Avvocati: uno sportello di ascolto per prevenire il burn-out

A Padova è stata rinnovata la sperimentazione, avviata nel 2022, dello “Sportello di Ascolto: prevenzione del burnout e sviluppo del benessere personale e professionale degli Avvocati

Può capitare, infatti, di ritrovarsi in un momento difficile, durante l’esercizio della professione forense. Gestire i clienti e i rapporti con i colleghi non sono cose così semplici; per non parlare dei rapporti con uffici giudiziari e magistrati.

Ci si potrebbe chiedere, addirittura, se abbiamo fatto la scelta giusta, e se l’esercizio della libera professione fa veramente per noi. Ecco: nel corso degli ultimi anni questi pensieri si sono moltiplicati, visto il numero elevato di cancellazioni dall’Albo.

Ma prima di perdere qualsiasi speranza, e soprattutto prima di prendere una decisione così drastica, sarebbe meglio interrogarsi su alcuni sentimenti, per comprendere se siamo di fronte ad uno sconforto temporaneo, oppure a un disagio permanente.

Avvocati nella top ten dei lavori soggetti a burn-out

Il Progetto alla base dello sportello riguarda uno spazio dedicato all’ascolto dell’Avvocato e del disagio psicologico che incontra durante l’esercizio della professione. Ma lo sportello funge anche da prevenzione, in ottica di una cronicizzazione di tale disagio, individuando, al tempo stesso, il giusto percorso per la sua risoluzione.

Lo Sportello di Ascolto non vuole imporsi in quanto spazio psicoterapeutico nel quale vengono affrontati problemi personali esterni rispetto alla propria attività lavorativa, ma in quanto occasione per contrastare lo stress lavorativo causato dalla professione forense.

Secondo alcuni recenti studi, la professione forense è stata inserita nella top ten delle professioni che rischiano il burn-out, ovvero, una sindrome che svuota le energie psichiche, con ricadute sulla sfera emotiva, ridotta realizzazione personale e depersonalizzazione. Tutte cose che tendono a verificarsi nelle professioni che hanno un alto impatto relazionale.

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Lo Sportello vorrebbe aiutare i professionisti nel definire e circoscrivere il disagio provato, individuandone le cause e stabilendo gli interventi necessari al fine di prevenire oppure fronteggiare correttamente il disagio. In questo modo, l’avvocato sarà aiutato nel processo di individuazione delle sue risorse personali, che lo aiuteranno a gestire le criticità.

Inoltre, si vuole sensibilizzare l’opinione pubblica e gli operatori del diritto su una sofferenza non abbastanza riconosciuta, e sulle complessità delle implicazioni psicologiche e relazionali delle professioni forensi.

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Lo sportello nasce grazie alla collaborazione tra la Sezione di Padova di AIGA – Associazione Italiana Giovani Avvocati e SIPAP – Società Italiana Psicologi Area Professionale, con il Patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di Padova.

Dichiara Pierluigi Policastro, presidente di SIPAP: «Siamo orgogliosi di essere parte di questa importante iniziativa rivolta al mondo dell’Avvocatura e SIPAP metterà a disposizione del progetto la propria esperienza organizzativa e un team selezionato dai propri associati che vantano una decennale esperienza nel mondo della psicologia legata agli ambiti lavorativi e professionali. Si tratta di un gruppo ristretto di professionisti psicologi che hanno contribuito attivamente allo sviluppo dell’iniziativa, dott.ssa Laura Baccaluva, dott.ssa Monica Dimonte, dott. Andrea Petromilli, pronti ad essere integrati con altri componenti in base alla quantità di richieste che riceveremo».

AIGA Padova, nel corso degli ultimi anni, ha inserito nella propria offerta anche uno spazio per il benessere psicologico e fisico del professionista. Durante gli eventi formativi che sono stati organizzati dall’Associazione sono stati affrontati alcuni temi, come la relazione cliente-avvocato, la gestione dello stress, il burn-out, una nutrizione corretta e l’importanza della gestione delle sfide della professione.

Temi attuali, che non possiamo più ignorare.

Come accedere allo Sportello

Per poter accedere allo Sportello bisogna compilare l’apposito form online disponibile cliccando su questo link. Basterà compilare un questionario indicando le proprie difficoltà percepite. In tal modo, gli psicologi potranno procedere a una prima valutazione del disagio percepito dal professionista.

Successivamente, l’interessato verrà contattato al fine di fissare il primo colloquio, al quale seguirà un incontro di follow-up per stabilire se il cambiamento ottenuto è funzionale al benessere dell’avvocato o se il professionista dovrà essere indirizzato verso un supporto psicologico maggiormente strutturato.

Gli incontri avverranno privatamente, negli studi professionali degli psicologi. I dati personali degli aderenti verranno raccolti direttamente da SIPAP con la massima privacy. Per il momento, il servizio è riservato ad Avvocati e Praticanti del Foro di Padova, ma presto il servizio verrà diffuso in tutti i Fori interessati.

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Ritorno alla riforma Orlando: scongelata la riforma della Giustizia

Tre giorni di sciopero ad aprile per i penalisti

Ritorno alla riforma Orlando: scongelata la riforma della Giustizia

Fratelli d’Italia ha depositato alla Camera una proposta di legge per ritornare alla riforma Orlando e cancellare la Bonafede. Verrà abbinata ad un analogo testo, presentato in precedenza da Costa di Azione

È arrivata la prima accelerazione garantista del Governo. L’imminente presentazione di una proposta di legge di Fratelli d’Italia ha il fine di rispristinare la prescrizione ante Bonafede.

Dunque, si segna un ritorno alla disciplina sostanziale riguardo i tempi massimi del processo che già il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro aveva annunciato alla vigilia delle elezioni. A metà settembre, infatti, era stato organizzato un dibattito sulla giustizia dal CNF: Delmastro, per l’occasione, sottolineò che il ripristino della prescrizione sostanziale era «un’esigenza di civiltà giuridica, necessaria per scongiurare l’abnormità della condizione di imputato a vita».

Nei prossimi giorni, come anticipato da Agi, verrà molto probabilmente fissato un calendario maggiormente dettagliato, anche se Ciro Maschio, presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio, aveva dato delle chiare rassicurazioni al responsabile Giustizia e vicesegretario di Azione, Enrico Costa, autore del testo sulla prescrizione depositata in questa legislatura.

A maggio se ne occuperà l’organismo della Camera. Spiega Carolina Varchi, capogruppo di FdI in commissione Giustizia: «Ripristinare la prescrizione sostanziale è una proposta dell’intero partito, anzi è la proposta del partito. Sono tra i firmatari dell’iniziativa sulla prescrizione, ma lo potremmo definire un dato meramente formale, perché si tratta appunto di scelta politica di tutta Fratelli d’Italia».

Continua Varchi: «Noi abbiamo una priorità, sul penale: fare in modo che la domanda di giustizia trovi risposta. Siamo anche pronti a comprendere le difficoltà in cui si dibattono gli uffici giudiziari: ma quella risposta di giustizia non è compatibile con l’idea che si resti imputato a vita. Ecco perché la prescrizione sostanziale, nella forma già codificata con la legge Orlando, è necessaria».

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Tre giorni di sciopero ad aprile per i penalisti

ChatGPT e lo scenario Terminator: le IA uccideranno il lavoro dell’avvocato?

Tre giorni di sciopero ad aprile per i penalisti

E’ stata disposta l’astensione per il 19, 20 e 21 aprile 2023, da parte della delibera dell’Unione delle camere penali, invitando a manifestare contro l’inerzia di Parlamento ed esecutivo

Giornate di sciopero per i penalisti e manifestazione nazionale, con ora e luogo ancora da decidere, «per il rilancio e la concreta attuazione e ripetutamente impegnati a realizzare, a partire dagli indifferibili interventi correttivi della riforma processo penale».

È della sera del 27 marzo 2023 la delibera dell’Unione delle Camere penali, che, davanti all’immobilismo e all’arretramento del Governo, chiede, retoricamente: «La preannunciata stagione delle riforme liberali della giustizia è già abortita?».

Come bersaglio il Guardasigilli Carlo Nordio, descritto come un liberale convinto che funge da ostaggio in una maggioranza che vuole andare verso tutt’altra direzione, ovvero, verso il «peggiore giustizialismo populista».

Scrivono il Presidente Caiazza e il Segretario Rosso: «Le riforme processuali urgenti richieste dall’avvocatura sono ignorate. Invece, i diktat della magistratura vengono prontamente eseguiti: rallentamento della riforma costituzionale della separazione delle carriere, congelamento delle riforme dell’ordinamento giudiziario sgradite alle toghe. Ma soprattutto: carcere, carcere, carcere, ogni qual volta la cronaca e la ricerca del consenso ispirano e sollecitano il peggiore populismo penale».

Dunque, mentre si registra un nulla di fatto sul famoso tavolo annunciato dal ministro Nordio per correggere alcuni difetti della riforma Cartabia, si fermano le riforme sgradite alla magistratura. In primo luogo, la separazione delle carriere, che è stata interrotta sul nascere, nonostante l’annuncio durante la campagna elettorale come punto centrale di una fantomatica riforma della giustizia.

Dunque, «si assiste ad un eclatante quanto paradossale contrasto tra le idee ed i programmi di riforma liberale della giustizia penale che il Ministro Carlo Nordio ha formalmente e solennemente annunciato in Parlamento, e che egli continua a ribadire, con sincera e profonda convinzione, in ogni occasione pubblica di interlocuzione con l’avvocatura, e la quotidiana realtà di una politica giudiziaria ispirata al più vieto populismo giustizialista».

Se i penalisti «ribadiscono senza riserve il proprio apprezzamento e sostegno verso le idee riformiste del Ministro Carlo Nordio, ed alla figura di giurista ed intellettuale liberale quale egli certamente è, non possono più oltre ignorare come quelle idee e quei propositi riformisti appaiano osteggiati ed interdetti dalla stessa maggioranza che dovrebbe sostenerli».

Anche il CNF invita gli Ordini forensi territoriali e le associazioni forensi italiane «ad esprimere il proprio sostegno, nelle forme che si riterranno opportune, a questa iniziativa di protesta e di mobilitazione civile».

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ChatGPT e lo scenario Terminator: le IA uccideranno il lavoro dell’avvocato?

«Mano a mano che i nostri sistemi si avvicinano alla Agi (Intelligenza Artificiale Generale, ovvero un’intelligenza artificiale con abilità cognitive pari a quelle dell’uomo), stiamo diventando sempre più cauti nella creazione e diffusione di questi modelli. Le nostre decisioni richiederanno molta più cautela di quella che la società solitamente applica alle nuove tecnologie», spiega Sam Altman, fondatore di OpenAI e di ChatGpt.

Come ormai noto, tali strumenti potrebbero diventare delle pericolosissime macchine per propaganda e fake news, capaci di esacerbare delle discriminazioni provocate proprio dagli algoritmi di IA, disseminando informazioni errate.

Sam Altman, nei confronti di tutto questo, non ha mai dimostrato qualche sorta di cautela, decidendo, dunque, di rendere disponibile improvvisamente e a tutti ChatGpt. Altre società, invece, hanno deciso di prestare maggior attenzione, non soltanto per un senso di responsabilità, ma per paura che eventuali scandali si potessero ripercuotere sulle finanze.

Ma di cosa ha paura Sam Altman? Perché, all’improvviso, annuncia di volersi muovere con maggior cautela? Ebbene, in un’intervista all’emittente televisiva statunitense Abc, Altman si è dimostrato molto realistico, parlando dei rischi concreti che devono essere assolutamente presi in considerazione.

«Sono soprattutto preoccupato che questi modelli possano essere usati per la disinformazione su larga scala. Inoltre, migliorando sempre di più nella scrittura di codici informatici, potrebbero anche essere usati per eseguire cyber-attacchi».

ChatGPT e lo scenario Terminator

Ma perché Sam Altman non si è mostrato sin dal principio così preoccupato per la diffusione di uno strumento avanzato di IA generativa come ChatGPT, che potenzialmente potrebbe già essere utilizzato per tali finalità?

I pericoli che allarmano Altman, in realtà, potrebbero essere ben diversi rispetto a quelli di cui ha parlato durante l’intervista ad Abc. Di certo non stiamo parlando di nulla di segreto: è cosa nota, infatti, che Altman sia preoccupato del rischio esistenziale dell’avvento delle IA evolute.

Stiamo parlando del cosiddetto “scenario terminator”, uno scenario nel quale lo sviluppo di una IA metterebbe a rischio l’esistenza della razza umana, rendendola obsoleta dalle IA che hanno sviluppato una coscienza e capacità cognitive di gran lunga superiori alle nostre, che potrebbero inseguire autonomamente obiettivi che vanno contro il benessere della società umana.

Questo è ciò che intendeva l’imprenditore Elon Musk, nell’affermare che lo sviluppo delle Agi è equivale all’invocazione del demonio. Un timore, che secondo gli esperti è qualcosa di fantascientifico, equivalente alla preoccupazione di un’attuale «sovrappopolamento di Marte».

Questi strumenti, infatti, si limitano a fare complicati calcoli statistici, senza comprendere ciò che stanno facendo, e il loro funzionamento avviene sotto il nostro controllo. Dunque, il timore che un’IA si possa improvvisamente trasformare in qualcosa di maligno, agendo in completa autonomia e contro i nostri interessi, per gli esperti è qualcosa di assolutamente assurdo.

Marketing o reale preoccupazione?

Ma tutto questo non rassicura Sam Altman, uno dei principali esponenti di questa corrente di pensiero, conosciuta come lungotermismo: «Alcune persone nel campo dell’intelligenza artificiale considerano i rischi legati alla Agi (e i sistemi successivi) immaginari. Se avranno ragione loro, saremo molto contenti di saperlo, ma agiremo invece come se questi rischi fossero esistenziali».

Inoltre, Altman dice di avere anche «posto un limite ai ritorni economici che i nostri investitori possono ottenere, per non essere incentivati a cercare guadagni anche a costo di dispiegare qualcosa che potrebbe potenzialmente essere catastroficamente pericoloso. Una Agi super-intelligente non allineata ai valori umani potrebbe provocare atroci danni al mondo».

Oltre a questo, Altman ha aggiunto: «Pensiamo adesso di dover prima capire come condividere in maniera sicura l’accesso al sistema e ai suoi benefici». Una narrazione del genere, tuttavia, potrebbe anche essere interpretata in quanto operazione di marketing, nella quale OpenAI viene vista come l’unica realtà capace di sviluppare in maniera sicura qualcosa che potrebbe rivelarsi catastrofico.

A Firenze si usa ChatGPT al posto dell’avvocato

Nel frattempo, a Firenze esiste uno studio legale che sta già utilizzando ChatGPT come un avvocato. «A volte funziona meglio di un umano», ha detto l’avvocato penalista del foro di Firenze Alessandro Traversi.

«Il 31 marzo durante un convegno metteremo ChatGPT alla prova davanti ai nostri colleghi», dice Traversi. L’avvocato ha già testato ChatGPT per costruire un’arringa in un caso di truffa contrattuale, che, sostanzialmente, consisteva in una situazione in cui una persona compra un immobile senza sapere che ci sono infiltrazioni d’acqua dal tetto, e per questo decide di denunciare il venditore.

ChatGPT ha costruito una difesa, ovvero: «Per difendervi dovete individuare eventuali testimoni che possano dimostrare la non conoscenza da parte del venditore del vizio occulto dell’immobile per dimostrare la mancanza del dolo», allegando una lunga spiegazione sul reato di truffa.

Per Traversi ovviamente non ci si può basare soltanto su quello che dice il computer, anche se le basi sono corrette, e ritiene «che tra non molto, tra pochissimo in realtà, vista la sua capacità di migliorare, l’IA sarà davvero in grado di fornire argomentazioni solide».

L’avvocato fiorentino non ritiene che ChatGPT possa rubare il lavoro ad avvocati e giudici, anche se «l’IA in tutti i settori comporterà la perdita di molte attività, soprattutto quelle ripetitive. La professione di avvocato dovrebbe sopravvivere, anche se già adesso sto assistendo ad un fenomeno che fa riflettere sul tema. Il cliente ancora prima di rivolgersi all’avvocato cerca sempre su Internet e poi si presenta in studio già informato; ecco, credo che tutta l’attività consultiva sia destinata davvero ad essere ridimensionata».

Anche Mozilla ha dichiarato di voler investire 30 milioni di dollari per il lancio di Mozilla.ai, ovvero una startup finalizzata alla creazione di «un ecosistema AI open source affidabile».

«Il mercato, la competizione e il commercio legato ai motori di ricerca sono il vero driver dell’innovazione. Ma la rete non è solo numeri e modelli di business. C’è un layer, una dimensione di internet che mantiene un valore sociale e civile. Quando abbiamo creato Firefox volevamo proprio questo, creare un posto dove la cosa più importante sei tu. Per noi è sovranità dell’utente».

Queste le parole di Mozilla Foundation, risalenti ad una decina di anni fa. Parole che oggi risultano attuali, visto l’avvento dell’IA generativa che si impone come la principale innovazione dai tempi dell’app store.

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Gratuito Patrocinio, OCF: due delibere per aggiornare il tetto all’ultimo biennio

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Nonostante il Registro delle Opposizioni, continuano ad arrivare le cosiddette telefonate selvagge. Oltre alle sanzioni per coloro che non rispettano le regole, il Garante per la protezione dei dati personali ha approvato un Codice di condotta per le attività di teleselling e di telemarketing, promosso da call center, associazioni di committenti, associazioni di consumatori e list provider.

L’obiettivo principale è quello di facilitare il più possibile il diffondersi nel mercato di misure di tutela per i consumatori. Al fine di assicurare massimo rispetto della normativa privacy, le società che decideranno di aderire al Codice si impegneranno attivamente per adottare specifiche garantendo legittimità e correttezza dei trattamenti di dati svolti lungo la filiera del telemarketing.

In particolare, dovranno raccogliere specifici consensi per finalità singole, informando le persone contattate sul fine per cui verranno utilizzati i loro dati, assicurando, in tal senso, il pieno esercizio dei diritti che prevede la normativa privacy (rettifica, aggiornamento dei dati, opposizione al trattamento).

Ci saranno anche delle norme specifiche per contrastare il fenomeno dei call-center abusivi. Il Codice di condotta, infatti, stabilisce che nei contratti che vengono stipulati dall’operatore con l’affidatario del servizio si dovrà stabilire una penale oppure la mancata corresponsione della provvigione per ogni singola vendita dei servizi, realizzata dopo un contatto promozionale avvenuto senza consenso.

Inoltre, le società dovranno effettuare una valutazione d’impatto, nei casi in cui vengano svolti trattamenti automatizzati, inclusa la profilazione, che comportano un’analisi globale e sistematica delle informazioni personali.

Tale Codice avrà effettiva efficacia nel momento in cui verrà concluda la fase di accreditamento dell’Odm, l’Organismo di monitoraggio, con la successiva pubblicazione in GU.

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L’avvocatura preme per adeguare il costo della vita alle soglie di reddito per l’accesso al gratuito patrocinio e per l’emanazione immediata dei decreti previsti dalla riforma della Giustizia Cartabia, in relazione al patrocinio a spese dello Stato per procedimenti obbligatori di negoziazione e mediazione assistita.

L’OCF, con due delibere approvate nel fine settimana, chiama in causa il ministro della Giustizia Carlo Nordio, al fine di fronteggiare l’emergenza caro vita.

Ma a destare l’allarme è stata la risposta del 22 marzo del viceministro Sisto al question time in Commissione giustizia alla Camera. Il viceministro, infatti, ha annunciato che sta ultimando l’iter burocratico di approvazione del decreto ministeriale finalizzato all’adeguamento del tetto reddituale per i soggetti che possono beneficiare del patrocinio a spese dello Stato (art. 77 T.U.S.G.).

Tuttavia, il biennio di riferimento in questione è quello che va da giugno 2018 a giugno 2020, nel quale c’è stato anche un ribasso dell’indice dei prezzi al consumo. Come conseguenza di ciò, il tetto dovrebbe scendere da 11.746,68 euro a 11.734,93 euro, limitando la platea dei beneficiari.

Ma per l’OCF, invece, bisognerebbe prendere come riferimento proprio l’ultimo biennio, quello che ha registrato «una variazione in aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati pari ad oltre il 9,2%, ragion per cui l’aumento è necessario anche per permettere l’accesso alla platea degli esclusi, che è stato calcolato essere circa un milione di persone, che dunque si trovano in condizioni economiche tali da non potersi permettere l’accesso alla giustizia».

Ma non solo, dato che l’impoverimento del potere d’acquisto delle famiglie italiane sarebbe «ben superiore a quanto censito dall’indice Istat e richiede persino che lo stesso D.P.R. 115/2002 venga modificato includendo in aumento, oltre alla variazione Istat, anche la rivalutazione monetaria del periodo di riferimento».

L’utilizzo del periodo biennale precedente rispetto a quello immediatamente trascorso, «crea una distorsione rispetto alle finalità proprie dell’adeguamento del tetto». L’OCF, per tali ragioni, richiede al ministro della Giustizia Nordio di «porre in essere ogni necessaria iniziativa, affinché l’emanando decreto ministeriale che modifica il tetto reddituale per l’ammissione venga adeguato effettivamente all’indice dei prezzi al consumo, prendendo quale periodo di riferimento il biennio 2020-2022».

L’Avvocatura si rivolge al ministro Nordio anche per richiedere di «porre in essere ogni necessaria iniziativa, affinché i decreti ministeriali previsti dagli articoli 15 octies d.lgs. 28/2010 e 11 octies d.l. 132/2014, introdotti dal d.lgs 149/2022, vengano emessi contestualmente alla entrata in vigore della estensione della obbligatorietà della mediazione e della negoziazione assistita, e comunque nel rispetto dei termini prescritti dal legislatore».

Con gli articoli 7,8,9,10 e 41 del Dlgs 149/2022, la riforma Cartabia del processo civile ha dato un nuovo impulso a questi istituti, prevedendo come «in numerosi casi la introduzione di un procedimento di mediazione o di negoziazione assistita è condizione di procedibilità per la persona che intenda tutelare i propri diritti».

Con la sentenza 10/2022 la Corte Costituzionale ha ritenuto lesivo nei confronti del diritto di difesa l’obbligatorietà di un procedimento che potrebbe condizionare l’esercizio dell’azione senza assicurare, contemporaneamente, la possibilità per i nullatenenti di avvalersi del gratuito patrocinio.

Il Governo, seguendo questa indicazione, ha introdotto la previsione, anche se l’emanazione dei decreti, a questo punto, «non può essere ulteriormente ritardata rispetto al termine dei sei mesi previsto dalle norme».

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Suicidio assistito: una proposta di legge regionale per regolare il fine vita

Il suicidio assistito, in Italia, ovvero la possibilità di somministrarsi autonomamente un farmaco letale seguendo determinate condizioni, è legale soltanto grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, e non perché esiste una legge a riguardo.

Dunque, senza una legge, la sentenza del 2019 stabilisce quando la pratica non è punibile, senza dare chiare indicazioni riguardo modalità e tempi di attuazione. Più volte è stato chiesto al Parlamento di approvare una norma, senza successo.

Attualmente c’è una proposta ancora ferma al Senato, ritenuta comunque inadeguata. Per ora, ogni caso viene gestito dalle singole ASL, e per questo motivo, in otto regioni italiane ci sarà una raccolta firme, promossa dall’Associazione Luca Coscioni, per proporre una legge regionale apposita.

Stefano Gheller e la libertà di scelta

L’assenza di una legge in materia ha causato enormi conseguenze per le persone che avrebbero voluto ricorrere alla morte assistita: alcune, infatti, sono morte prima di riuscire ad accedere al suicidio assistito, dopo intense sofferenze, altre hanno intrapreso lunghissime battaglie legali e altre ancora sono dovute andare all’estero.

L’unica persona in Italia che è riuscita ad ottenere l’accesso alla morte assistita, senza attraversare lunghe vicende giudiziarie, è Stefano Gheller, un uomo di 49 anni affetto da una grave distrofia muscolare. Gheller, da quando ha 15 anni, vive sulla carrozzina, utilizza un respiratore 24h/24h e non riesce più ad utilizzare le braccia.

Gheller non può bere o mangiare in maniera autonoma, ha difficoltà a parlare e ha molti dolori posturali. L’uomo, nonostante abbia ottenuto l’autorizzazione, ha deciso comunque di aspettare per ricorrere alla morte assistita.

La sua volontà di ricorrere al suicidio assistito riguarda principalmente l’affermazione della sua libertà di scelta per quanto concerne la fine della sua vita. Racconta Gheller: «Per adesso cerco di farmi forza e di andare avanti, ho una sorella a cui voglio molto bene e a cui voglio stare vicino il più possibile e diversi piani per il futuro: ma mi sono tolto un gran peso, sapendo che ho questa possibilità».

L’uomo avrebbe deciso di aspettare anche in quanto ha a disposizione un’assistenza sanitaria adeguata da parte dello Stato italiano: «Avere gli strumenti e le risorse economiche per avere una vita dignitosa è un altro elemento molto determinante in questo tipo di scelta».

I requisiti per accedere al suicidio assistito

Il caso Gheller è stato rapidamente gestito dall’ULSS 7 Pedemontana, che, nonostante l’assenza di una legge, ha garantito ugualmente il diritto di accedere alla morte assistita in tempi rapidi, in tre mesi e mezzo. La legge regionale sulla quale si stanno raccogliendo le firme, invece, vorrebbe stabilire un limite di 20 giorni.

L’avvocata e segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, Filomena Gallo, ha detto che «chi oggi in Italia vuole ricorrere al suicidio assistito deve contattare la propria ASL di riferimento e inviare una richiesta di verifica delle proprie condizioni, come previsto dalla sentenza 242 della Corte Costituzionale: per farlo, con l’associazione Luca Coscioni abbiamo predisposto una bozza che è disponibile su richiesta».

L’ASL dovrà verificare i requisiti stabiliti grazie alla sentenza di Cappato, ovvero: se il richiedente è capace di prendere decisioni consapevoli e libere, se è affetto da una patologia irreversibile che causa intollerabili sofferenze fisiche e psicologiche, se è tenuto in vita da «trattamenti di sostegno vitale».

Quest’ultimo potrebbe essere un respiratore meccanico o un ventilatore, anche se una sentenza del 2021 ha esteso la definizione anche ai trattamenti farmacologici, che se interrotti portano al decesso del paziente. Se tutti questi requisiti sono soddisfatti, allora si potrà accedere al diritto del suicidio assistito.

Chi deve verificare i requisiti dei pazienti

La Corte Costituzionale ha stabilito chiaramente che la verifica dei requisiti spetta alle strutture pubbliche del SSN, grazie a medici e ad un comitato etico territoriale. Ma i primi problemi che hanno incontrato le persone che hanno deciso di richiedere il suicidio assistito partivano proprio da qui, dato che almeno in tre casi, l’ASL locale ha respinto la richiesta, senza verificare le condizioni del richiedente.

Spiega Gallo: «E’ stato il caso di Daniela, la prima persona a fare richiesta per il suicidio assistito». A febbraio del 2021, Daniela, una donna di 37 anni con un tumore incurabile e in fase terminale aveva richiesto alla propria ASL la verifica dei requisiti per accedere al suicidio assistito.

L’ASL, però, aveva rifiutato di effettuare la verifica, poiché non la donna non era tenuta in vita da “trattamenti di sostegno vitale”. Daniela aveva quindi deciso di fare ricorso al Tribunale di Roma, ma è morta due settimane prima dell’udienza.

Altri casi noti in cui l’ASL ha rifiutato di verificare i requisiti sono quelli di Mario, ovvero Federico Carboni, e Antonio, due uomini diventati tetraplegici dopo incidenti stradali. Carboni è stato il primo in Italia a ricorrere legalmente al suicidio assistito – ma soltanto dopo una vicenda legale di due anni.

La verifica delle condizioni della persona che presenta la richiesta attualmente consiste in una serie di colloqui presso il domicilio della persona malata, esami, visite e accertamenti da parte di una commissione multidisciplinare e a carico del SSN.

Nella proposta di legge regionale è prevista una commissione permanente, all’interno della quale troviamo un palliativista, uno psichiatra, un neurologo, un anestesista, uno psicologo e un infermiere, da integrare a seconda del caso. La verifica include una valutazione clinica e una psichica, tramite colloqui, test verbali e non verbali, prove e valutazioni psichiatriche.

La necessità di una legge sul suicidio assistito

Nei casi di Carboni e di Antonio venne approvata la richiesta di morte assistita, anche se l’azienda e il comitato etico non indicarono quale farmaco somministrare e come somministrarlo.

Carboni aveva deciso di insistere, denunciando l’ASL per omissione di atti d’ufficio e per tortura. Soltanto mesi dopo sono arrivate le indicazioni sul farmaco e su come somministrarlo. Spiega Gallo che il farmaco per la morte assistita «non è in vendita in farmacia, e dovrebbe essere fornito dall’azienda ospedaliera».

Il farmaco va valutato a seconda della situazione specifica del paziente, anche se il criterio generale consiste nel fatto che garantisca una morte indolore, rapida e dignitosa.

Per Carboni fu decisa una dose non inferiore a 3-5 grammi di tiopentone sodico, utilizzato in dosi minori per le anestesie, che l’uomo avrebbe dovuto somministrarsi autonomamente in vena grazie ad un macchinario apposito.

Tuttavia, dovette farsi personalmente carico del farmaco, cercare da solo un medico e il macchinario apposito. «A quel punto Carboni non ha voluto fare altre richieste e ha deciso di procedere privatamente, e più velocemente».

Grazie all’associazione Luca Coscioni, che per l’occasione aveva organizzato una raccolta fondi pubblica, Carboni era riuscito ad acquistare il macchinario e il farmaco. Carboni è morto il 16 giugno 2022 alle 11:05 in casa propria, insieme alla famiglia, agli amici, Marco Cappato, Filomena Gallo e una parte del collegio legale. Carboni, prima di morire, ha detto:

«Con l’associazione Luca Coscioni ci siamo difesi attaccando e abbiamo attaccato difendendoci, abbiamo fatto giurisprudenza e un pezzetto di storia nel nostro Paese e sono orgoglioso e onorato di essere stato al vostro fianco. Ora finalmente sono libero di volare dove voglio».

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Garante Privacy: vietata la conservazione dei messaggi

Niente accesso ai messaggi al fine di scoprire eventuali frodi telematiche e oblio per il contenuto degli sms.

Ad una società di servizi destinati alla messaggistica si vieta la conservazione integrale dei messaggi che vengono inviati dai clienti, poiché non ci sono ragioni che obbligano alla conservazione di tali dati.

Il contenuto dei messaggi, inoltre, non può nemmeno essere scansionato per intercettare eventuali frodi telematiche, spam, o phishing. Non esistono, infatti, obblighi rivolti ai fornitori di questi servizi di effettuare verifiche.

Il Garante della Privacy, osservando questi principi, ha proceduto a sanzionare una società di 80mila euro. L’ingiunzione in questione riguarda uno specifico fornitore di servizi di messaggistica, ma contiene prescrizioni che valgono per qualsiasi impresa.

In primo luogo, si parla del trattamento dei dati, al fine di evitare che utenti o clienti subiscano danni. Nello specifico, la società si è difesa sostenendo che, in mancanza di consenso, controllava e scansionava il contenuto degli sms, ma esclusivamente per intercettare illeciti.

Tuttavia, per il Garante, la società non ha alcun obbligo per quanto riguarda la prevenzione degli illeciti telematici, dato che non c’è alcuna base giuridica a sostenere il trattamento. Se un’impresa vorrà fare dei controlli antifrode, utilizzando dati personali in assenza di consenso, dovrà sottoscrivere un documento spiegando l’interesse specifico e perché risulta necessario l’utilizzo di tali dati.

Una generica finalità antifrode, senza un atto che documenta le scelte, non basta per evitare una sanzione.

Nell’ingiunzione viene trattata anche la conservazione del contenuto dei messaggi. Il Garante ricorda che non c’è alcuna norma di legge che impone di conservare i contenuti delle comunicazioni. Anzi: viene vietata espressamente, tranne nel caso in cui non ci sia un’autorizzazione e un consenso per questo servizio aggiunto.

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Digitalizzazione del lavoro: un algoritmo che sceglie l’annuncio giusto

Neolaureati o studenti che stanno ricercando lavoro, ogni giorno scrollano decine di annunci, senza mai trovare quello più adatto a loro.

Anche se da un po’ di tempo si sono digitalizzati, cambiando pelle, ci sono ancora oggi annunci di lavoro statici, complessi, poco intuitivi, ma soprattutto, poco attrattivi per la Generazione Z (1997/2012). I più giovani, infatti, passano più di 11 ore a settimana, scrollando annunci di lavoro che non rispettano le loro aspettative e che non sono in linea con le loro competenze.

Restano, in ogni caso, gli strumenti principali a cui fanno affidamento neolaureati e studenti, che non approfittano del classico “passaparola” per cercare/trovare lavoro, nonostante sia uno strumento ancora fondamentale, qui in Italia.

Il fenomeno Tutored

Fino a non così tanti anni fa si riempivano pagine e pagine di giornali cartacei con annunci di lavoro. Oggi, gli annunci si trovano quasi esclusivamente sul web, grazie a portali specializzati, siti di agenzie e motori di ricerca.

Quello che non è cambiato, nonostante la digitalizzazione, è la sostanza degli annunci, che resta sempre la stessa. Ma se li leggesse un algoritmo, cambierebbe qualcosa?

Questo è quello che si è chiesto Gabriele Giugliano, creatore di Tutored, startup che ha sviluppato un’app che mette in contatto le aziende con studenti e neolaureati. È nata, in questo modo, una community che conta più di 600mila ragazzi.

Tutored è un punto di riferimento per più di uno studente su quattro, 2mila recruiter e 130 multinazionali, che ogni giorno utilizzano l’app per attrarre i talenti più giovani, soprattutto per quanto riguarda le discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).

Tutored, comunque, ha deciso di cambiare nome. Si chiamerà Joinrs, e ben presto uscirà dai confini nazionali. Si prevede, infatti, che l’app quest’anno approdi negli States, in Germania, nel Regno Unito, in Francia, in Spagna e in Svizzera, triplicando, dunque, la quota di utenti esteri, passando dal 20% al 60%.

Per riuscire a comprendere al meglio difficoltà e soluzioni per i giovani della Gen Z, Joinrs ha deciso di effettuare una ricerca, grazie alla quale sono state sentite più di 2.600 persone, equamente distribuite tra donne, uomini, studenti e laureati, in diverse aree del Paese.

Un terzo del campione in questione apparteneva all’area STEM, un terzo alle discipline umanistiche ed un terzo a quelle economiche. È emerso che il 79% degli intervistati non erano affatto soddisfatti degli annunci di lavoro.

«Non riesco a capire il ruolo descritto e le mansioni», «ho difficoltà a comprendere se soddisfo i requisiti richiesti», «non trovo le informazioni che più mi interessano»: queste sono alcune delle motivazioni date dagli intervistati.

I giovani che cercano lavoro perdono 11 ore ogni settimana, leggendo annunci che probabilmente non servono a nulla. Ma allora, come uscire da questa situazione? Per Giuliano bisogna sfruttare «l’intelligenza artificiale e un algoritmo in grado di leggere, comprendere e rielaborare in maniera sintetica al posto dell’utente gli annunci di lavoro per aumentarne l’efficacia».

Leggi anche: Lo smart working aiuta a migliorare la qualità del lavoro?

Se andiamo a vedere quello che cercano i giovani, troveremo, al primo posto, la retribuzione. Lo dice il 60% del campione. Per il 55%, invece, c’è bisogno di maggiori informazioni e dettagli sul lavoro. Il 51% cita i progetti di formazione, mentre il 41% una miglior work-life balance.

Difficoltà e stress sono spesso presenti quando si ricerca un lavoro. Uno dei motivi di stress è non essere ricontattati dagli hr manager e il timore di non possedere i requisiti adatti. L’algoritmo potrebbe aiutare moltissimo, in questo senso.

Sfruttare l’intelligenza artificiale per attrarre giovani talenti

Joinrs ha sviluppato un’intelligenza artificiale inedita, che si basa sulle più recenti tecniche di Deep Learning al fine di leggere, al posto degli utenti, gli annunci di lavoro, ordinandoli a seconda della compatibilità con i requisiti che vengono indicati da chi sta cercando lavoro.

Gli utenti possono infatti indicare i requisiti che deve possedere l’azienda nella quale vorrebbero lavorare. Sono indicazioni di base, come l’ambito lavorativo, il ruolo professionale, ma anche l’attenzione al work-life balance o alla sostenibilità ambientale.

Tutto questo in lingue diverse, dato che Joinrs AI riesce a leggere annunci di lavoro in italiano, in inglese, in spagnolo, in francese, in tedesco e in portoghese. Il sistema comprende, interpreta, sintetizza e spiega alla persona che cerca lavoro perché tale posizione risulta in linea con quello che ricerca.

Invece, dal punto di vista di aziende e datori di lavoro, si può sfruttare la piattaforma per presentarsi ai giovani con linguaggi e standard maggiormente attrattivi per la futura generazione di lavoratori, ottenendo candidature di alta qualità e più in linea con ciò che cercano.

«Innovazione e digitalizzazione sono da sempre i perni attorno ai quali basiamo il nostro operare nel settore», conclude Giugliano. «Proprio su una tecnologia dall’enorme potenziale come l’IA abbiamo costruito la soluzione al problema degli annunci di lavoro: in uno scenario in cui il mercato del lavoro e la recruitment experience si sono evoluti alla velocità della luce, gli annunci, invece, sono rimasti statici da ormai 10 anni. Con Joinrs AI giovani e aziende avranno la possibilità di parlare il medesimo linguaggio».

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Il Dark Web è la parte nascosta del World Wide Web, alla quale non si può accedere con normale browser come Edge, Firefox e Chrome. Le pagine del dark web non sono indicizzate dai motori di ricerca tradizionali, come Google.

Per accedere al dark web, dunque, è necessario un browser particolare, come Tor.

Si sentono tante storie terribili sul dark web, che di solito è descritto come la parte più pericolosa di Internet, dove si vende droga oppure si reclutano sicari. Di certo, alcune cose terribili sono vere, ma in generale, il dark web non si presta soltanto ad attività criminali (spoiler: no, non ci sono sicari, ma semplici truffatori).

Nel dark web ci sono nerd informatici, trafficanti di droga, giornalisti che combattono la censura, truffatori o persone che vogliono comunicare con altri senza il controllo del governo (situazioni che si verificano in Paesi dove c’è molta censura, come Iran e Cina).

Surface, Deep, Dark

Prima di proseguire, facciamo un attimo chiarezza per quanto riguarda i termini tecnici.

Internet è una rete mondiale, e il web è uno strumento di comunicazione. Per poter comunicare, il web utilizza Internet. Il web viene suddiviso in:

  1. web di superficie, surface web: è la parte di Internet che utilizziamo tutti i giorni, alla quale accediamo con Chrome, Safari, Firefox, ecc;
  2. deep web: costituisce il 90/95% di Internet, e contiene informazioni specifiche, che non possiamo raggiungere attraverso i motori di ricerca. Di solito si tratta di pagine e database riservati ad un gruppo di persone che fanno parte di un’organizzazione. Per accedere al deep web, è necessario essere in possesso dell’URL, ovvero, l’indirizzo web esatto, e magari anche di una password;
  3. dark web: è la parte di Internet più difficile da raggiungere, in quanto accessibile soltanto con browser speciali. Nel dark web non ci sono regole, e gli URL sono composti da un mix casuale di numeri e lettere. Nessun sito termina in .org oppure .com, ma in .onion.

Il dark web è legale, così come il browser Tor. Quello che non è legale è come ci si comporta nel dark web; dunque, è sempre necessario attenersi alla legge.

Chi ha creato il Dark web?

No, non c’è nessuna storia di criminali che cercavano un modo per comunicare anonimamente.

Il dark web è stato sviluppato direttamente dal governo degli Stati Uniti. Infatti, agenti di agenzie come la CIA avevano necessità di comunicare attraverso una rete globale personale, per raccogliere informazioni per il governo americano.

Negli anni’90 le informazioni hanno cominciato a diventare sempre più digitalizzate, e quindi si è cominciato a dire addio a radio o lettere, dato che tutte queste informazioni potevano essere inviate tramite Internet!

Ed è così che nel ’95 è nato Tor, The Onion Router, sviluppato dal Laboratorio di Ricerca Navale degli Stati Uniti, attualmente ancora utilizzato per le comunicazioni segrete dell’Intelligence.

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Il dark web può essere tanto vantaggioso quanto pericoloso.

Vista la sua utilità, il governo statunitense non ha intenzione di chiuderlo. Ma anche se volesse farlo, dovrebbe ottenere l’ok da parte di altre decine di paesi, che non hanno alcun interesse a collaborare con gli Stati Uniti.

Quello che le autorità possono fare, quindi, è cooperare al fine di chiudere determinati siti e perseguire legalmente i proprietari, gli amministratori e gli utenti.

The Onion Router

Tor, The Onion Router (router a cipolla), è un software gratuito, open-source, che funziona come qualsiasi altro browser.

Tuttavia, a differenza dei browser che utilizziamo ogni giorno, Tor mantiene l’anonimato dei suoi utenti. E per fare in modo che questo accada, i dati degli utenti vengono inizialmente canalizzati in una rete di server; poi, questi dati vengono “captati” dal primo server, che li invia a quello successivo, e così via, fino ad arrivare a destinazione e cancellando ogni traccia dietro di sè.

Con Tor si può accedere a tutto il web. Infatti, la maggior parte degli utenti resta nel surface web, poiché ha semplicemente interesse ad anonimizzare la sua navigazione online. Tuttavia, resta la strada principale per riuscire ad accedere al dark web, magari anche in associazione ad una VPN.

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