Spunta Blu per la PEC: di che cosa si tratta?

La PEC italiana continua la sua evoluzione normativa, in direzione di un sistema di comunicazione che possa essere utilizzato a livello europeo, con sempre più standard di sicurezza nell’utilizzo della casella e per quanto riguarda l’attendibilità di mittente e destinatario.

La PEC tradizionale, basandosi sulle regole tecniche di AgID, assieme al Regolamento eIDAS e agli standard ETSI, è in procinto di divenire uno strumento di scambio sicuro per le comunicazioni elettroniche, per poter essere legalmente riconosciuta in tutti gli stati europei.

Tutte le PEC dovranno rispettare lo standard ETSI REM, che va a definire la PEC europea. Bisognerà adeguare la propria PEC rispettando le tempistiche AgID, per evitare di ritrovarsi con una PEC inutilizzabile.

Il primo requisito da rispettare è identificare il titolare della casella. Dopo aver effettuato l’identificazione, si otterrà una Spunta Blu, come forma di garanzia nei confronti della conformità agli standard europei.

Leggi anche: La PEC diventa europea: quali saranno le conseguenze?

Adottare lo standard ETSI sui sistemi REM è senza ombra di dubbio un passo molto significativo per riuscire a rendere la PEC interoperabile con ulteriori recapiti certificati che vengono adottati in Europa, così come per diffondere uno strumento tutto italiano al di fuori dell’Italia.

Abbiamo tempo fino al 2024 per adeguarci agli standard europei: in caso contrario, non potremo più inviare o ricevere messaggi con pieno valore legale.


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«Per i primi giorni tutto era estremamente tranquillo, una vacanza più che piacevole. Abbiamo visitato Gerusalemme, poi ci siamo spostati a Tel Aviv: una città stupenda, vivissima, libera. Boulevard curatissimi, grattacieli avveniristici e spiagge di sabbia finissima. Era la settimana delle celebrazioni del Sukkot, era pieno di gente per le strade, si respirava un clima di festa».

Queste le parole dell’Avvocato padovano Dario Furlan, specializzato in compravendite di aziende, che racconta la sua esperienza ai microfoni del Gazzettino. Furlan, insieme alla compagna, si trovava a Tel Aviv per conciliare degli appuntamenti lavorativi con una vacanza, ma anche per festeggiare il compleanno della compagna.

I due, invece, si sono ritrovati nel mezzo della guerra in Israele, incontrando il terrore, il caos, gli aerei cancellati, le sirene antiaeree e i missili. Ritornare in Italia, per i due, è stata una vera e propria salvezza.

«Ci siamo svegliati presto, e alle 6.30 abbiamo iniziato a sentire le sirene e degli scoppi. All’inizio pensavo a qualche evento legato proprio al Sukkot, che era finito quella stessa notte. Anche perché giorni prima a Gerusalemme avevo visto una sorta di rito durante il quale sparavano in aria. Pensavo a qualcosa di assolutamente normale. Invece è bastato guardare i giornali online e scendere nella hall per capire l’orrore che si stava consumando all’esterno».

Prosegue Furlan: «Era il fuggi fuggi generale. I turisti cercavano in ogni modo di tornare in patria, gran parte del personale è sparita perché erano riservisti dell’esercito. Noi abbiamo tentato di prendere un volo ma era il caos. In aeroporto sono tornate a suonare le sirene: ci siamo dovuti buttare a terra per un’ora con i missili che sfrecciavano sopra le nostre teste intercettati dalla contraerea. Momenti di vero terrore».

«Lunedì era il compleanno della mia compagna. Inutile dire che di certo non potremo dimenticare come lo abbiamo trascorso. Fortunatamente martedì siamo riusciti a prenotare un volo privato che, in collaborazione con la Farnesina, ci ha riportati in patria con 180 connazionali», conclude l’avvocato.


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Continuano i problemi per l’autovelox presente a Riese Pio X, in via Kennedy. In passato beccava 2.000 automobilisti indisciplinati al giorno, e nel 2019 la Procura ha deciso di intervenire, sequestrando 100 verbali e ipotizzando il reato di falso in atto pubblico.

Il 10 ottobre il Giudice di Pace di Treviso ha dichiarato illegittime una valanga di multe, tra le quali era presente anche quella di Anna Baggio, avvocato penalista del Foro di Treviso.

Spiega Baggio: «Quell’autovelox è irregolare, la mia è una battaglia in difesa del diritto e dei tanti che vengono sanzionati in via Kennedy e che non sono a conoscenza del fatto che in tribunale un giudice può annullare la sanzione. È una questione di principio ma anche di rispetto della legalità».

Lo scorso giugno, Baggio doveva recarsi all’ospedale di Castelfranco per far visita ad un parente. «Transitavo a circa 80 chilometri all’ora su una strada dove il limite è stato apposto a 70. Il punto è proprio questo: se la strada fosse davvero una extraurbana, cosa che in realtà non è, il limite dovrebbe essere messo a 90 chilometri all’ora».

Prosegue l’avvocato: «Ma c’è molto di più, ed è che l’autovelox in questione, la cui installazione è stata approvata in passato dalla Prefettura, non risulta essere omologato ma semplicemente autorizzato. Ma la Corte di Cassazione dice che i due concetti non sono equivalenti e che i sistemi di lettura della velocità dei veicoli devono sottostare appunto a regole precise fra cui la più importante è l’omologazione da parte del ministero».

L’amministrazione comunale di Riese dice di aver voluto installare l’autovelox di Via Kennedy per evitare che si verifichino incidenti mortali, poiché, prima dell’installazione, ne erano avvenuti quattro.

Questa estate anche l’ex sindaco di Castelfranco, Luciano Dussin, aveva richiesto un chiarimento: «Serve solo a fare cassa, è irregolare. Una sentenza della Cassazione afferma che può essere installato solo su una strada con banchine laterali, cosa questa che in via Kennedy non esiste».

Secondo Baggio, «il comune di Riese conta sul fatto che spessissimo la sanzione, pagata in forma ridotta, ha un costo nettamente inferiore, al netto dei punti sottratti dalla patente, a quelli che il cittadino deve sobbarcarsi per fare ricorso. E lucra su questo. Ma è inimmaginabile che la Provincia e soprattutto la Prefettura consentano questo “falò” del diritto a cui però i giudici di Treviso stanno lentamente ma inesorabilmente ponendo un rimedio».


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La professione dell’avvocato è da sempre considerata come una delle professioni più redditizie in assoluto. Inoltre, il mestiere dell’avvocato attrae per il fascino della toga e per l’atmosfera presente nelle aule dei tribunali.

Prima di buttarsi a capofitto nella carriera da avvocato e per potersi orientare nel mercato del lavoro è bene conoscere qual è il potenziale compenso medio.

N26 ha realizzato lo studio Education Price Index, raccogliendo i dati da BLS, OCSE, e OIL, con lo scopo di individuare i fattori che influiscono nelle decisioni finanziarie nella pianificazione del futuro dei giovani. Dallo studio emerge che in Italia, lo stipendio medio di un avvocato ammonta circa a 47.000 euro.

L’Italia, rispetto ad altri 50 Paesi di tutto il mondo, si colloca al 29esimo posto nella classifica, seguita dalla Spagna, che registra un salario di 46.000 euro lordi annui. I colleghi francesi si trovano al 26esimo posto, con 57.000 euro, mentre al 21esimo posto, con 70.000 euro troviamo i tedeschi.

All’11esimo posto troviamo il Belgio, con 89.000 euro, mentre l’Austria si colloca al 18esimo posto con uno stipendio medio di 79.000 euro. Il paese Ue che paga di più gli avvocati è la Danimarca: qui, i professionisti percepiscono il doppio rispetto agli avvocati italiani, ovvero 97.500 euro lordi annui.

Al primo posto della classifica troviamo la Svizzera: gli avvocati percepiscono 158.000 euro di stipendio lordo annuo. In coda alla graduatoria di N26 si trovano India, Russia e Ucraina.


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È stato pubblicato in GU n. 225 il Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, che modifica, in accordo con il Ministro della Giustizia, la disciplina per la compensazione dei debiti fiscali e degli oneri previdenziali.

Con la Legge di bilancio del 2023 si era disposta la possibilità di eseguire la compensazione anche con contributi previdenziali, aumentandone lo stanziamento, ovvero passando da 10 milioni di euro a 40 milioni di euro all’anno.

Il decreto è stato firmato dai Ministri Giorgetti e Nordio, e dal 2023 amplia la finestra per la compensazione dei crediti per il patrocinio alle spese dello Stato con gli oneri previdenziali nel periodo dal 1° settembre al 31 ottobre.

Si tratta di un intervento fortemente richiesto dalla Cassa, dal CNF e da OCF. Tra marzo e aprile 2023 è stata infatti richiesta la compensazione per 8.659 fatture, per un valore totale di 12 milioni e mezzo di euro.

Si tratta di un apprezzamento da parte dell’Avvocatura di un sistema che velocizza parecchio i pagamenti da parte della PA, permettendo ai colleghi di ricevere anticipatamente il pagamento rispetto ai tempi ordinari per il pagamento di una fattura.

Attualmente, la Piattaforma di Compensazione si trova in fase di aggiornamento.


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Il 31 ottobre 2023 è l’ultimo giorno utile per inviare la domanda per il bando dedicato ai prestiti degli under 35 per il 2023.

Cassa Forense ha indetto un bando riguardo le prestazioni per il sostegno della professione all’interno del Regolamento per l’erogazione dell’assistenza, con un importo compreso tra 5.000 euro e 15.000 euro, con rimborsabilità sino a 5 anni, per giovani avvocati under 35 regolarmente iscritti alla Cassa.

Si tratta di un’iniziativa che punta a facilitare l’accesso dei giovani che si trovano nelle prime fasi dell’esercizio dell’attività professionale, per poter affrontare le spese per avviare uno Studio Professionale.

La delibera di ammissione per l’erogazione del prestito è demandata al giudizio della Banca Popolare di Sondrio, ma l’intervento di Cassa Forense consiste nell’abbattere sino al 100% degli interessi passivi. Questi verranno versati dalla Cassa alla Banca sino ad esaurimento dell’importo stanziato, ovvero 1.000.000,00 euro.

La domanda dovrà essere inoltrata entro il 31 ottobre 2023 attraverso l’apposita procedura online.


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Trenitalia: Cassazione, danno esistenziale per ritardo di 23 ore

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TikTok, dopo aver ricevuto una multa di 345 milioni per aver violato il GDPR, ora finisce nel mirino dello Utah, poiché il social sembrerebbe creare dipendenza nei bambini. Non sembra, inoltre, essere particolarmente gradito il modo in cui la società oscura il rapporto con ByteDance, società madre cinese.

La Divisione protezione dei consumatori dello Utah ha citato in giudizio TikTok poiché questa inviterebbe «illegalmente i bambini a un uso dannoso», con delle funzionalità che portano a scrollare lo schermo all’infinito per vedere sempre più filmati, facendo guadagnare la piattaforma con la pubblicità.

Inoltre, Spencer Cox, il governatore dello Utah, dice che il social «inganna i genitori dicendo che la sua app è sicura per i bambini».

Nella causa in questione leggiamo che TikTok violerebbe lo Utah Consumer Sales Practices Act, in quanto le entrate aumentano all’aumentare dell’inganno nei confronti degli utenti. Inoltre, lo Stato dello Utah sostiene che, nonostante TikTok abbia sede negli USA, viene controllato direttamente dalla società madre in Cina.

Per tutti questi motivi lo Utah richiede un processo con giuria, con lo scopo di «inibire in via preliminare o permanente» il social, costringendo la società al pagamento di 300.000 dollari in sanzioni civili e di altri 300.000 per danni, oltre alle spese legali.


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Scienza e Giustizia: un nuovo esame del Dna per identificare il colpevole

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Danno esistenziale per un maxi ritardo ferroviario, della durata di 23 ore, senza fornire assistenza ai passeggeri che erano bloccati sul treno. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28244, ha respinto il ricorso di Trenitalia.

Nel 2019, il Tribunale di Cassino aveva confermato la decisione presa del giudice di pace, che condannò la società ferroviaria a pagare 5,25 euro in quanto “indennizzo da ritardo”, oltre a 400,00 euro come risarcimento del “danno esistenziale”.

La vicenda risale al 3 febbraio 2012, quando, a causa di una forte nevicata nel basso Lazio, un treno di pendolari restò isolato nella neve per 23 ore, senza alcun tipo di assistenza.

Secondo la Terza sezione civile, «i bollettini metereologici risultavano aver chiarito in misura sufficiente – al di là quindi delle pur possibili evoluzioni ulteriormente peggiorative – a dover indurre l’esercente il servizio di trasporto ferroviario […] a predisporre, con precauzionale diligenza, misure organizzative di assistenza, indipendentemente, cioè, dalla possibilità di porle in essere, in forma ridotta, una volta concretizzata la situazione di emergenza».

Prosegue la Cassazione: «Il Tribunale ha evidentemente quanto ragionevolmente ritenuto il travagliato viaggio di quasi ventiquattro ore continuative in defatiganti condizioni di carenza di cibo, necessario riscaldamento e possibilità di riposare, un’offesa effettivamente seria e grave all’individuabile e sopra rimarcato interesse protetto, tale da non tradursi in meri e frammentati disagi, fastidi, disappunti, ansie o altro tipo di generica insoddisfazione».

La ricorrente ha sostenuto che i viaggiatori avrebbero dovuto «astenersi dal mettersi in viaggio», poiché la condotta era «in ogni caso inesigibile, in quanto le informazioni fornitele non erano tali da far prevedere che il tragitto non si sarebbe concluso in tempi ragionevoli, e di per sé incongruente, in quanto […] si sarebbe trovata nella necessità di fare fronte al reperimento di un luogo ove soggiornare, a Roma o nel corso del travagliato tragitto, a sue esclusive spese».

Per concludere, la normativa «è volta ad assicurare forme di “indennizzo” per le ipotesi di cancellazione o interruzione o ritardo nel servizio, ma non anche a impedire che, qualora ne sussistano i presupporti, sia accolta la domanda giudiziale di risarcimento di ulteriori pregiudizi tutelati e lesi».


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In Italia, per la prima volta, è stato utilizzato il protocollo del laboratorio di genetica forense del Centro regionale antidoping, per un procedimento richiesto da un magistrato dopo che le analisi convenzionali non avevano dato alcun riscontro.

La scienza corre in aiuto della giustizia, con una tecnica che è stata utilizzata per la prima volta in assoluto in Piemonte e che ha consentito di individuare l’autore di un reato, riuscendo laddove le convenzionali analisi genetico-forensi non erano riuscite ad arrivare.

Tutto questo avviene nel laboratorio di genetica forense del Centro regionale antidoping Bertinaria, una struttura di riferimento internazionale per quanto concerne l’investigazione scientifica sulle tracce biologiche, in particolar modo per sulla presenza del Dna.

Le informazioni in sé sono riservate: è un’inchiesta per minacce che si rivolgono ad una personalità ben nota. La tecnica impiegata, tuttavia, è quella che conta.

Il nuovo protocollo tiene conto delle tracce biologiche, dei dati genetico-identificativi, della provenienza geografica, dell’aspetto e dei caratteri fenotipici. Da pochissime cellule di Dna sarà possibile avere un identikit del soggetto che ha lasciato il materiale genetico, anche con un contatto epidermico.

In particolar modo, da determinate tracce di contatto trovate su fogli di carta e su oggetti che sono già stati toccati, è stato possibile isolare i profili del Dna dello stesso soggetto, che sono stati inviati in banca dati nazionale, e che non hanno prodotto corrispondenza.

Il magistrato, a tal punto, ha proseguito le indagini genetico forensi con una nuova procedura ideata da Paolo Garofano, con degli ottimi risultati. Nella prima fase le tracce identificate appartenevano ad un cittadino italiano, con un’analisi effettuata sui profili genetici che sono già stati estrapolati.

Successivamente, con una strumentazione maggiormente sofisticata, si è riusciti ad ottenere dei dati fenotipici crudi (capelli castani e occhi azzurri). I campioni residui sono stati trattati con un pannello di marcatori maggiormente diversificato, che ha consentito di ottenere l’aspetto di chi aveva rilasciato le tracce da contatto.

Caratteristiche particolari relative all’aspetto di un individuo non sembrano essere ancora disponibili, anche se lo saranno in futuro.


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L’indennità per la vacanza contrattuale non può ricadere solo sull’ultimo datore di lavoro, quello che impiega il dipendente quando avviene il rinnovo. L’importo dovrà essere riassegnato alle diverse aziende in cui il dipendente ha lavorato durante i mesi di “vacanza”.

Lo chiarisce la Corte di Cassazione con sentenza n. 28186, accogliendo il ricorso di un’azienda che lavorava per Trenitalia. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, invece, aveva respinto il ricorso della società in questione, confermando la condanna al pagamento di 305,39 euro per la copertura della vacanza contrattuale della durata di 44 mesi.

Tuttavia per la ricorrente, a suo carico doveva esserci solo il «periodo di prestazione del lavoratore alle proprie dipendenze».

Nel dare ragione all’azienda, la Sezione Lavoro ricorda come l’indennità una tantum abbia la funzione di «assicurare un parziale recupero del potere di acquisto del dipendente rispetto all’aumento del costo della vita con riferimento al periodo di mancato rinnovo del contratto collettivo e il suo addossamento a carico del datore si giustifica con i possibili vantaggi economici che questi ne trae».

«Non appare», prosegue, «giustificato porre a carico del soggetto, con il quale il rapporto intercorreva al momento del rinnovo, l’intero importo anche per i periodo di attività prestata presso precedenti datori di lavoro, verso i quali alcun obbligo era stabilito dalla previsione collettiva».

Una conferma indiretta della correttezza di tale soluzione «è costituita dall’esigenza di riproporzionamento, espressamente avvertita dalle parti collettive laddove le stesse hanno stabilito che gli importi in questione dovessero essere corrisposti “in proporzione ai mesi di servizio prestati nel periodo di riferimento”».

Per concludere, «l’indennità in oggetto, in quanto strutturalmente correlata all’effettuazione della prestazione lavorativa, può essere oggetto di pretesa soltanto nei termini descritti, in assenza di diversa previsione negoziale ad hoc che ponga l’obbligazione integralmente in capo a chi risulti datore di lavoro al momento della stipula del contratto collettivo».


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