Omessa restituzione di documenti al cliente: illecito permanente per l’avvocato

Il Consiglio Nazionale Forense (CNF) ha ribadito con la sentenza n. 196/2024, pubblicata lo scorso 16 ottobre, che la mancata restituzione di documenti al cliente costituisce un illecito deontologico permanente per l’avvocato, ai sensi dell’art. 33 del Codice Deontologico Forense (CDF). Tale condotta, considerata una grave violazione del dovere professionale, prolunga l’obbligo deontologico fino a quando l’avvocato non ottemperi alla richiesta di restituzione.

In base a quanto stabilito dal CNF, il termine iniziale di prescrizione di tale illecito decorre solo nei seguenti casi:

  1. Conclusione dell’omissione – Quando il professionista interrompe l’omissione restituendo i documenti al cliente.
  2. Rifiuto esplicito – Se, sollecitato, l’avvocato rifiuta esplicitamente di restituire i documenti, rivendicando la legittimità del proprio comportamento. Tale affermazione deve però essere rivolta direttamente al cliente o alla parte assistita, non in risposta a procedimenti penali o disciplinari.
  3. Limite alternativo – Per evitare l’assenza di limiti alla prescrizione, un “limite alternativo” è rappresentato dalla decisione disciplinare di primo grado, che determina il termine ultimo per considerare l’illecito ancora sanzionabile.

Alla luce di questi criteri, il CNF ha respinto il ricorso di un avvocato contro la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina Forense della Corte d’Appello di Bari. Il professionista, riconosciuto responsabile della violazione deontologica, ha ricevuto una sanzione disciplinare di richiamo verbale.


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Il Consiglio Nazionale Forense: i protocolli locali non possono penalizzare gli avvocati di altri fori

Con la sentenza n. 87/2024, il Consiglio Nazionale Forense (CNF) ha accolto il ricorso di un avvocato milanese, annullando il regolamento dell’Ordine degli Avvocati di Busto Arsizio che ostacolava l’iscrizione di professionisti provenienti da altri fori all’elenco dei curatori speciali per i minori. La decisione riafferma la necessità di tutelare la libertà di esercizio della professione su tutto il territorio nazionale e pone un freno alle limitazioni imposte da alcuni ordini locali.

Il CNF ha stabilito che i regolamenti, protocolli e intese locali, pur nati per agevolare la gestione amministrativa e promuovere la cooperazione tra ordini e uffici giudiziari, non possono costituire barriere al libero esercizio della professione. In questo caso, il regolamento di Busto Arsizio aveva negato l’iscrizione all’elenco locale di un avvocato milanese, richiamando l’art. 157, comma 5 della Legge Professionale, secondo cui un avvocato può essere iscritto a un solo albo circondariale e ai relativi elenchi.

Il CNF ha respinto questa interpretazione, ribadendo l’importanza di principi fondamentali come la par condicio, la libera circolazione e la concorrenza. Il Collegio ha sottolineato che l’iscrizione a un ordine circondariale non può diventare un ostacolo per i professionisti che operano fuori dal proprio foro. Inoltre, ha evidenziato che non esistono precedenti giuridici su questa specifica questione, conferendo alla sentenza un valore innovativo.

La sentenza sottolinea inoltre che, sebbene gli elenchi di curatori speciali non siano previsti dalla legge, rappresentano comunque un vantaggio professionale per chi vi è iscritto, in quanto attestano una competenza specifica. Per questo motivo, l’avvocato ha diritto a essere incluso in tali elenchi, a parità di condizioni con i colleghi locali.

Il CNF ha infine chiarito che, sebbene la legge professionale preveda il divieto di iscrizione a più albi circondariali, non pone un analogo vincolo per l’iscrizione a elenchi tenuti da ordini diversi rispetto a quello di iscrizione principale. In sostanza, il Collegio ha stabilito che i regolamenti locali che ostacolano l’accesso degli avvocati esterni agli elenchi professionali non sono legittimi, poiché minano la libera circolazione e l’uguaglianza nell’accesso a incarichi professionali.

Il COA di Busto Arsizio dovrà quindi iscrivere l’avvocato milanese nell’elenco dei curatori speciali, rispettando i principi di par condicio e concorrenza sanciti dalla legge.


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DDL Sicurezza, il M5S chiede lo stralcio dell’articolo 31: “Grave rischio per la sicurezza democratica”

I capigruppo del Movimento 5 Stelle al Senato e alla Camera, Stefano Patuanelli e Francesco Silvestri, insieme ai componenti del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) Roberto Scarpinato e Marco Pellegrini, lanciano un allarme sul DDL Sicurezza. Sotto accusa è l’articolo 31, che conferirebbe ai servizi segreti nuovi poteri di accesso alle banche dati statali, comprese quelle delle procure e di altri organi chiave dello Stato.

Secondo il M5S, questo articolo rappresenta un pericolo concreto e immediato per la sicurezza democratica e per la privacy dei cittadini. I parlamentari pentastellati sostengono che il provvedimento rischi di trasformare la pubblica amministrazione in una sorta di “gigantesca Ovra” – un riferimento all’organo di polizia segreta del periodo fascista – spingendo funzionari e impiegati a operare come informatori.

Il Movimento critica inoltre l’assenza di adeguati sistemi di controllo, denunciando come, dal dicembre 2022, il governo abbia progressivamente esteso i poteri dei servizi segreti senza garantire sufficienti misure di monitoraggio. In particolare, Scarpinato e Pellegrini ricordano i tentativi fatti per limitare queste prerogative tramite emendamenti, sistematicamente respinti sia al Senato che alla Camera. L’allarme si intensifica alla luce di recenti indagini della Procura di Milano, che hanno rivelato la presenza di organizzazioni criminali capaci di violare banche dati pubbliche e costruire dossier per fini illeciti, in alcuni casi con presunti collegamenti con esponenti dei servizi segreti e di potenze straniere.

Per il M5S, lo stralcio dell’articolo 31 è ora una misura di emergenza indispensabile per garantire i diritti dei cittadini e l’integrità delle istituzioni. “È in gioco la sicurezza democratica del nostro Paese,” concludono i parlamentari, “e serve cautela fino al completamento delle indagini in corso.”


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Camera Penale di Cosenza: “L’aula bunker di Lamezia Terme inadeguata per i processi”

La Camera Penale di Cosenza torna a sollevare la questione dell’inadeguatezza dell’aula bunker di Lamezia Terme come sede per la celebrazione dei processi penali. In una lettera indirizzata alle più alte cariche della giustizia e della sicurezza pubblica della provincia di Catanzaro, il Consiglio direttivo della Camera Penale esprime preoccupazione per la sicurezza di avvocati, cancellieri, polizia penitenziaria e magistrati, alla luce del recente episodio di esondazione che ha colpito l’aula bunker.

L’aula, situata nelle vicinanze di torrenti, è stata invasa dall’acqua in pochi minuti a causa delle condizioni meteo avverse, mettendo a rischio la vita di tutte le persone presenti. Gli avvocati sottolineano che l’accesso all’aula, già complicato dalle restrizioni imposte in nome della “sicurezza pubblica”, si è rivelato ancora più critico durante l’emergenza. La decisione di tenere lontane le auto degli avvocati dall’ingresso, infatti, ha ridotto ulteriormente le vie di fuga per i legali in caso di evacuazione urgente.

La Camera Penale di Cosenza esorta quindi le autorità a riconoscere l’inadeguatezza della struttura di Lamezia Terme per lo svolgimento dei processi. Invece, ribadisce la richiesta di trasferire le udienze nella “sede naturale” del Tribunale di Cosenza, dove il processo n. 3804/17 RGNR dovrebbe trovare il suo giusto contesto. La recente dimostrazione dei rischi ambientali nell’area dell’aula bunker non fa che rafforzare l’appello degli avvocati, sostenendo che la tutela della sicurezza personale debba prevalere su ogni altra considerazione.

Il comunicato è firmato dal Consiglio Direttivo della Camera Penale di Cosenza: Alessandra Adamo, Valentina Spizzirri, Domenico Caputo, Angelo Nicotera, Pietro Sammarco, Sergio Sangiovanni, Francesco Santelli, dal segretario Gabriele Posteraro e dal presidente Roberto Le Pera


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“Teste di c….”: il Sindaco di Terni insulta gli avvocati, la condanna del COA

Il sindaco di Terni, Stefano Bandecchi, è finito al centro delle polemiche dopo aver rivolto pesanti insulti agli avvocati coinvolti in una controversia legale con il Comune, in un video pubblicato su Instagram. Nel filmato, Bandecchi definisce i legali “teste di c…o”, scatenando la reazione immediata del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Terni.

Andrea Colacci, presidente dell’Ordine, ha risposto con una nota ufficiale, condannando le affermazioni del sindaco come “gravemente offensive” per l’intera categoria forense. Colacci ha sottolineato come parole di tale tenore rischino di compromettere la percezione pubblica della professione legale, minando il rispetto e la fiducia dei cittadini nei confronti degli avvocati. In un paese democratico, ha ricordato il presidente, la figura dell’avvocato è essenziale per la tutela dei diritti e non può essere oggetto di simili offese.

L’episodio è legato a una causa tra un cittadino e il Comune di Terni, con oggetto il riconoscimento di un tracciato come strada pubblica. Gli avvocati che rappresentano il cittadino sono stati il bersaglio degli insulti di Bandecchi, che, secondo l’Ordine degli Avvocati, avrebbe espresso il proprio malcontento senza conoscere a fondo i dettagli legali della questione.


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Allarme dei magistrati: “Colloqui intimi in carcere, ancora nessuna attuazione della sentenza della Consulta”

Il Coordinamento nazionale dei magistrati di sorveglianza lancia un monito sulla mancata applicazione della sentenza n. 10/2024 della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato illegittimo il divieto di colloqui privati tra detenuti e partner nelle carceri italiane. La decisione della Consulta, depositata il 26 gennaio e pubblicata il 31 gennaio 2024, ha stabilito il diritto dei detenuti di incontrare il coniuge, il partner dell’unione civile o il convivente stabile in spazi senza il controllo a vista, salvo motivazioni legate alla sicurezza o all’ordine.

I magistrati evidenziano come il sovraffollamento delle carceri e la carenza di personale – dai poliziotti penitenziari agli operatori sanitari – ostacolino l’attuazione delle finalità rieducative della pena. Questa situazione, affermano, mina i legami affettivi dei detenuti, rischiando di isolare ulteriormente le persone private della libertà e di compromettere i rapporti familiari, una condizione che la Corte aveva definito un “vulnus alla persona nell’ambito familiare”.

Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha avviato un tavolo di lavoro per raccogliere le informazioni necessarie, ma i magistrati denunciano l’assenza di risultati concreti. A quasi un anno dalla pubblicazione della sentenza, nessun istituto penitenziario ha ancora dato esecuzione a una decisione che, per legge, dovrebbe essere immediatamente efficace.


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Pagamenti digitali: aumentano i controlli antiriciclaggio

Il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (Gafi), l’organismo globale che stabilisce standard per il contrasto al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo, sta lavorando a un aggiornamento delle norme antiriciclaggio per i pagamenti digitali. L’obiettivo è aumentare la trasparenza e la sicurezza in un settore in rapida evoluzione, che negli ultimi anni ha visto una crescita esponenziale dei pagamenti digitali e delle criptovalute.

In particolare, il Gafi sta rivedendo la Raccomandazione 16 e la relativa nota interpretativa, puntando ad allineare le proprie linee guida allo standard ISO20022. Questo protocollo internazionale è considerato tra i più sicuri per lo scambio di dati finanziari e agevola la comunicazione tra istituzioni bancarie e finanziarie in tutto il mondo.

Le nuove regole mirano a rispondere alle vulnerabilità emergenti nei metodi di pagamento internazionali, come le piattaforme digitali e i trasferimenti istantanei, che sono sempre più a rischio di utilizzo per attività di riciclaggio e finanziamento illecito.


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Al via il fascicolo informatico delle imprese: semplificazione e trasparenza per cittadini e amministrazioni

Riduzione dei costi e tempi più rapidi: il fascicolo digitale per ogni impresa
Grazie al nuovo fascicolo informatico, tutte le informazioni rilevanti sulla vita di un’impresa – dalla SCIA alle autorizzazioni, dalle sedi produttive agli atti tecnici – saranno digitalizzate e accessibili online. Cittadini, pubbliche amministrazioni e imprenditori potranno consultare questi dati, ottimizzando tempi e costi per i vari procedimenti. Lo strumento nasce con l’obiettivo di semplificare la gestione dei rapporti tra imprese e burocrazia, limitando duplicazioni e rendendo più snello il processo amministrativo.

Il decreto che lancia l’iniziativa
Il fascicolo informatico prende ufficialmente forma con il Decreto n. 159 del 17 settembre 2024 del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 25 ottobre 2024. Questo decreto implementa l’articolo 4, comma 6, del D.lgs. 219/2016, dando il via libera alla creazione di un archivio digitale per ogni impresa iscritta nei registri della Camera di Commercio e nel Repertorio delle Notizie Economiche e Amministrative (REA). L’archivio è consultabile anche dagli sportelli unici delle attività produttive (Suap), facilitando la comunicazione e il trasferimento dei dati tra vari enti pubblici.

Come funziona il fascicolo informatico
Ogni fascicolo contiene documenti chiave come iscrizioni, permessi e relazioni tecniche, organizzati per rendere rapida e sicura la consultazione. Il codice fiscale dell’impresa consente di recuperare in pochi passaggi il documento richiesto, completo di numero di protocollo e causale.

Tra le novità principali c’è la possibilità di richiedere una “visura di lavoro” per monitorare le pratiche amministrative in corso o inoltrare documentazione in tempo reale alla Camera di Commercio. Questo strumento permette di verificare in modo immediato lo stato di iscrizione di un’impresa, i permessi, e le SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), dando la possibilità alle imprese di risparmiare sui costi di gestione documentale e accedere rapidamente alle informazioni ufficiali.

Il principio “once only”
Un elemento centrale di questa innovazione è il principio europeo “once only”: le amministrazioni, una volta ricevute determinate informazioni da cittadini e aziende, non dovranno più richiederle, poiché saranno già memorizzate e accessibili da altri enti pubblici autorizzati. L’obiettivo è semplificare i rapporti tra amministrazione e utenti, evitando duplicazioni e accelerando i processi.

La piattaforma digitale nazionale dei dati
La realizzazione del principio “once only” è supportata dalla Piattaforma Digitale Nazionale Dati, un progetto previsto dal PNRR e gestito dal Dipartimento per la Trasformazione Digitale della Presidenza del Consiglio. Questa piattaforma permette lo scambio di informazioni tra le varie banche dati pubbliche, rendendo interoperabili i sistemi informativi della PA. Entro il 2025, un decreto ministeriale stabilirà le specifiche tecniche per garantire il funzionamento del fascicolo informatico, affinché risponda a esigenze di efficienza e trasparenza.


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“Ogni giudice gestisce quasi 1.100 fascicoli nei primi sei mesi del 2024”, spiega a Il Dubbio Simona Grabbi, presidente del Coa torinese. Con questi ritardi, i diritti dei cittadini sono a rischio, soprattutto in cause di alto impatto quotidiano come quelle di recupero crediti, per cui i tempi di attesa sono di quattro o cinque mesi.

Già a luglio, oltre 400 avvocati avevano denunciato l’emergenza con una lettera al Consiglio dell’Ordine. Tra le proposte avanzate, la riduzione del periodo di tirocinio per i giudici onorari e la revisione della riforma Cartabia per accelerare i tempi delle notifiche. Il Coa ha inoltre chiesto un decreto d’urgenza che permetta l’immediato ingresso di nuovi giudici e incentivi economici per rendere il ruolo più attrattivo.

La marcia del 12 novembre rappresenta un appello per riforme immediate che riportino la giustizia a servizio dei cittadini, garantendo diritti che, ad oggi, rischiano di restare negati.


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Per aderire, gli studi partecipanti hanno informato i clienti almeno dieci giorni prima dell’inizio della mobilitazione e garantiranno comunque i servizi essenziali. Secondo le associazioni, la partecipazione alla protesta è significativa, con molti studi determinati a far sentire la propria voce contro un sistema di scadenze percepito come insostenibile.


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