Cosa significa essere Avvocati?

Sei un avvocato? Beh, allora saprai bene che intorno a questa particolare professione circolano molte idee – spesso sbagliate. Sai anche quanto sacrificio c’è intorno ad ogni singola causa portata avanti.

Ogni giorno devi entrare in contatto con persone che stanno passando momenti difficili, con problemi legali più o meno gravi da risolvere.

Un avvocato, dunque, deve avere un equilibrio interiore pazzesco per evitare di lasciarsi travolgere completamente dai fatti, mantenere la lucidità mentale e al tempo stesso non essere troppo indifferente ai problemi degli altri.

Risulta fondamentale, infatti, l’empatia con il cliente, dato che quest’ultimo affida tutto sè stesso ad un esperto in un momento delicato, con il bisogno di sentirsi compreso a livello umano.

Per riuscire a centrare questi obiettivi è di fondamentale importanza la gestione del proprio lavoro come una vera e propria filosofia di vita, mettendo impegno, dedizione e cuore in tutte le consulenze legali. Essere avvocato significa mettere da parte i propri interessi per tutelare gli altri.

Non esistono orari da rispettare, dato che i clienti chiamano quando vogliono per essere ascoltati, e di certo non è un lavoro che finisce nel momento in cui si torna a casa.

Dunque, volontà e forza d’animo non possono assolutamente mancare nella vita di un professionista legale.

Essere avvocati è una missione di vita

Diventare avvocato è una scelta di vita.

La filosofia di questa professione si apprende al momento della scelta del proprio percorso di studi, che potrebbe anche esser lungo, ma in realtà non termina mai. Ogni giorno, infatti, ci sono novità a livello normativo che potrebbero far la differenza nel successo o nel fallimento di una causa.

Sappiamo tutti che per diventare avvocati bisogna conseguire la laurea in materie giuridiche, seguire un periodo di pratica legale e successivamente superare l’esame di Stato. Ma lo studio non finisce qui.

Ogni giorno sarà necessario affrontare nuove prove, nuovi studi per gestire al top ogni caso. Soltanto con una forte ambizione e passione si può gestire il carico di impegni previsto da questa professione.

Studiare norme e procedure, dunque, diviene una vera e propria missione di vita, che contribuisce a difendere al meglio i propri clienti.

L’avvocato ha nelle proprie mani la vita delle persone; talvolta, di famiglie intere. Il fardello diventa ancora più pesante se risulta necessario difendere una persona da accuse che potrebbero portare a reclusioni.

Un cambiamento che rende migliori

La professione dell’avvocato è in costante mutamento. Nel corso del tempo le sue attività hanno assunto ruoli sempre più centrali, dato che in alcuni casi si sostituisce al giudice oppure evita il ricorso a procedure troppo lunghe.

È un mutamento che si accompagna anche ad un’organizzazione diversa degli Studi professionali.

Nell’esercizio della professione dell’avvocato, sempre più spesso si opta per la formazione di Studi legali associati. La conseguenza è che ci sono diversi professionisti in un unico studio, ognuno specializzato in rami diversi del diritto.

Questo permette al singolo professionista di concentrarsi su una materia, offrendo prestazioni di professionalità elevata.

Supereroi, ma normalissimi

Essere avvocato significa svolgere un lavoro complesso.

Significa combattere con la burocrazia e con le infinite scadenze imposte dal nostro sistema. Significa tenere agende, fare elenchi di documenti e parcelle che difficilmente verranno pagate.

Significa spiegare cose a clienti che non hanno strumenti per capire, avere il peso sulle proprie spalle di responsabilità e decisioni prese in base all’interesse altrui.

L’avvocato si aggiorna, costantemente, dinanzi alla normativa smisurata dello Stato italiano, che modifica periodicamente schemi e regole consolidati.

Significa essere imprenditori, cercare clienti e far sì che i ricavi superino i costi. Significa non avere sabati, domeniche, malattie o permessi.

Anche se, in fin dei conti, essere avvocato vuol dire uscire dallo Studio ed essere una persona normalissima.

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Emissione e invio delle Fatture Elettroniche: le novità

L’Agenzia delle Entrate ha ridefinito le regole tecniche di conservazione, emissione e invio delle fatture elettroniche. Sono state introdotte delle novità riguardanti la tutela e la privacy dei contribuenti.

Non saranno più consultabili, per esempio, se non previa richiesta, i dati che riguardano i periodi non oggetto di accertamento. Inoltre, sono state introdotte ulteriori tutele per quanto riguarda le fatture elettroniche emesse dagli studi legali e quelle B2C.

Le nuove regole

Nel provvedimento dell’Agenzia delle Entrate dello scorso 24 novembre sono state aggiornate le regole del 2018 riguardo la ricezione e l’emissione delle fatture elettroniche. Il nuovo documento, in particolare, tratta le disposizioni fiscali del decreto del 2019 e i rilievi sulla fatturazione elettronica del Garante Privacy.

Grazie alle nuove regole l’Agenzia delle entrate memorizza e utilizza, con la Guardia di Finanza, i file delle fatture elettroniche soltanto per le attività istruttorie. I file saranno disponibili anche in caso di indagini penali oppure su disposizione dell’Autorità giudiziaria.

Il Fisco memorizzerà i documenti soltanto ai fini delle attività di analisi del rischio di elusione, evasione e frode fiscale, promozione dell’adempimento spontaneo e controllo per finalità fiscali, inclusi i metodi di pagamento, descrizione e operazione dei servizi prestati e dei beni ceduti.

Il Fisco ha reso inoltre disponibile un servizio che permette l’aggiornamento, l’inserimento o la cancellazione delle informazioni che riguardano il canale utilizzato per inviare la fattura elettronica.

Si possono consultare tutti gli aggiornamenti sulla fatturazione elettronica sul sito web di AgID cliccando questo link.

Verso la fatturazione elettronica europea

«Gli Stati membri hanno perso 93 miliardi di euro di mancate entrate Iva nel 2020. In un momento in cui le esigenze di investimento continuano ad aumentare e le finanze pubbliche sono limitate da alti livelli di debito, sono perdite che non possiamo permetterci». Queste le parole di Paolo Gentiloni, commissario Ue per l’Economia.

Continua: «L’introduzione di sistemi di fatturazione elettronica consentirà agli Stati membri di recuperare 11 miliardi di euro in più all’anno nei prossimi dieci anni in entrate Iva attualmente non riscosse. Il mese prossimo presenteremo una proposta».

Riflettendo sul futuro della politica fiscale europea, bisogna tenere presente «una verità ineludibile: l’Europa è già la regione con la tassazione più alta del mondo. Il rapporto tasse/Pil nell’Ue è di circa il 40% rispetto ad una media del 33% nell’Ocse».

Nel futuro, le possibilità per aumentare le entrate fiscali «potrebbero essere limitate. Ma quello che possiamo fare è considerare come adattare il nostro mix fiscale, per renderlo più equo, più verde, più favorevole alla crescita».

Business in Europe

Nel 2023, la Commissione europea proporrà un sistema unico di norme fiscali «per fare affari in Europa. Lo chiameremo Befit (Business in Europe: Framework for Income Taxation). Befit trarrà ispirazione dalla riforma dei due pilastri a livello globale, ma andrà oltre, per fornire un nuovo sistema di tassazione delle società adatto al nostro mercato unico strettamente integrato».

Il nuovo quadro andrà a sostituire i sistemi nazionali di tassazione, riducendo in tal modo costi e ostacoli per gli investimenti transfrontalieri. Befit «avrà le caratteristiche fondamentali di una base imponibile comune semplificata e della ripartizione degli utili imponibili tra gli Stati membri. Sarà un altro passo importante nella lotta contro la concorrenza fiscale dannosa».

Global minimum tax

Alla base del Befit c’è l’accordo globale del 2021 dei Paesi Ocse su un’imposta sulle società con riallocazione degli utili imponibili e una base fiscale minima del 15%. La global minimum tax, tuttavia, trova un osso duro nell’Ungheria, che ne blocca l’approvazione da mesi.

Questo accordo si basa su due pilastri:

  • le aziende con entrate che superano i 20 miliardi possono essere tassate anche nei Paesi dove effettivamente avvengono i consumi e non soltanto in quelli dove hanno sede legale;
  • i Paesi che ospitano il quartier generale di una multinazionale potranno imporre una tassazione minima del 15%, in tutte le nazioni in cui operano.

La minimum tax spazzerà via la digital service tax europea, che ha provocato molte critiche dagli USA poiché andava a colpire principalmente le big tech americane. Se la tassa globale verrà attuata nei prossimi due anni, i paesi UE offriranno alle aziende un credito fiscale come rimborso di tutte le somme versate in eccesso rispetto all’imposta globale.

Dopo essere stata approvata dai capi di Stato e di governo, la minimum tax dovrà essere trasformata in legge ed implementata nel 2023. Lo scoglio è tutto da superare, ma è comunque un ottimo meccanismo di risoluzione delle dispute internazionali.

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Avvocato, vorresti avere 48 ore al giorno?

Comprendere come organizzare il proprio tempo è un’abilità fondamentale per avere successo e raggiungere i propri obiettivi.

Lavoro, studio, casa e passioni: cerchiamo di conciliare tutto come dei giocolieri con troppe palline tra le mani. Finiamo per essere talmente sopraffatti da tutti i nostri impegni da scivolare inevitabilmente in un ciclo di inutili distrazioni, che alleviano a malapena la nostra ansia e che ci fanno soltanto perdere tempo.

Ti ritrovi in tutto questo?

Pensaci un po’: quand’è stata l’ultima volta che sei ritornato a casa felice, dopo aver passato una giornata di lavoro produttiva, riuscendo a concludere tutto quello che volevi portare a termine? Mai?

Viviamo in un circolo vizioso di stress, con impegni che sembrano non finire mai e con poche soddisfazioni. Come criceti, corriamo dentro la nostra ruota, senza arrivare da nessuna parte. Ma esiste sicuramente un buon metodo per organizzare il tempo e per vivere al meglio la nostra vita.

Hai mai incontrato persone che sembrano avere giornate di 48 ore? Sono persone iper-produttive, inspiegabilmente capaci di realizzare in poco tempo progressi che, probabilmente, noi raggiungiamo dopo anni.

Qual è il segreto di queste persone? Hanno una Giratempo, come Hermione Granger in Harry Potter? Come cavolo fanno ad organizzare così bene le loro giornate?

“Qual è il tuo segreto per organizzare il tempo?”

Questa domanda è stata rivolta ad alcuni miliardari, campioni olimpici, studenti eccellenti e imprenditori multi-milionari. Persone, dunque, decisamente produttive.

Ogni professionista ha un suo segreto per organizzare al meglio la giornata. Tuttavia, analizzando le risposte ottenute, troviamo degli schemi ricorrenti, che consistono in abitudini e scelte che accomunano queste persone.

Ci sono almeno 8 cose che fanno le persone che vivono giornate da 48 ore (a differenza di noi comuni mortali).

1- 1.440 motivi per non perdere tempo

Se perdi dei soldi puoi sempre rifarti in un secondo momento: ma ogni minuto perso non può essere recuperato. È proprio l’ossessione per il tempo a contraddistinguere le persone di successo.

Per esempio, Shannon Miller, ex ginnasta olimpionica, arrivava a programmare le giornate al minuto.

È chiaro che non dobbiamo arrivare a queste situazioni estreme, ma è giusto avere la consapevolezza di avere a disposizione 1.440 minuti ogni giorno, e che è nostra responsabilità sfruttarli al meglio.

Lo dobbiamo a noi stessi!

2- Attività fondamentali

Tutti abbiamo giornate piene di impegni, ma quante sono le attività veramente importanti che portiamo avanti ogni giorno? Quali sono le attività che ci consentono di fare reali progressi? Quante impatteranno sulla nostra esistenza, da qui ai prossimi 5 anni?

Le persone che organizzano il loro tempo in modo efficace si pongono questa domanda tutti i giorni, e conoscono molto bene anche la risposta. Ogni mattina, infatti, dedicano almeno 2 ore alle attività fondamentali.

Pensaci: dove saresti tra un anno, se dedicassi tutti i giorni due ore per le attività importanti, come lavoro, business e studio?

3- L’abolizione delle to-do-list

Gli esperti, solitamente, consigliano di utilizzare le to-do-list per organizzare al meglio le proprie giornate. Ma si tratta soltanto di fare ghirigori carini sul taccuino per organizzare le proprie attività, che difficilmente porteranno una persona ad essere più produttiva.

La maggioranza delle persone super-produttive non utilizza affatto le to-do-list, perché si trasformano inevitabilmente in liste di cose che non riusciremo mai a fare! Le attività restano sulla lista per lunghi giorni, generando soltanto stress.

Le persone super-produttive preferiscono utilizzare il calendario per pianificare le loro attività, sia che si tratti di lavoro o di tempo libero.

Infatti, quando fissiamo dei blocchi di tempo nel nostro calendario, abbiamo ben chiara la situazione: sappiamo cosa siamo in grado di fare in una giornata e cosa, invece, possiamo tralasciare.

4- Inganni mentali

In linea di massima, quando dobbiamo organizzare la giornata, facciamo molto affidamento sul nostro Io futuro, vedendolo come un super-eroe in grado di recuperare chissà quante ore di procrastinazione del nostro Io presente.

La verità è che il nostro Io futuro ci somiglia tantissimo! E forse sarà più stanco, stressato e demotivato.

La maggior parte delle persone super-produttive è ben consapevole dell’inganno mentale in questione. Per questo, si assicurano di adottare nel presente tutte le misure necessarie affinché il loro Io futuro rispetti tutti gli impegni presi.

Per esempio, se devono cominciare una dieta, si assicurano di non aver facile accesso ai cibi spazzatura.

5- Straordinari? No, grazie

Le cosiddette “tirate lavorative” sono assolutamente controproducenti. Chi è super-produttivo ha un’etica lavorativa ferrea, ma con la consapevolezza che la produttività personale ha un suo picco, e che ogni minuto speso a lavorare dopo aver superato il picco è sprecato.

Meglio staccare, per rigenerarsi e ripartire con più energie il giorno seguente.

6- Idee e taccuini

La maggior parte delle persone immagina il proprio cervello come un magazzino, quando in verità è un elaboratore di soluzioni e idee.

Le persone di successo, di solito, utilizzano un taccuino per catturare riflessioni, idee e appunti, per liberare e allargare la mente.

7- Gestire le proprie energie

Abbiamo tutti 1.440 minuti al giorno. La cosa migliore da fare, forse, non è organizzare il tempo, ma il nostro livello di energia.

Imprenditori, studenti e atleti di successo sanno bene l’importanza della gestione delle proprie riserve di energia, e puntano tutto su una buona dose di sonno, sport e cibo sano.

8- Un solo tocco

Tutte le volte che cominciamo un’attività, senza la volontà o la possibilità di portarla a termine, sprechiamo tempo.

Se leggiamo una mail di lavoro sullo smartphone mentre siamo fermi al semaforo probabilmente non riusciremo a rispondere. Nella nostra mente, tuttavia, si formeranno una trentina di possibili risposte.

Quindi arriviamo in ufficio, riapriamo la mail in questione e cominciamo a scrivere una risposta, ma un collega ci interrompe. Arriva così la pausa pranzo, e dobbiamo attendere di ricominciare il turno per rileggere la mail e spendere un’altra mezz’ora per dare una risposta.

Chissà quanto tempo avremmo risparmiato, se avessimo toccato la mail soltanto una volta.

La sfida 90/90/1

Avvocato, conosci la sfida 90/90/1?

Si tratta di una sfida semplice, ma lungi dall’esser facile. Ecco che cosa prevede: “Nei prossimi 90 giorni, dedica 90 minuti al giorno ad 1 attività che possa cambiarti la vita”.

Per portare a termine questa sfida è bene scegliere soltanto un progetto, abitudine o obiettivo sul quale focalizzarsi. Soltanto concentrandoci su un’attività, infatti, possiamo ottenere risultati.

Ma dove li troviamo questi 90 minuti, se non abbiamo nemmeno il tempo per respirare? È chiaro che, per ottenere dei risultati, dobbiamo fare dei sacrifici e rinunciare a qualcosa.

Chiaramente, non c’è bisogno di ritagliarsi un’ora e mezza tutti i giorni per la propria attività speciale. Basterà dedicarle il tempo sufficiente per ottenere dei risultati concreti.

L’importante è non svolgere l’attività alla fine della giornata: meglio puntare la sveglia un po’ prima, perché alla sera le nostre energie e le nostre riserve di auto-disciplina sono al minimo.

Dunque, accetti la sfida?

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Convenzione Assaperlo.com per gli iscritti di Cassa Forense

Regalo di Natale: 5.500 euro di cashback per i deputati

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Assaperlo.com è un progetto digitale che unisce assicurazioni ed esclusivi servizi per il privato e per il professionista. Il servizio mette a disposizione degli iscritti di Cassa Forense alcune agevolazioni sulle tariffe di assicurazioni di auto, casa e moto del marchio Allianz Direct.

È l’unico network digitale in grado di abbinare soluzioni per tutti gli ambiti della vita con servizi esclusivi in grado di soddisfare le esigenze quotidiane di qualsiasi persona.

Non ci sono soltanto le offerte selezionate in collaborazione con Allianz Direct, in quanto è possibile prenotare anche vacanze e noleggio a breve termine, accedere a soluzioni per la salute e sottoscrivere alla mutua di assistenza veterinaria per cani, gatti e conigli.

Gli iscritti di Cassa Forense che intendono aderire alle offerte dovranno cliccare questo link.

Tutti i servizi e le soluzioni assicurative sono consultabili al seguente indirizzo: https://assaperlo.com

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Babbo Natale è arrivato anche in Parlamento, con un cashback da 5.500 euro che vale soltanto per i deputati. Gli onorevoli hanno deciso di regalarsi un bonus per comprare smartphone, tablet, pc e Airpods. La determina è stata firmata il 24 novembre dai questori della Camera.

Tutto questo cavalca la scia delle “dotazioni d’ufficio” a disposizione dei neo-eletti. Il bonus dovrebbe andare incontro alle “esigenze individuali e all’aggiornamento tecnologico” degli onorevoli. Già nel 2018 i questori stanziarono 2.500 euro di rimborso spese, ma oggi, il bonus è stato aumentato del 120%.

La lista della spesa

Il provvedimento è accompagnato da un allegato, contenente la lista dei beni che Montecitorio potrà rimborsare ai deputati – con i soldi dei contribuenti. Nella “lista della spesa” troviamo: smartphone, portatili, Airpods, tablet completi di accessori e monitor fino a 34 pollici.

Prima del voto, qualche parlamentare aveva storto il naso per l’importo esiguo destinato agli acquisti tecnologici. Secondo un ex questore di Montecitorio: «Dicevano che 2.500 euro non bastavano. Ma visto che si trattava di un provvedimento una tantum, che viene subito stabilito all’inizio del mandato, non abbiamo pensato di ritoccarlo».

Controlli interni

La nuova disciplina cambierà anche le regole riguardo gli articoli di cancelleria “griffati” in dotazione alla Camera, come penne, bloc notes e buste per le lettere. Ai deputati, infatti, è riservato un pacchetto di prodotti che “non concorrono alla determinazione dell’importo di 5.5.00 euro”. Se ne vorranno di più, potranno attingere dal bonus.

Incassare questi soldi è molto semplice, dato che i controlli sono tutti interni: alcuni deputati certificheranno gli scontrini presentati da altri deputati, per aver accesso al rimborso.

Nel 2018 il M5S aveva inserito alcune penali per limitare l’erogazione dei fondi. C’erano delle trattenute nel caso in cui un parlamentare non fosse presente ad almeno il 50% delle sedute in Aula o che non presentasse almeno l’80% degli atti ispettivi o delle proposte di legge in formato elettronico.

Ma nel nuovo provvedimento del 24 novembre non c’è più traccia di questo passaggio. Niente penali, soltanto un bonus raddoppiato.

POS e tetto al contante

Proseguiamo parlando di pagamenti digitali e POS, viste le modifiche recenti. Ci sono delle novità, infatti, all’interno della bozza della legge di bilancio, che porta i 136 articoli a 155. Nello specifico, i cambiamenti più discussi riguardano l’articolo 69.

Secondo il testo, il nuovo limite per il quale i commercianti saranno costretti ad accettare un pagamento con il POS senza correre rischi di subire sanzioni è stato fissato a 60 euro. Scompare, nella nuova bozza, anche lo stop ai 180 giorni riguardo le sanzioni inviate ai commercianti che non hanno rispettato l’obbligo.

Tutto questo è accompagnato anche all’innalzamento del tetto ai pagamenti con contante, che dal 2023 passerà da 1.000 a 5.000 euro. I più critici in materia ritengono che queste misure favoriranno l’evasione fiscale. In ogni caso, vedremo che cosa accadrà con il testo finale della legge di bilancio, che verrà approvato entro il 31 dicembre.

Palazzo Chigi, viste le numerose polemiche, ha rilasciato una nota:

“Si precisa che sul tema delle soglie al di sotto delle quali gli esercizi commerciali non sono tenuti ad accettare pagamenti con carte di pagamento, sono in corso interlocuzioni con la Commissione europea dei cui esiti si terrà conto nel prosieguo dell’iter della legge di bilancio”.

Donne agevolate, ma solo se hanno figli

Stretta invece, sull’Opzione Donna. La misura riguarderà soltanto persone con invalidità, caregiver e dipendenti di aziende in crisi, e manterrà l’obbligo di anzianità retributiva di almeno 35 anni e 60 anni di età in assenza di figli.

L’Opzione si applica «a chi al momento della richiesta da almeno sei mesi è coniuge o parente di primo grado convivente con handicap in situazione di gravità». Una misura valida anche in caso di «parente o affine di secondo grado convivente, qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 60 anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti, siano deceduti o mancanti».

Può usufruire della misura anche chi ha «una riduzione della capacità lavorativa superiore o uguale al 74%». In questo caso, si potrà andare in pensione prima se si hanno figli: a 58 anni con due (o più) figli, a 59 anni se madri di un figlio e a 60 in assenza di figli.

La stretta limita la platea delle beneficiarie e apre un grosso dibattito sulla scelta di agevolare soltanto le lavoratrici madri. In molti hanno considerato l’idea incostituzionale e punitiva nei confronti delle donne che, per scelta o per altre cause, non hanno figli.

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Potrebbe essere capitato anche a te di aver ricevuto una PEC che sembrava provenire dall’Agenzia delle Entrate, ma che nella realtà conteneva finte fatture elettroniche. Siamo nel mondo del phishing, ovvero tentativi di frode che hanno lo scopo di indurre le vittime alla condivisione di dati sensibili, quali password o carte di credito.

Vediamo insieme come si manifestano questi attacchi e come possiamo proteggerci.

La finta mail dell’Agenzia delle Entrate

Già nel 2019 l’Agenzia delle Entrate stava cominciando a mettere in guardia gli utenti riguardo i sempre crescenti tentativi di phishing che riguardavano l’invio di finte fatture elettroniche.

L’Agenzia delle Entrate, nello specifico, avvisava gli utenti di non aprire mail con l’oggetto “Invio File <XXXXXXXXXX>”. Queste mail, infatti, avevano l’obiettivo di raccogliere informazioni private per frodare il malcapitato. Questa truffa, diffusa tuttora con specificità diverse, simula l’invio mediante PEC di un file da parte del Sistema di Interscambio (Sdl).

I destinatari hanno l’impressione di ricevere una vera e propria fattura elettronica dal sistema dell’Agenzia delle Entrate. In verità, il file rappresenta un sistema di frode online.

Gli utenti divengono sempre più confusi a causa della presenza – ovviamente non autorizzata – di loghi e layout del sistema di fatturazione elettronica dell’Agenzia delle Entrate. Dunque, è semplice cadere vittima in questa tipologia di attacchi.

La frode gioca sulla convinzione che la PEC sia sempre sicura, anche se non è così. La Posta Elettronica Certificata non è sinonimo di garanzia e i malintenzionati riescono a sviluppare sistemi di raggiro sempre più efficaci, che rendono complicato capire se siamo di fronte ad una vera PEC o ad una truffa.

Il phishing, in breve

Il phishing è un tentativo di frode online che consiste nell’invio di messaggi di posta elettronica con un aspetto identico per quanto riguarda contenuti, loghi, mittente e layout rispetto a quelli istituzionali. In questi messaggi si invita il destinatario a fornire dati riservati che verranno utilizzati poi per fini malevoli.

I messaggi di phishing che si riferiscono all’invio di fatture elettroniche utilizzano i testi di una comunicazione reale, dall’oggetto al corpo della mail. In questo modo le mail sembrano sicure e credibili, ma non lo sono.

I tentativi di phishing che vanno a colpire le caselle di posta sono molti. Tra questi, il più diffuso ha l’obiettivo di sottrarre le credenziali d’accesso ai software dedicati a generare le fatture elettroniche.

Si riceve nella propria casella di posta una mail fasulla che comunica una sospensione del servizio. In queste mail truffa si trova un link esterno al quale collegarsi. Quando la vittima inserisce le sue credenziali di accesso al sito, queste vengono immediatamente rubate ed entrano in possesso di terzi.

Alcuni consigli

Ci si può difendere dal phishing mettendo in pratica alcuni accorgimenti.

Innanzitutto, osserva attentamente l’indirizzo di provenienza della mail. Se sembra sospetto, forse è meglio non cliccare sui link presenti nella mail, in quanto possibili apripista a siti malevoli e contraffatti.

Per confermare i dubbi, passa il mouse sopra i link senza cliccare e controlla l’indirizzo che compare in basso. In tal modo, otterrai una risposta ai tuoi dubbi senza esporti a pericoli.

Diffida sempre da qualsiasi mail che richiede di effettuare il login nel profilo utilizzato per la fatturazione elettronica al fine di cambiare dati sensibili e personali. Se hai l’impressione che la mail non sia autentica, non utilizzare i link che sono contenuti nel messaggio, ma collegati invece al servizio di fatturazione elettronica ricercandolo nel browser.

Con questi consigli potrai gestire la fatturazione con maggior tranquillità, evitando di cadere nella trappola del phishing.

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Il nuovo Governo vuole modificare il reato di Abuso d’Ufficio

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, lo scorso giovedì, durante l’assemblea nazionale dell’Anci, l’Associazione nazionale comuni italiani, ha annunciato che il governo vuole modificare i reati contro la pubblica amministrazione. In particolar modo, si parla di modificare il reato di abuso d’ufficio.

Meloni non ha specificato come il governo abbia intenzione di arrivare a tali modifiche. Tuttavia, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha spiegato che ci sarà presto un dibattito parlamentare.

L’obiettivo è quello di definire al meglio le norme penali che riguardano la pubblica amministrazione, «il cui perimetro è così elastico da prestarsi a interpretazioni troppo discrezionali», dice Meloni. Il reato d’abuso d’ufficio, sempre secondo Meloni, provoca la “paura della firma”, ovvero, gli amministratori locali hanno la paura di assumere delle responsabilità decisionali.

Una legge molto criticata

La legge ha subito diverse modifiche nel corso degli anni, ed è stata criticata più volte da amministratori e sindaci di ogni schieramento politico che considerano incerti i confini della responsabilità penale che porta all’avviamento delle indagini. Per Meloni, le indagini «nel 93% dei casi si risolvono con assoluzioni o archiviazioni».

Secondo Antonio Decaro, presidente dell’Anci e sindaco di Bari, dice che «è in discussione la praticabilità stessa delle nostre funzioni: fare il sindaco ormai è diventato un mestiere pericoloso anche nei suoi atti quotidiani più banali, per la quantità abnorme di rischi giudiziari penali e civili che si corrono».

L’autodifesa della burocrazia

I sindaci «non possono essere responsabili di qualsiasi cosa accada in un Comune per il solo fatto di essere sindaci». Secondo molti giuristi e amministratori, la paura di cadere nel reato di abuso d’ufficio corrisponderebbe alla prima causa della “burocrazia difensiva”.

Parliamo di prassi che sono state consolidate negli uffici della PA: la paura di essere coinvolti in processi penali o civili porta ad un eccesso burocratico che, di conseguenza, porta a rallentamenti. Questi timori si palesano, per esempio, nella richiesta di un documento cartaceo, oltre a quello digitale, «perché non si sa mai».

In molti, al posto di prendere una decisione, decidono di rinviare la stessa al proprio superiore, oppure di non agire affatto senza indicazioni specifiche. Nel 2017, secondo un sondaggio del Forum della PA, il 62% dei dipendenti pubblici ha dichiarato che tra riforme, controriforme e decreti le regole continuavano a cambiare troppo spesso, e che il risultato era opposto a quello voluto.

Secondo gli impiegati statali, soltanto “non facendo” si possono evitare rischi.

Home, sweet home

Sul tema si discute da tempo. Secondo Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica al Tribunale di Catanzaro, il reato di abuso d’ufficio è «il più difficile da dimostrare ma è un reato spia che consente di entrare nella pubblica amministrazione. Non vorrei che un sindaco pensasse di usare il Comune come casa propria».

Contro l’abolizione dell’abuso d’ufficio si era espresso anche Luigi Di Maio, durante il governo Conte I. Aveva dichiarato che si sarebbe battuto duramente contro l’abolizione di questo reato. Aveva scritto su Facebook, infatti: «Volete un esempio? Un sindaco, un ministro, un presidente di Regione o un qualsiasi altro dirigente pubblico che fa assumere sua figlia per chiamata diretta, invece di convocare una selezione pubblica e dare a tutti la possibilità di ambire a quel posto di lavoro».

L’articolo 323 del Codice Penale

Nel nostro ordinamento chiunque potrebbe denunciare per abuso d’ufficio un amministratore locale che ha firmato un provvedimento di carattere discrezionale.

Il reato in questione è disciplinato dall’articolo 323 del codice penale:

Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalle legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di tenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

L’ex presidente della Camera ed ex magistrato Luciano Violante, definì questa legge una specie di «mandato a cercare». Sostanzialmente, si tratta di una legge che permette un controllo preventivo da parte delle procure sulle attività della PA e della politica.

Processi che iniziano, senza finire

Secondo Raffaele Cantone, ex presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, «la quantità enorme di procedimenti che iniziano e la quantità infinitesimale di quelli conclusi con condanna è un tema che si pone spesso, poiché diventa un alibi per l’inerzia della pubblica amministrazione».

Tuttavia, «se iniziano tanti processi e pochi arrivano a sentenza definitiva, qualcosa va rivisto, ma non credo che se vengono compiuti atti di favoritismo evidenti possano essere esenti da valutazioni penali».

Le priorità per Nordio

Per Carlo Nordio, la “rivisitazione” del reato di abuso d’ufficio è una delle maggiori priorità di questo governo. Si tratta, secondo il ministro della Giustizia, di rivedere alcune norme per «ridare fiato alla pubblica amministrazione, e quindi per un’utilità concreta in vista di una ripresa economica del Paese».

Per quanto riguarda la “paura della firma”, per Nordio questa provocherebbe «la paralisi o il rallentamento della pubblica amministrazione per la paura che un domani si possa essere denunciati. I sindaci chiedono da anni questa revisione e se non avviene, la pubblica amministrazione non riparte, e se non riparte la pubblica amministrazione non riparte nemmeno l’economia. C’è un discorso concreto e urgente da fare, in vista anche dei soldi che l’Europa dovrà darci con il recovery fund».

Il parere dei sindaci

Molti sindaci sono intervenuti alla recente assemblea dell’Anci per richiedere la revisione o l’abolizione dell’articolo di legge che disciplina il reato. Secondo Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli, chi lavora nella PA dovrebbe avere maggiori certezze per quanto riguarda le scelte che vengono fatte. Chi deve controllare, invece, potrà farlo con meno discrezionalità.

Mentre per Roberto Lagalla, sindaco di Palermo, «è estremamente facile addossare al sindaco presunte colpe su fatti che non può direttamente controllare o conoscere, specie in realtà di grandi dimensioni».

Si è espresso in merito anche Giuseppe Sala, sindaco di Milano: «Se il ministro Nordio sarà in grado di fare qualcosa non tanto che ci facilita la vita quanto che chiarisca le regole, credo che i sindaci di ogni schieramento politico saranno pronti a riconoscere questa iniziativa, è il momento anche da questo punto di vista di fare qualcosa».

Tra i sindaci, c’è qualcuno che chiede la revisione o l’abolizione della legge Severino. Per esempio, Nicola Fiorita, sindaco di Catanzaro, sostiene che la modifica potrebbe garantire ai sindaci «la necessaria serenità per operare al meglio».

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Foto dei minori sui social: implicazioni legali e conseguenze psicologiche

Un bambino è una persona piccola. È piccolo solo per un po’, poi diventa grande. Un bambino ha piccole mani, piccoli piedi e piccole orecchie, ma non per questo ha piccole idee” 

da Che cos’è un bambino? di Beatrice Alemagna

I social, ormai, fanno parte della nostra quotidianità. Tuttavia, hanno introdotto nuovi rischi che vanno ad incidere sui diritti umani, in particolar modo su quelli dei più piccoli.

Condividere le loro foto fa parte di questi rischi. Sono immagini che creano, infatti, un’impronta digitale tracciabile, che viene attaccata ai bambini senza chiedere il loro consenso. Tutto questo potrebbe incidere sullo sviluppo del bambino, e talvolta, anche sulla sua sicurezza fisica.

Condividere le foto dei figli sui social: sì o no?

Chiaramente non c’è nulla di male nel pubblicare qualche foto dei figli sui social. Il problema nasce quando la condivisione diviene eccessiva, senza stabilire criteri di privacy o comprendere i reali rischi della condivisione di alcune fotografie.

I dati personali dei bambini dovrebbero restare protetti, e dovrebbe essere sempre garantito il diritto alla cancellazione di tutte le informazioni digitali che li riguardano. In Europa, il GDPR fornisce una protezione specifica anche per i bambini.

E’ fondamentale che le persone siano informate a sufficienza sul modo in cui vengono raccolti i loro dati, e che sia loro garantita la possibilità di accedere ed opporsi al trattamento di tali dati. Per quanto riguarda i bambini, il GDPR stabilisce che il consenso dei bambini deve essere rispettato in base allo sviluppo e all’evoluzione delle loro capacità.

Il fenomeno dello sharenting

Il termine “sharenting” descrive il fenomeno della costante condivisione online, da parte dei genitori, di immagini, video e informazioni che riguardano i figli.

Il termine deriva da share, condividere, e parenting, genitorialità. Si dovrebbe tuttavia privilegiare il termine oversharing, che va ad indicare la costante ed eccessiva sovraesposizione online dei più piccoli.

L’esposizione, nella maggioranza dei casi, avviene senza il loro consenso, in quanto troppo piccoli per comprenderne le implicazioni oppure perché non viene loro richiesto.

Secondo la legge, la pubblicazione delle foto online di un minore è legittima se:

  • c’è il consenso di entrambi i genitori;
  • se rispettano il decoro, la reputazione e l’immagine del minore;
  • se il minore ha compiuto 14 anni ci deve essere la sua approvazione.

Le implicazioni dello sharenting

Le implicazioni dello sharenting sono diverse:

  • violazione della privacy e dei dati personali. La privacy, infatti, non è soltanto un diritto degli adulti, ma anche dei bambini, secondo quanto stabilito dalla Convenzione dei diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza e dal GDPR;
  • mancata tutela delle immagini: condividendo contenuti online si perde, infatti, il controllo sui contenuti e sulle informazioni. L’identità digitale ha effetti reali e tangibili sul futuro dei figli, tenendo presente che restano online e a disposizione di chiunque;
  • ripercussioni psicologiche sul benessere dei bambini: quando cominceranno a navigare online in maniera autonoma, i bambini dovranno fare i conti con l’essere/l’essere stati esposti nel web continuamente. Potrebbero ritrovare un’identità digitale composta da immagini anche intime, di cui non hanno mai dato il consenso;
  • rischio di diffusione di contenuti che alimentano materiali pedopornografici. Foto e video innocenti potrebbero essere condivisi da chiunque, oppure screenshottati, scaricati e utilizzati per altri scopi. Inoltre, si potrebbero manipolare le immagini con programmi di photo editing, al fine di renderle materiale pedopornografico;
  • rischio di adescamento: i dati sensibili dei figli, le loro passioni e le loro abitudini, costantemente condivise online, potrebbero rappresentare materiale utile per avvicinarli e adescarli.

I bambini sono persone, così come lo sono gli adulti

Secondo l’articolo 17 del GDPR, in vigore dal 2018, è previsto il diritto alla cancellazione. Ovvero, i genitori possono divulgare informazioni sui propri figli e sulla vita famigliare in generale, ma i bambini possono richiedere che i genitori rimuovano tali contenuti, anche se non hanno ancora raggiunto la maggiore età.

I minori, infatti, hanno diritto ad una protezione specifica dei loro dati, poiché potrebbero non avere la piena consapevolezza dei rischi e delle conseguenze della condivisione online.

Così come gli adulti hanno il diritto di cambiare idea e di rimuovere alcune informazioni condivise online, anche i bambini dovrebbero avere lo stesso diritto.

Cosa ne pensano i preadolescenti

In linea di massima, i genitori non sembrano conoscere a pieno i rischi della condivisione online.

Sono diversi gli studi che stabiliscono come i genitori debbano essere educati meglio nel gestire i propri social network. Invece, gli studi che riguardano il punto di vista dei figli sulla condivisione online dei genitori sono pochissimi.

I più piccoli non riescono ad avere una piena percezione della propria identità digitale, ma dalla preadolescenza cominciano a prendere coscienza della loro presenza sul web.

In uno studio del 2019 condotto da un team di ricercatori dell’Università di Antwerp in Belgio su adolescenti tra i 12 e i 14 anni, è emerso come la maggioranza dei ragazzi siano preoccupati per il comportamento dei propri genitori.

In particolar modo, sono preoccupati dalla condivisione di contenuti ritenuti imbarazzanti, come foto buffe o che mostrano nudità. Ritengono di essere soggetti ad un maggior rischio di commenti negativi, bullismo e cyberbullismo.

Alcuni adolescenti hanno il timore che la presenza di alcune loro foto imbarazzanti presenti sul web potrebbero incidere anche su un colloquio di lavoro, poiché i recruiter vanno a caccia di informazioni dei candidati proprio sui social.

I bisogni dei bambini non corrispondono ai nostri 

Come già detto, non dobbiamo fare terrorismo, ma sensibilizzare, al fine di evitare che la condivisione diventi totalizzante.

Se il profilo personale di un adulto diventa un luogo dove condividere immagini e racconti che riguardano esclusivamente i figli, diventerà un profilo social del bambino – ma senza consenso del minore. E’ una cosa che non va bene per il bambino, ma nemmeno per il genitore.

Non c’è niente di male, comunque, nel pubblicare qualche foto ogni tanto. Basterà non scegliere quelle più intime, come le foto dei bagnetti, o immagini che nel futuro potrebbero risultare imbarazzanti per i figli.

In ogni caso, meglio restringere le impostazioni della privacy, rendendo disponibili le immagini soltanto ad un gruppo ristretto di persone, come familiari o amici intimi.

Sarebbe sempre bene mettersi all’altezza dei bambini e non chiedere mai loro di fare cose da adulti, ma di cercare di capire i loro bisogni, che spesso non coincidono con i nostri. Condividere le foto dei figli sui social, infatti, risponde al desiderio dei genitori, non a quello dei bambini.

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Servicematica non sarà interessata da questa tipologia di problemi. Se hai già acquistato la firma digitale con Servicematica, quindi, non preoccuparti, potrai continuare ad utilizzarla per firmare i tuoi documenti senza alcun problema.

 

Lo scorso maggio, Agid, l’Agenzia per l’Italia Digitale, ha comunicato che l’omonima francese ANSSI (Agence Nationale de la sécurité des systèmes d’information) ha deciso che dal 2023 due dispositivi di firma elettronica qualificata verranno rimossi dall’elenco notificato alla Commissione europea.

Parliamo di secure electronic signature creation devices (SSCD) e qualified electronic signature creation devices (QSCD). Nello specifico, dal 31/12/2022 non funzioneranno più:

  • smart card tipo Applet ID One Classic v1.01.1 configurazione CNS, Classic o CIE caricato su Cosmo v7.0-n Large, Standard e Basic su componente NXP T;
  • smart card TS-CNS con chip NXP ASEPCOS-CNS v1.84 in SSCD configurato con patch PL07 su NXP P60D080PVG dual interface microcontroller T.

Dunque, non sarà più valido apporre firme digitali con tali dispositivi, a causa del venir meno della catena di trust eIDAS.

ANSSI ha preso la decisione di rimuovere tali dispositivi dall’elenco notificato alla Commissione europea in quanto obsoleti – e poco utilizzati sul mercato francese.

In Italia, invece, ci sono circa un milione di certificati di firma elettronica qualificata. Corrispondono al 25% dei certificati qualificati di firma digitale attivi che utilizzano smart card/token di questo tipo.

SERVICEMATICA NON SARA’ INTERESSATA DA QUESTI CAMBIAMENTI.

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«La riforma Cartabia entrerà in vigore così com’è. Ci potrà essere qualche ulteriore slittamento di qualche sua piccola parte, ma non si può pensare di ritrattare la normativa con la Commissione Europea: abbiamo già avuto tranche di finanziamento».

Queste le parole di Francesco Paolo Sisto, viceministro alla Giustizia, nel suo intervento del 22 novembre a Italia Direzione Nord – A True Event, tenutosi a Milano.

La scelta di far slittare l’entrata in vigore al 30 dicembre, secondo Sisto, è dovuta al fatto che «non eravamo ancora pronti: c’erano situazioni, ordinamenti e logistiche da sistemare. Perché una buona norma possa essere efficace, è necessario che la struttura sia pronta ad applicarla».

Tra i punti che sono stati più dibattuti della Riforma Cartabia troviamo senza dubbio le nuove norme che vanno a disciplinare la cronaca giudiziaria e che affida ai capi delle procure tutte le decisioni sulle notizie da rendere note alla stampa. Di questo ne avevamo già parlato un po’ qui.

Questa riforma «ha avvicinato il processo alla Costituzione. L’articolo 21 è un pilastro della democrazia, ma gli articoli 3, 24, 25, 27 non sono meno importanti. Non c’è un bene costituzionale più importante degli altri: bisogna metterli tutti insieme e trovare una mediazione tra diritto di cronaca, la riservatezza e la presunzione di non colpevolezza».

Aggiunge Vinicio Nardo, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano: «Quel decreto è doveroso perché viene dall’Europa. Penso sia qualcosa di civile che porterà a un ridimensionamento dei modi e dei costumi e che possa incidere anche sull’aspetto culturale».

Edmondo Bruti Liberati, magistrato ed ex-procuratore della Repubblica, è di tutt’altro avviso. Pur condannando gli eccessi, ricorda che «l’informazione sulla giustizia è un elemento della democrazia. È interesse pubblico che la stampa possa conoscere cosa avviene ed eserciti il suo dovere di critica verso chi esercita il potere giudiziario».

Durante l’incontro, Sisto ha risposto alle critiche sollevate sul decreto anti-rave, sostenendo che è rivolto «alla tutela della salute e dell’ordine pubblico. È indirizzato a beni giuridici che non possono essere scambiati con scuole o manifestazioni in piazza. Io sarei per una modifica che preveda l’inserimento nel testo dell’uso indiscriminato di sostanze stupefacenti per chiarire ulteriormente ed evitare che qualcuno possa applicarlo al di là dei contesti appropriati».

Per quanto riguarda la lunghezza dei processi, invece, ha dichiarato: «Nella manovra di bilancio abbiamo indicato delle priorità come le assunzioni di personale, sia nella polizia penitenziaria sia negli uffici giudiziari».

Secondo Dario Bolognesi, fondatore dello Studio Bolognesi, un aiuto potrebbe arrivare da una norma della Riforma Cartabia: «L’Istituzione di un’udienza predibattimentale nei processi che vanno a giudizio con citazione diretta, apparentemente, è in un istituto in più. Ma potrebbe portare un grande vantaggio, perché il giudice del predibattimento avrà il fascicolo del pm e potrà assolvere. Visto che un 40% delle cause si fermano in udienza preliminare, potremmo aver trovato una soluzione».

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