Nessuna sanzione per il praticante al Tar in sostituzione del proprio dominus

Non sono previste sanzioni per il praticante avvocato che è stato indotto dal proprio dominus, con un atto scritto, a sostituirlo dinanzi al Tar di Salerno. Questo è quanto stabilito dal CNF con la sentenza 201/2022, accogliendo in tal modo il ricorso nel quale si lamentava l’assenza dell’illecito disciplinare, poiché non ci sarebbe stata condotta volontaria e cosciente.

Il Consiglio di disciplina, lo avrebbe ritenuto responsabile non della violazione dell’art 36 CDF, ma dell’art. 12 CDF, poiché avrebbe esercitato un’attività di patrocinio illegittima e non consentita, idonea, quindi, a invalidare gli atti processuali.

Ma vista l’assenza di pregiudizi per la parte e il carattere «lieve e scusabile dell’infrazione» e di una «prognosi positiva» nei confronti di un comportamento futuro, aveva optato per un richiamo verbale.

Il CNF ricorda che secondo l’art. 41, co.12, legge 247/2012, il praticante può svolgere un’attività per cinque anni senza limiti territoriali ed esclusivamente per sostituire il proprio dominus, «sotto il controllo e la responsabilità dello stesso anche se si tratta di affari non trattati direttamente dal medesimo», dinanzi ad uffici giudiziari indicati dalla Legge, tra i quali non è presente il Tar ma soltanto il Giudice di Pace e il Tribunale ordinario.

Il CNF, nell’accogliere il ricorso, afferma che in questo caso non esisteva una «specifica e chiara consapevole volontà del ricorrente», che «non ebbe a sottoscrivere atti, ma semplicemente a presenziare in sostituzione del suo dominus all’udienza di merito innanzi al Tar» senza svolgere, dunque «alcuna difesa propria della parte».

Inoltre, il praticante avrebbe agito «in forza di delega scritta da parte del suo dominus, nei confronti del quale non poteva non nutrire profonda ed illimitata fiducia e stima non solo personale ma soprattutto professionale per essere il suo “maestro”, il quale proprio con il conferimento della procura scritta lo invitava a sostituirlo».

Si tratta di una circostanza nella quale è presente «un evidente elemento di affidamento e rassicurazione, né può tacersi che proprio il sentimento di grande rispetto che il ricorrente nutriva nei confronti del delegante lo ha indotto ad eseguire quanto richiesto con evidenza di metus reverentialis».

Quindi, aderendo al principio del favor rei, il Collegio dovrebbe ritenere carente l’elemento psicologico della condotta, poiché il futuro avvocato è «stato tratto in errore dal proprio dominus».

In via definitiva, non è responsabile a livello deontologico e non può essere sanzionato disciplinarmente il praticante che, essendo stato indotto in errore dal dominus, lo sostituisca durante l’udienza di un processo.

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