proroghe giustizia covid servicematica

Scadenze proroghe Giustizia e COVID: le tabelle riassuntive

L‘Osservatorio sulla legislazione presso la Camera dei Deputati ha pubblicato un documento che riassume le proroghe alle normative decise durante l’emergenza sanitaria.

PANORAMICA DEL DOCUMENTO

Il documento “Emergenza COVID-19. Proroghe termini e discipline speciali” suddivide le norme in 12 materie di intervento:

  • Affari costituzionali
  • Giustizia
  • Difesa
  • Bilancio
  • Finanze
  • Cultura
  • Ambiente
  • Trasporti
  • Attività produttive
  • Lavoro
  • Affari sociali
  • Agricoltura

Sono presenti diverse tabelle con i termini originari delle disposizioni indicate e le proroghe stabilite da:
– l’allegato al decreto legge n. 83 del 2020,
– le modifiche al precedente allegato introdotte dal decreto legge n. 125 del 2020,
– l’allegato al decreto legge n. 183 del 2020,
– altre disposizioni.

Nelle tabelle compaiono, in rosso, anche i termini ultimi di applicazione delle norme vigenti.

In totale sono riportate 154 disposizioni, 57 cessate e 97 ancora in vigore grazie alle proroghe.
Di queste, 46 sono state prorogate con disposizioni diverse dagli allegati indicati. 8 non hanno un termine preciso ma dipendente dalla durata dello stato d’emergenza.

LE PROGOGHE DEL SETTORE GIUSTIZIA

Il destino del settore Giustizia è fortemente legato al perdurare dello stato di emergenza, fino al termine del quale rimangono valide:
– le modalità speciali per la trattazione dei procedimenti civili, penali e contabili (cfr. artt. 23, 23-bis, 23-ter e 24, D.L. n. 137/2020, e art. 26 del DL n. 137 del 2020),
– le disposizioni per lo svolgimento a distanza dei colloqui negli istituti penitenziari,
– la sospensione del termine per la redazione del rendiconto consuntivo condominiale,
– la possibilità di svolgere da remoto le udienze degli organi di giustizia tributaria.

PROROGHE PROCESSO PENALE

Per i procedimenti penali vengono confermati:
– l’uso di collegamenti da remoto nella fase delle indagini preliminari,
– il deposito di atti, documenti e istanze inerente alla chiusura delle indagini preliminari tramite il portale del processo penale telematico,
– lo svolgimento da remoto delle udienze che non richiedono la presenza di altri soggetti che non siano il PM, le parti e i difensori, gli ausiliari del giudice, la polizia giudiziaria, eventuali interpreti, consulenti e periti.

PROROGHE PROCESSO CIVILE

Per i procedimenti civili vengono confermati:
– obbligo del deposito telematico di atti e documenti da parte del difensore,
– svolgimento delle udienze che non richiedono la presenza di altri soggetti che non siano i difensori delle parti tramite il deposito telematico di note scritte,
– lo svolgimento da remoto di udienze su richiesta dei difensori e delle parti,
– trattazione da remoto dell’udienza, con il consenso delle parti e se non è prevista la partecipazione di soggetti diversi da difensori, parti e ausiliari del giudice;
– giuramento del CTU tramite documento scritto e con deposito telematico.

Per un quadro esaustivo vi invitiamo a visionare il documento ufficiale “Emergenza COVID-19. Proroghe termini e discipline speciali” della Camera dei Deputati.

 

Rendi il tuo studio più sicuro e tecnologico, scopri i prodotti Servicematica.

——–

LEGGI ANCHE:

Quando la procura alle liti rende il ricorso inammissibile

La vaccinazione degli avvocati è una priorità sociale


LEGGI ANCHE

Stretta di mano per contratti

Mancato versamento delle ritenute Inps: la nuova disciplina finisce alla Corte Costituzionale

Secondo il Tribunale, la disparità di trattamento tra chi omette versamenti fino a 10mila euro e chi supera tale soglia è tale da rendere la…

Separazione delle carriere: la risposta del COA di Bologna al magistrato Scalabrini

Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna, insieme ad altri sette Ordini distrettuali, ha accolto con favore l’avvio del dibattito pubblico sulla separazione delle carriere.…

Avvocati: addio all’esonero dei contributi 2023

È arrivato il momento di dire addio all’esonero del contributo minimo, decisione presa dai ministeri vigilanti, che hanno deciso di negare l’approvazione della delibera di…

rapporto censis avvocati Servicematica

Rapporto Censis: le difficoltà degli avvocati in Italia

Il V rapporto Censis offre una fotografia della la situazione, poco rosea, degli avvocati in Italia.

La pandemia ha avuto conseguenze negative su tutta la categoria, con ben 7 professionisti su 10 che ritengono critica la propria situazione lavorativa.

Svolto su un campione di più di 14.000 avvocati, il rapporto Censis offre informazioni sulla situazione reddituale e sulle modalità di lavoro durante l’emergenza. Inoltre, racconta quale percezione i cittadini abbiano della giustizia nazionale e il loro accesso ai servizi legali.

IL REDDITO DEGLI AVVOCATI IN ITALIA

Dal 2014 in poi c’è stata una ripresa dei redditi degli avvocati, più sostenuta negli ultimi due anni.  Questa crescita è però stata interrotta dagli effetti dell’emergenza sanitaria.

Il reddito medio 2019 dichiarato dagli iscritti alla Cassa Forense è di 40.180 euro.

Le donne dichiarano un reddito più basso, pari al 62,5% di quello medio complessivo. Va notato che il 2020 è stato l’anno in cui le donneiscritte a Cassa Forense hanno superato gli uomini.

Anche i giovani dichiarano redditi più bassi, così come gli avvocati residenti al Sud.

GLI EFFETTI DELLA PANDEMIA

Gli effetti della pandemia che più hanno influenzato l’attività degli avvocati italiani sono:

la chiusura dei tribunali e la sospensione dell’attività giudiziaria (per il 34,6%),
– la riduzione delle entrate economiche (30,7%),
– le difficoltà legate all’organizzazione familiare alla luce delle nuove condizioni di lavoro (8,2%),
– la nuova complessità nel rapporto con gli assistiti (6,6%),
– le difficoltà nei contatti con le amministrazioni pubbliche (5,2%).

EMERGENZA SANITARIA, CLIMA DI SFIDUCIA

L’emergenza sanitaria ha esasperato la percezione dell’incertezza da parte dei professionisti forensi:
– il 32,9% dichiara che le difficoltà sono aumentate,
– il 39,5% cerca di sopravvivere ma riconosce che il contesto non lascia grandi speranze,
– il 29,9% è fiducioso in un miglioramento nei prossimi anni.

LE MISURE DI SOSTEGNO

Davanti alle difficoltà, gli avvocati italiani sono ricorsi alle misure di sostegno economico disponibili. In particolare:

– il 61,5% del campione ha sfruttato il bonus Covid previsto per i professionisti nei mesi di marzo e aprile 2020;
– il 7,9% ha richiesto il bonus baby sitter (la percentuale sale all’11,9% nel caso delle donne avvocato);
– il 3,5% ha chiesto la sospensione del pagamento di mutui o finanziamenti.

LAVORO DA REMOTO

Gli avvocati hanno imparato ad affidarsi alle tecnologie digitali per proseguire le attività:

  • il 29,6% ha scelto di lavorare esclusivamente da remoto,
  • Il 43,2 ha scelto sia la modalità da remoto che la presenza in studio,
  • Il 15,9% ha continuato a recarsi presso lo studio

Per quanto riguarda la gestione delle consulenze:
– nel 48,3% dei casi, i professionisti hanno offerto consulenze online,
– nel 33,1%, in modalità ibrida, con incontri presso lo studio e anche online.

GLI ITALIANI E LA GIUSTIZIA

Durante il 2020, il 14,4% degli italiani (7,2 milioni di persone) si è rivolto a un legale.

Le controversie principali sono state:
casa, condominio e proprietà (il 28,3% dei casi),
lavoro, previdenza e assistenza (20%),
sinistri, infortuni e risarcimenti (11,7%),

Il rapporto Censis sottolinea però che il 5,6% di italiani (2,8 milioni di persone) ha dovuto rinunciare ai servizi legali, non solo per motivi economici (21,1%) ma soprattutto a causa della limitazione agli spostamenti dovuta alle misure di contenimento (24,6%).

Gli italiani sembrano avere poi una visione sull’avvocatura più positiva rispetto agli stessi professionisti. Infatti:
– il 27% ritiene che le difficoltà degli avvocati dipendano da un eccesso di norme e dalla loro bassa qualità,
– il 35% ritiene prioritaria una riforma della giustizia per fare uscire il Paese dalla crisi economica.
– il 22,3% vede delle opportunità in materie giuridiche nuove, come la privacy, l’e-commerce, la tutela dell’ambiente e dei diritti di individui e famiglie (famiglie non tradizionali, procreazione assistita, discriminazioni, ecc.).

Rendi il tuo studio più sicuro e tecnologico, scopri i prodotti Servicematica.

——–

LEGGI ANCHE:

La vaccinazione degli avvocati è una priorità sociale

Iscrizione alla Gestione Separata: conta l’attività non il reddito

troppo potere delle Big Tech - Sevicematica

Autorità e utenti stanchi del potere delle big tech, quali prospettive?

La pandemia ha dimostrato quanto le tecnologie e i servizi digitali siano utili per portare avanti la nostra esistenza. Ma la loro importanza ha accentrato potere e ricchezza in mano di pochi colossi digitali, le Big Tech (Google, Facebook, Amazon, ecc.).

Tale accentramento sta influenzando la vita delle persone, non solo livello individuale ma anche sociale. Gli eventi di Capitol Hill e il successivo ban dell’ex presidente Trump dai principali social, le ingerenze straniere nelle campagne elettorali, ma anche semplicemente le polemiche per le modifiche all’informativa privacy di WhatsApp sono solo gli esempi più recenti.

L’attenzione dei governi verso i comportamenti delle Big Tech sta dunque crescendo di giorno in giorno, così come quella degli utenti che chiedono maggiori tutele.

LE PROPOSTE PER RIDURRE IL POTERE DELLE BIG TECH

Riprendiamo l’articolo di Agenda Digitale “Big Tech, troppo potere: tutte le proposte per risolvere il dilemma del decennio” e vi indichiamo che, tra queste, figurano:

– imporre una digital tax per restituire la sovranità fiscale agli stati,

– considerare le Big Tech come servizi pubblici,

smembrarle

– obbligarle a condividere i dati con i concorrenti più piccoli,

– offrire un’amnistia nel caso cedano dati ai concorrenti o li cancellino,

tassarne i ricavi derivanti dalla pubblicità targettizzata,

– sviluppare dei software che medino tra le piattaforme e i loro contenuti,

aumentare la forza delle autorità di controllo.

PREVISIONI A LIVELLO NORMATIVO, ANDARE OLTRE IL GDPR

Le diverse soluzioni non possono concretizzarsi senza una adeguata base normativa.

In materia di protezione della privacy, trattamento dei dati e condotte connesse, il riferimento per eccellenza è il GDPR.

Ad esso presto si affiancheranno due ulteriori normative per contrastare il potere delle Big Tech: il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA).

Il Digital Service Act si concentra su:

– chiarire le responsabilità dei servizi digitali,
– favorire la parità delle condizioni nei diversi mercati digitali europei,
– favorire l’omogeneità normativa tra i paesi in modo da ridurre la circolazione di contenuti dannosi,
potenziare la governance e la sorveglianza sui servizi digitali e i loro algoritmi di funzionamento,
– assicurare maggiore sicurezza agli utenti di fronte alla disponibilità online di prodotti, servizi e informazioni illegali o dannosi.
– incentivare il rispetto delle regole di concorrenza.

Il Digital Markets Act è uno strumento normativo ex ante basato su divieti e obblighi. Queste misure sono riferite a condotte commerciali inserite in una specifica black list.
In particolare, alle Big Tech vengono imposti i  seguenti divieti e gli obblighi:

divieto di discriminazione per favorire i propri servizi,
– obbligo di garantire l’interoperabilità tra la propria piattaforma e quelle dei concorrenti,
– obbligo di condividere, nel rispetto della privacy, i dati forniti o generati dalle interazioni degli utenti commerciali con i loro clienti attraverso le piattaforme dei Big Tech.

I colossi digitali hanno il dovere di modificare le proprie pratiche commerciali “scorrette” e favorire la concorrenza.
Nel caso di violazioni, il DMA prevede non solo sanzioni fino al 10% del fatturato, ma anche la cessione di asset e proprietà aziendali.

Rendi il tuo studio più sicuro e tecnologico, scopri i prodotti Servicematica.

——–

LEGGI ANCHE:

Passaporto vaccinale, come affrontare il rischio di discriminazione

Trattamento dei dati sanitari tra rischi, obblighi e deroghe

 

passaporto vaccinale - Servicematica

Passaporto vaccinale, come affrontare il rischio di discriminazione

Davanti al perdurare della pandemia e alle difficoltà socio-economiche, il dibattito sui passaporti vaccinali è sempre più di attualità, in Italia e in Europa. L’applicazione di un pass personale comporta però una lunga serie di questioni legati alla privacy e anche all’etica che non possono essere tralasciate e, anzi, devono essere affrontate già nell’eventuale fase di progettazione.

L’avvocato Rocco Panetta, esperto di Internet e Privacy, parlava già un anno fa di quanto la pandemia potesse mettere a dura prova la tenuta dei principi Costituzionali.

PASSAPORTO VACCINALE, IL PRESENTE

In Europa, Ursula von der Leyen ha comunicato che è in corso di presentazione una proposta legislativa per un Digital Green Pass che provi l’avvenuta vaccinazione, i risultati di tamponi e test, e informazioni su malattia e guarigione. Il tutto nel rispetto della privacy.

In Italia, il Garante della Privacy ha pubblicato un comunicato stampa in cui suggerisce che «il trattamento dei dati relativi allo stato vaccinale dei cittadini a fini di accesso a determinati locali o di fruizione di determinati servizi, debba essere oggetto di una norma di legge nazionale, conforme ai principi in materia di protezione dei dati personali (in particolare, quelli di proporzionalità, limitazione delle finalità e di minimizzazione dei dati), in modo da realizzare un equo bilanciamento tra l’interesse pubblico che si intende perseguire e l’interesse individuale alla riservatezza».

IL PROSSIMO FUTURO E I RISCHI DI DISCRIMINAZIONE

Uno dei possibili scenari ci vede tutti in possesso di un documento, più probabilmente una app per smartphone, che indicherà il nostro status sanitario.

La società si dividerebbe dunque in due grandi gruppi.

Da una parte coloro che, grazie alla app che attesta l’avvenuta vaccinazione, potranno accedere nuovamente a luoghi, attività e diritti che in questo ultimo anno ci sono stati più o meno tolti. Dall’altra, coloro che, non vaccinati, vedrebbero la loro vita e i loro diritti ancora limitati.

Il passaporto vaccinale comporta dunque una forma di discriminazione?

DECIDERE NEL RISPETTO DELLA COSTITUZIONE

L’art.3 della Costituzione incarica la Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, il loro sviluppo e la loro partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Il passaporto vaccinale rischia di essere una misura in contrasto con tale principi.

Ma far combaciare il diritto alla salute pubblica con la privacy, l’uguaglianza e l’etica è possibile. Ciò richiede un grande lavoro di bilanciamento e di discussione, senza passare per “scorciatoie giuridiche”.

Come suggerisce l’Avv. Panetta: «sarebbe pertanto auspicabile che l’eventuale introduzione nel nostro ordinamento di pass e passaporti vaccinali passasse attraverso il confronto in Parlamento, da concretizzarsi poi in una legge condivisa, accuratamente pesata ed equilibrata. Vista la particolare situazione e dato lo stato attuale della campagna vaccinale, personalmente non intravedo motivi che potrebbero imporre di bypassare il dibattito parlamentare con un decreto-legge o un nuovo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri».

Rendi il tuo studio più sicuro e tecnologico, scopri i prodotti Servicematica.

——–

LEGGI ANCHE:

Trattamento dei dati sanitari tra rischi, obblighi e deroghe

Articolo 18 incostituzionale. Vale sempre l’obbligo di reintegra

procura alle liti e ricorso inammissibile Servicematica

Quando la procura alle liti rende il ricorso inammissibile

Con l’ordinanza 5/2021 la Cassazione si esprime sul contenuto della procura alle liti e le modalità di conferimento del mandato a un avvocato.

IL CASO

Un cittadino senegalese muove ricorso davanti al giudice di Pescara a fronte di un provvedimento di espulsione dal territorio italiano. Lo straniero risultava infatti irregolare dal 2010, dopo il rifiuto della sua richiesta di ottenere il permesso di soggiorno.

La Cassazione rigetta il ricorso, poiché inammissibile.

PROCURA ALLE LITI: IL CONTENUTO TROPPO GENERICO RENDE IL RICORSO INAMMISSIBILE

Il ricorso è inammissibile per motivi legati alla procura alle liti.

La Cassazione evidenzia che anche in materia di immigrazione i ricorsi risultano inammissibili se la procura, presentata su foglio separato congiunto al ricorso (ex art. 83, comma 3,c.p.c) contiene espressioni incompatibili con la proposizione dell’impugnazione e con la specialità richiesta ed anzi dirette ad attività proprie di altri giudizi e fasi processuali”.

Nel caso in questione la procura alle liti manca di riferimenti al provvedimento impugnato e indica solo il conferimento di un “ampio mandato” all’avvocato del cittadino straniero.

Tale mandato implica una vaga assistenzanel giudizio di mediazione obbligatoria, negoziazione assistita, arbitrati, giudizi in primo e secondo grado, nonché quelli eventuali di opposizione e/o esecuzione e in fase di legittimità presso la Suprema Corte di Cassazione”.

La procura continua indicando che all’avvocato viene dato “ogni più ampia facoltà di legge, nessuna esclusa, compresa quella di conciliare e transigere, incassare somme e rilasciare quietanze, chiamare terzi in causa, deferire giuramento, spiegare domanda riconvenzionale, rinunciare agli atti del giudizio e dell’azione, accettare rinunzie, delegare altri procuratori e difensori, nonché firmare in nome e per conto qualsiasi atto compreso il presente”.

La Cassazione ritiene che tutti questi contenuti siano troppo generici, quindi incompatibili con l’esigenza di dimostrare la specialità della procura alle liti in questione.

Pertanto il ricorso è inammissibile.

Il processo telematico diventa più semplice con Servicematica. Scopri Service1!

——–

LEGGI ANCHE:

La vaccinazione degli avvocati è una priorità sociale

Accesso ai dati informatici: quando il backup di un socio è abusivo

 


LEGGI ANCHE

intelligenza artificiale rischi lavoro

Qual è il vero rischio dell’Intelligenza Artificiale?

Quando parliamo di intelligenza artificiale e lavoro, le posizioni principali sono due: cancellerà tantissimi posti di lavoro oppure ci libererà da quelle mansioni troppo faticose…

Articolo 85 D.L. 18/2020 – Disposizioni In Materia Di Giustizia Contabile

1. Le disposizioni di cui agli articoli 83 e 84 si applicano, in quanto compatibili e non contrastanti con le disposizioni recate dal presente articolo,…

bando cassa forense corsi formazione professionale

Cassa Forense: bando per la frequenza di corsi di alta formazione professionale

Cassa Forense, nelle iniziative dedicate al sostegno della professione, ha deciso di stanziare 1.500.000,00 euro per un bando per frequentare corsi di alta formazione professionale,…

dati informatici Servicematica

Accesso ai dati informatici: quando il backup di un socio è abusivo

Immaginate di avere un socio che decide di avviare una propria attività, in concorrenza con la vostra, e, prima di andarsene, effettui l’accesso ai dati informatici dello studio per eseguire un backup dell’archivio clienti.

E legale un simile comportamento?

Con la sentenza n. 34296 del 2 dicembre 2020, la Cassazione si è espressa a tal proposito.

ACCESSO AI DATI, BASTA CONOSCERE LE PASSWORD?

Il caso appena descritto è stato oggetto di un primo ricorso presso la Corte d’Appello di Venezia  da parte del socio in uscita. Ricorso terminato con la condanna dello stesso.

Si è così giunti in Cassazione, dove il socio ha spiegato che il suo accesso ai dati informatici era del tutto legittimo per due motivi:
– ne era “comproprietario” e ne conosceva le password di accesso,
– non vi era mai stato alcun regolamento che vietasse un simile backup dell’archivio informatico.

IL REATO DI ACCESSO ABUSIVO A SISTEMA INFORMATICO

La Cassazione ha respinto il ricorso e ha dichiarato che il backup dei dati informatici di uno studio professionale, effettuato con l’intento di sottrarli per avviare un’ attività concorrenziale, rappresenta accesso abusivo a sistema informatico (articolo 615 ter del Codice Penale).

L’art.615 ter definisce ‘abusivo’ l’accesso a “un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo”.

Sebbene nel caso in questione il socio uscente non abbia palesemente agito contro la volontà esplicito di qualcuno, la Cassazione ha ritenuto illegittimo il suo accesso all’archivio informatico perché fuori dalle finalità dello stesso.

L’accesso ai dati informatici deve infatti avvenire per i soli scopi per i quali quei dati sono stati raccolti. L’avvio di un’attività concorrenziale non è certamente tra questi e il possesso della password non rappresenta alcuna garanzia di poterne fare ciò che si vuole.

[Fonte: Cfnews – Il socio dello studio professionale può fare il backup dei dati per avviare un’attività diversa?]

 

Rendi il tuo studio più sicuro e tecnologico, scopri i prodotti Servicematica.

——–

LEGGI ANCHE:

Trattamento dei dati sanitari tra rischi, obblighi e deroghe

La vaccinazione degli avvocati è una priorità sociale

 

vaccinazione degli avvocati servicematica

La vaccinazione degli avvocati è una priorità sociale

Giacomo Ebner, giudice al Tribunale civile di Roma e consigliere del Cdc dell’ANM, ritiene la vaccinazione degli avvocati una «priorità sociale». I motivi sono 3:
– la Giustizia è uno dei settori più esposti al virus,
– gli avvocati sono una delle categorie che più sta soffrendo la crisi genera dal COVID,
– la funzione dell’avvocato è essenziale ed è legata alla sua persona, pertanto nessun avvocato è sostituibile.   

Da più parti si chiede l’inserimento dell’avvocatura nei piani vaccinali per consentire la ripresa completa dell’attività della Giustizia garantendo la sicurezza dei suoi protagonisti.

PERCHÈ È IMPORTANTE VACCINARE GLI AVVOCATI

Del resto, la Giustizia non è forse un servizio pubblico essenziale (articolo 1 del decreto legislativo 146/ 1990) equiparabile alla sanità, la scuola e le forze armate?  Inoltre, gli avvocati non hanno mai fermato del tutto la loro attività nonostante la pandemia.

Limitare le vaccinazioni ai magistrati e al personale amministrativo significherebbe dunque esporre i frequentatori dei Palazzi di Giustizia a rischi continui per sé e per gli altri.

Ma la somministrazione del vaccino agli avvocati incontra un ostacolo non da poco: la frammentazione territoriale. Le iniziative a macchia di leopardo creano disuguaglianze sia nel trattamento degli avvocati che negli effetti sulla giustizia locale.

LE OPINIONI

Giampaolo Brienza, consigliere nazionale forense, disegna questo quadro: «la situazione che affrontano da un anno a questa parte gli avvocati è di una gravità estrema e merita di essere affrontata con il massimo pragmatismo. La situazione epidemiologica, che non pare fermarsi, sta provocando grandi difficoltà all’intero comparto giustizia. Va detto che il senso di responsabilità degli operatori della Giustizia, a partire dagli avvocati, non ha fermato l’esercizio della funzione giurisdizionale»

Vinicio Nardo, presidente dell’ordine di Milano, aggiunge: «credo che la società debba dare dei criteri di priorità […]. Il problema si crea quando ci sono fughe in avanti e differenze tra regione e regione. Questo crea guerre tra poveri. Il problema del servizio essenziale c’è e se vanno vaccinati e tutelati giudici e cancellieri allora devono esserlo anche gli avvocati».

Antonino Galletti, presidente dell’Ordine di Roma, spiega di aver «scritto anche al ministro della Salute Roberto Speranza sottolineando che è folle l’idea di una campagna vaccinale a macchia di leopardo. Non ha senso che gli avvocati vengano considerati categorie a rischio in una regione e non a rischio in un’altra. Siamo già stati massacrati con linee guida diverse e improvvisate da zona a zona, almeno sulla salute sarebbe necessario uno sforzo per dare un indirizzo unitario»

Antonio Tafuri, presidente dell’Ordine di Napoli, aggiunge che «la giustizia è un “luogo” che si nutre della presenza delle persone e quindi, più di ogni altra attività, non può prescindere dalla vicinanza e dalla condivisione degli spazi. Infatti non è un caso che attualmente circa il 6% degli avvocati sia stato contagiato. Solo con il vaccino potremo ripartire».

[Fonte: “L’appello degli Ordini di tutta Italia: «Vaccinate noi avvocati per evitare la paralisi della Giustizia»”, “Il giudice Ebner: «Gli avvocati “curano” la persona, per questo la loro salute va tutelata»”]

 

Rendi il tuo studio più sicuro, scopri i prodotti Servicematica.

——–

LEGGI ANCHE:

Trattamento dei dati sanitari tra rischi, obblighi e deroghe

Articolo 18 incostituzionale. Vale sempre l’obbligo di reintegra

trattamento dati sanitari servicematica

Trattamento dei dati sanitari tra rischi, obblighi e deroghe

La digitalizzazione dovuta alla pandemia sta mettendo a dura prova le infrastrutture e le procedure legate al trattamento dei dati sanitari.

Non è solo questione di impreparazione tecnica degli operatori, ma anche di maggiori rischi informatici. Durante la seconda metà del 2020 gli attacchi hacker agli ospedali nel mondo sono aumentati del 177% rispetto lo stesso periodo del 2019.

PRIVACY NON SOLO DIGITALE

La privacy in termini di salute però non è limitata solo alla conservazione e alla comunicazione informatica dei dati. Spesso le violazioni riguardano ancora comportamenti “reali”.

Il 27 gennaio corso il Garante della Privacy ha emesso 3 provvedimenti (n. 29, 30 e 36) destinati a 3 strutture sanitarie colpevoli di non aver tutelato a dovere i dati sanitari dei propri pazienti.
Tutte e 3 le strutture hanno comunicato o reso disponibili tali dati a terzi senza l’autorizzazione dei pazienti.
Nello specifico:

  • – hanno permesso la visione di cartelle cliniche da parte di personale non autorizzato,
  • – hanno inviato una relazione medica a un indirizzo sbagliato,
  • – non hanno rispettato la volontà di una paziente che aveva chiesto che il suo stato di salute non fosse comunicato a nessuno, usando il numero telefonico della sua abitazione e interagendo con un parente.

TRATTAMENTI DEI DATI SANITARI E GDPR

Il trattamento dei dati sanitari è tema delicato, in quanto richiederebbe che un paziente indicasse un consenso libero ed esplicito anche per tutto ciò che riguarda le basilari attività di un qualsiasi medico. Ciò bloccherebbe sul nascere qualsiasi tipo di assistenza.
In quest’ottica, il consenso al trattamento dei dati sanitari appare obbligatorio. Altro discoro è, però, l’accesso ai dati da parte di terzi.

Quando si parla di trattamento dei dati personali, il punto di riferimento normativo è il GDPR.

Il Regolamento definisce i dati sanitari come “i dati personali attinenti alla salute fisica o mentale di una persona fisica, compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni relative al suo stato di salute”.

Questi dati fanno parte delle categorie particolari di cui si parla all’art.9, al cui primo paragrafo si legge che:

È vietato trattare dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale, nonché trattare dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona.

Al secondo paragrafo vengono però indicate delle deroghe, tra queste:
– se  l’interessato ha prestato il proprio consenso esplicito al trattamento di tali dati personali per una o più finalità specifiche, salvo nei casi in cui il diritto dell’Unione o degli Stati membri dispone che l’interessato non possa revocare il divieto di cui al paragrafo 1 dell’articolo;

se il trattamento è necessario per finalità di medicina preventiva o di medicina del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali sulla base del diritto dell’Unione o degli Stati membri o conformemente al contratto con un professionista della sanità, fatte salve le condizioni e le garanzie di cui al paragrafo 3 dell’articolo.

COSA DICE IL GARANTE

Sul proprio sito web, il Garante della Privacy indica quali trattamenti in ambito sanitario richiedano il consenso esplicito dell’interessato, sempre secondo l’art.9 del GDPR:

a. trattamenti connessi all’utilizzo di app mediche che raccolgono dati, anche sanitari, per finalità diverse dalla telemedicina, o che permettono l’accesso da part di soggetti diversi dai professionisti sanitari o altri soggetti tenuti al segreto professionale;

b. trattamenti legati alla fidelizzazione della clientela da parte di farmacie attraverso programmi di accumulo punti, al fine di fruire di servizi o prestazioni accessorie, attinenti al settore farmaceutico-sanitario;

c. trattamenti in campo sanitario effettuati da persone giuridiche private per finalità promozionali o commerciali (es. promozioni su programmi di screening, contratto di fornitura di servizi amministrativi, come quelli alberghieri di degenza);

d. trattamenti effettuati da professionisti sanitari per finalità commerciali o elettorali;

e. trattamenti effettuati attraverso il Fascicolo sanitario elettronico (d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 12, comma 5).

PERCHÈ I DATI SANITARI INTERESSANO TANTO

Antonio Mauro, Professore alla University of Northwest U.S.A, spiega che:

«I dati sensibili sono l’obiettivo primario dei cyber criminali, che poi li venderanno per fare profitti. Questi dati però sono anche utili per generare documenti falsi, ma realizzati a partire da informazioni reali. Parliamo di documenti di identità e carte di credito, ma non solo, realizzati a partire dai dati rubati in rete.
Altri obiettivi perseguiti dai cybercriminali sono invece finalizzati al blocco delle attività critiche di una struttura sanitaria. Con l’utilizzo di malware e ransomware, si possono mandare in tilt sistemi di massima rilevanza per il funzionamento di un ospedale compresi gli stessi strumenti utilizzati per diagnosi e interventi chirurgici, fino alla richiesta di un riscatto finale.
Si tratta di criticità informatiche che sono emerse non solo in ambito sanitario, ma in qualsiasi altro settore in cui sia avvenuta la convergenza di innovazione tecnologica, digitalizzazione e impiego dell’internet delle cose».

 

Rendi il tuo studio più sicuro, scopri i prodotti Servicematica.

——–

LEGGI ANCHE:

Articolo 18 incostituzionale. Vale sempre l’obbligo di reintegra

Identità digitale, manca poco allo switch off

 

licenziamento illegittimo articolo 18

Articolo 18 incostituzionale. Vale sempre l’obbligo di reintegra

Un giudice del Tribunale di Ravenna ha posto la questione della costituzionalità dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.

L’articolo, con le modifiche apportate dalla Legge Fornero (legge 92/2012), violerebbe i principi sanciti dagli articoli 3, 24, 41 e 111 della Costituzione.

Secondo il giudice, il licenziamento illegittimo per mancanza di giusta causa e quello per mancanza di giustificato motivo presentano lo stesso livello di gravità, pertanto dovrebbero essere tutelati allo stesso modo. Invece non è così.

La Corte Costituzionale concorda con questa ipotesi, come si evince dal comunicato del 24 febbraio, in attesa che la sentenza venga depositata.

LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO PER GIUSTA CAUSA E GIUSTIFICATO MOTIVO

La Consulta sostiene che l’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori sia incostituzionale, almeno nella parte in cui al giudice viene data la facoltà, e non il dovere, di reintegrare il lavoratore dopo un licenziamento illegittimo.

L’incostituzionalità deriva da una disparità di trattamento tra il licenziamento per giustificato motivo e il licenziamento per giusta causa, se illegittimi, proprio in relazione alla figura del giudice. Nel secondo caso, ha l’obbligo di reintegrare il lavoratore; nel primo, è libero di applicare o meno la misura.

È questa disparità a essere in contrasto con i principi costituzionali.

Con la sua sentenza, la Consulta elimina la discrezionalità del giudice e stabilisce che la reintegra è obbligatoria in tutti i casi in cui l’insussistenza del fatto oggettivo sia accertata.

DIFFERENZE PRIMA E DOPO LA FORNERO

Vale la pena concludere questo articolo con una panoramica più approfondita dell’art. 18 (fonte: Informazione Fiscale).

Prima delle modifiche apportate dalla Legge Fornero, l’articolo 18 indicava un unico regime sanzionatorio nel caso di licenziamento illegittimo da parte di un’azienda con più di 15 dipendenti. Nessuna differenza fra ingiusta causa e ingiusto motivo. Era previsto l’obbligo di reintegra e il risarcimento danni in base ai mesi trascorsi dal licenziamento alla reintegra e non inferiore alle 5 mensilità.

A seguito delle modifiche apportate dalla legge 92/2012 si possono ora individuare 4 tipologie differenti:

  • la tutela reale “forte” con l’obbligo di reintegra e il risarcimento del danno, del tutto simile a quanto previsto dall’articolo nella sua forma originaria (articolo 18, comma 1);
  • la tutela realeattenuata” in caso di licenziamenti disciplinari con insussistenza del fatto, che l’obbligo di reintegra e il risarcimento calcolato sulle mensilità non lavorate fino a un massimo di 12 mensilità (articolo 18, comma 4);
  • la tutela “obbligatoria piena”, con il solo risarcimento danni, tra le 12 e 24 mensilità, per tutti i casi che non ricadono nel giustificato motivo soggettivo o nella giusta causa (articolo 18, comma 4);
  • la tutela “obbligatoria attenuataa discrezione del giudice, che può decidere per la reintegra o il risarcimento in caso di  ingiustificato motivo oggettivo (articolo 18, comma 7).

È proprio questo ultimo comma ad aver sollevato i dubbi di incostituzionalità e ad aver portato alla sentenza della Corte Costituzionale.


Migliora lo smart working con gli strumenti giusti. Scopri i prodotti Servicematica.

——–

LEGGI ANCHE:

Esame di abilitazione forense: prove scritte di aprile a rischio

Iscrizione alla Gestione Separata: conta l’attività non il reddito

esame abilitazione forense covid servicematica

Esame di abilitazione forense: prove scritte di aprile a rischio

Ancora incertezza sulle sorti dell’esame di abilitazione forense 2021. Le sessioni previste per gli scritti in presenza il 13-14-15 aprile rischiano di saltare.

QUALI SONO I RISCHI

Il Comitato Tecnico Scientifico ha infatti suggerito la sospensione delle prove scritte in relazione all’alto rischio di contagio da COVID. Del resto, le prove scritte riguardano 26.000 candidati e possono durare molte ore; due fattori che insieme comportano un’alta probabilità di assembramenti.

I rischi per la salute sono evidenti e le stesse Corti d’Appello avevano già chiesto nei giorni scorsi che le prove scritte dell’esame di abilitazione forense venissero svolte nella massima sicurezza sanitaria.

ESAME DI ABILITAZIONE FORENSE, SOLO ORALE RAFFORZATO

Il nuovo Min. Della Giustizia Cartabia sta pensando a delle valide alternative.

Il Guardasigilli ha particolarmente «a cuore la situazione dei giovani praticanti» e fin dall’inizio del suo mandato ha posto come priorità lo svolgimento in sicurezza dell’esame di quest’anno.

Una delle possibili alternative prevedere la sostituzione delle prove scritte con un esame orale rinforzato.

Come riportato da ‘Il Dubbio’, il nuovo esame di abilitazione forense prevederebbe:

– la formulazione di un quesito,
– l’individuazione di un problema,
– la redazione di un atto,
– la valutazione della capacità di orientamento nella disciplina processuale e nei riferimenti giurisprudenziali.

UNA RIFORMA NON SOLO EMERGENZIALE

Qualsiasi sia la soluzione trovata, l’esame di abilitazione forense 2021 verrà svolto in condizioni e con modalità inedite. Certo, si tratta di una versione emergenziale dell’esame, valida (si spera) solo per quest’anno.

Lo spiega chiaramente Federico Conte, deputato di Liberi e Uguali, e componente della Commissione Giustizia: «l’obiettivo è garantire l’opportunità ai praticanti e al tempo stesso tutelare la salute di tutti, svolgendo prove in sicurezza. Lo chiediamo da tempo, anche con interrogazioni, con le quali avevamo proposto metodi alternativi, più snelli e compatibili con la situazione. È necessario che il sistema sia flessibile ma selettivo».

Ma aggiunge anche che: «va completata una riflessione – già in corso nella Commissione Giustizia – su una riforma radicale dell’esame di abilitazione. Le tre prove scritte del vecchio sistema appaiono superate dai tempi. Bisogna configurare una nuova modalità di valutazione: più moderna e al tempo stesso capace di esaminare in modo completo competenze e preparazioni. Le proposte ci sono, bisogna completare rapidamente la riforma».

 

Il Processo Telematico diventa semplice con Servicematica. Scopri Service1!

——–

LEGGI ANCHE:

Iscrizione alla Gestione Separata: conta l’attività non il reddito

La validità delle testimonianze nel processo tributario

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Acn
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto