativo all’impatto sul benessere soggettivo e sulle capacità cognitive dei bimbi con età compresa tra 6 e 12 anni. Conclude Braghieri: «E’ un esperimento che proveremo a condurre in Danimarca, dividendo i bambini in due gruppi statisticamente omogenei e provando a convincere i genitori di uno dei due gruppi a rimandare di un anno l’acquisto dello smartphone. Ciò dovrebbe aiutarci a capire, al termine del periodo temporale in considerazione, se nel gruppo che è stato privato dello smartphone ci sono differenze rispetto all’altro, in termini di risultati scolastici e non solo».


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Nuovo Codice della Strada: multe triplicate e obbligo di alcolock

Se il familiare è defunto, l’avvocato deve essere pagato dagli eredi

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«Nel prossimo Cdm, il 18 settembre, porteremo la stesura definitiva del disegno di legge sulla sicurezza stradale, il nuovo Codice della Strada, che prevede prevenzione, educazione, controlli, ma anche sanzioni».

Queste le parole del ministro Salvini, in riferimento al provvedimento che riscrive alcune norme del Codice della Strada.

Il testo è definitivo, e oggi tornerà in Cdm alle 12.30. Oltre alla sospensione della patente, verranno triplicate le sanzioni, sino a 1.600 euro, per chi parla o scrive al telefono mentre guida. È prevista anche la revoca della patente per coloro che reiterano reti gravi, come la fuga in caso di incidente stradale.

Se vengono rilevate sostanze stupefacenti o alcol si rischia la sospensione della patente sino a tre anni.

Divieto assoluto, dunque, di assunzione di alcolici, e obbligo per coloro che sono stati colti alla guida in stato di ebbrezza di installare l’alcolock, che impedisce di avviare il motore se viene rilevato un tasso alcolemico che supera lo zero.

A prescindere dallo stato di alterazione psico-fisica, sarà punibile la guida in caso di assunzione di sostanze stupefacenti. Se il test rapido sarà positivo, scatterà subito il ritiro della patente, così come il divieto di riprendere la patente per almeno tre anni. Ritiro a vita, invece, per i recidivi.

Stretta anche sui neopatentati, per portare sino a tre anni il divieto di guidare auto potenti, ovvero con potenza superiore a 55 kW/t, ma anche veicoli per trasportare sino ad otto persone con potenza massima che ecceda i 70 kW. Nel caso dei veicoli elettrici e plug-in, invece, non si può andare oltre la potenza di 65 kW/t. Eventuali deroghe soltanto in caso di trasporto di persone con disabilità.

Attenzione anche ai monopattini: ci dovrà essere un apposito codice identificativo e dovranno essere assicurati. Per utilizzarli sarà necessario il casco, e ci saranno sanzioni in caso di sosta selvaggia.


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Se il familiare è defunto, l’avvocato deve essere pagato dagli eredi

Nordio, giudici onorari: risorse nella prossima Legge di Bilancio

Se il familiare è defunto, l’avvocato deve essere pagato dagli eredi

Recentemente, la Corte di Cassazione ha emesso la sentenza n.25573, nella quale affronta il tema delle successioni complesse, chiarendo il diritto dei legali di richiedere il pagamento agli eredi, anche se l’incarico è stato conferito da soltanto uno di loro.

Nello specifico, la questione riguardava un avvocato che rappresentava gli eredi di una cliente, deceduta nel corso di un giudizio amministrativo regionale.

L’intera disputa ruotava attorno all’impugnazione di una variante al piano regolatore generale locale, che sembra avesse causato la privazione dell’edificabilità a livello di un immobile che apparteneva all’asse ereditario.

Il legale aveva richiesto il pagamento dell’onorario attraverso un decreto ingiuntivo agli eredi. Tuttavia, due di loro si erano opposti, in quanto l’incarico sembrava esser stato conferito soltanto dalla defunta, e che non c’era obbligo di pagamento.

Il collegio di secondo grado, inizialmente, aveva sostenuto a pieno la posizione degli eredi, andando contro la richiesta dell’avvocato, sostenendo che, in quanto avevano accettato l’eredità successivamente,  facevano parte del rapporto professionale, e dunque, non avrebbero dovuto pagare gli onorari.

Tale decisione era fondata sul presupposto che il diritto alla richiesta di un compenso da parte di un professionista trova fondamento sull’avvenuto conferimento dell’incarico da parte del cliente.

La Cassazione, però, ha adottato un approccio un tantino differente: secondo la Corte, nonostante l’incarico professionale sia stato conferito soltanto dalla cliente defunta, questa era anche titolare di poteri di amministrazione e di conservazione dell’asse ereditario.

Considerando, inoltre, l’imminente scadenza del termine per presentare domanda dinanzi al giudice amministrativo, è stato necessario costituire subito il rapporto professionale, al fine di intraprendere azioni per conservare il valore dei beni ereditari.

La Corte di Cassazione, di conseguenza, ha concluso che l’avvocato aveva il legittimo diritto di ricevere il pagamento degli onorari da parte degli eredi, anche se l’incarico era stato conferito soltanto dalla cliente defunta.


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«La condizione dei giudici onorari in Italia è da decenni inaccettabile. Nella prossima legge di bilancio sarà inserita una disposizione che porrà finalmente una disciplina sia retributiva sia previdenziale nei confronti dei giudici onorari, che sarà quantomeno decorosa».

Queste le parole del Guardasigilli Carlo Nordio. Il ministro della Giustizia ricorda che «anche grazie alla meritoria opera del sottosegretario, collega Delmastro Delle Vedove è stato fatto un lavoro ormai compiuto e in conclusione, possiamo dire che i giudici onorari finalmente hanno avuto quanto loro spettava. Questo ovviamente è solo l’inizio».

Aggiunge Nordio: «Le risorse finanziarie sono quelle che sono, ma abbiamo avuto assicurazioni da parte del ministro Giorgetti che saranno trovate, o si farà di tutto, per trovare le risorse necessarie affinché questi operatori di giustizia essenziali proprio per il funzionamento della giustizia abbiano il trattamento che loro compete».

Secondo il Guardasigilli lo Stato avrebbe «trattato e tratta i giudici onorari in un modo che, se fosse rivolto verso dei lavoratori privati, esporrebbe l’imprenditore a tutta una serie di sanzioni. I 5.000 e passa giudici onorari che esistono in Italia tengono in piedi il sistema, e per chi ci segue in televisione e magari conosce quale sia la funzione dei giudici onorari, vorrei chiarire che oramai fanno le stesse cose che fanno i giudici togati, cioè i giudici di carriera. Esercitano anche funzioni monocratiche penali, vengono inseriti nei collegi penali, senza i quali il collegio non funzionerebbe».

Il Governo, dal punto di vista fiscale, «ha posto fine all’incertezza interpretativa del regime fiscale dei compensi erogati ai magistrati, con la legge di conversione del 22 giugno del ’23, prevedendo l’assimilazione ai fini fiscali di quei compensi al reddito del lavoro dipendente secondo la procedura semplificata, le legge 234 del ’21, ed è stata individuata la gestione previdenziale alla quale i magistrati onorari devono essere iscritti, e ciò ha consentito alla competente articolazione ministeriale di corrispondere integralmente attraverso il servizio gestito dal Mef i compensi spettanti».

Conclude Nordio: «Una delle priorità di questo Ministero è stata la tutela della onorabilità e della riservatezza dei cittadini e della riservatezza delle comunicazioni. Ancora oggi il nostro codice di procedura penale è estremamente ambiguo sul fatto che alcune comunicazioni perdano la loro segretezza, ma ciononostante non siano pubblicabili».

«In realtà la giurisprudenza, come sapete, ha interpretato questa norma nel senso che una volta che un atto non è più segreto anche se non è pubblicabile, quantomeno può essere divulgato. Ci sono state effettivamente delle violazioni di questa norma a suo tempo e non sono state esercitate azioni disciplinari, in questo momento noi stiamo monitorando con grande attenzione queste eventuali violazioni così come stiamo predisponendo eventuali correttivi per eliminare le ambiguità di questa normativa».


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Cassa Forense ha deliberato di differire alla data del 31 dicembre 2023 la riscossione del contributo minimo integrativo nella misura di 805 euro.

Resta fermo, comunque, il termine del 30 settembre 2023, per pagare la IV rata del contributo soggettivo minimo, ovvero 974 euro e del contributo di maternità, ovvero di 82,69 euro.

Nel comunicato di Cassa Forense era stato deciso di prorogare per il 2023 l’abrogazione temporanea del contributo minimo integrativo.

È stato proposto ricorso al Tar, dopo la mancata approvazione del provvedimento da parte dei Ministeri Vigilanti, e la discussione è stata fissata al prossimo 25 ottobre.


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Viste le difficoltà nel reclutamento di nuove risorse nella Pa il governo ha deciso di avviare una campagna pubblicitaria in cui in ministro Paolo Zangrillo dichiara che il lavoro pubblico è «figo».

Lo stesso Zangrillo annuncia che nei prossimi giorni partirà «uno spot, il governo lo annuncerà con una conferenza stampa questa settimana, in tema di attrattività della pubblica amministrazione. Metteremo in discussione la logica del posto fisso cercando di guardare al posto figo, cioè al posto dove il vero valore non sta nella stabilità del posto di lavoro».

Il ministro probabilmente si riferisce alle difficoltà nel reperimento di candidature e di vincitori che avrebbero costantemente accompagnato la riapertura dei concorsi pubblici, dopo ben 10 anni di stop a causa di tagli al bilancio e dopo due anni di pandemia, che avrebbero fermato le procedure già avviate.

La fuga dei giovani probabilmente è dovuta al fatto che i concorsi svolti per il Pnrr prevedono delle assunzioni a tempo determinato, mentre sembrerebbe che in altri casi i vincitori si siano tirati indietro, poiché per loro il posto pubblico non è abbastanza attrattivo a causa di uno stipendio troppo basso e difficoltà nelle carriere, che procedono troppo a rilento.

Per Zangrillo il lavoro pubblico è un posto «dove c’è la capacità di distinguere tra chi vivacchia e passa la giornata a guardare l’orologio per l’orario d’uscita e chi invece ha voglia di dimostrare di essere all’altezza delle sfide che il Paese ha davanti».

Il ministro riconosce che «la stabilità del posto di lavoro è importante, ma se vogliamo attrarre i giovani nella Pa, se noi vogliamo che i nostri ragazzi crescano e considerino tra le opportunità per costruire il loro percorso professionale anche la pubblica amministrazione non possiamo lasciargli solo la logica del posto fisso, ma il posto figo che ti consente di crescere dal punto di vista delle responsabilità e di acquisire le competenze che servono».

«Abbiamo un programma di inserimento nella pubblica amministrazione che prevede di inserire 60.000 nuovi insegnanti nei prossimi mesi. Anche sul tema della scuola abbiamo puntato l’attenzione con la consapevolezza che, oggi più che mai, il tema della formazione è strategico per il futuro del Paese», conclude Zangrillo.


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magistrato peta sospeso

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La Sezione disciplinare del CSM ha sospeso il magistrato Ernesto Anastasio, sia dall’incarico che dallo stipendio. Attorno ad Anastasio, infatti, si era creato un vero e proprio caso, visti i gran ritardi accumulati su centinaia di sentenze e fascicoli, oltre alla sua insofferenza verso la professione e un gran interesse per la poesia.

Ernesto Anastasio ha 54 anni, ed è originario di un piccolo comune in provincia di Napoli, Piano di Sorrento. Entrato in magistratura all’età di 30 anni, nel 1999, Anastasio cominciò a lavorare in veste di giudice civile nel tribunale di Caserta.

Sin da subito, però, cominciò ad accumulare dei gran ritardi nel suo lavoro, depositando più di 200 procedimenti oltre i termini e lasciando parecchi fascicoli inevasi. Nel 2021 si è trasferito a Perugia per lavorare in veste di magistrato di sorveglianza. Anche qui, Anastasio accumulò sentenze arretrate, arrivando a quota 858.

Le sue inadempienze hanno causato diverse proteste, non soltanto da parte di colleghi ma anche dai detenuti. Contro Anastasio sono stati aperti diversi provvedimenti disciplinari.

Il magistrato, di tutta risposta, ha presentato un certificato medico che accertava una depressione. Per questo, a marzo il CSM aveva indicato un medico e docente di psicopatologia forense, Stefano Ferracuti, di svolgere una perizia per stabilire se Anastasio fosse idoneo per proseguire, da un punto di vista medico, il suo incarico.

Anastasio soffrirebbe, secondo Ferracuti, di un «disturbo di personalità dipendente-evitante», di cui il magistrato è consapevole e che non influenzerebbe in alcun modo la sua capacità di svolgere la professione. Il problema reale è che «si trova a svolgere un ruolo professionale che non è in alcun modo soddisfacente per i suoi obiettivi esistenziali».

Il magistrato, infatti, aveva superato un concorso per entrare in Polizia, ma era stato poi escluso dopo il colloquio con lo psicologo. Dunque, la professione di giudice sarebbe stata semplicemente un ripiego, legato anche all’influenza del padre, noto avvocato civile.

Ma la vera passione di Anastasio è da sempre la poesia: per il perito, il magistrato «ha una notevole cultura letteraria, interessi poetici, questo è quello che gli interessa». Anastasio ha confermato quanto dichiarato da Ferracuti, sostenendo inoltre di vivere «una situazione di dissidio interiore», nonostante la sua volontà di concludere l’incarico in scadenza nel 2026.

Il CSM ha deciso di sospendere Anastasio, sia dal suo incarico che dal suo stipendio. Si legge nell’ordinanza: «E’ un magistrato che sostanzialmente rifiuta il lavoro», gettando «discredito sull’intera amministrazione giudiziaria».


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WhatsApp non è un servizio pensato per la sicurezza, e la sua diffusione la rende l’obiettivo perfetto per la ricerca di vulnerabilità. Esponenti politici, giornalisti e funzionari governativi sono stati spiati proprio su WhatsApp.

La modalità più diffusa per spiare le chat WhatsApp è l’utilizzo di specifici software spia, gli spyware. Ci sono decine di app che tutti possono utilizzare e comprare a prezzi accessibili, che vengono messe in commercio con lo scopo di controllare il telefono dei figli.

Ma questi programmi, installati nei dispositivi di terzi senza alcuna autorizzazione, non sono assolutamente legali.

Per installare uno spyware ci sono due opzioni: si può fare da remoto, inviando un link che, una volta cliccato, installerà automaticamente il software spia; ma può essere anche essere nascosto in app o giochi gratuiti. Un’altra opzione è l’accesso diretto al dispositivo: basta lasciare incustodito uno smartphone privo di password di sblocco, e il gioco è fatto.

Dopo aver installato lo spyware, attraverso un’app o un account web si potranno visualizzare i dati contenuti all’interno dello smartphone della vittima, come messaggi, telefonate, foto e mail. Inoltre, potranno essere attivate fotocamera e microfono all’insaputa dell’utente.

L’utilizzo di questi strumenti rappresenta un reato: i software “captatori informatici” possono essere utilizzati soltanto dalla polizia a seguito di un mandato da parte della magistratura. È stato promulgato a riguardo il DL n. 216 del 29 dicembre 2017, con lo scopo di regolamentarne l’utilizzo e per impedire eventuali abusi.

Un altro strumento utilizzato per spiare gli utenti è WhatsApp Web. Per utilizzare la funzione, basta aprire l’app di WhatsApp sullo smartphone, andare sulle Impostazioni e inquadrare il QR Code che appare sullo schermo del pc.

Sul pc, a questo punto, troveremo il nostro account WhatsApp, e tutte le conversazioni saranno sincronizzate tra il nostro smartphone e il pc. Ma se lasciamo lo smartphone incustodito, privo di password di sblocco, potremmo rischiare che un’altra persona abbini il nostro WhatsApp al suo pc.

Per aver maggior sicurezza possiamo attivare l’autenticazione a due fattori, e se sospettiamo che qualcuno abbia collegato il nostro WhatsApp al suo pc selezionare l’opzione Disconnetti da tutti i dispositivi o Disconnettiti da tutti i computer su Android.

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Una truffa molto banale è quella del codice a sei cifre. Secondo Paolo Dal Checco, consulente informatico forense, tale truffa dovrebbe essere ormai poco diffusa, poiché «ormai le persone sanno che non devono comunicare codici ricevuti sul proprio telefono, anche grazie all’esperienza fatta dalla banche che ripetono continuamente di non fornire a nessun i codici ricevuti».

Nonostante tutto, qualcuno ancora ci casca. Il nostro account WhatsApp, infatti, è sempre collegato ad un numero di cellulare. Se qualcuno conosce il nostro numero, potrebbe utilizzarlo per appropriarsi del nostro account.

Il malintenzionato, accedendo al menu, procede con il cambio del numero. L’app invierà un codice di verifica a sei cifre al “vecchio” numero, ovvero l’intestatario attuale del profilo, e il ladro tenterà di ottenere il codice di verifica, inviando magari un messaggio da un falso mittente che, con l’inganno, richiederà il codice in questione.

Va da sé, dunque, che non dobbiamo mai inviare a nessuno i codici che riceviamo.

Per recuperare un account WhatsApp rubato basterà seguire le istruzioni riportate nelle pagine di assistenza di WhatsApp.

La violazione di uno smartphone, oggi, potrebbe essere più pericolosa e grave rispetto a quella di un pc. Non scordiamoci inoltre che per un cybercriminale potrebbe essere molto più utile spiare uno smartphone, e non rubarlo.


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