nome studio legale

Guida alla scelta del nome dello studio legale

Dare un nome al proprio studio legale sembra un’operazione semplice, ma non lo è. Fino a poco tempo fa il nome dello dell’avvocato diventava automaticamente il nome dello studio. Ma oggi ci sono sempre più avvocati, sempre più nomi.

La scelta del nome, dunque, oltre ad essere frutto di compromessi, deve essere efficace nell’attirare il pubblico. Scegliere di sommare le iniziali dei nomi forse non è il metodo migliore per creare un brand, e non è nemmeno così semplice da ricordare.

Che cos’è il naming

In una strategia di marketing, il naming è un punto assolutamente centrale. È un’attività che consiste nella scelta del nome più adatto ad un prodotto o ad un servizio, dopo un’attenta analisi del mercato e del target di riferimento.

Il naming ha insieme una funzione descrittiva ed evocativa di un servizio. Da un lato deve essere un nome facilmente riconoscibile dal mercato e altrettanto individuabile tra molti, che generi un senso di affetto tra il pubblico. Dall’altro dovrà distinguersi, per non confondersi tra la massa.

Un’efficace attività di naming studia anche la sonorità della parola e la facilità con cui viene pronunciata e memorizzata. Il naming considera i significati e le sfumature che vengono collegati al nome scelto. Un buon nome dovrebbe essere in grado di richiamare dei concetti positivi, idee e valori specifici, contribuendo alla costruzione di una personalità in grado di distinguersi dai competitor.

Di solito si utilizza la tecnica del brainstorming, cercando di trovare delle lettere o dei fonemi che sono in grado di rappresentare e distinguere il prodotto o l’attività. Scegliere il nome fa parte di un processo creativo e strategico, anche se non bisogna trascurare gli aspetti legali che riguardano la tutela della proprietà intellettuale.

Scegliere il nome dello studio legale in modo tradizionale

Il nome di uno studio legale dovrebbe comunicare esperienza, affidabilità e prestigio. Molti avvocati scelgono di utilizzare direttamente il loro nome: “Studio legale Fontana”, oppure “Avvocato Rossi”. È una soluzione tradizionale utilizzata anche da studi legali molto prestigiosi.

Uno studio legale con il proprio nome ha i suoi vantaggi: dà un volto all’attività, trasmette affidabilità e con il tempo, il nome verrà associato all’esperienza e al prestigio dell’avvocato. Tuttavia, i tempi stanno cambiando: ci sono nuove soluzioni da prendere in considerazione nella scelta del nome del proprio studio.

Il target dello studio

Se si vuole dare una sfumatura internazionale allo studio, la scelta della lingua inglese potrebbe essere quella giusta. Scelta che si rivela poco utile, invece, nel caso in cui lo studio resti confinato nel territorio italiano.

Se il target sono grandi aziende, ci si potrebbe affidare alla scritta “& partners” oppure “& soci” – operazione del tutto sconsigliata, se il target dello studio è un cittadino alla ricerca di consulenza e calore umano.

Se uno studio legale si occupa soltanto di diritto di lavoro, non sarà utile chiamarlo con un acronimo che non assume alcun significato per il target. Sarà più appropriato inserire “job”, “law”. In questo modo il pubblico avrà un’idea precisa di che cosa si occupa lo studio. In ogni caso, studi settoriali dovrebbero valutare l’inserimento di parole (o frazioni di parole) che rimandano all’argomento.

Creare il proprio brand

Un tema su cui si dibatte è se sia utile accompagnare o meno il nome dello studio con un logo o con un simbolo, con un brand.

Il brand (così come il marchio) si compone del nome, del lettering (font, colore, dimensione, spaziatura, editing, disposizione) e dell’eventuale simbolo grafico. Giustamente, un brand deve piacere a chi lo commissiona, dato che ci deve convivere.

Ma dobbiamo sempre ricordare che ogni volta in cui ci lanciamo in attività di branding e naming ci troviamo nel mondo della comunicazione e del marketing. Qui, ci sono vere e proprie regole: andare ad istinto potrebbe semplicemente giocare brutti scherzi.

Una buona regola è quella di mettersi nei panni di chi si imbatte nel brand che abbiamo creato. Chiediamoci, dunque, cosa potrà comprendere una persona esterna del simbolo, del nome e della sigla che abbiamo scelto – tenendo anche presente che le persone, al giorno d’oggi, hanno sempre meno voglia e tempo di sforzarsi di comprendere.

Dunque, una scelta che preveda una decodificazione potrebbe essere poco strategica ed efficace. Chiediamoci perché alcuni dei più grandi brand stanno personalizzando i propri prodotti con nomi comuni, che corrispondono agli ipotetici consumatori, facendo anche pubblicità che rasentano la banalità pur di essere perfettamente compresi.

Un giusto mix dovrebbe consistere nel non apparire troppo comuni e banali, ma essere di facile comprensione per chiunque.

Gli elementi da tenere in considerazione nel naming e nel branding

Vediamo quali sono gli elementi da tenere in considerazione nel naming e nel branding:

  • nome/sigla/acronimo;
  • font da utilizzare, tipologia di carattere e dimensione;
  • disposizione del testo;
  • colore;
  • payoff (l’anima del servizio offerto);
  • logo.

A tutto questo dobbiamo aggiungere le seguenti valutazioni, per quanto riguarda la scelta del nome e del brand:

  • l’affinità con il target di riferimento;
  • il valore culturale che racchiude in sé;
  • lo storytelling, la storia che abbiamo da raccontare;
  • il posizionamento per quanto riguarda il valore percepito;
  • far sentire i fruitori parte fondamentale di un’esperienza con specifiche caratteristiche.

Il payoff e il claim

Il payoff è la frase che di solito si mette sotto al nome, che entra a far parte del titolo del brand. La sua funzione principale sta nel piano emotivo. Rappresenta, infatti, il “mood” che il brand vorrebbe trasmettere. Risponde alla domanda “qual è la nostra essenza” oppure “perché lo facciamo”.

Alcuni famosi payoff sono “Think Different” di Apple, “Just do it” di Nike, oppure “Dove c’è Barilla c’è casa” di Barilla. Sono legati al nome, e addirittura spesso lo sostituiscono.

In quanto parte integrante del brand, il payoff non dovrebbe poter essere cambiato facilmente. Dovrebbe, invece, restare sempre abbinato al nome. Questo lo rende differente dal claim, un vero e proprio spot pubblicitario, che ha una durata limitata nel tempo, con l’utilità di far comprendere un determinato messaggio.

Il claim è uno slogan, mentre il playoff completa e rafforza il nome dello studio legale. Il payoff si compone di due, massimo tre parole, mentre il claim potrebbe coincidere con una frase.

Ulteriori considerazioni

Nella scelta del nome devono essere presi in considerazione anche i problemi che potrebbero esserci nella difficoltà di scrittura e pronuncia del nome. Se il nome dello studio legale non è semplice da scrivere, sarà molto difficile anche da rintracciare online.

Inoltre, se la scelta genera attriti con colleghi o soci, sarà opportuno rivolgersi ad una terza parte, che aiuti a risolvere il problema in maniera distaccata e professionale.

——————————–

LEGGI ANCHE:

Cos’è la neurotecnologia e come impatterà nel mondo legale

Il giudice robot è il futuro della giustizia?

Interpello per la nomina dell’Assistente del membro nazionale di Eurojust

Nel sito del Ministero della Giustizia è stato pubblicato l’avviso per l’interpello per la nomina di assistente del membro nazionale distaccato presso l’Eurojust.

Possono presentare la candidatura:

  • magistrati, giudici o pubblici ministeri, che esercitano funzioni giudiziarie, o fuori dal ruolo organico della magistratura, che abbiano conseguito almeno la II valutazione di professionalità;
  • dirigenti dell’Amministrazione della giustizia.

È richiesta un’adeguata conoscenza della lingua inglese, e se possibile anche di un’altra lingua straniera (francese, tedesco e spagnolo).

Le dichiarazioni di disponibilità, corredate di CV, dovranno pervenire al Ministero della Giustizia – Gabinetto del Ministro, entro il 20 settembre 2022. Potrà essere utilizzata soltanto una delle seguenti modalità:

e-mail: protocollo.gabinetto@giustizia.it

PEC: gabinetto.ministro@giustiziacert.it

——————————–

LEGGI ANCHE:

Cos’è la neurotecnologia e come impatterà nel mondo legale

Il giudice robot è il futuro della giustizia?

 

neurotecnologia

Cos’è la neurotecnologia e come impatterà nel mondo legale

Nei prossimi anni, la neurotecnologia avrà un forte impatto sul mondo legale, tale da creare nuove sfide e opportunità. Per ora siamo nel puro campo delle ipotesi, ma potrebbe influenzare significativamente il modo in cui lavorano gli avvocati. Sarà la società a decidere come rispondere alle nuove neurotecnologie che stanno emergendo, affidandosi a professionisti e studi legali.

Cos’è la neurotecnologia e come può essere usata?

La neurotecnologia riassume in sé tutte quelle tecnologie in grado di interagire in maniera diretta con il cervello. Per la precisione, con il sistema nervoso. Queste tecnologie registrano e monitorano l’attività neurale, riuscendo ad influenzarla.

Spesso queste tecnologie vengono impiantate nel cervello, ma possono anche restare all’esterno del corpo, assumendo la forma di cuffie, bracciali e caschi. La neurotecnologia si utilizza per trattare alcune condizioni neurologiche, come il morbo di Parkinson e le demenze in generale. La speranza è che in futuro si utilizzino queste tecnologie per trattare depressione, ansia e disturbi mentali.

Le neurotecnologie non sono necessariamente terapeutiche: si utilizzano anche nei giochi per pc e per monitorare l’attenzione dei lavoratori nei contesti lavorativi. Hanno suscitato grande interesse anche in campo militare, per la creazione di super-soldati potenziati a livello cognitivo.

Perché considerare la neurotecnologia?

In un mondo dove le persone connettono il loro cervello a internet per postare sui social senza compiere alcuna azione corporea, dove controllano i droni o gestiscono la loro epilessia tramite impianti cerebrali, è giunto il momento di chiedersi come impatteranno le neurotecnologie nel mondo del diritto e della professione forense.

Sempre più aziende stanno investendo nel settore delle neurotecnologie. Tuttavia, alcune organizzazioni, come la Neurorights Foundation di New York, sono preoccupate per l’impatto di queste tecnologie a livello di diritti umani. Alcuni paesi stanno già iniziando a intraprendere delle azioni legislative per affrontare le future sfide. Risulta di particolare rilievo la modifica apportata nel 2021 alla Costituzione cilena, avvenuta in risposta alle preoccupazioni sulle neurotecnologie emergenti.

Questioni etiche, sociali, politiche ed economiche

Un grandissimo potenziale delle neurotecnologie è la loro capacità di alleviare la sofferenza causata da particolari condizioni neurologiche o psichiatriche. Tuttavia, le grosse quantità di dati cerebrali accumulate da queste tecnologie fanno storcere il naso a qualcuno, per quanto riguarda la privacy.

I dati raccolti potrebbero permettere alle aziende o ai governi che riescono ad accedervi di influenzare la sfera mentale degli utenti, manipolando i loro comportamenti e le loro scelte.

Nel futuro potrebbe anche nascere una divisione tra le persone neurotecnologicamente potenziate, con maggiori capacità cognitive, e quelle che non lo sono. Alcuni, invece, potrebbero vedere nelle neurotecnologie un metodo per riuscire a superare la concorrenza nel mercato, restando al passo con i vari sistemi di intelligenza artificiale.

Regolamentazione, dottrina e diritti umani

Le neurotecnologie potrebbero generare molte sfide nel mondo del diritto, tra le quali troviamo la protezione dei consumatori. Ci si potrebbe chiedere quali sono le condotte che costituiscono l’atto criminale che porta una persona a ferirne un’altra, controllandola attraverso un drone o direttamente con il pensiero.

Inoltre: i sistemi di giustizia penale dovrebbero monitorare o intervenire sul cervello degli autori del reato, mediante la stessa tecnologica, durante la loro pena? Le attuali protezioni dei diritti umani sono adeguate?

La legge, con il tempo, potrebbe cominciare ad affrontare delle nuove questioni anche per quanto riguarda l’equità e l’integrità academica. Quali tipi di assistenza neurotecnologica sono consentiti per definire i parametri delle valutazioni degli studenti? Alcuni potrebbero beneficiare delle neurotecnologie, ponendosi ad un altro livello rispetto a quelli che non ne hanno la possibilità/volontà?

Questioni del genere forse vanno ben oltre il diritto penale o altri settori del diritto.

Guardando al futuro

Il mondo della legge avrà un ruolo fondamentale nell’affrontare le varie questioni in materia di diritti umani. In particolare, quelle che riguardano la privacy, la sorveglianza, la manipolazione e il comportamento delle persone da parte di coloro che sviluppano e vendono queste tecnologie. Si prenderà in considerazione l’equità nell’accesso alle tecnologie, il livello di sicurezza dei dispositivi e i pregiudizi che potrebbe presentare l’algoritmo.

La riflessione sulle neurotecnologie incoraggia un nuovo stile di pensiero negli studenti, promuovendo lo sviluppo di capacità di pensiero critico. Gli studi legali hanno l’opportunità di formare una nuova base di clienti, e alcuni si contraddistingueranno proprio per la loro specializzazione nelle neurotecnologie.

Non abbiamo ancora dati precisi sulla diffusione delle neurotecnologie, ma quello che sappiamo è che ignorare questo campo potrebbe essere controproducente. Impianti cerebrali e dispositivi indossabili, infatti, potrebbero diventare gli smartphone del futuro, e non possiamo farci trovare impreparati.

——————————–

LEGGI ANCHE:

Il giudice robot è il futuro della giustizia?

Zoom: le conseguenze sul corpo e sulla psiche

giudice robot

Il giudice robot è il futuro della giustizia?

Un giudice robot è infallibile? I computer possono garantire dei provvedimenti equi basandosi soltanto su fattori predeterminanti?

Uno dei temi più controversi della nostra società è l’evoluzione della robotica. I campi dove intelligenza artificiale e tecnologia interagiscono, infatti, stanno aumentando sempre più.

I software in grado di apprendere in maniera autonoma si stanno diffondendo velocemente, cambiando in modo radicale le nostre esistenze e il nostro rapporto con la tecnologia. Tutto questo è stato reso possibile dalla rapida evoluzione degli ultimi anni, che sta cambiando il rapporto uomo-macchina.

Parecchi settori sono stati toccati da questa evoluzione, e di certo il mondo del diritto non è stato escluso.

L’intelligenza artificiale fa risparmiare tempo

L’intelligenza artificiale e l’automatizzazione applicata alle materie giuridiche fanno ormai parte della quotidianità. Non avremmo mai potuto immaginare che l’intelligenza artificiale sostituisse l’essere umano in determinati ambiti.

Molti studi legali, per esempio, utilizzano software capaci di analizzare una grossa mole di informazioni, facendo risparmiare tempo ad avvocati e collaboratori. Questo salto di qualità tecnologica permette a tantissimi professionisti di concentrarsi su altri aspetti, dove l’intervento della persona è fondamentale.

Giudice con il martelletto in mano? No, grazie!

La cinematografia continua a mostrarci l’immagine del giudice con il martelletto in mano – ma la realtà, soprattutto nei tribunali americani, è ben diversa. Negli States esistono da tempo tribunali dove le sentenze vengono affidate a dei giudici robot, software che elaborano le decisioni attraverso algoritmi.

Per emettere un provvedimento, questi programmi si basano su elementi che vengono forniti di volta in volta, utilizzati come premessa logica della sentenza. Dobbiamo comunque tenere presente che nel sistema giuridico americano, che si basa sul diritto positivo, questa innovazione è molto più semplice da sfruttare.

Ma negli altri paesi, compreso il nostro, questa tecnologia potrebbe essere esportata ed utilizzata correttamente?

Giudice robot e diritto difensivo

Uno degli aspetti che permette agli avvocati di fare bene il loro lavoro è quello di riconoscere il corretto processo logico che precede una sentenza.

Spesso, gli algoritmi dei giudici robot sono segreti, per ragioni collegate alla privacy delle aziende produttrici. In alcuni casi questo ha eliminato la possibilità di esercitare il diritto difensivo, poiché non è stato possibile comprendere il percorso logico che ha condotto alla condanna.

Intelligenza artificiale: i timori

Attualmente ci troviamo ancora in una fase di sperimentazione, ma è giusto chiedersi se questa potrebbe essere la strada del futuro.

Ogni cambiamento tecnologico ha in sé rischi e benefici. Quando si parla di sostituire l’uomo con le macchine, le prime reazioni sono sempre determinate da alcuni timori; ma il tema è troppo complesso per farci bloccare dalla paura.

Per capire se i robot potranno darci una mano, analizziamo cosa non funziona nel sistema attuale della giustizia. Alcuni dei limiti attuali sono:

  • tempi eccessivamente lunghi;
  • tribunali intasati da cause civili, dove questioni molto semplici si disperdono tra ritardi “fisiologici”, alimentando un ritardo complessivo all’interno del sistema economico;
  • costi enormi che ricadono sulla collettività, costretta a pagare il doppio;
  • incertezza riguardo la pena finale;
  • poco personale.

La semplificazione dell’elaborazione dei dati

Robot e intelligenza artificiale hanno semplificato enormemente molti processi che sono stati in precedenza affidati esclusivamente all’uomo. Parliamo, in particolar modo, di elaborazione dei dati: è in questo settore che la tecnologia ha manifestato e manifesterà maggiormente i suoi effetti.

Se l’elaborazione di una sentenza venisse delegata soltanto ad un software, quanto tempo potremmo risparmiare? Se liberassimo le cancellerie da tonnellate di cartelle e fascicoli, quanto potrebbe essere più efficace il lavoro della giustizia? Quanto potremmo risparmiare, se al posto di anni bastassero pochi giorni per prendere una decisione?

Le macchine hanno raggiunto un livello di evoluzione tale da riuscire ad analizzare e riconoscere una quantità di dati enorme, che nessun uomo sarebbe materialmente in grado di leggere in così poco tempo.

Il rapporto tra cittadino e giustizia può essere ridotto ad un mero algoritmo?

Ma il vero dubbio che sorge è se il diritto possa essere ridotto a tali semplificazioni: la complessità, quasi ancestrale, del rapporto tra cittadino e giustizia, può ridursi ad un mero algoritmo?

La tecnologia rappresenta certamente un prezioso supporto, ma alcuni aspetti, come l’empatia, la sensibilità e la capacità di lettura critica, non potranno mai essere sostituti da un robot. Questi fattori sono insostituibili sotto molti aspetti. L’applicazione del diritto non è una scienza esatta: è un insieme di regole, conoscenze e interpretazioni della quotidianità.

Nessuna macchina potrà mai sostituire l’intuito e la capacità di lettura del contesto – in particolar modo in ambito penale, dove è in gioco la libertà di una persona.

Abbandoniamo i nostri timori

Chi lavora nel mondo legale dovrà essere in grado di cogliere le varie opportunità che si presenteranno nei prossimi anni. Con il tempo, infatti, le macchine potranno costituire un supporto sempre più grande per la professione legale. La tecnologia applicata al campo del diritto rappresenta un’opportunità economica e professionale, anche se molto dipende dalle capacità personali di un avvocato.

Nessun cliente rinuncerà mai alla fiducia di un legale. Nessuno delegherà mai ad un software o ad una macchina il destino di un’azienda o della libertà personale. Tuttavia, fare in modo che sia proprio il tuo studio quello ad essere scelto, che sia tu l’avvocato di cui fidarsi, dipenderà tutto dalla percezione dei clienti. Dobbiamo essere visti come i migliori nell’affrontare i cambiamenti.

Dunque, abbandoniamo i nostri timori e sfruttiamo le numerose opportunità che la tecnologia potrebbe regalarci!

——————————–

LEGGI ANCHE:

Zoom: le conseguenze sul corpo e sulla psiche

SEO: che cos’è e perché dovresti sfruttarla per il tuo studio legale

 

zoom

Zoom: le conseguenze sul corpo e sulla psiche

Zoom è un prodotto originariamente sviluppato per uso aziendale, ma grazie alla pandemia si è affermato anche nel mercato di massa. Molte aziende si sono rivolte a Zoom per continuare a far funzionare gli uffici e i consumatori hanno utilizzato il software per svariati scopi, dalle comunicazioni familiari alle lezioni di yoga.

Ora, però, dopo il boom iniziale, sta registrando una crescita sempre più lenta, e le azioni sono crollate del 7%. L’utile, che un anno fa contava 316,9 milioni di dollari, ora è sceso a 45,7 milioni. Uno dei motivi è che l’azienda ha deciso di aumentare le spese di marketing: sta cercando di crescere, concentrandosi principalmente su grossi clienti aziendali e sulle attività dei call center.

Ma utilizzare Zoom (o piattaforme simili) potrebbe avere conseguenze sul nostro corpo e sulla nostra psiche?

L’interazione tra apprendimento ed emozioni

Negli ultimi due anni si è discusso molto della didattica a distanza, la cosiddetta DAD: quali potrebbero essere le conseguenze sullo sviluppo, sul benessere psicologico e sull’apprendimento? Chiaramente, molti effetti richiedono del tempo per poter essere rilevati, ma abbiamo già alcuni dati sul benessere psicologico degli studenti.

Dobbiamo tener presente che lo sviluppo di un singolo individuo non può essere separato dal contesto relazionale, ed è basato su una continua interazione tra apprendimento ed emozioni. Dunque, noi impariamo relazionandoci e apprendiamo emozionandoci.

In un contesto relazionale ed emotivo positivo, gli apprendimenti sono decisamente incentivati e molto più profondi. La mente è più propensa ad aprirsi per accogliere nuovi contenuti. Al contrario, in un contesto negativo, i contenuti sono come dei semi che non riescono a germogliare.

Zoom fatigue: nuovi dati

Una recente ricerca, coordinata da Ruth Feldman e Reichman, ha monitorato i livelli di sincronizzazione cerebrale di coppie di madri e figli tramite la tecnica dell’hyperscanning EEG, ovvero una mappatura degli emisferi cerebrali. I risultati hanno evidenziato come l’interazione in presenza riesca ad attivare 9 diversi canali di sincronizzazione. L’interazione a distanza, invece, ne attiva soltanto uno.

Questa scoperta ci dice qualcosa di più sul disagio e sulle conseguenze del ricorso massiccio alle interazioni a distanza, evidenziando l’impatto della comunicazione su Zoom (e su piattaforme simili) sul sistema nervoso centrale. Tutto questo potrebbe spiegare la cosiddetta Zoom fatigue, il malessere sperimentato da ragazzi e adulti dopo aver passato troppo tempo in DAD o nelle interazioni online.

Zoom elimina i segnali non verbali

Gli esseri umani comunicano sempre, anche quando non parlano. Durante una conversazione in presenza, il nostro cervello non si concentra soltanto sulle parole pronunciate, ma presta attenzione anche a tantissimi segnali non verbali.

L’uomo si è evoluto come animale sociale: percepire più segnali è naturale, perché richiede uno sforzo cosciente minimo e getta le basi per la vicinanza emotiva. Una videochiamata potrebbe alterare tutto questo: se una persona viene inquadrata soltanto dalle spalle in su, non sarà possibile notare il gesticolare delle mani o qualsiasi altro segnale del corpo. Alcune persone, poi, sono fortemente dipendenti dai segnali non verbali – dunque, potrebbe rappresentare un’enorme perdita non averli.

Videochiamate di gruppo

La modalità Gallery View, ovvero le schermate con più persone, amplificano tantissimo tutte queste cose. Il cervello si sforza di decodificare tante persone nello stesso tempo, quando nessuna di loro emerge in modo significativo. Secondo gli psicologi, questa è l’attenzione parziale continua: siamo sempre impegnati in attività multiple e non ci concentriamo mai su una in particolare.

Nelle videochiamate di gruppo parla solo una persona alla volta mentre tutti gli altri ascoltano. Ogni partecipante utilizza soltanto un flusso audio, dove sente tutte le altre voci. Le conversazioni parallele, chiaramente, sono impossibili. Se visualizziamo soltanto la persona che parla, non riusciamo a vedere le reazioni degli altri partecipanti, che normalmente vengono percepite attraverso la visione periferica.

Per alcuni, questa divisione prolungata dell’attenzione contribuisce a creare una strana sensazione di sfinimento: il cervello viene bombardato da stimoli e cerca inutilmente di individuare segnali non verbali. Una tradizionale chiamata risulta meno faticosa per il cervello, perché trasmette soltanto una voce.

Zoom e le persone con autismo

Per tutti quelli che hanno difficoltà neurologiche nell’interloquire dal vivo, il passaggio improvviso alle videochiamate è stato un vero toccasana. Le persone con autismo, infatti, si sentono sopraffatte quando più persone parlano.

Quando la pandemia ha costretto intere aziende a lavorare da remoto, le persone con autismo hanno notato con gioia che nelle videochiamate ci sono meno persone che parlano. Inoltre, a distanza si riducono di molto le chiacchere di circostanza prima e dopo i meeting, che nelle persone con autismo causano ansie e tensioni.

Alcuni consigli per evitare la Zoom Fatigue

Le riunioni online, ormai, sono entrate nella nostra quotidianità. Dunque, vediamo insieme alcuni consigli per gestire al meglio lo stress che provocano le videochiamate di lavoro:

  • prepara l’ordine del giorno ed evidenzia l’obiettivo dell’incontro, invitando non più di 7 partecipanti;
  • definisci il tuo ambiente di lavoro, per favorire al meglio la concentrazione ed individuando un’unica postazione dedicata esclusivamente al tuo lavoro. Per ridurre le distrazioni ambientali (che causano la Zoom fatigue) potresti anche mettere il telefono in modalità silenziosa;
  • ti senti a disagio nel vedere continuamente la tua faccia sullo schermo? Disattiva la modalità “self-view” ed evita il “full screen”;
  • distogli per qualche secondo gli occhi dallo schermo. Metti in pratica la tecnica del Triple-Twenty: ogni 20 minuti, fissa per 20 secondi un oggetto a 6 metri di distanza;
  • prendi appunti: fisserai meglio i concetti importanti;
  • pratica esercizio fisico, specialmente quando sai di avere in programma delle video riunioni;
  • alterna le videochiamate con attività diverse, oppure fai delle pause tra un collegamento e l’altro.

——————————–

LEGGI ANCHE:

 

SEO: che cos’è e perché dovresti sfruttarla per il tuo studio legale

Come aumentare il fatturato di uno studio legale?

 

SEO

SEO: che cos’è e perché dovresti sfruttarla per il tuo studio legale

La SEO comprende l’insieme di pratiche e strategie finalizzate ad aumentare la visibilità di un sito web, migliorando la sua posizione all’interno dei motori di ricerca. SEO è un acronimo che sta per Search Engine Optimization, letteralmente “ottimizzazione per i motori di ricerca”. È proprio grazie alla SEO che il tuo sito si posiziona in maniera ottimale su Google attraverso una o più parole chiave di interesse, per arrivare ad una posizione unica e rilevante nel mondo del mercato.

Nel mondo del marketing ti devi differenziare

In rete ti devi differenziare. Soltanto chi si differenzia è in grado di vincere la guerra del marketing. Per cosa vorresti essere ricordato? Su che cosa vorresti concentrarti?

Comprendere per che cosa vorresti essere ricordato fa molta differenza. Devi scegliere cosa tagliar via: non puoi essere ricordato come avvocato civilista, penalista ed esperto in recupero crediti. Il posizionamento è uno e uno soltanto! «Ma faccio anche quello» non deve esistere.

Nel mondo online comunichiamo una determinata cosa ad un determinato pubblico, che ha determinati bisogni e che vede in te la soluzione più adatta per i propri problemi.

Individua un argomento specifico

Risulta molto più semplice posizionare in prima pagina un sito se si parla di un argomento specifico. Se si parla di tanti argomenti, è probabile che il tuo sito non si posizionerà mai (forse potrebbe anche posizionarsi, ma ci vorrà tanta, inutile fatica).

Se individui un argomento specifico, non ci sono storie: saprai di cosa parlare nei prossimi 10 anni! Avrai più possibilità di sviscerare e approfondire l’argomento. Più sei sicuro di te stesso e più mastichi l’argomento, più la tua autostima aumenterà radicalmente. Un avvocato che è esperto in una materia diventa un avvocato esperto, mentre un avvocato esperto in tutte le materie non è esperto in nulla!

Cosa cercano le persone su Google

Se voglio posizionarmi efficacemente nel mondo del mercato e se voglio essere esperto in una determinata materia, dovrò intercettare le possibili ricerche che le persone potrebbero fare su Google. Ma come faccio a sapere che cosa scrivono le persone? Dove trovo queste informazioni?

Ipotizziamo che tu sia un avvocato di Venezia esperto in recupero crediti. Potresti andare a vedere se esistono ricerche del tipo “avvocato recupero crediti”, “come recuperare un credito”, oppure “avvocato recupero crediti Venezia”. In questo modo capirai se esistono persone che scrivono su Google le parole chiave che hai selezionato.

Google Ads

Esiste la possibilità di iscriversi gratuitamente a Google Ads, il programma pubblicitario di Google. Per intenderci, quello che permette di creare annunci online per riuscire a raggiungere gli utenti nel momento in cui manifestano interesse per i servizi e i prodotti che offri.

Google Ads ti permette di capire se esistono effettivamente delle ricerche e il volume delle ricerche mensili per una singola parola chiave. Una volta capito se c’è mercato, potrai iniziare a fare attività SEO, ovvero fare in modo di essere tra i primi risultati su Google.

Il menù del sito

Se hai un sito web, un’ulteriore strategia vincente potrebbe risiedere nell’alberatura, ovvero nel menù del tuo sito.

La maggior parte dei menù che troviamo nei siti degli Avvocati si compone di homepage, chi siamo, servizi, contatti e in qualche caso blog/news. Tuttavia, nella homepage ci dovrebbe essere la tua parola chiave principale, ovvero quella che ha più ricerche ed è in linea con il tuo business. Sei un Avvocato Penalista di Milano? La tua homepage dovrebbe posizionarsi tramite la frase chiave “avvocato penalista Milano”.

L’obiettivo di un sito e del menù è quello di farsi vedere e trovare dai potenziali clienti. La pagina “servizi” potrebbe aiutarti a consolidare il tuo posizionamento, e magari a posizionare anche le parole chiave specifiche. Il blog, invece, è importantissimo per più motivi:

  • ti fai conoscere;
  • crei autorevolezza;
  • generi traffico al sito.

Grazie alla homepage e alle pagine della categoria “servizi” ci posizioniamo con parole chiave più “secche”, mentre con il blog riusciamo a posizionarci con parole chiave “informative”.

La SEO per attrarre potenziali clienti

Ipotizziamo di essere un Avvocato esperto in diritto alimentare. Puoi ottimizzare la tua homepage con “avvocato esperto in diritto alimentare”. Chi cerca queste parole chiave, infatti, sa già di aver bisogno di un avvocato.

Ma nel caso dei potenziali clienti, quelli che ancora non sanno di aver bisogno di un avvocato, entrano in gioco le parole chiave, quelle di tipo “informativo”. Sei tu che devi far capire al potenziale cliente che potrà risolvere il suo problema soltanto se si farà aiutare da un avvocato – da te. In questo caso, frasi e parole chiave di tipo informativo potrebbero essere “come difendersi dalle frodi alimentari”, oppure “normativa sulle frodi alimentari”.

Un potenziale cliente potrebbe digitare su Google “normativa sulle frodi alimentari” e trovare un articolo di blog, il tuo blog, che spiega molto bene l’argomento. Il potenziale cliente capisce di aver bisogno di te: quindi ti chiama, fissate un appuntamento, e diventa ufficialmente un tuo cliente! Se un Avvocato utilizza bene la SEO, i risultati arriveranno sicuramente.

Strategie SEO: la Link building

La terza e ultima strategia è la link building, ovvero una tecnica SEO che mira ad incrementare il numero ma soprattutto la qualità dei link in ingresso. Bisognerà produrre contenuti di alto livello per far sì che i siti ci “linkino”. Google interpreterà questi dati come segnali di autorevolezza, e il nostro sito crescerà in termini di popolarità.

Ma come fa Google a capire se meriti la prima o la decima pagina? Google si basa su diversi fattori, i cosiddetti “fattori di ranking”, ovvero elementi che influenzano il posizionamento di un sito web nei risultati dei motori di ricerca. Un fattore di ranking incide per circa il 35% sul posizionamento del tuo sito.

L’autorevolezza va costruita nel tempo

Dato che la SEO è un’attività di marketing a tutti gli effetti, per vedere dei risultati sarà necessario rimboccarsi le maniche e lavorare in modo continuativo. Il marketing è lavoro: non si può mollare dopo un mese, bisogna persistere con determinazione. I primi risultati della SEO, infatti, non si vedono subito, ma dopo mesi.

La link building implica autorevolezza, e per questo motivo va costruita nel tempo. Quello che dovrai fare sarà prima di tutto individuare dei siti ospitanti, che abbiano un’autorevolezza interessante. Questi siti dovranno, ovviamente, essere in linea con il tuo settore.

Tuttavia, la link building gratuita, soprattutto all’inizio, non esiste. Il budget consigliato per fare una buona link building dovrebbe girare intorno ai 150/200 € al mese.

Come misurare l’autorevolezza di un sito

Ma come si misura l’autorevolezza di un sito? Puoi scaricare l’estensione Moz su Google Chrome, che misura due valori: la DA (Domain Authority) e la PA (Page Authority). A noi interessa la DA, che dovrà essere di almeno 2.

Un valore inferiore potrebbe rappresentare un problema, poiché ti sta linkando un sito con una bassa autorevolezza. Se il sito che ti linka non ha autorevolezza, gira alla larga: stai perdendo tempo e soldi.

La SEO è di sicuro un’arma molto potente che gli avvocati italiani ancora non sfruttano abbastanza. Ma andando oltre la SEO, la cosa più importante resta sempre quella di creare dei contenuti di valore, utili per le persone. Non devi scrivere per Google, ma per le persone. Tutto il resto è una conseguenza.

——————————–

LEGGI ANCHE:

Come aumentare il fatturato di uno studio legale?

LinkedIn è il social perfetto per un avvocato

 

Come aumentare il fatturato di uno studio legale?

In qualsiasi lavoro – dunque, anche in quello dell’avvocato – risulta necessario fissare obiettivi per riuscire a progredire nel futuro. La carriera legale non è tutta rose e fiori, e riuscire a ritagliarsi un piccolo spazio nella platea della concorrenza potrebbe essere più difficile di quanto si pensa.

Possiamo paragonare un avvocato senza obiettivi ad una persona senza sogni: nessuno rinuncerebbe mai ai propri desideri, anche se sono difficilissimi da realizzare. Gli obiettivi di un avvocato non mirano soltanto ad uno stipendio alto o all’essere il migliore di tutti. Ogni persona, infatti, ha delle aspettative differenti, legate alla propria attività e al proprio futuro. Una cosa, però, è certa: senza obiettivi, il fatturato non cresce.

Anche gli avvocati sono umani

In molti immaginano l’avvocato come un professionista ben vestito, con una bella famiglia, una casa ben arredata e con uno stile di vita agiato. Questa immagine è spesso dovuta all’immaginario creato dal mondo del cinema e dalle fiction, dove gli avvocati sono persone spietate e avide di denaro.

Per molte persone è difficile immaginare l’avvocato come un essere umano, dotato di fragilità e aspettative. Ma, sorpresa: l’avvocato, ancor prima di essere un legale, è una persona con sentimenti e aspirazioni!

Gli obiettivi dell’avvocato

Per molti, l’unico obiettivo è quello di diventare qualcuno. Altri, invece, vorrebbero essere contraddistinti per la professionalità e l’impegno con cui svolgono il loro mestiere. Alcuni professionisti hanno il desiderio di aprire uno studio in autonomia; altri, vorrebbero lanciarsi in attività trasversali, in modo tale da dare maggior vivacità al proprio lavoro.

Insomma, ogni avvocato è diverso dall’altro, ognuno con speranze e obiettivi diversi.

Generalmente, gli obiettivi di un avvocato variano a seconda dell’età. Se all’inizio il desiderio è quello di lavorare in uno studio professionale rinomato, man mano che passa il tempo i traguardi diverranno più concreti, specifici, e mireranno alla solidificazione del lavoro svolto in precedenza.

Gli obiettivi di un avvocato, generalmente, potrebbero essere:

  • aprire uno studio legale autonomamente;
  • creare una propria identità, al fine di fidelizzare i clienti attraverso la professionalità e la serietà;
  • aumentare i servizi offerti;
  • comunicare al meglio nel mondo online;
  • fondare una società che si avvale di professionisti di diverso genere, facendosi aiutare da figure esterne, come tecnici, ingegneri, geometri e architetti, per rispondere al meglio alle richieste dei propri clienti.

Gli obiettivi nel breve periodo, che servono per garantire dei risultati meno imprevedibili e certi rispetto a quelli di lunga durata, potrebbero essere:

  • necessità di ottimizzare l’attività professionale;
  • creazione di uno studio legale efficiente ed efficace;
  • avvalersi di collaboratori che realizzino gli obiettivi di efficacia ed efficienza nel più breve tempo possibile.

L’avvocato, dunque, deve ragionare come se fosse un imprenditore, facendo sì che la sua attività sia unica ed esclusiva rispetto alla concorrenza. L’imprenditore, però, può utilizzare strumenti di cui un avvocato non può usufruire. Per questo motivo, la sfida diventa sempre più difficile: se esistono regole ferree, alcune regolate dal codice deontologico, com’è possibile aumentare il proprio fatturato?

Obiettivi nel medio e nel lungo periodo

Se un avvocato ha intenzione di rivalutare la propria attività, in genere fissa una serie di obiettivi che possiamo distinguere in due macro categorie:

  • obiettivi nel breve periodo;
  • obiettivi di medio e lungo termine.

Questa distinzione risulta fondamentale per poter capire quale tattica o strategia adottare per raggiungere gli obiettivi prefissati. Siamo nel mondo dell’economia aziendale: gli obiettivi di breve periodo devono essere raggiunti in un lasso di tempo che non va oltre l’anno (al massimo due anni). Gli obiettivi di medio termine, generalmente vengono impostati nei 5 anni successivi, mentre quelli nel lungo periodo si protrarranno nei 10 anni successivi.

Strategie e tattiche

C’è differenza tra strategia e tattica: la prima riguarda una pianificazione globale, mentre la seconda riguarda una programmazione più dettagliata.

Nel lungo periodo, gli obiettivi riguarderanno l’evoluzione della propria attività legale. Invece, gli obiettivi del medio e del breve periodo riguarderanno l’impostazione di lavoro, dunque, la strada che il professionista avrà intenzione di percorrere per riuscire ad arrivare all’obiettivo del lungo periodo.

La pianificazione fa riferimento a tutto quello che si vorrebbe realizzare nei dieci anni successivi. La programmazione, invece, si focalizza su tutti gli step che porteranno all’obiettivo finale.

L’obiettivo di Sara

Ma facciamo degli esempi. Sara è un giovane avvocato che ha il desiderio di aprire uno studio legale nei prossimi dieci anni. Per raggiungere questo traguardo sarà necessario studiare una strategia che permette di costruire la strada migliore per raggiungere i propri obiettivi.

Sara fisserà degli obiettivi nel medio periodo, come, per esempio, la creazione di un portafoglio clienti con una garanzia economica che permette di mettersi in proprio. Dunque, Sara cercherà di fidelizzare i clienti, che forniranno feedback per attrarre altri potenziali clienti.

Altro esempio: un importante studio legale vorrebbe ampliare la propria clientela, diventando un punto di riferimento anche per soggetti esterni. L’obiettivo nel lungo periodo, in questo caso, sarà quello di creare e rafforzare il proprio brand nei 10 anni successivi.

Per far sì che ciò accada bisogna fissare un traguardo nel medio termine: per esempio, implementare la propria visibilità nei motori di ricerca online. Sarà necessario, come obiettivo nel breve periodo, individuare talenti esperti nel blogging e nel linguaggio SEO.

L’avvocato non può fare l’imprenditore

Se un imprenditore che segue i principi economici si pone come obiettivo la fidelizzazione dei clienti attraverso una buona strategia di marketing, il risultato dovrebbe essere l’incremento dei profitti da reinvestire nell’azienda.

Per aumentare i guadagni, però, si dovranno valutare alcuni elementi. L’imprenditore comincerà a tagliare i costi superflui, tentando di minimizzare le spese. Il prezzo di vendita sarà concorrenziale soltanto se il prodotto, a parità di qualità, costerà meno degli altri.

Ma un avvocato non può ragionare in questi termini: lo impedisce il codice deontologico forense. La pubblicità, per un avvocato, deve prendere la forma dell’informazione. Non è ammesso, dunque, fare alcuna comparazione con i propri colleghi. I servizi offerti dal legale, come se non bastasse, sono disciplinati dalla legge. Sarà molto difficile, dunque, fornire un servizio giuridico conforme ad un prezzo coerente rispetto a quanto dice la normativa.

Gli obiettivi di un imprenditore sono finalizzati al profitto. L’avvocato dovrebbe pensare al fatturato in maniera indiretta, aggirando (legalmente) i paletti imposti dalla legge. Il codice deontologico non vieta di puntare tutto sulla brand identity o di fidelizzare i clienti con servizi migliori rispetto alla concorrenza.

Chiaramente, sarà più difficile imporsi al pubblico rispetto ad un imprenditore. Tuttavia, la creazione di una reputazione professionale e seria è un ottimo passo.

Puntare tutto sui propri obiettivi

Se un avvocato rinunciasse ai propri obiettivi, probabilmente incapperebbe in una routine monotona, dove al mattino ci sono le sedute in tribunale e al pomeriggio le attività d’ufficio. La differenza tra la libera professione e il lavoro dipendente è che il professionista potrà investire tutto su sé stesso.

Il dipendente punta all’avanzamento di carriera, ma lo stipendio di solito resta uguale, mese dopo mese. Inoltre, gli obiettivi saranno equivalenti agli accordi che sono stati presi con l’azienda.

Quelli del professionista, invece, riguardano il modo in cui si potrebbe guadagnare di più. Un avvocato senza obiettivi, dunque, non aumenterà mai il suo fatturato.

Obiettivi e fatturato sono concetti che sono strettamente connessi tra loro: l’uno dipende dall’altro, tant’è che la mancanza di uno determina il fallimento dell’altro. Senza obiettivi e senza una giusta strategia per raggiungerli, il fatturato non esiste!

Alcuni consigli

Non importa se sei esperto o se sei alle prime armi: non puoi rinunciare ai tuoi obiettivi, poiché ne risentirebbe il tuo profitto. Qualsiasi sia il traguardo che hai prefissato, ricorda che il raggiungimento sarà possibile soltanto se la strada da percorrere è stata pianificata alla perfezione.

Per riuscire a comprendere quali saranno gli obiettivi migliori, quelli maggiormente consoni alle tue abilità, immaginati tra dieci anni: dove ti trovi? Quanto guadagni? Come vedi il tuo lavoro nel futuro?

Quando avrai delineato il tuo traguardo nel lungo periodo, dovrai cercare di capire quali sono le strategie da seguire per riuscire ad ottenere i risultati. Parliamo di strategie, perché ti stai focalizzando su qualcosa che avverrà nel futuro.

La strategia che seguirai sarà impostata con degli obiettivi nel medio periodo, per riuscire a capire quali sono le decisioni da intraprendere durante il tuo percorso. Fissa delle date in cui ti fermi per analizzare i vari risultati raggiunti. Soltanto così potrai modificare il tuo piano in base ai dati raccolti.

Dopo aver identificato degli obiettivi nel medio periodo, cerca di capire quali saranno i traguardi da raggiungere nel breve termine, magari nel giro di un anno. Troppo? Allora riduci questo periodo al semestre, o al trimestre. Serviti dell’aiuto di un quaderno dove annotare i successi e gli insuccessi.

Potresti anche trasformare i vari risultati identificando i successi con il segno + e gli insuccessi con il segno -. In questo modo riuscirai a fare meglio il resoconto delle varie tappe intraprese, come se stessi eseguendo un’equazione.

Se trovi più risultati negativi rispetto a quelli positivi, fermati un attimo per cercare di capire che cosa stai sbagliando e come potresti migliorare. Ricorda: l’analisi e la ponderazione sono elementi fondamentali per riuscire a incrementare il fatturato.

——————————–

LEGGI ANCHE:

LinkedIn è il social perfetto per un avvocato

Fa più paura l’avvocato digitale gratuito o Alexa?

 

 

LinkedIn è il social perfetto per un avvocato

Tra i vari social media adatti ai professionisti, il primo posto va sicuramente a LinkedIn. Usare in maniera consapevole questo social è molto importante per migliorare la propria comunicazione online.

LinkedIn è una delle reti professionali più grandi al mondo. Lanciata nel 2003, attualmente in Italia conta 16 milioni di iscritti e 850 milioni in tutto il mondo. Al contrario di quello che si pensa, non è soltanto un luogo dove cercare lavoro, ma un posto che mette in contatto tantissimi professionisti.

Ogni settimana 50 milioni di persone utilizzano LinkedIn per cercare lavoro. Negli ultimi anni, la piattaforma ha introdotto servizi e strumenti aggiuntivi, come Premium Career, LinkedIn Recruiter e LinkedIn Sales Navigator.

LinkedIn è un investimento che ripaga

Il social preferito dagli italiani è ancora Facebook. Ma LinkedIn è il canale più adatto per collegarsi con potenziali clienti, colleghi, affini e concorrenti. LinkedIn gode di un’ottima reputazione tra gli avvocati, che mostrano ancora parecchia diffidenza verso gli altri social.

Circa il 50% degli avvocati è presente su LinkedIn con una pagina professionale. Il 22%, invece, utilizza soltanto il profilo personale. Il 28% degli avvocati non è ancora presente su LinkedIn: è un dato sorprendente, se consideriamo che la maggior parte dei potenziali clienti ricerca il nome dell’avvocato online – e i contenuti di LinkedIn spesso sono tra i primi risultati.

Se si considera che stiamo parlando di visibilità a costo zero, utilizzare LinkedIn in modo appropriato è un vero e proprio investimento per gli avvocati e per gli studi legali. È un investimento che ripaga, e che consente di essere presente proprio dove ci sono moltissimi concorrenti.

Un social media non vale l’altro

LinkedIn costituisce un primo passo verso la comunicazione online di uno studio legale. Ricordiamo che un social media non vale l’altro! Per riuscire ad utilizzare al meglio questi canali dobbiamo prendere in considerazione le peculiarità di ogni social.

Dobbiamo conoscere bene le regole e le potenzialità che ci forniscono gli algoritmi e che caratterizzano il canale di comunicazione digitale che intendiamo sfruttare. In primo luogo, dobbiamo essere costanti nella condivisione dei vari contenuti, ma dobbiamo anche partecipare attivamente nelle discussioni e coltivare le nostre reti professionali. Quello che faremmo nella vita reale, insomma.

I primi passi da compiere su LinkedIn

Innanzitutto, i primi passi da compiere su LinkedIn per sfruttare al meglio le sue potenzialità sono:

  • invitare i contatti professionali a connettersi alla propria rete. Questo tipo di relazioni sono espressione della reputazione di un professionista, e questo vale in particolar modo online;
  • personalizzare i vari inviti: per esempio, basterà ricordare alla persona alla quale si scrive in quale occasione ci si è conosciuti;
  • personalizzare l’URL della pagina, con il nome del professionista e/o dello studio legale;
  • registrarsi ai gruppi di settore, per ricevere aggiornamenti e partecipare alle discussioni;
  • aggiornare periodicamente il profilo, mettendo in risalto le competenze;
  • segnalare eventi utili;
  • mettersi in contatto con i professionisti del settore;
  • creare contenuti d’impatto;
  • condividere feedback.

Tutte queste attività richiedono impegno e tempo. Ma vanno viste in ottica di investimento, al fine di migliorare le relazioni sociali e la propria comunicazione in ambito professionale.

Gli errori più comuni secondo uno studio di Passport-Photo Online

LinkedIn Recruiter rappresenta un’opportunità per tutte quelle aziende che desiderano intercettare talenti. Ma questa operazione potrebbe non essere così semplice come sembra. Ci sono, infatti, degli «errori fatali» che commettono i datori di lavoro mentre cercano di entrare in contatto con dei candidati.

Secondo questo studio, la maggior parte dei lavoratori ha un parere positivo nei confronti dei datori che li contattano direttamente su LinkedIn. Ma contattare il lavoratore non è sufficiente per riuscire a raggiungere i propri obiettivi. Inviare un messaggio troppo generico, con troppe parole chiave, termini specifici ed errori grammaticali sono tra le principali cause di fallimento.

Più della metà degli intervistati presta attenzione anche alla scarsa presenza dell’azienda sulla piattaforma, poiché non riescono e reperire informazioni su servizi, prodotti e recensioni.

Il ghosting nel mondo del lavoro

Il problema del ghosting nel mondo del lavoro non deve essere sottovalutato.

Inizialmente, il termine veniva utilizzato nel mondo delle relazioni amorose, per descrivere quelle persone che spariscono, interrompendo all’improvviso qualsiasi comunicazione. Persone che, quindi, scompaiono come un fantasma! Non rispondono ai messaggi, alle telefonate e non forniscono alcuna spiegazione.

Questo fenomeno sta colpendo anche il mondo del lavoro, sia dalla parte dei datori che da quella dei dipendenti. Indeed ha condotto uno studio su questo fenomeno, e ha visto che è aumentato molto dopo l’emergenza Covid.

Le ragioni che spingono a fare ghosting da parte del candidato sono diverse: potrebbe aver ricevuto un’altra offerta, oppure essere insoddisfatto per lo stipendio. Ma anche gli stessi candidati sono vittime di ghosting: il 77% delle persone che cerca lavoro ha subito ghosting da parte del datore di lavoro.

Alcune regole per attirare un candidato

Per attirare un candidato, l’annuncio di lavoro dovrebbe seguire alcune regole. Un lavoratore spende circa 50 secondi prima di passare all’annuncio successivo. La descrizione, dunque, dovrebbe essere chiara e concisa.

Secondo i partecipanti, alcune informazioni non possono essere omesse, come:

  • nome della professione;
  • descrizione del lavoro;
  • luogo di lavoro;
  • tipo di impiego (smart working o in presenza);
  • benefit;
  • compiti principali;
  • competenze richieste;
  • competenze aggiuntive;
  • cultura organizzativa;
  • procedura di candidatura dettagliata.

Inoltre è molto importante includere nell’annuncio la fascia salariale. La pratica, però, non sembra essere molto comune. Secondo SHRM soltanto il 12% degli annunci di lavoro include delle informazioni sullo stipendio. Se presente, lo stipendio contribuisce ad una maggior trasparenza, permettendo al candidato di capire subito se l’opportunità rispetta le sue aspettative.

Procedure fastidiose

Alle volte si chiede ai candidati di compilare un modulo di domanda separato, dove inserire alcune informazioni inerenti all’istruzione e alle esperienze lavorative precedenti. Gran parte delle persone trova la prassi fastidiosa, e tantissimi abbandonano la procedura per la candidatura perché la compilazione risulta eccessivamente lunga e complicata.

Nemmeno le attività pre-colloquio sono apprezzate dai candidati. Anche se potrebbero essere procedure determinanti nel processo di selezione, perché permettono al datore di avere un’idea chiara sull’esperienza e sulle competenze del candidato.

Davide Caiazzo: da avvocato a imprenditore

Davide Caiazzo ha più di 100.000 followers su LinkedIn, ed è la voce under 40 più ascoltata in Italia. Caiazzo nasce come avvocato, e quando diventa Responsabile Affari Legali di Colgate-Palmolive è addirittura under 30. Poi decide di cambiare strada, diventando imprenditore grazie alle sue competenze legali e alla passione per la tecnologia. Dal 2009 al 2022 ha lanciato ben 7 start-up.

Grazie alle competenze che ha acquisito sul campo, Davide è un esperto di personal branding e di crescita su LinkedIn. Che dite, ascoltiamo i suoi consigli?

I suoi consigli

Prima usavamo Google per conoscere qualcuno, ma ora andiamo su LinkedIn per conoscere un professionista. Ecco perché è importantissimo essere presenti sulla piattaforma (in modo non banale).

Se scrivo che sono un generico Avvocato, non avrò molte possibilità di trovare clienti. Se invece scrivessi Avvocato, giuslavorista per le multinazionali del settore lusso andrei a colpire direttamente il mio target.

Su LinkedIn bisogna fare personal branding: bisogna raccontarsi, entrare nell’inconscio delle persone. Bisogna riuscire a collegare quello che facciamo alla nostra storia personale. Raccontiamo chi siamo e le persone ricorderanno chi siamo!

Possiamo sfruttare, per esempio, l’immagine di copertina per far capire quello che facciamo. Ricorda che hai 2 secondi per catturare l’attenzione di qualcuno. Davide, sulla sua immagine di copertina ha scritto: «Ti faccio emergere su LinkedIn».

LinkedIn è sicuramente uno strumento molto potente, che mette in contatto domanda e offerta. Secondo le statistiche, ogni minuto vengono assunti 6 candidati grazie a LinkedIn. Questi sono numeri che fanno capire le potenzialità di un “semplice” social. Sfruttiamolo!

——————————–

LEGGI ANCHE:

Fa più paura l’avvocato digitale gratuito o Alexa?

Il “raptus omicida” esiste veramente?

Fa più paura l’avvocato digitale gratuito o Alexa?

Risale a pochi giorni fa l’annuncio della collaborazione tra La legge per Tutti, ovvero «il portale di diritto che parla il linguaggio del cittadino» e Amazon. Il sito di Angelo Greco, infatti, ha detto di aver completato «un progetto a cui ha lavorato per diversi anni: la nascita di un avvocato digitale gratuito».

Leggiamo nel sito: «chiunque abbia un dispositivo come Amazon Echo (Alexa) o Google Assistant potrà ottenere informazioni sul mondo della legge e della giurisprudenza: notizie, informazioni, consulti e curiosità in formato vocale, in qualsiasi momento della giornata. […] Il vostro assistente vocale vi riassumerà la risposta già presente sul portale laleggepertutti.it, offrendovi una versione ancora più Smart del nostro format».

Il parere del presidente dell’Aiga

Ma secondo il presidente dell’Aiga, Francesco Paolo Perchinunno, questa collaborazione rappresenta l’ennesimo attacco alla dignità della categoria forense. «Amazon mette in vendita, anzi svende, la professione legale».

Continua: «Questa notizia è l’ennesima conferma di quanto sia urgente fermare questo scempio. Così si mette a rischio la tutela dei cittadini che faranno affidamento su pareri di garanzia. […] La tecnologia deve essere un ausilio ai professionisti, ma non potrà mai sostituirsi all’avvocato».

L’avvocato digitale gratuito

L’avvocato digitale punta tutto sulla gratuità del servizio. Chi vuole, infatti, potrà ricevere la sua consulenza legale senza sborsare un centesimo e senza la fatica di ricercare articoli su internet. Inoltre, il linguaggio adottato sarà accessibile e comprensibile per tutti.

La paura condivisa è che l’avvocato digitale potrebbe essere considerato un alter ego dell’avvocato in carne ed ossa. Noi sappiamo molto bene che per una consulenza seria bisognerà sempre affidarsi ad un legale di fiducia. E sicuramente lo saprà anche la maggior parte dei cittadini!

La tecnologia non sostituirà mai l’avvocato

La tecnologia è senza dubbio un ausilio per tutti. Ma non si trasformerà mai nella figura dell’avvocato!

Per Carla Secchieri, consigliera del CNF e vicepresidente del Comitato IT del CCBE, il principio è simile a quello dell’Avvocato nel cassetto, che in molti hanno tenuto in casa – così come hanno fatto con il Medico nel cassetto.

Dunque, secondo Secchieri dire che tutto questo rappresenta una rivoluzione che porta alla nascita dell’avvocato digitale è assolutamente eccessivo! Il vero rischio è che le risposte fornite non siano corrette e che i cittadini facciano affidamento su informazioni non pertinenti al caso.

La funzione legale non è soltanto l’applicazione della norma giuridica. L’avvocato è molto di più!

Alexa è una minaccia per la privacy?

Chiediamoci invece che cos’è Alexa, e se dovremmo fidarci a tenere in casa dispositivi che supportano questo servizio.

Alexa è un’intelligenza artificiale, che può essere utilizzata come assistente personale. È possibile comunicare con Alexa attraverso comandi vocali, che avvengono tramite gli smart speaker Amazon, ma anche con computer, tablet o smartphone.

Con Alexa puoi gestire la giornata: imposti la sveglia, controlli il meteo e il traffico. Se hai dei dubbi, puoi formulare una domanda e l’intelligenza artificiale, basandosi sulle informazioni che trova su Internet, ti risponderà.

Per eseguire i comandi vocali che le vengono impartiti, Alexa ha un microfono sempre attivo, e per questo potrebbe potenzialmente ascoltare tutto quello che avviene nella nostra casa. Inoltre, Alexa registra la nostra voce, inviandola ai server che elaborano le richieste in tempo reale.

Sono molte le funzioni di Alexa, ma la domanda principale che la gente si pone pensando al dispositivo è: Alexa è una minaccia per la privacy?

La parola di attivazione

Il microfono di Alexa è sempre acceso, anche se la registrazione inizia soltanto quando sente la parola di attivazione, come Alexa, Echo o Amazon. Per capire se stiamo pronunciando la parola di attivazione, Alexa non ascolta direttamente le nostre conversazioni. Semplicemente riconosce il comando attraverso gli impulsi sonori che corrispondono alla parola di attivazione.

Gli impulsi sonori che vengono trasmessi al cloud di Amazon, sostanzialmente sono soltanto quelli che seguono la parola di attivazione. Senza quest’ultima, l’intelligenza artificiale non ascolta o registra nulla. Inoltre, esiste anche la possibilità di cancellare le registrazioni inviate al server: «Alexa, cancella quello che ho appena detto».

Quindi l’utente dovrebbe avere il pieno controllo delle informazioni. Ma la funzione “elimina” non è mai veramente “elimina”. Questo è quello che sostiene Theresa Payton, ex capo delle informazioni della Casa Bianca e fondatrice di Fortalice, una società di sicurezza informatica. «Eliminare significa semplicemente che non puoi più vederlo».

Evitiamo di tenere gli assistenti vocali in camera da letto

Hannah Fry, una matematica del London College, ha invitato a prestare molta attenzione quando facciamo entrare in casa dispositivi dotati di microfono: non è scontato che si spengano quando glielo diciamo! Ma soprattutto, è bene non tenere gli assistenti vocali in camera da letto o in luoghi dove non vogliamo essere sentiti.

Hannah Fry studia da molto tempo temi legati alla privacy e alle moderne tecnologie digitali. «Penso che ci siano degli spazi nelle case, come la camera da letto e il bagno, che debbano continuare a restare totalmente privati. Queste tecnologie di assistenza vocale sono attivate da una parola, ad esempio “Alexa”, ma continuano a registrare per un certo periodo dopo che è terminata la conversazione. La gente ormai lo accetta, ma dovremmo pensare con più attenzione a quello che significa per noi».

Oltre ad Amazon, anche l’assistente di Google e quello di Apple sono stati accusati di ascoltare senza consenso nelle case delle persone. La giustificazione fornita è sempre la stessa: le conversazioni registrate servono ai dispositivi per riuscire a migliorarsi, con un processo di autoapprendimento che utilizza l’esperienza come fonte principale di conoscenza.

Geoffrey A. Fouler, esperto di tecnologia che scrive per il Washington Post, ha detto che con questi dispositivi dobbiamo comportarci come in Downton Abbey. I nobili si facevano aiutare dai servitori, che imparavano molto dai loro comportamenti e dalle loro abitudini. Ma il Conte Crawley e Lady Violet stavano parecchio attenti a cosa i servitori potevano sentire o vedere.

Alcune semplici regole per difendere la nostra libertà

La tecnologia ci offre moltissimi vantaggi, ma la nostra libertà e i nostri diritti sono principi per i quali dobbiamo sempre lottare e avere consapevolezza. Ecco alcune semplici regole da seguire:

  • leggere sempre bene la Privacy Policy o l’informativa sulla Privacy per capire come saranno trattati i nostri dati personali. Attraverso la valutazione di questo aspetto, possiamo confrontare i vari prodotti e scegliere quello che secondo noi offre più garanzie per la nostra privacy;
  • preferire dispositivi che non restano sempre accesi oppure che possono essere accesi attraverso un comando vocale (un aspetto che però è ancora critico);
  • proteggere casa, ufficio e rete internet con misure di sicurezza che riducono il rischio di intrusioni informatiche. A tal proposito, puoi dare un’occhiata ai nostri prodotti cliccando qui;
  • utilizzare in modo consapevole questi dispositivi, informando tutti i membri della famiglia cosa significa sfruttare questa tecnologia;
  • informarsi, tramite internet o rivolgendosi ad associazioni che tutelano consumatori e professionisti.

——————————–

Il blogpost del developer è stato modificato. Riportiamo in seguito la comunicazione:

*Con riferimento all’articolo pubblicato in data 1 agosto 2022 dal titolo “Nasce il primo avvocato digitale gratuito” informiamo che, a seguito di una richiesta di precisazioni del contenuto dell’articolo pervenuta da Amazon, la creazione della skill è stata implementata dalla società laleggepertutti in autonomia sulla parte di caratteristiche e contenuti, utilizzando il supporto tecnico offerto da Amazon a tutti gli sviluppatori di skill solo per la parte dei training e documentazione tecnica di implementazione e funzionamento nei dispositivi. La skill, come anche scritto nell’articolo, non può sostituirsi ad un avvocato, trattandosi di un semplice strumento che, benché sfrutti complesse tecnologie, fornisce a richiesta vocale dell’utente risposte con notizie e chiarimenti in materia legale e fiscale ricercando all’interno del database di articoli già presenti sul portale laleggepertutti.it”.

——————————–

LEGGI ANCHE:

Il “raptus omicida” esiste veramente?

Firma digitale: perché è così sicura?

raptus omicida

Il “raptus omicida” esiste veramente?

Follia non è sinonimo di efferatezza. Quando parliamo di raptus omicida, non stiamo dicendo che un malato è una persona malvagia o che una persona malvagia è malata.

Spesso i media ci raccontano di delitti particolarmente efferati, ai quali non riusciamo a dare nessuna spiegazione. Sembrano dei delitti incomprensibili, che associamo inevitabilmente alla pazzia, alla follia. A tutti quegli stati mentali che si discostano dalla normalità.

Passare dalla tranquillità ad un brutale omicidio

È possibile che una persona, all’improvviso, passi da uno stato di tranquillità a compiere un brutale omicidio?

È recente l’omicidio di Alika Ogorchukwu, ucciso a mani nude da Filippo Ferlazzo, un uomo con invalidità civile al 100% per disturbi psichiatrici e con alle spalle numerosi trattamenti sanitari obbligatori. Dunque, ci troviamo di fronte a un uomo instabile dal punto di vista psichico.

La psichiatria e la criminologia moderne tendono ad escludere un cambiamento improvviso e repentino dei processi cognitivi di una persona. C’è sempre un vissuto dietro, una storia che permette di comprendere meglio l’epilogo.

Se si parla di raptus omicida significa che non conosciamo la vita e la storia del soggetto.

Il raptus come attenuante per alcuni reati

Nel diritto penale e nella psichiatria forense, la carenza di controllo degli impulsi è da considerarsi come una momentanea incapacità di intendere e volere – ma soprattutto come attenuante per alcuni reati. Tuttavia, per gli psichiatri il raptus non è una patologia psichiatrica: è la manifestazione estrema di alcuni disagi o di malattie pregresse, che culminano in un blackout mentale.

È come se il cervello fosse rapito, posseduto da una forza mistica che lo spinge a perdere il controllo. È una sorta di avaria che riguarda la mente degli esseri umani.

Le persone socialmente pericolose sono quelle “sane”

Secondo lo psichiatra Ugo Fornari, quello che i media definiscono “raptus” «sono gesti compiuti da persone con disturbi di personalità, con stati emotivi complessi che possono avere una componente patologica, ma che non li privano della capacità di valutare e decidere».

Continua: «La patologia mentale riguarda al massimo l’8-10% dei delitti. Oggi le persone socialmente pericolose sono in gran parte sane». Questo significa che “si può impazzire”, ovvero commettere azioni violente in un momento di scompenso psicotico. Ma sono casi rari, perché «la maggior parte dei malati di mente non commette crimini violenti».

È necessario distinguere il malato mentale da chi ha un disturbo di personalità: sono proprio quest’ultimi ad avere un ruolo concreto per quanto riguarda i crimini e la violenza. Soprattutto se abusano di sostanze stupefacenti e/o alcool. Mentre i malati di mente (come chi soffre di schizofrenia) si ritrovano spesso ad essere le vittime, non i carnefici. 

Il raptus omicida non esiste

Per il dottor Mencacci, ex-presidente della Società Italiana di Psichiatria e direttore del dipartimento di Neuroscienze al Fatebenefratelli, i raptus omicida non esistono. «Bisogna cominciare a parlare di cattiveria, aggressività e consapevolezza».

Da un punto di vista psico-patologico, questa condizione non esiste. «Spesso se ne fa un uso giustificazionista e assolvente. Normalmente c’è una lunga preparazione e un’attitudine alla violenza e all’aggressività, che trova un momento culminante già precedentemente manifestato».

Secondo Mencacci, l’espressione raptus omicida serve a chi fa le perizie, per riuscire a giustificare azioni violente, attenuando la gravità del fatto. «Servirebbe un impegno culturale e civile per non giustificare mai la prevaricazione, la prepotenza, la violenza esplosiva e cruenta. Perché giustificare in un certo senso è come avallare l’idea che sui più deboli si possa accanire la violenza».

Le perizie psichiatriche

Nel mondo giuridico, il giudizio legato alla salute mentale si inserisce nell’ambito della perizia psichiatrica. Nei crimini particolarmente violenti, la perizia psichiatrica viene concessa dal giudice per valutare se l’infermità mentale abbia inciso o meno nel momento in cui è stato commesso l’atto violento.

Possiamo definire compromessa la capacità di intendere se esiste uno stato confusionale e delirante, che porta a perdere contatto con la realtà circostante. Mentre la capacità di volere riguarda il fare o l’evitare un’azione. È qui che troviamo un’alterazione del funzionamento decisionale, che deriva da gravissime alterazioni del campo affettivo e dell’umore.

Ma l’aggressività e la malattia non sono sinonimi

Una valutazione psichiatrica non riguarda soltanto la malattia mentale, ma anche i disturbi di personalità. Secondo la sentenza n. 9163/2005, i disturbi di personalità «possono costituire causa idonea a escludere o scemare grandemente, in via autonoma e specifica, la capacità di intendere e di volere. A patto che tra il disturbo mentale e il fatto di reato sussista un nesso eziologico, che consenta di ritenere il secondo casualmente determinato dal primo».

Un aspetto da non sottovalutare è che le persone che soffrono di malattie mentali sono inconsapevoli o minimizzano il proprio stato di infermità – spesso per evitare un ricovero psichiatrico. Accade spesso, invece, che le persone “sane” dichiarino di essersi ritrovate improvvisamente in uno stato delirante o allucinatorio mentre commettevano il delitto. Ma queste motivazioni vengono lette in chiave di strategia difensiva, per cercare di sembrare meno criminali. La simulazione di un vizio di mente, però, potrebbe far emergere una personalità che non ha mai conosciuto un disturbo psicotico.

L’aggressività per Freud

In sede forense, psichiatrica o clinica, non si può mai prescindere dall’analisi del contesto familiare e socioculturale che potrebbe aver inciso sul delitto.

Per Freud tutti gli esseri viventi sono dotati di aggressività, ovvero un’energia finalizzata alla tutela e alla difesa della propria vita. Se orientata verso fini socialmente utili, si trasforma in creatività e cooperazione. Ma la stessa aggressività potrebbe non venire utilizzata positivamente, e le conseguenze sono proprio quelle del cosiddetto “raptus omicida”.

Intrinsecamente, una persona non è né buona né cattiva. Sono le relazioni, le occasioni, l’ambiente e i contesti che, intrecciati tra loro, spingono l’aggressività verso il bene o il male. Si può essere cattivi senza essere malati. E si può essere malati, senza essere cattivi.

Esempi

Le situazioni che portano all’incapacità di controllare le pulsioni possono essere:

  • disturbi deliranti acuti, che si manifestano in persone con disturbo di personalità, spesso dopo eventi psicotraumatizzanti acuti;
  • stress;
  • disturbi di personalità, che portano a disforia ed impulsività, condizioni tipiche del disturbo di personalità paranoide, antisociale o narcisistico;
  • disturbo di personalità borderline;
  • stati passionali o emotivi;
  • schizofrenia;
  • disturbo bipolare;
  • abuso di sostanze.

Conoscenza è comprensione

Di fronte a gesti così efferati, è importante conoscere il vissuto della persona che ha commesso il delitto. Soltanto così possiamo comprendere cosa c’è dietro l’agito specifico.

Ma dobbiamo anche cominciare a chiederci perché i crimini violenti sono associati alla follia. Tante volte si vuole semplicemente prendere le distanze da questi crimini, perché non sembra possibile che vengano commessi da persone “normali”. Riconoscere che il male è ovunque, però, potrebbe potenzialmente salvare delle vite.

——————————–

LEGGI ANCHE:

Firma digitale: perché è così sicura?

Pos obbligatorio: soldi regalati alle banche?

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Acn
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto