La condanna della Corte Ue a OnlyFans 

La piattaforma OnlyFans dovrà pagare l’Iva su tutto l’importo pagato dai fans ai creatori di contenuti. Questo grazie alla sentenza emessa dalla Corte di Giustizia Europea (C-695/20). Prima di questa decisione, l’Iva doveva essere pagata soltanto sul 20% delle rimesse

Nessun abuso di potere a danno della piattaforma OnlyFans. La Corte di Giustizia dell’UE ha, infatti, dato torto a OnlyFans, la piattaforma che mette in contatto i cosiddetti “creators” con i loro fan, che pagano per accedere a contenuti riservati.

La piattaforma OnlyFans, infatti, prevede che i creatori di contenuti guadagnino in base agli abbonamenti delle persone che si iscrivono alla piattaforma, i fan, per fruire dei loro contenuti riservati. Ogni creatore ha un profilo personale, sul quale pubblica contenuti quali foto, video o messaggi.

I fan possono accedere pagando un singolo contenuto specifico oppure attraverso degli abbonamenti mensili ed è prevista anche la possibilità di versare doni o mance. Le transazioni finanziare, la riscossione e la distribuzione dei pagamenti si rivolgono ad una società, la Fenix International. Ed è proprio qui che è nata la controversia.

Il contenzioso, infatti, è cominciato qualche anno fa nel Regno Unito, dove le autorità competenti avevano cominciato a svolgere degli accertamenti riguardo il pagamento dell’Iva da parte della Fenix International, che gestisce OnlyFans dal 2016.

L’amministrazione doganale e tributaria del Regno Unito aveva notificato degli avvisi di accertamento sull’Iva a Fenix, relativi al periodo tra il 2017 e il 2020. Fenix, che agiva a nome proprio, avrebbe dovuto assolvere l’Iva sul totale della somma di denaro ricevuta dai fan, e non soltanto sul 20% di questa somma.

In Gran Bretagna l’Iva prevede un’aliquota corrispondente dal 20%, che si applica su quasi tutti i beni e servizi, ad eccezione dei prodotti alimentari, dei libri e dell’abbigliamento per bambini.

Fenix International ha deciso di fare ricorso per la contestazione della validità sulla base giuridica degli avvisi di accertamento, ovvero, un regolamento di esecuzione che era stato emanato dal Consiglio Ue e volto alla precisazione della direttiva europea in materia di Iva.

Il giudice britannico ha chiesto il parere dei giudici comunitari, che hanno stabilito che la Corte Ue ha potuto pronunciarsi sul contenzioso poiché i fatti sono avvenuti durante il periodo di transizione successivo alla Brexit, periodo durante il quale il Regno Unito era ancora soggetto, in parte, alle norme Ue.

Il Consiglio Ue, senza andare oltre ai suoi poteri, ha precisato quindi che un gestore di una piattaforma come OnlyFans deve essere considerato come il prestatore presunto dei servizi forniti, al fine di pagare l’Iva. Dall’esame della questione pregiudiziale, dunque, non è emerso alcun elemento idoneo a mettere in discussione la validità della controversa disposizione sul regolamento d’esecuzione.

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“Un traguardo collettivo”: Margherita Cassano è ufficialmente la nuova presidente della Corte di Cassazione

«Il mio impegno sarà ispirato alla più ampia collegialità verso i protagonisti della giustizia»

Margherita Cassano è ufficialmente la prima donna presidente della Corte di Cassazione, nominata all’unanimità dal plenum del Consiglio superiore della magistratura.

In un’intervista a La Stampa Cassano dichiara: «Io questa presidenza non la vivo come un traguardo individuale, ma collettivo. Sono state tante le donne e tanti gli uomini che hanno lavorato nel tempo per un’effettiva parità tra i sessi in tutti i campi. Il mio impegno sarà ispirato alla più ampia collegialità verso tutti i protagonisti della Giustizia».

Cassano prende il posto di Pietro Curzio, ormai in procinto di andare in pensione. Ha ricevuto una pioggia di congratulazioni, sia dal mondo della politica che da quello delle istituzioni. Per Sergio Mattarella, Cassano «ha un eccellente profilo professionale. Sappiamo tutti che si tratta della prima donna chiamata a ricoprire questo ruolo; questo non ha influito, desidero però sottolinearlo, ricordando che 5 giorni fa ricorrevano i 60 anni dalla legge che ha immesso le donne in magistratura».

L’eccellente Curriculum di Cassano

Cassano è entrata nell’ordine giudiziario giovanissima, a 25 anni. Il primo incarico fu alla Procura di Firenze, nel 1981, dove si fa notare immediatamente, racconta il Consiglio Giudiziario al Csm, «per attaccamento al servizio, abilità nella conduzione delle istruttorie, quantità e qualità dei provvedimenti redatti e degli affari trattati».

L’anno successivo entra già a far parte del gruppo specializzato sulla criminalità e sugli stupefacenti, tema, quest’ultimo, al quale dedicherà anche delle pubblicazioni. Si occupa, parallelamente, di sequestri di persona, omicidi, reati finanziari e contro la PA, infortuni sul lavoro e di reati contro la libertà sessuale.

Lavora nella Direzione distrettuale antimafia di Firenze dal 1991 al 1998, al fianco del procuratore Pier Luigi Vigna. Nel 1998 entra a far parte dei componenti togati del Csm, con il gruppo Magistratura Indipendente, che rappresenta le toghe moderate. Fa parte della Sezione disciplinare per quattro anni.

Nel 2003, a fine mandato, approda in Cassazione. Viene assegnata alla Prima sezione penale, che presiederà in seguito. Da lì in poi si occupa di reati di violenza e omicidi. Nel 2016, invece, ritorna a Firenze come presidente della Corte d’Appello: quattro anni nei quali spinge verso l’informatizzazione e la riduzione dei tempi della Giustizia.

Nel 2020 diviene presidente aggiunto della Cassazione, e in soli 3 anni riesce a “scalare” la Suprema Corte, tenendo sempre ben salda la sua grande umanità, la sua capacità d’ascolto ed il suo rispetto per le persone. «Non dimentico il personale amministrativo. E poi il mondo dell’università, che è un costante stimolo a fare meglio. Da tutti mi aspetto un contributo propositivo di idee».

Una pioggia di complimenti, anche online

Il premier Giorgia Meloni si congratula via Twitter: «Congratulazioni a Margherita Cassano, nuovo Presidente della Corte di Cassazione e prima donna al vertice della Suprema Corte. A lei vanno le mie felicitazioni e i più sinceri auguri di buon lavoro».

Per il Guardasigilli Nordio, la nomina è «il traguardo di un percorso iniziato 60 anni fa, con l’ingresso delle prime donne in magistratura e rappresenta un ulteriore fondamentale passo in avanti verso l’effettiva parità di genere». Aggiunge: «La Presidente Cassano sarà un punto di riferimento per le giovani che sempre più numerose superano il concorso, per prestare un essenziale servizio alla Repubblica».

Alla data del 30 giugno 2022, le donne facenti parte della magistratura hanno superato numericamente i colleghi maschi: rappresentano il 55% del totale e sono 4.952. L’apripista fu la legge 66 del 1963, che permise alle donne di entrare in magistratura, disciplinando anche l’ammissione agli impieghi pubblici e a tutte le cariche.

Le prime 27 vincitrici di concorso entrarono nel 1965, e da quell’anno la percentuale ha cominciato ad aumentare sempre più, anche ai vertici.

Pinelli, il vicepresidente del Csm, ha parlato di un passaggio cruciale, sottolineando come questa nomina «giunge a coronamento del luminoso percorso professionale di altissimo livello e di assoluta eccellenza, coerente, del resto, con l’eccellenza professionale che è patrimonio della Corte di legittimità».

Maria Masi, invece, presidente del Cnf, ha dichiarato: «La nomina testimonia un momento importante nella storia del nostro paese e nel mondo della giustizia. Sono onorata di condividere un momento storico così favorevole al riconoscimento delle capacità professionali delle donne con la presidente Cassano, alla quale esprimo i miei più sentiti auguri di buon lavoro».

Non mancano anche i complimenti di Silvio Berlusconi, che arrivano dal suo profilo Instagram: «La nomina di Margherita Cassano a Primo Presidente della suprema Corte di Cassazione è un’ottima notizia per due ragioni. Prima di tutto per la sua straordinaria competenza giuridica, il grande equilibrio e il profondo senso delle istituzioni che hanno caratterizzato un’intera vita spesa al servizio della giustizia».

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«Nordio assassino»: scritte d’odio sul Palazzo della Regione

Riforma Cartabia | AGGIORNAMENTO SERVICE1

Si comunica che, al fine di rendere disponibili le nuove funzionalità previste dalla Riforma della Giustizia Cartabia, i nostri programmatori stanno lavorando per l’aggiornamento di Service1.

Tutti gli aggiornamenti di Service1 saranno disponibili a breve, entro la sera del 1 marzo 2023.

Ricordiamo che è disponibile la guida per il deposito telematico con Service 1 al seguente link: Guide Depositi – SM Servicematica

Avvocati: addio all’esonero dei contributi 2023

È arrivato il momento di dire addio all’esonero del contributo minimo, decisione presa dai ministeri vigilanti, che hanno deciso di negare l’approvazione della delibera di Cassa Forense. Quest’ultima aveva infatti esteso l’esonero dal pagamento contributo minimo sin dal 2018. Compatto, il mondo dell’avvocatura, nel definire assurda questa decisione.

Temporaneamente abrogato dal 2018 al 2022, Cassa Forense aveva disposto la sospensione del contributo minimo anche per il 2023. Tuttavia, dopo la decisione presa dal ministero, informa la Cassa, l’ente dovrà riscuotere tale contributo, con la rata del 20 settembre 2023, nella misura di 770 euro.

È un provvedimento «assolutamente inaspettato», dice la Cassa, sulla quale si «riserva l’impugnazione», dato che «la delibera del Comitato era funzionale all’entrata in vigore, dal 2024, della riforma strutturale della Previdenza Forense, già all’esame degli stessi Ministeri».

Il costo contenuto dell’esonero, peraltro, leggiamo nella nota firmata da Valter Militi, «stimato in circa 25 milioni di euro è assolutamente compatibile con gli equilibri finanziari di lungo periodo dall’Ente, mentre il richiamo agli “effetti negativi sui saldi di finanza pubblica”, contenuto nella nota ministeriale, appare del tutto inconferente, stante il fatto che gli stessi vigilanti avevano approvato l’analogo provvedimento per il quinquennio 2018/2022».

Un diniego che non soltanto «lede l’autonomia dell’ente», ma anche «inutilmente vessatorio nei confronti degli iscritti e fondato su motivazioni non condivisibili».

La reazione del’AIGA

Anche l’Associazione dei giovani avvocati si dichiara preoccupata, tramite un comunicato stampa in cui commenta «l’assurda decisione».

Nella nota diffusa dal presidente Perchinunno leggiamo che «AIGA richiede con forza ai Ministeri Vigilanti di rivedere la decisione sulla delibera tenuto conto non solo dell’autonomia dell’Ente che verrebbe in tal modo lesa, ma anche delle esigenze della giovane avvocatura che necessita di essere sostenuta nel particolare momento storico che stiamo attraversando».

Avvocatura sempre più sola: la denuncia dell’OCF

La reazione dell’OCF, invece, è ancora più dura. «L’avvocatura, nel pieno della grave crisi economica, è stanca e arrabbiata: non è prudente abusare della sua pazienza», dice il coordinatore Mario Scialla.

Continua Scialla: «La mancata sospensione colpisce gli avvocati con i redditi più bassi in modo incomprensibile. Ciò che indigna di più, però, non sono tanto le non condivisibili ragioni tecniche alla base del diniego, ma alcuni passaggi della decisione, che dimostrano la totale mancanza di conoscenza di quella che è la difficile situazione che da anni vive l’avvocatura».

Nella decisione ministeriale, «si stigmatizza il fatto che circa un terzo degli iscritti dichiari un fatturato inferiore a 17.750 euro e quindi si invita Cassa Forense ad effettuare un puntuale approfondimento su costoro i quali, probabilmente, esercitano altre professioni, per le quali è richiesta l’iscrizione ad un albo, o ancor peggio, sono lavoratori dipendenti».

Per Scialla, è un’affermazione che «dimostra, chiaramente, che chi vigila su Cassa Forense non ha la minima idea di cosa significhi, in questi anni, lavorare e produrre reddito, cercando di assicurare la difesa, nonostante le pesanti disfunzioni della giustizia».

Denuncia ancora il coordinatore: «L’avvocatura è lasciata sempre più sola a combattere con le conseguenze sociali ed economiche di pandemia e guerra. C’è una bella differenza tra chi, nell’ambito della Pubblica Amministrazione, vive molto più comodamente la crisi, senza temere nulla dal punto di vista economico e chi, invece, dalla improduttività e inefficienza della giustizia deve trarre il suo sostegno, difendendo i diritti dei cittadini».

«L’avvocatura va aiutata e non mortificata, e alla stessa va ridata la giusta dignità che merita. Diversamente, si rischia una sua reazione».

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«Nordio assassino»: scritte d’odio sul Palazzo della Regione

Sabato 25 febbraio 2023 è stato imbrattato il palazzo della Regione Liguria. Ignoti, infatti, avrebbero lasciato delle scritte minacciose contro il Guardasigilli, Carlo Nordio.

«Nordio assassino», si legge nelle scritte, conseguenti a dei blitz che potrebbero essere collegati ad alcuni atti dimostrativi da parte degli anarchici, che manifestano solidarietà con il detenuto al 41-bis Alfredo Cospito.

Giovanni Toti, presidente delle Regione, condanna fermamente i gesti d’odio. «Le scritte comparse in queste ore sul palazzo della Regione Liguria dimostrano ancora una volta che il clima d’odio che sta dilagando nel nostro Paese è diventato intollerabile. Le Istituzioni devono essere unite e saper gestire con risolutezza e polso fermo i momenti di tensione. Al ministro Nordio, a cui sono indirizzate alcune delle scritte, va la nostra solidarietà».

Conclude Toti: «Non saranno di certo questi gesti ad intimidirci. Continueremo a lavorare a testa alta per combattere ogni forma di violenza e criminalità».

Il segretario provinciale della Lega Nord di Genova, Francesca Corso, ha dichiarato: «La Lega esprime tutta la sua solidarietà alle forze dell’ordine e a tutti coloro che hanno subito danni e condanna i gesti incivili compiuti da vandali che si sono intrufolati tra i manifestanti presenti al corteo organizzato dal Collettivo autonomo dei lavoratori del Porto. Scritte sulle auto della polizia locale, della finanza, sulle vetrate delle banche. Speriamo che questi teppisti vengano identificati al più presto e assicurati alla giustizia».

Cospito, nel frattempo, non accenna a voler fare passi indietro. «Una persona convinta di sé e di quello che sta facendo», riferisce il legale del detenuto, Flavio Rossi Albertini.

«Bisognerà tentare nuove strade che non abbiamo già percorso in precedenza, anche fuori dall’Italia», continua il legale. Cospito «prende atto dei passi che sono stati compiuti da chi doveva decidere delle sue sorti, ma lui vuole andare avanti, ne va della sua vita. Non solo della sua vita, ma anche delle sue prospettive di vita perché il 41-bis non dà grandi prospettive né di vita né di esercitare i propri diritti. Sta facendo una lotta per la vita: l’unica via possibile è quella fuori dal 41-bis».

Secondo le ultime relazioni mediche, i valori di Cospito sono nella norma. Durante il suo ricovero, durato circa due settimane, ha preso anche un paio di kg.

Nelle ultime ore, i difensori di Cospito stanno valutando un ricorso alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, per contestare il rigetto della Cassazione sull’annullamento del regime del 41-bis.

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I lati oscuri della digitalizzazione

Una delle minacce principali dell’era digitale è la criminalità informatica. Una criminalità che, sfruttando le tecnologie informatiche, commette reati come violazioni di copyright, frodi, furti, phishing, diffusione di virus, accessi non autorizzati e molto altro.

Sono attività criminali che hanno un grosso impatto sui sistemi informatici delle aziende, delle istituzioni, dei governi e delle persone, compromettendo la riservatezza, la sicurezza, l’integrità e la disponibilità dei dati e dei sistemi.

Oltre ai danni materiali, la criminalità informatica potrebbe causare danni finanziari, reputazionali, legali, ma anche psicologici.

Aumento dei crimini informatici

Il mondo è sempre più diretto verso il digitale, e aziende e istituzioni cominciano a dipendere sempre di più alla tecnologia, al fine analizzare, raccogliere e archiviare i dati.

A sua volta, questo ha portato ad un aumento dei crimini informatici, che potrebbero essere piccole violazioni così come grandi attacchi su scala globale, capaci di colpire miliardi di persone. Nel 2019, soltanto negli Stati Uniti sono state segnalate ben 1506 violazioni di dati.

Un numero che segna un netto aumento rispetto ai 498 casi che sono stati segnalati nel decennio precedente. Oggi, così come nel prossimo futuro, una delle più grandi sfide che dovremmo affrontare è la complessità del fenomeno della criminalità informatica.

I criminali, infatti, potrebbero trovare infiniti modi per sfruttare le vulnerabilità dei sistemi informatici, e le varie tecniche d’attacco diventeranno man mano sempre più sofisticate.

I costi della criminalità informatica

Il costo medio di una singola violazione di dati, nel 2020, a livello mondiale è costata quasi 4 milioni di dollari. I costi maggiori si sono verificati nel settore sanitario, nel quale qualsiasi violazione è costata 7,13 milioni di dollari.

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Dopo il settore sanitario, i due settori nella top 3 sono quello energetico e quello finanziario. In questi casi ogni violazione ha significato una perdita di 6 milioni di dollari, ovvero 2 milioni di più rispetto alla media globale.

I criminali informatici sono sempre più abili, e le minacce di attacchi digitali continuano a crescere. Le organizzazioni di tutto il mondo, nei prossimi anni, cominceranno a spendere sempre più per tutelare la propria sicurezza informatica.

Secondo Canalys, la spesa globale destinata alla sicurezza informatica nel 2023 aumenterà del 13,2%, arrivando ad un valore complessivo di 223,8 miliardi di dollari.

Le grandi violazioni di dati

La più grande perdita, stando alle stime di Statista, è stata la violazione dei dati del marzo 2020 di Cam4. Violazione che ha permesso l’esposizione di più di 10 miliardi di dati.

La seconda violazione più importante, invece, è stata quella ai danni di Yahoo nel 2013. L’azienda aveva inizialmente parlato di un miliardo di dati esposti. Tuttavia, dopo un’indagine, le stime sono state modificate, arrivando a parlare di 3 miliardi di account violati.

Significativa anche la fuga di dati del 2018 dal database indiano nazionale Aadhaar, che ha permesso l’esposizione di oltre 1 miliardo di informazioni personali e dati sensibili.

Cosa ne pensano gli utenti

Nel 2021, grazie ad un sondaggio condotto online da Statista, il 66% degli utenti di internet partecipanti ha dichiarato di avere delle preoccupazioni nei confronto del furto d’identità. Il 57%, invece, ritiene sufficienti le misure adottate per proteggersi adeguatamente dai criminali informatici.

Il 38%, invece, ha dichiarato di non aver proprio mai pensato che la propria identità sia a rischio di furto: è un valore alto, che rispecchia una situazione preoccupante, conseguenza della poca informazione in merito.

Il 71% degli utenti di Internet ha messo in atto almeno una misura di protezione per le proprie attività online. L’azione più comune è stata la protezione dei minori da parte dei genitori.

I giganti del settore tech (come Google, per esempio) negli ultimi anni sono stati spesso oggetto di preoccupazione in materia di privacy. E la fiducia del pubblico comincia a vacillare.

Per questo motivo, aumentano sempre di più gli ad-blocker, le VPN e l’utilizzo di motori di ricerca che tutelano la nostra privacy.

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La criminalità informatica è una preoccupazione e una sfida continua in quest’epoca digitale. Prevenire i crimini informatici sarà un duro lavoro, che richiede la collaborazione di tutti.

La digitalizzazione ha certamente aperto le porte a tante nuove opportunità, ma ha aperto anche un lato oscuro che dovrà essere affrontato con adeguate misure di sicurezza, con la formazione dei dipendenti, con l’aggiornamento delle politiche ma anche con la collaborazione tra vari settori.

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La professione dell’avvocato è estremamente stressante. Sembra che gli avvocati sperimentino degli elevati livelli di stress, problemi di salute mentale e di alcolismo. Sono indubbiamente condizioni costose per il sistema giuridico, che vanno ad influenzare negativamente le capacità di servire i clienti.

Alla base dell’elevato livello di stress ci sono cause complesse, anche se, secondo alcuni studi, i fattori che fanno precipitare la salute mentale cominciano ad agire durante il periodo dell’università.

La Facoltà di Giurisprudenza, infatti, viene associata a diverse fonti di stress, a causa delle sue caratteristiche e della sua struttura, come, per esempio, il carico di lavoro impegnativo e l’ambiente troppo competitivo.

Gli studenti di giurisprudenza competono l’uno con l’altro per voto, tirocini, onori e lavori. La competitività e l’aggressività degli altri studenti, inoltre, contribuiscono ad aggiungere altro stress.

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Nel 1986 è stata condotta una ricerca su 320 ex studenti di giurisprudenza dell’Università dell’Arizona. Si è scoperto che gli studenti che entravano nella facoltà di giurisprudenza avevano meno sintomi, e, se presenti, erano meno gravi in confronto ai colleghi del terzo anno di giurisprudenza.

All’inizio del loro percorso, gli studenti avevano sintomi simili a quelle della popolazione generale, mentre già alla fine del primo anno di Università si notavano sintomi più gravi.

Più si andava avanti con il percorso accademico, più i sintomi aumentavano significativamente. Gli studenti del terzo anno, per esempio, riportavano maggior ostilità e depressione rispetto a quelli del secondo anno.

Se all’inizio degli studi la percentuale di studenti con depressione oscillava tra i 3 e il 9%, nella primavera del primo anno si attestava al 32% e al 40% nella primavera del terzo anno. Questi dati suggeriscono che gli avvocati sperimentano problemi di salute mentale più alti rispetto al resto della popolazione generale.

Gli studenti di legge, infatti, sono sani quanto la popolazione normale, ma durante gli studi la situazione sembra peggiorare e spesso, dopo l’Università non migliora più.

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E’ arrivato il fatidico giorno: da oggi entra in vigore la riforma della Giustizia di Marta Cartabia. Tuttavia, magistrati e avvocati lanciano l’allarme. Aiga, Anf, Anm e Uncc «esprimono con forza tutta la loro preoccupazione nei confronti di un intervento normativo che difficilmente consentirà di raggiungere gli obiettivi prefissati di semplificazione, speditezza e razionalizzazione del rito».

Al contrario, «lo stesso rischia di rivelarsi pregiudizievole per la tutela dei diritti dei cittadini e per la competitività delle imprese sul mercato. Al fine di ottenere i finanziamenti previsti dal Pnrr, l’Italia si è impegnata con l’UE a ridurre l’arretrato dei processi civili del 55-65% entro la fine del 2024 e del 90% entro la metà del 2026. Come già è stato più volte evidenziato, tali percentuali di riduzione sono irrealistiche ed irrealizzabili nei tempi indicati e a parità di risorse di mezzi e di personale di magistratura ed amministrativo».

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Da oggi, dunque, entrano in vigore le novità della riforma del processo civile. Troviamo tra queste la nuova procedura unificata per i giudizi civili, il procedimento semplificato di cognizione, ma anche l’abrogazione del rito Fornero in materia di licenziamenti. Tutte le modifiche entreranno in vigore mercoledì 1° marzo.

Ma avvocati e magistrati dicono a gran voce no alla riforma, chiedendo anche la costituzione di un “tavolo di confronto” permanente con l’Avvocatura, la Magistratura e la PA, «che permettano finalmente di varare interventi idonei a rispondere alle vere carenze del settore giustizia».

Leggiamo in una nota congiunta: «Siamo, purtroppo, alla decima modifica nel corso degli ultimi quindici anni, senza che nessuna di esse abbia apportato grandi effetti in termini di riduzione dell’arretrato. In realtà, la forte carenza dell’organico, sia dei magistrati che del personale amministrativo, nonché la sua irrazionale distribuzione sul territorio nazionale, l’inadeguatezza dei sistemi telematici soggetti a continue interruzioni, oltre all’ormai cronica fatiscenza delle strutture destinate all’edilizia giudiziaria, sono le vere ragioni della dilatazione dei tempi del processo civile»

Per tale ragione, soltanto investendo in questi settori si potrebbero ottenere gli obiettivi del PNRR. Modificare nuovamente il rito, scegliendo un modello non tanto diverso da quello che creò il processo societario, dimostra che il Legislatore, così come il Governo, non soltanto non sono riusciti ad individuare le cause del problema, ma che percorreranno una strada che si è già confermata inefficace.

Tutto questo avverrà «a danno di cittadini e imprese i quali, oltre a non veder tutelati i loro diritti in maniera soddisfacente, ne subiranno tutti gli effetti sociali ed economici negativi».

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La riforma Cartabia introduce delle novità che andranno ad implementare il Processo Civile Telematico, ma senza intervenire prima sugli applicativi informatici, che sono inadeguati rispetto alle tecnologie di oggi. Si rischia, dunque, di andare incontro ad un rallentamento del sistema, che si ripercuoterà su imprese e cittadini.

Anche l’Ufficio per il processo, per quanto possa essere una cosa utile, non consente di raggiungere gli obiettivi irrealistici poiché, oltre ai gravi vuoti di organico nel personale di cancelleria, siamo di fronte ad assunzioni con contratto a tempo determinato, che spinge i più giovani a dare le dimissioni nel tentativo di trovare dei lavori più stabili.

La durata dei giudizi, inoltre, non dipende solo dal numero delle udienze istruttorie che si svolgono durante una controversia giudiziale, ma dal rapporto d’equilibrio tra le risorse umane e il numero dei procedimenti in entrata. Senza questo equilibrio, qualsiasi riforma processuale, per quanto innovativa, è destinata al fallimento.

Aiga, Anf, Anm e Uncc, per queste ragioni, chiedono al Governo di dimostrare il coraggio per scongiurare una paralisi degli uffici giudiziari, adottando tutte le misure opportune, come la costituzione di un tavolo di confronto permanente con l’Avvocatura, la Magistratura e il Personale.

Inoltre, annunciano anche la costituzione di nuclei di monitoraggio, mirati all’individuazione di soluzioni congiunte che attenuino le criticità che emergeranno dopo l’entrata in vigore della Riforma Cartabia.

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Obbligo Fatturazione Elettronica: le novità del decreto Milleproroghe

Con l’approvazione del decreto Milleproroghe sono state introdotte alcune novità per quanto riguarda la fatturazione elettronica e la trasmissione telematica al sistema Tessera Sanitaria dei corrispettivi da parte degli operatori sanitari.

Con decreto Milleproroghe si fa riferimento ad un decreto legge che vuole risolvere delle disposizioni urgenti entro la fine dell’anno. Lo scopo principale è quello di prorogare delle scadenze di legge che stanno per terminare. Dovrebbe essere una misura eccezionale, ma in realtà è stata riproposta più volte a partire dal 2005.

Spesso il decreto Milleproroghe include alcune misure che il governo, per vari motivi, non è riuscito ad inserire nella Legge di Bilancio, che necessita di essere approvata entro il 31 dicembre.

Le novità

Nel decreto Milleproroghe del 2022 troviamo anche la proroga all’introduzione dell’obbligo di trasmissione dei corrispettivi tramite il sistema Tessera Sanitaria per le prestazioni sanitarie.

Dallo scorso 1 gennaio, infatti, sarebbe dovuto scattare l’obbligo di fatturazione elettronica per le prestazioni sanitarie. Tuttavia, con il decreto Milleproroghe, tutto slitta al 1° gennaio 2024. Dunque, i medici e gli operatori del settore sanitario resteranno fuori da tale obbligo per un altro anno.

Fino al prossimo 31 dicembre, tutti i soggetti che devono inviare i dati al Sistema Tessera Sanitaria per l’elaborazione della dichiarazione dei redditi precompilata, per effetto delle novità del provvedimento, non potranno emettere fattura elettronica.

Nello specifico, non potranno emettere fattura elettronica tramite Sistema di Interscambio (SdI) gli operatori sanitari che:

  • devono inviare al sistema Tessera Sanitaria i dati di spesa che i propri clienti hanno sostenuto durante l’anno, ex art 10-bis del 119/2018;
  • non sono tenuti ad inviare informazioni sulle spese sanitarie al sistema Tessera Sanitaria ma che sono tenuti ad assistere privati ex art.9-bis comma 2 DL 135/201.

Questi soggetti dovranno continuare ad emettere fattura cartacea e a trasmettere i dati secondo le modalità ordinarie.

Al fondamento dell’estensione del divieto di fatturazione elettronica all’interno del settore sanitario troviamo l’esigenza di riservatezza e tutela dei dati personali dei cittadini. Introdotto nel 2019, l’obbligo generalizzato di emissione di fattura elettronica non si è mai attivato per le prestazioni sanitarie, in base alla tutela della privacy dei pazienti come previsto dall’articolo 10-bis del DL 199/2018.

Nel 2018 le professioni sanitarie erano state escluse dall’obbligo di emissione di fatturazione elettronica a seguito di alcune criticità che sono state evidenziate dal Garante per la Protezione dei dati personali.

Le strutture sanitarie convenzionate con il SSN, che siano pubbliche o private, grazie al decreto Milleproroghe potranno utilizzare la fatturazione elettronica per le prestazioni sanitarie che hanno erogato dal prossimo 1 gennaio 2024. L’unica condizione è che tali prestazioni siano state pagate con bancomat, carta di credito o con ulteriori strumenti di pagamento elettronici.

Dunque, dal 1° gennaio 2024, i soggetti che dovranno inviare i dati al sistema Tessera Sanitaria, dovranno adempiere agli obblighi di memorizzazione elettronica e di trasmissione telematica all’Agenzia delle entrate dei dati attraverso il loro invio al sistema Tessera Sanitaria. Per farlo, dovranno utilizzare strumenti tecnologici capaci di garantire la sicurezza e l’inalterabilità dei dati.

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Esiste il Diritto alla Felicità?

In base alle definizioni dizionaristiche, la felicità è uno stato d’animo positivo conseguente alla soddisfazione dei propri desideri. Parliamo di un insieme di sensazioni ed emozioni dell’intelletto e del corpo, che procurano gioia e benessere per lungo tempo.

Un concetto molto dibattuto in molteplici culture e società è il diritto alla felicità. Andando oltre i dizionari, sono molti i fattori che incidono sul concetto di felicità, e quello che rende felici le persone cambia in base all’individuo. Tuttavia, sono in molti a sostenere che la felicità, per qualsiasi essere umano, sia un diritto fondamentale, e che lo Stato debba garantire le condizioni per il suo pieno raggiungimento.

Ma esiste veramente il diritto alla felicità? Che cosa prevede la nostra Costituzione a tal proposito?

La Costituzione riconosce il diritto alla felicità?

Nella nostra Costituzione non esiste un riconoscimento del diritto alla felicità. O per lo meno, non esplicitamente.

Il concetto di felicità è qualcosa di soggettivo, che cambia a seconda della persona. Per qualcuno, infatti, essere felice vuol dire avere un lavoro, mentre per altri la felicità corrisponde al diritto al riposo.

Potremmo fare tantissimi esempi, ma in generale è difficile stabilire una definizione universalmente condivisa di felicità. Ancora più difficile, dunque, stabilire come tale ipotetica definizione possa essere garantita dalla Costituzione e dallo Stato.

La nostra Costituzione, tuttavia, garantisce a qualsiasi cittadino strumenti finalizzati al raggiungimento del proprio concetto personale di felicità. Di conseguenza, predispone anche i mezzi per raggiungere la felicità, come la tutela della salute, della libertà, della sicurezza, l’assistenza sociale, previdenziale, l’uguaglianza e la possibilità di realizzare le proprie aspirazioni e i propri sogni.

La felicità è un concetto relativo e astratto, certo, ma lo Stato deve sempre garantire degli strumenti affinché ogni persona possa realizzarla attraverso le sue sfaccettature.

La Costituzione italiana, per esempio, stabilisce che lo Stato abbia l’obbligo di garantire, come diritto fondamentale, la tutela alla salute, il lavoro e la sicurezza pubblica. Diritti cruciali, dunque, per poter raggiungere la felicità, dato che salute e sicurezza sono condizioni assolutamente indispensabili per una vita serena e dignitosa.

La Costituzione italiana, inoltre, garantisce la parità di trattamento dinanzi alla legge e la libertà individuale: sono presupposti fondamentali per la felicità, in quanto condizioni necessarie per sviluppare la propria personalità e realizzare aspirazioni e sogni.

La Costituzione non riconosce esplicitamente il diritto alla felicità al fine di evitare di insinuare che gli interessi del singolo precedono quelli della collettività.

Ma così non è, ovviamente, dato che le libertà personali sono compatibili con l’interesse delle persone e degli altri cittadini. Anzi: sono numerose le norme che antepongono l’interesse della cittadinanza a quella dell’individuo.

I padri costituenti sapevano bene che l’interesse del singolo non può prescindere dal benessere collettivo nel quale è inserito. Questo ben rappresenta il concetto di società, che collega tutti e tutto: quello che succede ad un unico individuo si ripercuote tutto intorno a lui.

Per concludere

Nonostante le norme della Costituzione e le leggi che cercano di garantire alle persone un’esistenza serena, pacifica e felice, non esiste un vero e proprio riconoscimento esplicito di tale diritto. La felicità, infatti, dipende da più circostanze, come la salute, la carriera, le relazioni: non può, dunque, essere garantita grazie ad una legislazione.

Questo non vuol dire che il diritto alla felicità venga ignorato dalle autorità giudiziarie, ma che, semplicemente, non esiste una vera e propria norma che lo tuteli.

La realizzazione dei diritti fondamentali che garantisce la Costituzione contribuisce alla felicità e al benessere delle persone. Le istituzioni, inoltre, possono lavorare per la creazione di ambiente sociale positivo ed equilibrato, che aiuti le persone a raggiungere pienamente la felicità.

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