22 Aprile 2020

COVID-19 è infortunio sul lavoro: la responsabilità è dell’imprenditore

[AGGIORNATO 21 MAGGIO] COVID-19 è infortunio sul lavoro: la responsabilità è dell’imprenditore?

***Per gli aggiornamenti, vai alla fine dell’articolo***

Riaprire il paese e riattivarne il cuore produttivo per scongiurare effetti devastanti sull’economia e la società è una necessità di cui siamo tutti consapevoli. Certo è che il Coronavirus rimarrà tra noi per molto tempo e dovremo imparare a conviverci.

Da un punto di vista lavorativo, questa convivenza porterà a dei notevoli cambiamenti, con un aumento dello smart working, orari di lavoro più ampi e flessibili, rivoluzione degli ambienti e, più di ogni altra cosa, con l’imposizione di rigide misure di sicurezza sanitaria al personale di fabbriche, uffici e negozi.

Gli imprenditori, che per più di un mese si sono visti la produzione bloccata a fronte di costi fissi immutati, primo fra tutti quello del personale, scalpitano per la riapertura.

C’è solo un piccolo dettaglio che rende la riapertura “pericolosa”. E non dal punto di vista sanitario.

AMMALARSI DI COVID-19 È INFORTUNIO SUL LAVORO

Il comma 2 dell’art. 42 del decreto Cura Italia indica che l’eventualità che un lavoratore venga contagiato da COVID-19 durante la sua attività lavorativa ricade nella casistica dell’infortunio sul lavoro.
La stessa INAIL ribadisce il concetto nella circolare 13 del 3 aprile.

Cosa significa?

Significa che, come per qualsiasi altro infortunio, il lavoratore che si ammala di COVID-19 può rivalersi nei confronti del datore di lavoro, con tutto ciò che ne deriva in fatto di possibili azioni legali e richieste di risarcimenti.

In un’intervista a Il Giornale, Luca Failla, giuslavorista e founder partner di Lablaw, spiega: «Il riconoscimento di infortunio sul lavoro non costituisce di per sé riconoscimento di responsabilità penale. Di sicuro apre la possibilità, è un rischio astratto, di responsabilità penale in capo all’azienda. Poi bisognerà vedere se il lavoratore può provare di aver contratto il COVID mentre svolgeva attività lavorativa».

Ed è proprio qui che si apre il frangente più nebuloso, e quindi pericoloso, per l’imprenditore: se ammalarsi di COVID-19 è infortunio sul lavoro, come si dimostra che il contagio è avvenuto durante l’attività lavorativa?

L’ONERE PROBATORIO

Come si può avere la certezza?

Failla ammette che: «Non è semplice dimostrare che un lavoratore si è ammalato sul posto di lavoro. Qui si apre il tema della ripartizione dell’onere probatorio: è il lavoratore che deve provare che il datore è venuto meno a norme di tutela della sicurezza o deve essere il datore a dimostrare di non aver mancato nei propri obblighi?».

E aggiunge: «Nel caso del Coronavirus si fa tutto più complicato: se un lavoratore contrae il COVID a oltre due settimane dall’ultima volta che è andato al lavoro, c’è una forte presunzione che il virus sia stato preso fuori dagli ambienti lavorativi; se invece un dipendente ha continuato a svolgere le sue mansioni, è più facile che dica di aver contratto il virus sul luogo di lavoro. E a questo punto sarà il datore che dovrà provare a discolparsi e dimostrare che il Covid non è stato recepito nell’esercizio dell’attività lavorativa. Basterebbe però che anche un altro dipendente abbia contratto il virus per creare una sorta di presunzione di responsabilità del datore».

SE LA RESPONSABILITÀ È DELL’IMPRENDITORE, COME PUÒ TUTELARSI?

L’imprenditore/datore di lavoro era responsabile della salute e della sicurezza dei suoi dipendenti ed era tenuto ad adottare misure per prevenire infortuni e malattie sul lavoro anche prima del Coronavirus (D.Lgs. 231/2001 e D.Lgs. 81/2008).

Ma, come abbiamo visto, l’infortunio da COVID-19 è più indeterminabile dei rischi e dei pericoli ai quali le aziende e i lavoratori sono stati abituati finora. Infatti, le caratteristiche del virus (il lungo periodo di incubazione, la possibile asintomaticità, la somiglianza con sindromi influenzali, l’alta trasmissibilità) rendono difficile definire con precisione il luogo e il momento dell’effettivo contagio.

Dunque, cosa può fare un imprenditore per tutelarsi?

Al momento, l’unica arma certa è la prevenzione che si concretizza in:
valutare con precisione i rischi di contagio da Coronavirus in azienda,
aderire in modo preciso alle indicazioni previste nel Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro (o altri futuri regolamenti in materia).

Questo però potrebbe non bastare.
Come suggerisce Il Giornale, procurarsi i body scanner per misurare la temperatura ai dipendenti prima che questi entrino nel luogo di lavoro o, se fosse possibile, acquistare tamponi e test sierologici certamente aiuterebbe, ma è chiaro che non sono soluzioni alla portata di tutti.

AGGIORNAMENTO 15 MAGGIO 2020

In un comunicato ufficiale pubblicato sul suo sito, l’INAIL chiarisce che il riconoscimento del contagio da COVID-19 come infortunio sul lavoro non è automatico e che la responsabilità del datore di lavoro subentra solo in caso di dolo e colpa. 

AGGIORNAMENTO DEL 21 MAGGIO 2020

Con la circolare n.22 del 20 maggio, l’INAIL fornisce ulteriori istruzioni operative e chiarisce alcuni dei dubbi relativi alla tutela infortunistica degli eventi di contagio.
In particolare:
– ribadisce che COVID-19 è infortunio sul lavoro, così come tutte le infezioni da agenti biologici contratte durante l’attività lavorativa;
l’indennità per inabilità temporanea assoluta copre anche la quarantena o la permanenza domiciliare fiduciaria;
gli infortuni da COVID- 19 rientrano nella gestione assicurativa complessiva, senza comportare maggiori oneri per le imprese;
un eventuale contagio da COVID-19 non si traduce automaticamente in infortunio sul lavoro: deve essere accertare la sussistenza di “indizi gravi, precisi e concordanti sui quali deve fondarsi la presunzione semplice di origine professionale, ferma restando la possibilità di prova contraria a carico dell’Istituto“;
la responsabilità civile e penale del datore di lavoro deve essere accertata secondo criteri diversi da quelli usati per riconoscere COVID-19 come infortunio sul lavoro: “oltre alla già citata rigorosa prova del nesso di causalità, occorre anche quella dell’imputabilità quantomeno a titolo di colpa della condotta tenuta dal datore di lavoro.
Qui il testo integrale della circolare n.22 dell’INAIL.

 

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