carta dei diritti digitali europea

Green Pass, privacy e intelligenza artificiale: la carta dei diritti digitali europea

L’introduzione del Green Pass ha sollevato qualche interrogativo legato alla tutela della privacy. La certificazione si basa infatti su tecnologie digitali e la privacy è sempre uno dei nodi più difficili da sciogliere in casi come questo.

Anche da qui nasce l’idea di una carta dei diritti digitali, una sorta di costituzione dell’Europa digitale a tutela di tutti i cittadini dell’Unione, che potrebbe essere proposta al parlamento UE da parte di DG Connect entro la fine del 2021.

DG Connect è un sotto-organo della Commissione Europea che si occupa di tutto ciò che è legato al mondo digitale. Presidente è Roberto Viola che, in un’intervista a Repubblica, ha spiegato i tanti progetti in corso.

IL GREEN PASS, UN SUCCESSO ANCHE GRAZIE ALLA PRIVACY

Viola si dice soddisfatto di come sta procedendo l’emissione dei Green Pass: “Ne abbiamo emessi già 250 milioni, pari a più o meno la metà della popolazione dell’Ue“.

Il successo dell’iniziativa si deve, secondo lui, anche al fatto che la certificazione rispetta la privacy:

“I dati della singola persona sono sigillati all’interno del Qr Code, e da lì non escono. […] L’operazione di verifica funziona anche con i due smartphone in modalità aereo, perché fra i due non c’è alcuno scambio di dati”.

LA PRIVACY AL CENTRO DELLA CARTA DEI DIRITTI DIGITALI

Secondo Viola, la privacy è un dono da proteggere e custodire, ma sempre in accordo con altre esigenze come quelle legate alla salute e all’economia.

La carta dei diritti digitali (Digital Service Act) nasce con l’obiettivo di riequilibrare i pesi e le responsabilità di persone e aziende. A proposito di quest’ultime, Viola spiega:

“Grandi o piccole che siano, avranno uguali diritti ma diversi doveri. Perché è giusto che i più grandi (es.: Facebook e Google, ndr) abbiano più grandi responsabilità rispetto a quello che fanno online e a come ci trattano online. Perché con maggiore attenzione e maggiori investimenti, forse certe storture del passato si sarebbero potute evitare”.

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Un altro tema fortemente legato alla privacy è quello dell’uso dell’intelligenza artificiale.

La carta dei diritti digitali vuole garantire maggiori tutele anche in questo ambito:

“Nonostante critiche e perplessità, il 90% delle applicazioni pratiche dell’IA non verranno toccate o influenzate dalle regole che stiamo scrivendo. E però vogliamo intervenire se queste tecnologie mettono a rischio le persone o le loro libertà fondamentali.
Non tollereremo che vengano usate per sorveglianza e controllo sociale o per qualsiasi forma di condizionamento e anche vogliamo tutelare i bambini da eventuali manipolazioni”.

La privacy riguarda tutti, anche PMI e studi legali. L’introduzione del GDPR (Regolamento Ue 2016/679 ) impone il rispetto di regole in materia di raccolta, trattamento e uso dei dati personali di dipendenti, collaboratori e clienti. Per adeguarti anche tu, scopri i servizi privacy di Servicematica.

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Il Legal Design per rendere l’informazione legale più fruibile

Se la legge è uguale per tutti, non si può dire che sia anche chiara per tutti.
Sfortunatamente, norme, atti, contratti e altri documenti legali sono quasi sempre incomprensibili soprattutto (ma non solo) ai non professionisti.

Il Legal Design vuole risolvere questa difficoltà.

COS’È IL LEGAL DESIGN

La Legal Design Alliance definisce così il Legal Design:

“un approccio interdisciplinare incentrato sull’uomo, volto a prevenire o risolvere il problema legale. Questo approccio dà la priorità al punto di vista degli utenti della legge – non solo avvocati e giudici, ma anche cittadini, consumatori, aziende, ecc.”.

Il suo obiettivo è semplificare la comunicazione legale, rendere i contenuti subito fruibili, immediatamente comprensibili, senza passare per una dispendiosa decodifica.

NON SOLO LINGUAGGIO

Questo approccio va ben oltre il semplice alleggerimento linguistico, con l’abbandono del “legalese” a favore di un linguaggio più immediato.

Infatti, il Legal Design lavora anche sulla struttura del documento. Non si tratta solo di scegliere un’impaginazione o un font che facilitino la lettura, ma anche di eliminare tutte le informazioni di contorno ambigue o prive di valore, i dettagli che distraggono, gli elementi che affaticano, per non complicare l’esperienza del destinatario.

Inoltre, il Legal Design contempla anche l’uso di altri media che non siano il testo scritto, come le infografiche, per aumentare la comprensibilità dell’informazione che si vuole trasmettere.

Il Legal Design non è qualcosa di lontano e confinato a certi ambienti. In questo anno e mezzo di pandemia tutti noi ne abbiamo visto diversi esempi: basti pensare a tutte le schede informative che, testualmente e tramite immagini, ci hanno presentato il contenuto dei diversi DPCM, spiegandoci cosa potessimo o non potessimo fare.

LA PERSONA AL CENTRO

Il punto cardine del Legal Design è mettere al centro il destinatario dell’informazione e il suo bisogno reale, cioè ottenere una risposta a una domanda o la soluzione a un problema: a chi si rivolge quel documento? Quali sono il linguaggio e il media migliore per comunicare con lui? Cosa desidera ottenere?

Modulare la comunicazione in base a questi aspetti, rendere l’informazione chiara e accessibile, permette di generare fiducia nel destinatario, che è la base di qualsiasi relazione umana, anche professionale.

AVVOCATI E LEGAL DESIGN

Vale la pena ricordare il Decreto n.37 dell’8 marzo 2018, che ha modificato il D.M. 55/2014 relativo alla determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi degli avvocati.

All’art. 1, comma 1-bis, il decreto contempla un aumento dei compensi dell’avvocato nel caso in cui “gli atti depositati con modalità telematiche sono redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione, la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto”.

In sostanza, ciò che viene chiesto e premiato è proprio di facilitare l’esperienza d’uso da parte del Giudice che deve visionare gli atti.
Come si può intuire, la maggiore fruibilità non passa per una semplificazione del lessico — trattandosi di un destinatario con competenze tecniche — ma attraverso tutti quegli espedienti che possono velocizzare, alleggerire, rendere più immediata la lettura: dai link ipertestuali alle tabelle, fino ad elementi grafici più elaborati.

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Salute, vaccini e consenso informato

L’introduzione dei vaccini anti-covid ha dato il via a un dibattito sul consenso informato che ha visto, ancora a inizio anno, il Codacons criticare il modulo scelto proposto Pfizer.

L’associazione aveva pubblicato sul proprio sito una nota in cui illustrava le proprie perplessità:

«sembrerebbe che chi si sottopone al vaccino prodotto da Pfizer-Biontech debba obbligatoriamente sottoscrivere dei ‘moduli di scarico di responsabilità’ che esonerano l’azienda farmaceutica e il personale sanitario che esegue la vaccinazione da qualsiasi responsabilità per eventuali reazioni avverse, danni a lunga distanza ovvero inefficacia della vaccinazione».

Il Codacons riteneva il modulo di consenso informato di Pfizer illegittimo poiché:

«in contrasto con la normativa italiana di cui alla Legge 210 del 1992.
La nostra normativa prevede riconoscersi indennizzi per danni da vaccinazioni obbligatorie e la vaccinazione anti Covid 19, seppur non obbligatoria, risulta riconducibile alla suddetta disciplina.
La ratio si ravvisa, infatti, nella volontà della tutela del diritto alla salute di coloro che si sottopongono, tra le altre cose, a vaccinazioni obbligatorie. Tuttavia, la Corte Costituzionale ha esteso questi principi alle vaccinazioni raccomandate affermando che contrasterebbe con i parametri costituzionali evocati il diverso trattamento imposto dalla disposizione censurata, quanto alla corresponsione dell’indennizzo, tra coloro che risultano affetti da lesioni o infermità provocate da vaccinazioni obbligatorie e coloro che le medesime patologie manifestano a seguito di una vaccinazione, non obbligatoria ma raccomandata dall’autorità sanitaria […] Risultando tale vaccinazione finalizzata anche alla tutela della salute collettiva».

LA SALUTE E IL CONSENSO INFORMATO

Quando si parla di salute bisogna ricordare che nell’art. 32 della Costituzione, al comma 2, si legge che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Ciò significa che un trattamento sanitario può essere legittimato solo se si ottiene il consenso informato da parte del paziente. Tale consenso deve essere consapevole, basato su informazioni chiare e comprensibili, relative a benefici e rischi e alternative, e che dia la possibilità al paziente di accettare o rifiutare liberamente il trattamento.

Perché le informazioni siano chiare, è necessario che queste non siano soggette a possibili interpretazioni o manipolazioni che possono influenzare la decisione del paziente.

Oltre a essere precise e univoche, le informazioni devono essere attuali. Il paziente deve essere informato qualora vi fossero delle variazioni nelle circostanze per le quali era stato previsto il trattamento. Alla luce di tali novità deve essere richiesto di nuovo il suo consenso all’eventuale trattamento.

Il paziente ha sempre la libertà di rivedere la propria posizione, revocando il consenso, variandolo o concedendolo in un secondo momento.

IL RUOLO DEL MEDICO

L’articolo Art. 35 del codice di deontologia medica dice che:

«L’acquisizione del consenso o del dissenso è un atto di specifica ed esclusiva competenza del medico, non delegabile. I
l medico non intraprende né prosegue in procedure diagnostiche e/o interventi terapeutici senza la preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato.
Il medico acquisisce, in forma scritta e sottoscritta o con altre modalità di pari efficacia documentale, il consenso o il dissenso del paziente, nei casi previsti dall’ordinamento e dal Codice e in quelli prevedibilmente gravati da elevato rischio di mortalità o da esiti che incidano in modo rilevante sull’integrità psico-fisica».

Il medico ha dunque il ruolo fondamentale di informare il paziente sul proprio stato di salute e su eventuali trattamenti, vaccinazioni comprese, nonché di raccogliere e documentare il consenso a tali trattamenti.

Il consenso informato rappresenta lo strumento di mediazione tra l’autodeterminazione del paziente e la responsabilità del medico. Tant’è che il medico che operi in assenza di consenso informato incorre in sanzioni penali e civili anche gravi.


VACCINAZIONE ETEROLOGA

Il tema del consenso informato tocca anche la vaccinazione eterologa anti-covid, ovvero la somministrazione di una seconda dose a base di un siero diverso da quello usato per la prima dose.

Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ha rilevato un’incoerenza tra le indicazioni del Ministero della Salute, che considera obbligatorio accettare un vaccino diverso, e quelle dell’Aifa, che invece apre alla facoltà di scelta:

«è indispensabile adeguare il modulo di consenso informato a quanto previsto dalla L. 648/96 che prevede il “consenso informato scritto del paziente dal quale risulti che lo stesso è consapevole della incompletezza dei dati relativi alla sicurezza ed efficacia del medicinale per l’indicazione terapeutica proposta” – con adeguata informazione su benefici, rischi e incertezze delle opzioni per la seconda dose dopo Astrazeneca.
Per evitare che l’incongruenza tra le espressioni “dovere” e “potere” si traduca in una responsabilità esclusivamente a carico dei medici, con il rischio di disincentivare l’attività vaccinale, la Fondazione Gimbe chiede al Ministero della Salute e all’Aifa di esprimersi congiuntamente con una nota univoca e definitiva».

L’importanza del consenso informato va oltre gli aspetti sanitari e riguarda persino aziende e studi legali, sempre in contatto con dati e informazioni di clienti e partner. Per adeguarti alla normativa, scopri i servizi Privacy di Servicematica.

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La riforma del processo civile punta alla riduzione dei tempi dei procedimenti, per questo il Min. Cartabia ha proposto la modifica della fase introduttiva e della fase decisoria, rendono la prima udienza definitiva.

PROCESSO CIVILE GLI EMENDAMENTI

È la Guardasigilli stessa a spiegare il valore dei 24 emendamenti presentati a modifica del ddl sulla riforma del processo civile:

“Ci siamo impegnati con le Istituzioni europee ad abbattere del 40% la durata dei processi in 5 anni. Dall’approvazione di questa, come delle altre imminenti riforme che riguardano la giustizia, dipende l’erogazione dei fondi previsti dal PNRR, per contribuire al rilancio complessivo del Paese e della sua economia”.

Gli emendamenti vanno dalla semplificazione dei procedimenti all’uso delle tecnologie introdotte per affrontare la pandemia, fino al potenziamento delle ADR.

LE MODIFICHE ALLA FASE INTRODUTTIVA

L’emendamento n. 8 va a toccare l’art. 3 del d.d.l. relativo alla revisione del processo di cognizione di primo grado di competenza del giudice monocratico.

L’emendamento modifica la fase introduttiva ponendo maggiore enfasi sulla prima udienza di comparizione delle parti, in modo da poter subito circoscrivere l’ambito del procedimento.

Vengono ripensati l’atto di citazione e la comparsa di risposta, che descriveranno i fatti e la posizione difensiva con precisione e chiarezza.

Inoltre, l’attore presenterà mezzi di prova e documenti sin dall’atto di citazione, pena la decadenza dell’azione. Anche il convenuto indicherà, sin dalla prima udienza e a pena di decadenza, le eccezioni non rilevabili d’ufficio e le domande riconvenzionali, e provvederà alla eventuale chiamata di terzi.

Infine, sempre dalla prima udienza, l’attore risponderà alle difese presentate dal convenuto, mentre entrambe le parti si occuperanno dei mezzi istruttori.

LE MODIFICHE ALLA FASE DECISORIA

Oltre alla fase introduttiva, anche la fase decisoria viene modificata.
In particolare, quanto indicato dall’art. 190 del codice di rito viene sostituito da una rimessione delle cause in decisione. Ciò riguarda sia le decisioni affidate al giudice monocratico sia quelle affidate al collegio.

I tempi di pronuncia e deposito della sentenza vengono ridotti. Con tribunale monocratico, la lettura del dispositivo e della motivazione avverrà subito dopo la discussione orale, a meno che il caso non sia particolarmente complesso, nel qual caso il giudice potrà depositare la decisione entro i trenta giorni successivi.

Il giudice potrà anche decidere di fissare l’udienza della causa per la decisione indicando i termini per il deposito di note scritte, per la precisazione delle conclusioni, per il deposito delle comparse conclusionali e delle note di replica. In questo caso il giudice, se monocratico, potrà depositare la sentenza entro i trenta giorni successivi, che diventano 60 in caso di giudice collegiale.

Il giudice potrà anche presentare una proposta conciliativa. Tale possibilità si estende fino a che la causa non viene rimessa in decisione.

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Il riconoscimento del titolo straniero di avvocato diventa più difficile

Con una nota dello scorso 28 maggio, il Ministero della Giustizia  ha chiesto al CNF regole più rigide per il riconoscimento del titolo straniero di avvocato.

Il CNF ha dunque emesso una circolare informativa con cui inoltre ha ribadito che l’iscrizione all’albo è sempre soggetta alla verifica dei requisiti che devono persistere lungo tutto l’arco di attività del professionista.

Per quanto riguarda il titolo straniero che abilita alla professione di avvocato, “a nulla rileva la pratica triennale condotta in Italia sulla base della direttiva 98/5/CE, utile a dispensare dalla prova attitudinale italiana un professionista solo laddove sia regolarmente abilitato nel proprio paese”.

IL TITOLO DI AVVOCATO RUMENO

La circolare CNF si concentra sul titolo di avocat” conseguito in Romania tramite l’associazione UNBR Bota. Tale titolo è definito illegittimo poiché “l’unica autorità competente cui rivolgersi per verificare la validità del titolo di avocat acquisito in Romania è costituito dalla Uniunea Nationala a Barourilor din Romania – U.N.B.R”, che opera tramite l’IMI, il sistema di cooperazione tra autorità degli Stati membri dell’Unione Europea.

Sulla questione era già intervenuta la  la Corte di Giustizia UE con l’ordinanza del 25 novembre 2020 (C-191120 P), con cui ha ripreso una sentenza dell’Alta Corte di Cassazione Rumena che indicava come abusivo l’esercizio della professione legale da parte dei membri dell’associazione UNBR Bota.

IL TITOLO DI AVVOCATO SPAGNOLO

Per diventare “abogados”, i laureati spagnoli devono frequentare un master e superare un esame di stato.
Era possibile evitare entrambi i passaggi richiedendo l’omologazione alla laurea italiana in giurisprudenza entro il 31 ottobre 2011. L’iscrizione a un “colegio de abogados” non sana la mancanza dei requisiti per l’esercizio della professione in Italia (Tar Lazio n. 3066 del 19 marzo 2018).

Il Ministero evidenzia come alcune delle modalità per diventare abogado non siano idonee ad equiparare il titolo spagnolo a quello italiano. Pertanto, anche coloro che avessero conseguito il master e superato l’esame in Spagna dovrebbero documentare in modo dettagliato  tutto il percorso effettuato per avere la possibilità di ottenere l’abilitazione.

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Avvocati e rischio riciclaggio: UE propone sorveglianza sulla professione

 

Avvocati e rischio riciclaggio: UE propone sorveglianza sulla professione

Avvocati e rischio riciclaggio: UE propone sorveglianza sulla professione

In un documento scritto dalla segreteria generale del Consiglio d’Europa si legge che quella dell’avvocato è una professione particolarmente soggetta al rischio di riciclaggio di denaro che necessita di maggiori controlli da parte delle istituzioni.

La professione legale viene affiancata al gioco d’azzardo «in termini di rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo».

Queste le parole esatte contenuto nello scritto:

«In conformità con il Quadro strategico del Consiglio d’Europa verrà applicata la messa a fuoco per garantire che gli organismi di autoregolamentazione di alcune professioni particolarmente soggette al rischio di riciclaggio di denaro, come avvocati, fornitori di servizi fiduciari e aziendali, agenti immobiliari e commercianti di metalli preziosi e pietre, siano a loro volta controllati da un ente pubblico come ulteriore livello di supervisione».

LA REAZIONE DEL CCBE

Il Ccbe, il Consiglio degli ordini forensi d’Europa che rappresenta gli avvocati di 45 paesi diversi, ha subito chiesto chiarimenti alla segretaria Marija Pejcinovic Buric, e ribadito l’autonomia come fattore indiscutibile della professione legale.

Margarete von Galen, presidente del Ccbe ha così commentato:

«Il Ccbe ha avuto un numero significativo di scambi con la Commissione europea per quanto riguarda gli sforzi della professione in questo senso […]. Ma siamo rimasti sorpresi nel leggere il riferimento a “un ente pubblico come ulteriore livello di supervisione” in materia di autoregolamentazione della professione forense e siamo preoccupati di osservare che tale formulazione provenga da un documento del Consiglio d’Europa. Riteniamo che la dicitura dimostri incomprensione del ruolo, della funzione e dell’importanza dell’autoregolamentazione rispetto al diritto della professione legale».

Perché la giustizia funzioni, gli avvocati devono essere indipendenti da ogni forma di potere, compresa la sorveglianza statale.

Il Ccbe ricorda la Raccomandazione sulla libertà di esercizio della professione di avvocato, documento adottato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ancora nel 2000, che prevede che ordini e associazioni di avvocati rimangano organismi autonomi e indipendenti dalle autorità e dal pubblico, e che la loro libertà non sia soggetta ad alcuna restrizione.

AVVOCATI E RISCHIO RICICLAGGIO

È sempre Von Galen, nella medesima risposta, a illustrare il rapporto tra gli avvocati e i rischi:

«La professione legale è attenta alla minaccia del riciclaggio di denaro e se ne sta occupando attivamente e sostiene qualsiasi misura chiara, giustificata e proporzionata e continuerà a farlo. A questo proposito noi non vediamo l’ora di collaborare con il Consiglio d’Europa per lavorare insieme nella lotta contro il riciclaggio».

E ancora:

«Qualsiasi avvocato che consapevolmente partecipa ad attività illegali dovrebbe essere trattato come qualsiasi altro criminale. Questa è una posizione che noi del Ccbe e degli Ordini degli avvocati abbiamo sempre mantenuto e reso molto chiara».

TRA AUTOREGOLAMENTAZIONE E SUPERVISIONE

La segretaria Marija Pejcinovic Buric ha replicato alla lettera della Von Galen senza però chiarire i dubbi sollevati dal Ccbe:

«Un requisito fondamentale del Gafi [Gruppo di azione finanziaria internazionale], in vigore dal 2012, obbliga le autorità a supervisionare il lavoro degli organismi di autoregolamentazione, anche nella professione legale. Ho evidenziato questo punto nella mia relazione perché, purtroppo, questo requisito è in larga misura trascurato dagli Stati membri. Il Consiglio d’Europa avrà ovviamente la massima cura per garantire che le modalità di controllo degli organi di autoregolamentazione non pregiudichino l’indipendenza e in particolare le funzioni essenziali degli avvocati come ausiliari di giustizia».

[Fonte: Il Dubbio – «Avvocati soggetti al rischio riciclaggio, vanno controllati». Il Ccbe insorge contro Strasburgo]

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Fattura elettronica, nuove regole e nuovi codici a partire dal primo luglio 2021

La fattura elettronica cambia e dal primo luglio entrano in vigore nuove regole.

L’Agenzia delle entrate, gestore del Sistema di Interscambio, ne ha dato comunicazione pubblicando l’aggiornamento delle “Regole tecniche relative alla gestione delle fatture di cui all’art. 3, comma 1, d.lgs. 148/2018”.

Le nuove regole si adeguano alla norma europea EN 16931-1:2017, con cui è completata l’adozione della Direttiva 2014/55/UE relativa alla fatturazione elettronica in caso di appalti pubblici. Vengono introdotti nuovi elementi per la gestione conforme allo standard europeo di alcune casistiche specificatamente italiane, come lo split-payment, l’imposta di bollo, la ritenuta d’acconto o la cassa previdenziale.

FATTURA ELETTRONICA, I NUOVI CODICI

IVA

• N1 escluse ex art. 15;
• N2.1 non soggette ad IVA ai sensi degli artt. Da 7 a 7- septies del DPR 633/72 (sia per committenti UE che extra UE) in fattura andrà evidenziato “inversione contabile” per i soggetti UE, “operazione non soggetta” per i soggetti extra UE;
• N2.2 non soggette – altri casi es. forfetari o art. 74 DPR 633/72 e tutti i casi in cui un soggetto IVA non è obbligato ad emettere fattura;
• N3.1 non imponibili – esportazioni ai sensi art. 8 1 c. lett. a) b) e b-bis) DPR 633/72
• N3.2 non imponibili – cessioni intracomunitarie;
• N3.3 non imponibili – cessioni verso San Marino;
• N3.4 non imponibili – operazioni assimilate alle cessioni all’esportazione;
• N3.5 non imponibili – a seguito di dichiarazioni d’intento;
• N3.6 non imponibili – altre operazioni che non concorrono alla formazione del plafond;
• N4 esenti;
• N5 regime del margine/IVA non esposta;
• N6.1 inversione contabile – cessione di rottami e altri materiali di recupero;
• N6.2 inversione contabile – cessione di oro e argento puro;
• N6.3 inversione contabile – subappalto nel settore edile;
• N6.4 inversione contabile – cessione di fabbricati;
• N6.5 inversione contabile – cessione di telefoni cellulari;
N6.6 inversione contabile – cessione di prodotti elettronici;
• N6.7 inversione contabile – prestazioni comparto edile e settori connessi;
• N6.8 inversione contabile – operazioni settore energetico;
• N6.9 inversione contabile – altri casi (attualmente inutilizzabile);
• N7 IVA assolta in altro stato UE, Vendite a distanza art. 40 c. 3 e 4 e 41 c. 1 DL 331/93, prestazioni servizi di telecomunicazione, elettronici art. 7 sexies lett. f g e art. 74 sexies DPR 633/72.

Tipi ritenuta

• RT01 Ritenuta persone fisiche;
• RT02 Ritenuta persone giuridiche;
• RT03 Contributo INPS;
• RT04 Contributo ENASARCO;
• RT05 Contributo ENPAM;
• RT06 Altro contributo previdenziale.

Cassa Previdenziale

• TC01 Cassa nazionale previdenza e assistenza avvocati e procuratori legali
• TC02 Cassa previdenza dottori commercialisti
• TC03 Cassa previdenza e assistenza geometri
• TC04 Cassa nazionale previdenza e assistenza ingegneri e architetti liberi professionisti
• TC05 Cassa nazionale del notariato
• TC06 Cassa nazionale previdenza e assistenza ragionieri e periti commerciali
• TC07 Ente nazionale assistenza agenti e rappresentanti di commercio (ENASARCO)
• TC08 Ente nazionale previdenza e assistenza consulenti del lavoro (ENPACL)
• TC09 Ente nazionale previdenza e assistenza medici (ENPAM)
• TC10 Ente nazionale previdenza e assistenza farmacisti (ENPAF)
• TC11 Ente nazionale previdenza e assistenza veterinari (ENPAV)
• TC12 Ente nazionale previdenza e assistenza impiegati dell’agricoltura (ENPAIA)
• TC13 Fondo previdenza impiegati imprese di spedizione e agenzie marittime
• TC14 Istituto nazionale previdenza giornalisti italiani (INPGI)
• TC15 Opera nazionale assistenza orfani sanitari italiani (ONAOSI)
• TC16 Cassa autonoma assistenza integrativa giornalisti italiani (CASAGIT)
• TC17 Ente previdenza periti industriali e periti industriali laureati (EPPI)
• TC18 Ente previdenza e assistenza pluricategoriale (EPAP)
• TC19 Ente nazionale previdenza e assistenza biologi (ENPAB)
• TC20 Ente nazionale previdenza e assistenza professione infermieristica (ENPAPI)
• TC21 Ente nazionale previdenza e assistenza psicologi (ENPAP)
• TC22 INPS

Tipo documento

• TD01 fattura 380
• TD02 acconto/anticipo su fattura 386
• TD03 acconto/anticipo su parcella 386
• TD04 nota di credito 381
• TD05 nota di debito 383
• TD06 parcella 380
• TD16 integrazione fattura reverse charge interno 380
• TD17 integrazione/autofattura per acquisto servizi dall’estero 380
• TD18 integrazione per acquisto di beni intracomunitari 380
• TD19 integrazione/autofattura per acquisto di beni ex art.17 c.2 DPR 633/72 380
• TD20 autofattura per regolarizzazione e integrazione delle fatture (ex art.6 c.8 d.lgs. 471/97 o art.46 c.5 D.L. 331/93)
• TD21 autofattura per splafonamento 380
• TD22 estrazione beni da Deposito IVA 380
• TD23 estrazione beni da Deposito IVA con versamento dell’IVA 380
• TD24 fattura differita di cui all’art. 21, comma 4, lett. a) 380
• TD25 fattura differita di cui all’art. 21, comma 4, terzo periodo lett. b) 380
• TD26 cessione di beni ammortizzabili e per passaggi interni (ex art.36 DPR 633/72) 380
• TD27 fattura per autoconsumo o per cessioni gratuite senza rivalsa

Regime fiscale

• RF01 Ordinario
• RF02 Contribuenti minimi (art.1, c.96-117, L. 244/07)
• RF04 Agricoltura e attività connesse e pesca (artt.34 e 34-bis, DPR 633/72)
• RF05 Vendita sali e tabacchi (art.74, c.1, DPR. 633/72)
• RF06 Commercio fiammiferi (art.74, c.1, DPR 633/72)
• RF07 Editoria (art.74, c.1, DPR 633/72)
• RF08 Gestione servizi telefonia pubblica (art.74, c.1, DPR 633/72)
• RF09 Rivendita documenti di trasporto pubblico e di sosta (art.74, c.1, DPR 633/72)
• RF10 Intrattenimenti, giochi e altre attività di cui alla tariffa allegata al DPR 640/72 (art.74, c.6, DPR 633/72)
• RF11 Agenzie viaggi e turismo (art.74-ter, DPR 633/72)
• RF12 Agriturismo (art.5, c.2, L. 413/91)
• RF13 Vendite a domicilio (art.25-bis, c.6, DPR 600/73)
• RF14 Rivendita beni usati, oggetti d’arte, d’antiquariato o da collezione (art.36, DL 41/95)
• RF15 Agenzie di vendite all’asta di oggetti d’arte, antiquariato o da collezione (art.40- bis, DL 41/95)
• RF16 IVA per cassa P.A. (art.6, c.5, DPR 633/72)
• RF17 IVA per cassa (art. 32-bis, DL 83/2012)
• RF18 Altro
• RF19 Regime forfettario (art.1, c.54-89, L. 190/2014)

Modalità di pagamento

• MP01 Contanti
• MP02 Assegno;
• MP03 Assegno circolare;
• MP04 Contanti presso Tesoreria;
• MP05 Bonifico;
• MP06 Vaglia Cambiario;
• MP07 Bollettino Cambiario;
• MP08 Carta di pagamento;
• MP09 RID;
• MP10 RID utenze;
• MP11 RID veloce;
• MP12 RIBA;
• MP13 MAV;
• MP14 Quietanza erario;
• MP15 Giroconto su conti di contabilità speciale;
• MP16 Domiciliazione bancaria;
• MP17 Domiciliazione postale;
• MP18 Bollettino di c/c postale;
• MP19 SEPA Direct Debit;
• MP20 SEPA Direct Debit Core;
• MP21 SEPA Direct Debit B2B;
• MP22 Trattenuta su somme già riscosse;
• MP23 Pago PA

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Uso personale di computer aziendali. L’altra faccia dello smart working

In questi tempi di smart working, in cui molti si sono ritrovati a lavorare a casa, è facile credere che i dipendenti abbiano usato dispositivi personali per svolgere le loro mansioni. Ma c’è anche un’altra eventualità da considerare, ovvero l’utilizzo di dispositivi concessi dall’azienda al lavoratore.

Ma cosa succede se i dipendenti fanno un uso personale dei computer aziendali?

I RISCHI DELL’USO PERSONALE

Fin da prima della pandemia molte aziende dotano i propri dipendenti di device aziendali, primi fra tutti i computer, senza però preoccuparsi di offrire loro un’adeguata informazione sui diritti e sui doveri di una tale concessione.

Questa mancanza di informazione espone l’azienda a rischi, soprattutto informatici. L’uso poco attento dei computer per utilizzi che vanno oltre i compiti lavorativi, per esempio la navigazione in siti non sicuri, aumenta le vulnerabilità ad attacchi informatici o l’installazione involontaria di virus e malware.

Le conseguenze però ci sono anche per i dipendenti, che rischiano sanzioni disciplinari, ma anche civili e penali.

IL COMPUTER È UNO STRUMENTO DI LAVORO

All’art.4 comma 2, lo Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970) indica come “strumenti di lavoro” tutti i mezzi che il lavoratore usa per “rendere la prestazione lavorativa”.
Se ne deduce facilmente che tutti i device concessi al dipendente sono strumenti di lavoro.

In quanto strumento di lavoro, il computer concesso al dipendente può essere monitorato dal datore per evitare un possibile uso personale. Va sottolineato che questo monitoraggio deve essere saltuario e deve rispettare la privacy del lavoratore: entrando in contatto con informazioni del dipendente eventualmente presenti nel computer aziendale, questa attività ricadrebbe all’interno della cornice del trattamento dei dati personali.
Il monitoraggio va dunque svolto secondo i principi di pertinenza, correttezza e non eccedenza del trattamento dei dati (sentenza n. 22313/2016, Cass. civ., Sez. Lavoro).

L’IMPORTANZA DEI REGOLAMENTI

Se, da un lato, un contratto di lavoro implica che il dipendente rispetti gli obblighi di diligenza, di obbedienza e di fedeltà al datore di lavoro, dall’altro è sempre bene che le aziende si dotino di regolamenti che indichino le modalità e le condizioni di utilizzo del computer aziendale.

I regolamenti possono escludere del tutto l’uso personale dei computer aziendali o ammetterlo in parte. In questo caso, vanno indicati i tempi e i modi e confini dell’uso personale.
Vanno anche indicate le modalità e la frequenza dei controlli da parte del datore di lavoro.

LE SANZIONI PREVISTE PER I DIPENDENTI

DISCIPLINARI

Vanno indicate chiaramente nel regolamento. Possono avere la forma di avvertimenti, sospensioni o arrivare al licenziamento.

CIVILI

Se l’uso personale del computer aziendale causa danni dovuti ad attacchi informatici, all’installazione di virus e malware o ad altre condotte improprie, al lavoratore può essere chiesto di risarcire i danni, patrimoniali e non patrimoniali.

PENALI

Al dipendente può essere riconosciuta la responsabilità penale se ha utilizzato il computer o altri device aziendale per entrare in spazi virtuali aziendali senza autorizzazione o se, pur avendone accesso, vi si è intrattenuto contro la volontà del datore.

Nel caso dei dipendenti pubblici, l’uso privato del computer aziendale può configurate il reato di peculato d’uso.

[L’articolo prende spunto da: “Uso personale del computer aziendale da parte del dipendente: divieti e sanzioni”]

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Spinta alla mediazione grazie agli incentivi fiscali per gli avvocati

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Gli emendamenti presentati il 16 giugno scorso al DDL sulla riforma del processo civile sono stati accompagnati da un relazione tecnica che evidenzia alcuni incentivi fiscali per gli avvocati e in caso di ricorso alla mediazione.

Il DDL di riferimento è l’AS (Atto Senato) 1662, firmato dal ex-guardasigilli Bonafede e ancora all’esame della commissione Giustizia del Senato.

LA MEDIAZIONE E GLI INCENTIVI FISCALI PER GLI AVVOCATI

La novità principale è contenuta nell’art. 2, nella nuova lettera a) proposta dagli emendamenti e relativa proprio alle ADR. Vengono elencati tutti gli incentivi fiscali che verranno rivisti e semplificati per incentivare le parti a scegliere la mediazione.
Gli incentivi fiscali previsti sono:

1) Ampliamento dell’applicazione dell’esenzione dall’imposta di registro (ex art. 17, comma 3, D.Lgs. 28/2010), per un costo pari a 6 milioni l’anno.
2) Aumento da 500 a 600 euro del limite massimo per il credito di imposta (ex art. 20, D.Lgs 28/2010) ed estensione dello stesso ai compensi pagati agli avvocati, evenienza era fin qui solo alla remunerazione pagata all’organismo di mediazione. Il tutto per un costo di 47,6 milioni di euro l’anno.

Le risorse per coprire tali costi verranno dal Fondo per interventi strutturali di politica economica (Dl 282/2004), dal Fondo del Mef per le esigenze indifferibili che si manifestano in corso di gestione (ex art. 1, comma 200, legge 190/2014), dal Fondo speciale legato al programma “Fondi di riserva e speciali” della Missione “Fondi da ripartire”.

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Riprendiamo gli interessanti contenuti dell’articolo “Semplificazioni, la febbre che può legare le mani (anche) all’avvocato” apparso su Il Dubbio in cui si esamina il futuro nebuloso che incombe sul lavoro dell’avvocato.

La gestione dell’emergenza COVID lascerà infatti tracce in molti ambiti dell’esistenza delle persone e porterà dei cambiamenti inevitabili, alcuni dei quali riguardano la professione dell’avvocato.

I cambiamenti maggiori toccheranno probabilmente di più i legali che si occupano di diritto delle imprese, di opere pubbliche e di contrattualistica. Questo perché l’impianto normativo a favore della ripresa economica e il Piano di Ripresa e Resilienza Nazionale stanno puntando a una forte semplificazione che da un lato riduce i margini di errore concessi alle PA, ma dall’altro va a modificare in modo inedito il lavoro degli avvocati.

LE OPINIONI SULLE SEMPLIFICAZIONI E GLI EFFETTI SUL LAVORO DEGLI AVVOCATI

Nell’articolo vengono riportate le parole di alcuni esponenti del mondo legale.

Il Presidente di sezione del Consiglio di Stato, Raffaele Greco, spiega che:

«Sia con il decreto Semplificazioni dello scorso anno, il Dl 76, sia con il Dl 77/2021 da poco emanato, e noto come decreto Governance, è stata affievolita, per il giudice amministrativo, la possibilità di incidere sui contratti per appalti e servizi stipulati dalle pubbliche amministrazioni con i privati. Prima per le gare legate all’emergenza covid e in generale fino al 31 dicembre 2021, poi con estensione fino tutto il 2023.
Lo si fa in nome dell’idea secondo cui il controllo giurisdizionale sulla legittimità degli atti prodotti dalle pubbliche amministrazioni rallenterebbe l’economia.
Credo che noi magistrati e gli avvocati siamo d’accordo nel ritenere che una tutela ridotta non sia nell’interesse neppure delle imprese. Un contratto che continua a dispiegare i propri effetti nonostante un Tar ne abbia riconosciuto l’illegittimità sembra contrastare innanzitutto con il buon funzionamento dell’amministrazione, ma anche con quel modello di crescita che l’Europa si aspetta dal nostro Paese, basato sui principi di correttezza e trasparenza. Ecco, a me pare che non si consideri con attenzione tale aspettativa. E che anzi si rischi di vedere alcune delle norme cosiddette semplificatorie introdotte negli ultimi mesi finire dinanzi alla Corte di giustizia dell’Ue».

La consigliera Cnf, Isabella Stoppani, coordinatrice della commissione Diritto amministrativo, la vede così:

«Di fronte a un contratto che, pur dichiarato illegittimo, non può più essere travolto dalla decisione del giudice, si aprirebbero ipotesi di ulteriori contenziosi. Alcune attività difensive potrebbero dirottarsi dall’ambito amministrativistico a quello ordinario. Ma dal punto di vista delle istituzioni forensi non sembra questo il cuore della questione: piuttosto, non possiamo tacere sul rischio che si arrechino danni alla collettività, innanzitutto.
Già sono stati eliminati diversi controlli interni alle amministrazioni, per esempio quelli preventivi del Coreco; ora si rischia di limitare l’accesso materiale alla giurisdizione, e in ultima analisi di favorire il malcostume, sotto varie forme.
Di sicuro, la tutela dei cittadini è garantita fino a quando lo è l’accesso alla giustizia.
Ogni scorciatoia viola gli articoli 24 e 111 della Costituzione e danneggia tutti. Credo sia questa la considerazione da fare».

Stefano Bigolaro, consigliere dell’Unione nazionale amministrativisti, ribadisce come la

«monetizzazione della tutela», cioè «la possibilità per chi è illegittimamente escluso da una gara o da un contratto, di ottenere almeno un risarcimento, non si possa mettere sullo stesso piano dell’effetto caducatorio di una sentenza del Tar.
Con le nuove norme, le opere e le forniture di servizi appaltate dalle Pa ai privati andranno avanti anche se la procedura è stata dichiarata illegittima da un giudice, ad esempio perché l’impresa vincitrice era priva dei requisiti.
Se un avvocato può dire al proprio assistito “abbiamo buone possibilità di ottenere la riassegnazione dell’opera”, è un conto. Altro è potergli prefigurare solo un esito risarcitorio. Innanzitutto perché quell’imprenditore nel frattempo non lavora, e la prospettiva del ristoro economico è spesso incerta e lontana. Inoltre, se l’illegittimità dipende non solo da un errore della stazione appaltante ma anche da una specifica condotta del privato aggiudicatario, l’azione contro quest’ultimo dovrà essere necessariamente avviata dinanzi al giudice ordinario.
Avremo magari due procedimenti paralleli con due diversi magistrati e tutti i problemi legati alla necessità che si parlino fra loro».

Difficile al momento capire quali saranno i reali effetti sulla professione legale.

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