Ufficio per il processo, al via la stabilizzazione di 3.000 addetti: assunzioni dal 2026

Arriva la stabilizzazione per tremila addetti all’Ufficio per il processo (Upp), le figure professionali nate per supportare il lavoro di giudici e tribunali e rafforzate negli ultimi anni grazie ai fondi del PNRR. A sancirlo è un emendamento del governo al decreto PA (atto Camera 2308), che dà attuazione a quanto già previsto dalla legge di bilancio 2025 (legge 207/2024).

L’intervento normativo porta a compimento il percorso di inserimento strutturale di una parte del personale Upp nel ministero della Giustizia, attraverso un ampliamento delle piante organiche: 2.600 nuove unità nell’area dei funzionari e 400 nell’area degli assistenti. Una modifica fondamentale che consente finalmente il passaggio alla stabilizzazione definitiva.

Importante anche l’alleggerimento dei requisiti: se la norma originaria prevedeva almeno 24 mesi di servizio, ora ne basteranno 15. Secondo il testo dell’emendamento, le assunzioni avranno decorrenza dal 1° luglio 2026, a condizione che i candidati siano utilmente collocati nelle graduatorie di merito a seguito di una selezione comparativa e abbiano maturato i 15 mesi di servizio continuativo entro il 30 giugno 2026, risultando ancora in servizio alla stessa data.

La misura, accolta positivamente da gran parte degli operatori del settore, non soddisfa però i sindacati. Per la Fp Cgil, si tratta di un passo avanti, ma ancora troppo limitato: “Invece di prevedere nuove prove selettive per chi ha già superato un concorso, sarebbe stato più logico e giusto aumentare i numeri di stabilizzazioni rispetto a quanto previsto dalla legge di bilancio”, afferma il sindacato, che segnala anche il divario tra il personale previsto e quello effettivamente in servizio.

Ad oggi, infatti, mancherebbero oltre 15.000 unità rispetto alle dotazioni organiche, con una previsione di altre 5.000 uscite nei prossimi tre anni. Un’emergenza strutturale che, secondo la Fp Cgil, rende necessario un piano di assunzioni più ambizioso e stabile, per garantire il buon funzionamento della macchina della giustizia.


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Carta d’identità, la Cassazione dice no a “padre” e “madre”

La carta d’identità elettronica dei minori dovrà riportare la dicitura “genitore” e non più “padre” e “madre”. Con una sentenza destinata a fare giurisprudenza (n. 9216/2025), la Corte di Cassazione ha messo la parola fine a un dibattito che durava da anni, bocciando il decreto del Ministero dell’Interno del 31 gennaio 2019, voluto all’epoca dal governo Conte I, che aveva reintrodotto la distinzione di genere nei documenti dei minori.

Per i giudici supremi, quella scelta era irragionevole e discriminatoria, perché non teneva conto delle famiglie composte da genitori dello stesso sesso. In particolare, il caso esaminato riguardava una bambina figlia di due madri – una biologica, l’altra adottiva tramite stepchild adoption – che aveva diritto a un documento che rispecchiasse la sua reale condizione familiare, anche in vista dei viaggi all’estero.

“Il modello predisposto dal Viminale non rappresenta tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari”, si legge nella motivazione della sentenza. E ciò comporta una discriminazione inaccettabile: la carta d’identità elettronica, infatti, consentiva di indicare in modo corretto solo una delle due madri, costringendo l’altra ad apparire come “padre”, una classificazione non conforme alla sua identità di genere.

Già il Tribunale di Roma, prima, e la Corte d’Appello poi, avevano accolto il ricorso presentato dalla coppia di madri. Ora la Cassazione conferma: non è più tollerabile che un documento pubblico rappresenti in modo parziale e discriminatorio la realtà familiare dei minori.

La decisione segna un passaggio importante anche sul piano simbolico: una svolta verso il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali e dei diritti dei bambini che ne fanno parte. Un principio, quello dell’uguaglianza, che la Carta d’identità – oggi più che mai – deve essere in grado di garantire.


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Terzo mandato, la Consulta boccia la legge della Campania

La Consulta dice no al terzo mandato per i presidenti delle Regioni ordinarie. Nella giornata di ieri, la Corte costituzionale ha accolto il ricorso del governo contro la legge della Regione Campania che avrebbe consentito al governatore uscente, Vincenzo De Luca, già in carica per due mandati consecutivi, di presentarsi di nuovo alle elezioni.

Secondo quanto stabilito dalla Corte, la norma approvata a Napoli viola i principi fondamentali stabiliti dalla legge statale n. 165 del 2004 e contrasta con l’articolo 122 della Costituzione, che impone alle Regioni di rispettare i criteri di ineleggibilità fissati a livello nazionale.

La legge campana, nel dettaglio, aveva introdotto una formula che rendeva di fatto “non conteggiabili” i due mandati già svolti da De Luca, facendo partire il computo da quello in corso al momento dell’entrata in vigore della legge. Un escamotage che la Consulta ha giudicato lesivo del principio del fisiologico ricambio democratico.

“Il limite al terzo mandato rappresenta un argine al prolungarsi dell’esercizio del potere da parte della stessa persona”, ha sottolineato l’Avvocatura dello Stato. E per la Corte, tale principio si applica a tutte le Regioni ordinarie che abbiano adottato una legge elettorale, escludendo quindi le Regioni a Statuto speciale, come il Friuli-Venezia Giulia, che godono di autonomia normativa su questo fronte.

La reazione di De Luca non si è fatta attendere. “Accolta una tesi strampalata, progettata in udienza, che ha fatto inorridire autorevoli costituzionalisti”, ha dichiarato sarcastico il governatore, lasciando intendere che la sua battaglia politica non si fermerà qui. Si vocifera infatti che potrebbe sostenere un candidato di fiducia, magari con una lista civica a suo nome: “A testa alta”.

Sulla vicenda è intervenuto anche Luca Zaia, presidente del Veneto, anch’egli interessato dalla questione del terzo mandato. Pur riconoscendo la natura “tecnica” della decisione, ha sollevato un dubbio politico: “Cosa succede nelle Regioni che non hanno ancora adottato una legge elettorale?”, chiedendosi se la sentenza possa davvero dirsi pienamente generalizzabile.

Nel frattempo, la scritta “la legge è uguale per tutti” – secondo De Luca – andrà ritinteggiata in molti tribunali. Ma la Consulta, con questa sentenza, ha tracciato una linea netta: il potere ha bisogno di alternanza. Anche nei feudi regionali.


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Bruxelles lancia il “Continente dell’IA”: un piano d’azione per la leadership europea nell’intelligenza artificiale

Con un ambizioso piano d’azione presentato oggi, la Commissione europea punta a trasformare l’Europa in un leader globale nell’intelligenza artificiale. Come annunciato dalla presidente Ursula von der Leyen durante il vertice d’azione sull’IA tenutosi a Parigi nel febbraio 2025, l’iniziativa mira a sfruttare le solide basi industriali e il patrimonio scientifico europeo per guidare la prossima rivoluzione tecnologica.

La strategia, battezzata “Piano d’azione per il continente dell’IA”, si articola in cinque pilastri strategici e punta su infrastrutture, accesso ai dati, applicazioni industriali, competenze e semplificazione normativa. Il cuore pulsante del progetto sarà costituito da una rete di fabbriche di IA collegate ai supercomputer più potenti d’Europa: 13 sono già operative, mentre altre saranno costruite nei prossimi mesi.

Ma la vera svolta è rappresentata dalle Gigafabbriche di IA, centri di calcolo all’avanguardia dotati di circa 100.000 chip, quattro volte superiori agli standard attuali, pensati per addestrare modelli complessi di intelligenza artificiale su scala continentale. La Commissione ha pubblicato oggi un invito a manifestare interesse per costituire consorzi, mentre l’iniziativa InvestAI mobiliterà 20 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati per realizzarne almeno cinque.

Per garantire il successo del piano, la Commissione proporrà anche una nuova legge sullo sviluppo del cloud e dell’IA, con l’obiettivo di triplicare la capacità dei data center europei entro sette anni, puntando su sostenibilità e autonomia strategica.

Altro elemento cruciale sarà l’accesso ai dati: nasceranno laboratori di dati per aggregare e curare grandi volumi di dati di alta qualità provenienti da fonti pubbliche e private. Una strategia per l’Unione dei dati sarà lanciata nel 2025 per consolidare un vero mercato unico europeo del dato, al servizio dell’innovazione.

Se oggi solo il 13,5% delle imprese UE ha adottato l’IA, la Commissione intende colmare questo gap con la strategia “Applicare l’IA”, che nei prossimi mesi sosterrà l’introduzione di tecnologie intelligenti nei settori chiave dell’economia, sia pubblici che privati.

Un altro asse fondamentale del piano è il rafforzamento delle competenze e della formazione. Verrà creata un’Accademia europea per le competenze in materia di IA, mentre saranno attivati programmi di borse di studio, percorsi formativi e iniziative di attrazione dei migliori talenti europei e internazionali. Tra questi anche l’azione “MSCA Choose Europe” e percorsi agevolati di migrazione legale per lavoratori altamente qualificati nel settore tech.

La semplificazione normativa è il quinto pilastro: la legge sull’IA, in vigore dal 1° agosto 2024, sarà accompagnata da un Service Desk dedicato alle imprese per aiutarle a comprendere e applicare correttamente la nuova normativa.

A sostegno del piano, la Commissione ha avviato due consultazioni pubbliche (aperte fino al 4 giugno 2025) su cloud e applicazione dell’IA, e ne lancerà una terza a maggio sulla strategia dei dati. Sono inoltre previsti dialoghi con imprese e pubbliche amministrazioni per orientare l’attuazione concreta del piano nei settori produttivi.

Il nuovo piano si inserisce in un quadro più ampio di iniziative: dal pacchetto di misure per le PMI europee all’intelligenza artificiale affidabile (gennaio 2024), alla selezione dei primi consorzi per le fabbriche di IA (dicembre 2024 e marzo 2025), fino al lancio dell’iniziativa InvestAI con l’obiettivo di mobilitare fino a 200 miliardi di euro in tutto il continente.

L’Europa dell’IA ha tracciato la sua rotta. Ora tocca agli Stati membri, alle imprese e ai ricercatori trasformare questo piano in realtà.


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Pnrr, monitoraggio giustizia: obiettivo intermedio centrato

Obiettivo intermedio raggiunto per lo smaltimento delle pendenze civili più risalenti, previsto per la fine del 2024. Nelle Corti d’appello l’arretrato del 2019 è quasi eliminato.

Lo rivela il monitoraggio degli indicatori Pnrr sull’andamento della giustizia, curato dalla Direzione generale di Statistica e analisi organizzativa del Dipartimento per l’Innovazione tecnologica della giustizia.

A fine 2024, le percentuali di riduzione rispetto ai valori baseline del 2019 sono, a fronte di un target previsto di -95%:

  • – 99,4% procedimenti civili pendenti con annualità sino al 2017 nelle Corti di appello
  • – 93,2% procedimenti civili pendenti con annualità sino al 2016 nei Tribunali

La tendenza di riduzione delle pendenze civili è positiva anche in vista dell’obiettivo di smaltimento da raggiungere entro giugno 2026.

Rispetto ai valori baseline del 2022, a fronte di un target previsto di -90%, il dato del 2024 riporta le seguenti percentuali di riduzione:

  • – 70,5% procedimenti civili pendenti con annualità compresa tra il 2018 e il 2022 in Corte di appello
  • – 73,3% procedimenti civili pendenti con annualità compresa tra il 2017 e il 2022 in Tribunale

In costante riduzione anche l’arretrato Legge Pinto che rispetto al 2019 è diminuito del 45,5% in Corte di appello e del 37,9% in Tribunale.

Con riguardo al disposition time (DT), l’indicatore di durata che misura il rapporto tra i processi pendenti e quelli definiti, i dati 2024 indicano una riduzione, rispetto al 2019, pari a:

  • – 20,1% nel settore civile
  • – 28,0% nel settore penale

Nel settore penale, infine, la variazione complessiva supera il target del -25% entro giugno 2026; più contenuto il calo in ambito civile rispetto all’obiettivo di riduzione del 40% entro la stessa scadenza.

La Relazione segnala come fattore critico l’aumento delle iscrizioni, soprattutto in alcune materie che, unitamente alla sostanziale stabilità delle definizioni, ha rallentato il trend di riduzione del DT civile nell’ultimo anno.

Il Rapporto viene inviato alla Commissione europea due volte all’anno e pubblicato, insieme con i dati di monitoraggio, sul portale istituzionale del Ministero della giustizia  e sul sito della DgStat.

“I dati di dicembre 2024 confermano l’efficacia delle misure fin qui attuate dal Ministero e la capacità degli uffici giudiziari di aggredire le pendenze civili, assicurando una riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti civili e penali anche grazie al contributo degli Uffici per il processo” ha così commentato il Direttore Generale dell’Unità di missione per l’attuazione degli interventi del Pnrr, Davide Galli.


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AIGA: semplificazione dell’Amministrazione di Sostegno, a rischio la tutela dei più fragili

L’Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA) esprime seria preoccupazione riguardo all’emendamento normativo proposto nell’ambito delle misure per la semplificazione normativa in tema di Amministrazione di Sostegno, interdizione e inabilitazione, che rischia di compromettere la tutela dei soggetti più fragili, come anziani, persone con disabilità e individui in condizioni di vulnerabilità.

Pur riconoscendo la dichiarata intenzione di semplificare le procedure, urge sottolineare come l’emendamento presenti gravi criticità, in quanto riduce le garanzie e indebolisce la protezione patrimoniale del beneficiario.

Il superamento degli strumenti tradizionali di tutela, poi, quali l’interdizione e l’inabilitazione, che negli anni si sono dimostrati essenziali in casi complessi, come quelli legati a disturbi psichici combinati a tossicodipendenza, sebbene miri ad assicurare a ogni soggetto “fragile” la possibilità di conservare uno spazio di autonomia, appare inopportuno e rischia di compromettere ulteriormente la ratio dell’Amministrazione di Sostegno.

AIGA ribadisce dunque la necessità di promuovere una riforma equilibrata e giusta dell’Amministrazione di Sostegno, che rappresenti un reale progresso per il sistema giuridico italiano e una garanzia concreta per i più deboli della società.

In tale ottica si muove la proposta di legge presentata dall’Associazione, che intende riconoscere la professionalità degli amministratori di sostegno, garantire un compenso equo e dignitoso, definire chiaramente le responsabilità degli amministratori, rafforzare la tutela fiscale e legale.

“Riteniamo che proprio per assicurare a ciascun soggetto una limitazione – alla propria capacità d’agire – minima e necessaria, debba essere rispettato l’ambito di ciascun istituto, ridisegnando l’amministrazione di sostegno come misura “taylor made”, che deve adattarsi alla situazione ed alle esigenze concrete. Il legislatore deve adottare un approccio responsabile e lungimirante, che tuteli i diritti dei soggetti fragili senza sacrificare la dignità professionale degli amministratori di sostegno”.


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Slitta l’aumento delle competenze ai giudici di pace: il Governo accoglie l’ordine del giorno di Lopreiato

ROMA, 9 aprile – Il Governo ha accolto un ordine del giorno presentato dalla senatrice Ada Lopreiato, capogruppo del Movimento 5 Stelle in commissione Giustizia, che impegna l’esecutivo a rinviare l’entrata in vigore dell’aumento delle competenze dei giudici di pace, inizialmente previsto per ottobre 2025. La nuova data indicata è giugno 2026.

“Da mesi chiediamo con forza che venga spostata in avanti questa scadenza, che avrebbe sancito il definitivo collasso degli uffici del giudice di pace – dichiara Lopreiato –. Gli organici amministrativi e della magistratura onoraria sono già oggi fortemente insufficienti, mentre le strutture fisiche e tecnologiche versano in condizioni critiche”.

Per la senatrice si tratta di un “primo passo importante, ma non sufficiente”. Il Governo, sottolinea, “deve attuare subito l’impegno preso e destinare risorse concrete: senza investimenti strutturali, quegli uffici non potranno funzionare in modo adeguato”.

Negli ultimi mesi, proteste e manifestazioni si sono moltiplicate in tutta Italia, dagli avvocati di Torino, Roma e Napoli, fino a Napoli Nord, dove per giovedì prossimo è prevista una nuova mobilitazione davanti al Tribunale.

“Il disagio è reale – conclude Lopreiato –. Le istituzioni hanno il dovere di ascoltare chi ogni giorno vive le difficoltà della giustizia. Continueremo a vigilare affinché le promesse del Governo si traducano in atti concreti e continueremo a proporre assunzioni straordinarie per salvare il sistema”.


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“Un passo storico che mette fine a decenni di attese e restituisce dignità, diritti e tutele a migliaia di servitori dello Stato”, ha commentato il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro delle Vedove. “Mai più figli di un Dio minore: abbiamo garantito loro stabilizzazione fino all’età pensionabile, tutele previdenziali e assistenziali, malattia, ferie, trattamento di fine rapporto e un giusto inquadramento retributivo”.

Sulla stessa linea anche il presidente della Commissione Bilancio del Senato, Nicola Calandrini (FdI): “L’approvazione di questo disegno di legge rappresenta un passo avanti decisivo verso una giustizia più efficiente e vicina ai cittadini. Finalmente viene riconosciuto, anche sotto il profilo giuridico, economico e previdenziale, il ruolo fondamentale svolto dai magistrati onorari. Si tratta di una riforma attesa da anni che garantisce certezze a una categoria troppo a lungo dimenticata”.

Due, in particolare, i punti chiave evidenziati dalla senatrice di Fratelli d’Italia Giovanna Petrenga: da un lato la definizione chiara delle funzioni e dei compiti dei giudici onorari, dall’altro la regolamentazione del loro trattamento economico e previdenziale. “Un riconoscimento – ha sottolineato – a una categoria finora molto bistrattata e che da ora in poi potrà contare su certezze. Inoltre, adeguandosi alla normativa europea, si evita una procedura d’infrazione contro l’Italia. Ne trarranno beneficio sia il corretto funzionamento della giustizia sia i cittadini”.


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La Prima presidente della Corte di Cassazione Margherita Cassano è intervenuta all’inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio nazionale forense con un discorso accolto da lunghi applausi e una standing ovation. Cassano ha rilanciato il valore del dialogo tra magistratura e avvocatura, sottolineando la comune responsabilità di garantire lo Stato di diritto e la tutela effettiva dei diritti fondamentali. L’avvocato, ha detto, «è un protagonista ineliminabile della giurisdizione», portatore della domanda di giustizia in tutte le sue dimensioni, individuali e sociali. Da qui l’invito a superare le polemiche contingenti e a costruire una visione condivisa e di lungo respiro, capace di rinsaldare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Nel suo intervento, la Prima presidente ha anche posto l’attenzione sulla qualità della produzione normativa italiana: una legislazione «intensa, superiore alla media europea», che spesso genera disorientamento, con messaggi contraddittori dettati dalle contingenze politiche. Un fenomeno legato sia alla frammentazione del corpo sociale, incapace di condividere valori comuni, sia all’uso simbolico della legge come risposta immediata a istanze sociali.

Critiche anche allo spostamento del potere normativo dal Parlamento al Governo, con la frequente adozione di provvedimenti d’urgenza che rendono difficile la coerenza e il coordinamento del sistema normativo. Una difficoltà che si riverbera sul lavoro quotidiano di magistrati e avvocati, costretti a interpretare norme spesso ambigue o contraddittorie.

La presidente ha poi sollevato un tema cruciale: la riduzione del diritto a tecnica applicativa, senza un adeguato approfondimento culturale e valoriale. In presenza di vuoti normativi, ha detto, la giurisdizione è chiamata a scegliere se arrendersi o procedere in una “ricostruzione del sistema” fondata sui principi costituzionali e sovranazionali. In questo quadro, la motivazione delle decisioni diventa elemento centrale: non solo obbligo formale, ma garanzia di razionalità, trasparenza e prevedibilità, condizioni essenziali per il diritto di difesa.

Cassano ha ricordato che il giudizio non è un esercizio meccanico, né può essere affidato a strumenti tecnologici: «Il diritto vive di sfumature, interpretazioni e confronto», e non può ridursi a una somma di precedenti applicati senza riflessione. L’intelligenza artificiale, per quanto evoluta, non potrà mai sostituire la sensibilità umana nel cogliere la complessità delle situazioni.

Da qui l’appello finale a magistrati e avvocati per un «patto per il futuro»: una rinnovata alleanza culturale e professionale per affrontare le sfide della società contemporanea, anche là dove la legge tace o non basta. Un nuovo umanesimo giuridico, ha concluso Cassano, che ponga al centro la persona, le sue emozioni e le sue ragioni. Perché l’errore giudiziario è la più grave ingiustizia, e il diritto deve servire a prevenirlo, mai a legittimarlo.


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L’IA non è più un affare da esperti: è uno strumento creativo alla portata di tutti. Bastano un’app, una piattaforma gratuita, e in pochi clic si possono generare racconti, poesie, testi di canzoni. Anche testate come Il Foglio hanno sperimentato la redazione di interi giornali con articoli scritti da intelligenze artificiali. I risultati sono spesso sorprendenti: testi fluidi, coerenti, difficili da distinguere da quelli scritti da mano umana.

Ma se da un lato questi esperimenti mostrano le potenzialità dell’IA nella produzione culturale, dall’altro rivelano un lato oscuro. E pericoloso.

Il problema più grave sorge quando l’IA viene usata per generare notizie false e diffonderle. Piattaforme come Twitter, Instagram o Telegram – con i suoi canali criptati di “controinformazione” – diventano il terreno perfetto per la viralità di bufale ben costruite. L’IA può alimentare questi spazi con contenuti ingannevoli, confezionati su misura per sembrare autentici.

È il terreno dei deepfake: video, audio e immagini incredibilmente realistici, capaci di mostrare politici, CEO o celebrità mentre dicono o fanno cose mai avvenute. La tecnologia, già usata in produzioni cinematografiche come Rogue One o Obi-Wan Kenobi per ricreare volti o ringiovanire attori, diventa inquietante se utilizzata fuori da contesti artistici.

Cosa succederebbe se un video mostrasse un presidente annunciare una guerra? O se un audio artefatto rivelasse una frode finanziaria mai commessa? In un contesto globale fragile e iperconnesso, bastano poche ore perché il danno sia fatto. L’effetto può essere devastante: dalla reputazione personale alla stabilità politica ed economica.

I media tradizionali, già in crisi di credibilità, non riescono più a contenere l’ondata. Accusati da anni di servilismo ai “poteri forti” o di eccessivo sensazionalismo, hanno perso la fiducia di ampie fette di pubblico. Così, anche le rettifiche più puntuali vengono percepite come insabbiamenti. E una bufala ben fatta può diventare verità agli occhi di milioni.

E non è fantascienza. Finti articoli attribuiti a quotidiani come Repubblica o Corriere hanno già promosso metodi “miracolosi” per arricchirsi con le criptovalute, usando volti noti come testimonial inconsapevoli. Domani, potremmo vedere video costruiti ad arte per screditare leader politici, aziende, o influenzare le elezioni.

In politica, un deepfake ben diffuso può alterare il corso di uno Stato. In economia, può affondare un titolo in borsa o cancellare la reputazione di un brand in un click. Un esempio? Basta un video che simuli un difetto grave in un’auto elettrica, e il crollo delle azioni è immediato.

I software anti-deepfake esistono, ma sono rincorse affannate. Analizzano riflessi, movimenti facciali, incongruenze invisibili. Tuttavia, non bastano. Il vero problema è culturale. Il pubblico – abituato a video brevi e d’impatto su TikTok o YouTube – è vulnerabile a contenuti emozionali e virali. Il fact-checking è visto con sospetto, le regole come censura.

Serve una rivoluzione culturale, non solo tecnologica.
Non possiamo affidarci solo a norme o piattaforme. Dobbiamo allenarci al dubbio, imparare a verificare, resistere alla tentazione di condividere senza pensare. La scuola dovrebbe insegnare a distinguere fatti da narrazioni. La formazione continua dovrebbe incentivare l’approfondimento.

Perché la vera difesa non è un algoritmo. È il pensiero critico.
E nel mondo della velocità e dell’emozione, è l’unico scudo che può salvarci dall’inganno perfetto.


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