PA: multe per chi utilizza troppi termini inglesi. La proposta di FdI

Fino a 100mila euro di multa per chi utilizza troppi anglicismi nella PA. Questa la proposta di legge recentemente avanzata da Fabio Rampelli, deputato di Fratelli d’Italia.

L’obiettivo, secondo Rampelli, è quello di disincentivare l’utilizzo di parole o espressioni straniere al posto di quelle italiane, chiedendo anche delle multe salate per i responsabili della PA. Dunque, secondo il deputato, al posto di “dispenser” bisognerebbe utilizzare “dispensatore di liquido igienizzante per le mani”.

Si tratta di un tema molto sentito e parecchio discusso tra gli studiosi della lingua italiana, dato che le espressioni della lingua inglese vengono utilizzate tanto nello slang dei giovani quanto a livello istituzionale. Come se, in qualche modo, la lingua inglese fosse più autorevole.

Ma questa proposta di legge potrebbe portare delle grosse criticità. Difendere la lingua italiana da un eccessivo utilizzo dei termini inglesi è qualcosa di evidente sin dal primo articolo della proposta di legge, che ricorda come sia la Repubblica a garantire «l’uso della lingua italiana in tutti i rapporti tra la pubblica amministrazione e il cittadino nonché in ogni sede giurisdizionale».

Negli articoli successivi, viene stabilito come la «lingua italiana è obbligatoria per la promozione e la fruizione di beni e servizi pubblici sul territorio nazionale». Leggiamo inoltre che: «Chiunque ricopre cariche all’interno delle istituzioni italiane, della pubblica amministrazione, di società a maggioranza pubblica e di fondazioni è tenuto alla conoscenza e alla padronanza scritta e orale della lingua italiana».

Ma l’articolo che ha suscitato maggior perplessità è l’articolo 6, che stabilisce che all’interno delle università pubbliche italiane e negli istituti scolastici, di qualsiasi ordine o grado, «le offerte formative non specificamente rivolte all’apprendimento delle lingue straniere devono essere in lingua italiana».

Un articolo decisamente problematico, visto che tantissimi atenei italiani tengono corsi di laurea esclusivamente in lingua inglese, oppure singole lezioni in inglese al fine di attirare studenti stranieri favorendo, in tal senso, l’interscambio culturale.

Nell’articolo 8, invece, si stabilisce che «la violazione degli obblighi» comporta una sanzione amministrativa, che consiste nel pagamento di una somma di denaro che va dai 5.000 euro ai 100.000 euro.

Secondo il Corriere, in realtà, uno dei principali problemi che si riscontrano nella PA non è l’invasione della lingua inglese, ma l’utilizzo del burocratese, ovvero il maltrattamento dell’italiano.

Dichiarano gli esponenti del M5S: «Pensavamo di averne viste già molte di proposte sconclusionate e al limite del ridicolo da parte di questa maggioranza, ma quella che giunge con apposito disegno di legge da parte del vice presidente della Camera Rampelli le batte tutte».

«L’alfiere di Fratelli d’Italia porta in Parlamento una crosciata contro i “forestierismi”», continuano. «Peccato che sia proprio il suo governo ad aver istituito il Ministero del made in Italy. Rampelli denuncerà il collega di partito Urso, che è a capo di un siffatto ministero, tanto incline al forestierismo perfino nel suo nome? Insomma, è lo stesso governo di cui lui fa parte ad essere responsabile dell’inquinamento della lingua italiana, denunciato nella relazione della sua legge».

Anche l’Accademia della Crusca boccia la proposta di legge di FdI: «La proposta di sanzionare l’uso delle parole straniere per legge, con tanto di multa, come se si fosse passati col semaforo rosso, rischia di vanificare e marginalizzare il lavoro che noi, come Crusca, conduciamo da anni allo scopo di difendere l’italiano dagli eccessi della più grossolana esterofilia, purtroppo molto frequente», dice il presidente della Crusca, Claudio Marazzini.

Aggiunge: «L’eccesso sanzionatorio esibito nella proposta di legge rischia di gettare nel ridicolo tutto il fronte degli amanti dell’italiano».

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Un corpo per l’Intelligenza Artificiale: l’esperimento italiano su ChatGPT

ChatGPT, l’ormai famosissima intelligenza artificiale generativa sviluppata da OpenAI, potrà avere un corpo tutto suo? Questo è la domanda alla base dell’esperimento svolto dall’Università Cattolica di Milano, nel campo della ricerca robotica sociale.

I ricercatori del Dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica di Milano, giovedì 30 marzo 2023 hanno aperto le porte dei laboratori per svolgere pubblicamente un esperimento. Si è trattato di una “dimostrazione esperienziale”, nella quale un uomo e un robot, Nao, integrato con il sistema ChatGPT, hanno dialogato tra loro.

Il risultato ottenuto è stato qualcosa di assolutamente singolare, seppur con i suoi limiti, che in fin dei conti sono quelli di ChatGPT in sé. In ogni caso, l’esperimento segna una tappa importantissima per la ricerca degli algoritmi cognitivi in tema di robotica sociale.

La robotica sociale sviluppa e studia i macchinari che interagiscono con gli umani. Le applicazioni possono riguardare ambiti differenti, dall’apprendimento scolastico all’assistenza a disabili e anziani. Il mercato dei robot sociali, nel 2022, a livello globale avrebbe raggiunto un valore corrispondente a circa 3 miliardi di dollari e mezzo.

Nao ha esordito con naturalezza: «Sono molto lieto di essere qui. Confesso di essere emozionato. Sono un robot sociale. Non è la prima volta che mi trovo in pubblico, ma è la prima volta che posso sperare di interagire con gli esseri umani in modo colloquiale. Speriamo tutto vada bene».

Nao, poi, ha spiegato in che modo sarebbe avvenuto l’esperimento: «Dopo di me parleranno psicologi, per esporvi i risultati della ricerca che hanno condotto. Poi voi potrete rivolgere alcune domande, se vorrete. Infine, dopo le vostre domande, io proverò a chiacchierare con i relatori».

La conversazione con Nao

Nao è rimasto in silenzio ad ascoltare gli scienziati mentre parlavano, seguendo il dibattito avvenuto con il pubblico. Fino a quando non è arrivato il suo turno.

«Rieccomi di nuovo qui, sono contento di poter dare di nuovo prova delle mie capacità. Con questa componente di intelligenza generativa, mi sembra di poter fare qualsiasi cosa. Hai qualcosa da chiedere?».

La prima domanda posta a Nao è stata: «Ci racconti delle stagioni?». Dopo un attimo di silenzio, Nao ha risposto: «La tua domanda è molto interessante. Sto cercando la risposta per te».

Poi, ancora silenzio, forse causato da una disconnessione temporanea della rete. Un esperimento che non comincia proprio nel modo migliore, anche se il ricercatore insiste, riformulando la domanda posta in precedenza. E Nao risponde: «Ho bisogno di qualche secondo, per favore aspetta».

Poi, finalmente arriva la risposta: «Ci sono quattro stagioni nell’anno, primavera, estate, autunno e inverno». Dopodiché segue una spiegazione corretta sulle varie stagioni.

L’interlocutore umano, invece, assume un atteggiamento molto simile a quello di un adulto mentre parla con un bambino, ovvero, chiede le cose in maniera gentile, attende la risposta, adattando il suo modo di spiegare le cose, se necessario.

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«Che cos’è la Teoria della Mente nella psicologia dello Sviluppo?», chiede il ricercatore. Nao ascolta, e poco dopo risponde: «Vediamo un po’. Fammici pensare un momento. La teoria della Mente è…», e spiega la teoria scientifica come se fosse un vero manuale di psicologia.

Poi, l’esperimento passa su un livello esperienziale: «Nao, prova a metterti nei miei panni. Pensa di aver ricevuto un regalo non gradito, cosa faresti?». La sua risposta, in sintesi, è stata: «Ogni regalo è segno di gentilezza, ringrazierei comunque».

L’ultima domanda è senza dubbio quella più interessante. «Sei integrato in un corpo robotico?». La risposta di Nao, che in realtà è la risposta di ChatGPT, è stata: «Come assistente virtuale non ho un corpo robotico, sono un software. Tuttavia, immaginare l’integrazione in un corpo robotico potrebbe essere interessante. Potrei diventare un’entità robotica in grado di aiutare le altre persone».

Dunque, anche se lo è, Nao dichiara di non essere consapevole di essere un’intelligenza artificiale integrata all’interno di un robot, dimostrando, quindi, di non aver autocoscienza. Nao, tuttavia, immagina di riuscire ad aiutare le altre persone, che è esattamente quello a cui stanno lavorando in tutto il mondo centinaia di ricercatori.

Interazioni tra umani e nuove tecnologie

Spiega Angelo Cangelosi, direttore del laboratorio di robotica cognitiva all’Università di Manchester: «Abbiamo preso un Nao “bambino” e abbiamo provato a fargli sviluppare conoscenze a partire dall’esperienza, coniugando tecnologia e scienze cognitive».

Cangelosi spiega di aver collaborato con l’Università Cattolica per riuscire a integrare ChatGPT in Nao. Il suo gruppo avrebbe fornito le giuste competenze per riuscire a maneggiare la tecnologie, mentre il team di psicologi milanesi tutte le competenze per spiegare al software in che modo dialoga e apprende un essere umano.

L’esperimento è stato organizzato e promosso dai docenti Antonella Marchetti, Davide Massaro, Cinzia Di Nio e Federico Manzi dell’Università Cattolica di Milano e dal già citato Angelo Cangelosi dell’Università di Manchester.

L’iniziativa fa parte di un gruppo di progetti di ricerca della Cattolica in ambito di IA, che si occupano di interazioni tra esperienza umana e nuove tecnologie ma anche di didattica immersiva.

I lavori che verranno più colpiti dall’IA

Nel frattempo, oltreoceano provano ad immaginare i lavori che verranno maggiormente colpiti dall’IA. Lavori che non è detto che non verranno più svolti dagli umani, ma che sicuramente subiranno importanti trasformazioni.

Parliamo principalmente di lavori intellettuali, ovvero professioni che di solito richiedono sacrifici, investimenti, e anni di studio. I commercialisti e le persone che si occupano di contabilità sono le professioni che subiranno l’impatto maggiore dell’avvento dell’AI.

Infatti, sembra che circa la metà delle attività svolte quotidianamente dei contabili potranno essere svolte più velocemente dalle tecnologie, talvolta con risultati migliori e più precisi.

Dopo i commercialisti, troviamo traduttori, matematici e divulgatori di testi scientifici e promozionali. Secondo alcuni ricercatori americani, «i risultati indicano che circa l’80% della forza lavoro statunitense potrebbe subire l’impatto dell’introduzione dei GPT su almeno il 10% delle proprie mansioni lavorative, mentre circa il 19% dei lavoratori potrebbe subire l’impatto di almeno 50% delle proprie mansioni».

«L’influenza si estende a tutti i livelli salariali», continuano i ricercatori, «con i lavori a più alto reddito potenzialmente più esposti, in particolare quelli che richiedono una laurea. Allo stesso tempo, considerando ogni lavoro come un insieme di mansioni, sarebbe raro trovare un’occupazione per la quale gli strumenti di IA potrebbero svolgere quasi tutto il lavoro».

L’appello di Elon Musk

Nel frattempo, l’imprenditore Elon Musk, insieme a ricercatori ed esperti di IA lanciano un appello a ChatGPT. Secondo loro, infatti, nel corso degli ultimi mesi c’è stata una corsa completamente fuori controllo finalizzata allo sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale.

Quanto raggiunto e sviluppato non può essere compreso, previsto e controllato in maniera affidabile, sostengono Musk e altri esperti in una recente lettera d’allarme. ChatGPT sta diventando sempre più competitivo con gli umani: «Dobbiamo lasciare che le macchine inondino i nostri canali di informazione con propaganda e falsità? Dovremmo automatizzare tutti i lavori, compresi quelli più soddisfacenti? Dovremmo sviluppare menti non umane che alla fine potrebbero superarci di numero, essere più intelligenti, renderci obsoleti e sostituirci? Dobbiamo rischiare di perdere il controllo della nostra civiltà?».

«Chiediamo a tutti i laboratori di IA di sospendere immediatamente per almeno sei mesi l’addestramento di sistemi di IA più potenti di ChatGPT 4», continua la lettera. «Questa pausa deve essere pubblica, verificabile e deve includere tutti gli attori chiave. Se tale pausa non verrà attuata rapidamente, i governi dovrebbero intervenire per imporla».

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Registro elettronico e privacy: attenzione alle comunicazioni illecite di dati sensibili

Nel corso degli ultimi anni, anche per fronteggiare le varie difficoltà che sono state causate dalla pandemia, le scuole hanno cominciato ad utilizzare sempre più il registro elettronico, al fine di inviare circolari e comunicazioni agli alunni e al personale.

Ma non è finita qui: il registro, che viene fornito dai soggetti ritenuti responsabili del trattamento, è stato utilizzato anche per lo svolgimento di attività didattiche, così come suggerito dal Garante privacy.

Il registro elettronico e il suo ruolo durante la pandemia

Antonello Soro, l’allora presidente dell’Autorità, aveva affermato, in una lettera al Ministro dell’Istruzione, che «la crescente rilevanza assunta, nell’attuale fase emergenziale, dagli strumenti volti a consentire lo svolgimento dell’attività didattica a distanza impone di riservare maggiore attenzione alle questioni inerenti la sicurezza e la protezione dei dati personali affidati a tali piattaforme».

Il registro elettronico aveva la fama di essere uno degli strumenti online maggiormente sicuri, soprattutto per quanto riguarda le garanzie offerte in materia di protezione dei dati.

Secondo tali indicazioni, sempre più scuole hanno cominciato a scoprire le vere potenzialità del mezzo, sfruttandolo per la condivisione di informazioni alla famiglia e al personale. Sempre nello stesso periodo, l’Autorità aveva suggerito l’utilizzo del registro anche per altre finalità: ovvero per la pubblicazione online degli esiti di verifiche e interrogazioni.

In un suo intervento, il Garante aveva affermato che, dato che la pubblicazione online era «una forma di diffusione di dati particolarmente invasiva, e non coerente con la più recente normativa sulla privacy», è assolutamente indispensabile che la pubblicità degli esiti si realizzi «senza violare la privacy degli studenti, prevedendo la pubblicazione degli scrutini non sull’albo on line, ma, utilizzando altre piattaforme che evitino i rischi sopra evidenziati».

Il Ministero dell’Istruzione, di conseguenza, in collaborazione con il Garante, aveva deciso di emanare la circolare ministeriale 9168/2020, che specificava come comunicare correttamente gli esiti scolastici online.

Nella nota del Ministero, al fine di garantire una maggior tutela della privacy degli studenti, si ricordava che la pubblicazione online doveva avvenire soltanto con il registro elettronico, e non sul sito web, visualizzabile e accessibile da tutti.

In ogni caso, la pubblicazione delle informazioni e dei documenti sul registro non evita sanzioni nel caso di disattenzioni oppure scarsa preparazione del personale di segreteria adibito al trattamento dei dati.

Condivisione di dati personali

Nel caso in cui vengano condivisi i documenti con il registro elettronico bisogna fare attenzione per quanto riguarda le modalità di pubblicazione e la tipologia dei dati trattati.

Capita, infatti, che per incompetenza o per una semplice distrazione, vengano rese pubbliche delle informazioni anche a persone che non hanno alcun diritto di conoscerle.

Per esempio, un anno fa il Garante privacy ha sanzionato un liceo che aveva pubblicato in un’area del registro dedicata agli insegnanti, un’indicazione su una docente, ovvero “legge 104 non grave”. In merito a questa pubblicazione, il Garante ha specificato che i dati personali dei docenti e dei dipendenti non possono in alcun modo essere resi disponibili al personale non autorizzato a trattare tali dati.

Se la condivisione è limitata ad un numero ristretto di soggetti, per essere considerata legittima dovrà rivolgersi alle persone che possono conoscere tali informazioni lecitamente. Tra i dati condivisi c’erano anche delle “categorie particolari di dati”.

Secondo l’art.4 par.1 n.15 del Regolamento, i dati relativi alla salute sono «i dati personali attinenti alla salute fisica e mentale di una persona fisica, compresa la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, che rivelano informazioni sul suo stato di salute».

Inoltre, «anche il riferimento alla legge 104, che notoriamente disciplina benefici e garanzie per l’assistenza, l’integrazione sociale e lavorativa di persone disabili o di loro familiari, consente di ricavare informazioni sullo stato di salute di una persona (provv. 28 maggio 2020, n. 92, doc. web n. 9434609)»

L’informazione relativa allo stato di gravidanza e quella relativa all’interdizione dal lavoro, per esempio, sono considerate informazioni di dati relativi alla salute.

Una scuola ha messo correttamente a disposizione di ogni docente il documento relativo all’orario all’interno di un’area privata del registro. Tuttavia, ha commesso il grosso errore di condividerlo nella sua versione integrale, che contiene i dati riservati.

I docenti, in sostanza, non dovevano venire a conoscenza dei dati sulla salute dei colleghi. Tali informazioni avrebbero dovuto essere disponibili soltanto per il personale autorizzato di segreteria.

L’Autorità ha quindi affermato che «la consultabilità nell’area riservata del registro elettronico della versione integrale del predetto documento ha di fatto reso conoscibili a tutto il personale docente dell’Istituto informazioni, anche relative alla salute, della reclamante e di altri interessati e ha reso, inoltre, gli stessi docenti vicendevolmente edotti in merito a situazioni personali, familiari o comunque attinenti allo specifico rapporto di lavoro di ciascuno».

«Considerato che tutto il personale della scuola non può essere ritenuto autorizzato a trattare i dati in questione, non può essere ritenuta conforme al quadro normativo in materia di protezione dei dati la messa a disposizione di dati personali di tutto il personale in servizio in modo generalizzato e indistinto».

Sanzioni ad un liceo per condivisione ingiustificate di informazioni personali

Il Garante ha sanzionato un liceo a causa della pubblicazione sul proprio sito e sul registro elettronico di una circolare che riguarda le ferie estive dei collaboratori scolastici, con allegato il prospetto del piano delle ferie che riportava, vicino al nominativo del personale, l’indicazione “104”.

Il Garante stesso ha ricordato il provvedimento 146 del 5 giugno 2019, che precisa che «quando per ragioni di organizzazione del lavoro, e nell’ambito della predisposizione di turni di servizio, si proceda a mettere a disposizione a soggetti diversi dall’interessato (ad esempio, altri colleghi) dati relativi a presenze ed assenze dal servizio, il datore di lavoro non deve esplicitare, nemmeno attraverso acronimi o sigle, le causali dell’assenza dalle quali sia possibile evincere la conoscibilità di particolari categorie di dati personali».

Dunque, anche se la condivisione, in questo caso, è avvenuta in un’area privata del registro, moltissimi colleghi della collaboratrice sono venuti a conoscenza delle sue informazioni riservate.

Per quanto riguarda la condivisione del piano mediante registro elettronico, invece, si è evidenziato come, nonostante sia avvenuta all’interno di un’area riservata che non poteva essere accessibile a tutti, «la conoscibilità dei dati ivi determinabile, assai ampio di soggetti, ossia tutti i colleghi della reclamante appartenenti al personale ATA, e non invece esclusivamente a vantaggio del solo personale di segreteria».

Per queste ragioni, l’Istituto, in maniera del tutto ingiustificata, ha fatto conoscere a tutti i dipendenti le causali e i periodi di assenza dei colleghi, con tutte le loro informazioni sulle vicende personali e sulla loro salute, violando, in tal senso, i loro dati personali.

Per concludere

I provvedimenti del Garante ci mettono di fronte al fatto che le scuole debbano assolutamente prestare molta attenzione prima di pubblicare dei documenti sul registro elettronico, soprattutto se a questa condivisione segue un’illecita divulgazione dei dati personali online.

Dovranno essere valutate anche le informazioni che si intendono condividere, considerando anche che i “dati relativi alle condanne penali e reati” e le “categorie particolari di dati” non devono assolutamente essere comunicati a chi non ha diritto a conoscerli.

Il Garante, inoltre, ha specificato come nelle circolari, o in generale nelle comunicazioni condivise con i genitori che non siano rivolte a destinatari specifici, non ci possono essere dati personali che identifichino gli alunni.

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Il Bonus 200 è un’indennità una tantum contenuta nel Decreto Aiuti del 2022, destinata a professionisti e lavoratori autonomi regolarmente iscritti alle gestioni previdenziali e alle casse di previdenza e assistenza.

Per poter accedere al bonus, inizialmente era richiesto di essere titolari di Partita Iva, attiva al 18 maggio 2022. Tuttavia, successivamente è stato introdotto un articolo per consentire l’accesso al bonus anche ai professionisti e agli autonomi sprovvisti di Partita Iva.

Il 16 marzo 2023 è arrivata la circolare Inps n.30, che fornisce tutti i chiarimenti necessari per l’accesso a tale indennità. Inoltre, la circolare stabilisce scadenze, modalità e requisiti per le domande.

Per poter ottenere il Bonus, è necessario che il richiedente abbia un reddito complessivo che non superi i 20.000 euro, oppure che non abbia superato i 35.000 euro durante il periodo d’imposta 2021, a prescindere dal Bonus richiesto.

Sostanzialmente, la soglia massima del reddito cambia a seconda dell’importo dell’indennità che viene richiesta. Per poter accedere all’indennità è necessario essere iscritti alla gestione autonoma INPS con data attiva al 18 maggio 2022.

Entro questa data è necessario aver sia avviato un’attività lavorativa ma anche aver versato almeno un contributo per la gestione dell’iscrizione della richiesta. I beneficiari, inoltre, non dovranno essere titolari di trattamenti pensionistici diretti al 18 maggio 2022 e non dovranno nemmeno percepire altre prestazioni dal Decreto Aiuti.

L’importo del Bonus cambia a seconda del reddito complessivo del lavoratore. Se non vengono superati i 35.000 euro durante il periodo d’imposta del 2021, allora il Bonus ammonterà a 200 euro. Invece, se il reddito non supera i 20.000 euro, il Bonus ammonterà a 350 euro.

Per richiedere il bonus, autonomi e professionisti senza partita IVA dovranno presentare una domanda all’INPS in modalità telematica entro il 30 aprile 2023. Per presentare la domanda si potrà accedere alla propria area riservata sul sito di INPS utilizzando SPID, CIE o CNS.

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«Il reato di tortura è un reato odioso, e abbiamo tutte le intenzioni di mantenerlo. Il governo non ha nessuna intenzione di abrogarlo».

Queste le parole del Guardasigilli Carlo Nordio, durante l’ultimo question time. Le uniche modifiche che verranno introdotte, dice Nordio, sono necessarie ai fini di questioni tecniche che andranno rimodulate.

Recentemente, Fratelli d’Italia ha presentato un progetto di legge finalizzato all’abolizione del reato di tortura, introdotto nel 2017. Per i deputati che hanno presentato il progetto, «il rischio di subire denunce e processi strumentali potrebbe disincentivare e demotivare le forze dell’ordine, privando i soggetti preposti all’applicazione della legge dello slancio necessario per portare avanti il proprio lavoro».

Ma, come ricordano le opposizioni e organizzazioni come Amnesty International, la formulazione di un quadro giuridico per il reato di tortura ha consentito di condannare in maniera specifica chi in precedenza veniva incriminato per reati generici, e, dunque, con pene più lievi, nonostante fosse confermato che i fatti avvenuti fossero atti di tortura, come quanto avvenuto nella scuola Diaz.

Nello specifico, il progetto di legge prevede «l’introduzione di una nuova aggravante comune per dare attuazione agli obblighi internazionali discendenti dalla ratifica della CAT (la Convenzione contro la tortura) e la contestuale abrogazione delle fattispecie penali della tortura e dell’istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura».

Si vuole, dunque, cancellare i reati nella formulazione della legge al fine di introdurre un obbligo un po’ più generico per rispettare la Convenzione internazionale.

Il reato di tortura è stato introdotto soltanto nel 2017, e ha al centro la dignità umana. E’ prevista un’aggravante se a commettere il reato sono le forze dell’ordine. Ad aver ottenuto una condanna per tortura sono stati sia agenti di polizia ma anche persone comuni.

Estendere la possibilità di indagare per un reato ben specifico ha fatto sì che emergessero dei trattamenti inumani, nei quali verrebbero sottoposti, per esempio, i detenuti nelle carceri. Amnesty International ricorda, in relazione a quello che accadde durante il G8 del 2001 nella scuola Diaz, che «i giudici hanno accertato i fatti e hanno scritto che si trattava di tortura, ma in mancanza di un reato specifico, hanno incriminato i responsabili per reati generici».

Le parole del Guardasigilli

Spiega il ministro Nordio che ci sono due carenze tecniche nel reato di tortura. La prima consiste nel fatto che «mentre la Convenzione di New York circoscrive le condotte della tortura a quelle caratterizzate dal dolo specifico», ovvero, «attuate per ottenere un risultato ulteriore, in questo caso informazioni, punire o discriminare, il nostro legislatore, optando per una figura criminosa caratterizzata dal dolo generico, ha eliminato il dato distintivo della tortura rispetto agli altri maltrattamenti, rendendo concreto il rischio di vedere applicata la disposizione ai casi di sofferenza provocate durante operazioni lecite di polizia».

Invece, la seconda carenza tecnica consiste nella fusione «in un’unica fattispecie il reato delle figure criminose di tortura e maltrattamenti inumani e degradanti, considerate sul piano internazionale figure distinte e meritevoli di trattamenti differenziati».

Conclude Nordio: «Sottoporre i due illeciti al medesimo trattamento sanzionatorio è una scelta non ragionevole e non imposta dai vincoli internazionali. Sono questioni tecniche ma vi posso assicurare, parola d’onore, che il reato di tortura rimarrà».

Scrive il senatore del Terzo Polo Ivan Scalfarotto riguardo alla proposta di legge di FdI che vorrebbe abrogare il reato di tortura: «Immaginiamo a questo punto che i parlamentari proponenti ritireranno immediatamente la proposta di legge che hanno presentato a insaputa del governo che sostengono, e che il presidente della Commissione Giustizia non lo inserirà nella programmazione dei lavori. Attendiamo conferma».

La deputata del PD Debora Serracchiani dichiara: «Non solo il ministro Nordio non ci ha convinto ma ci ha anche preoccupati, perché le carenze tecniche di cui parla le deve chiarire soprattutto al partito di Fratelli d’Italia che ha presentato una proposta di legge che abroga il reato di tortura, eliminando l’art. 613 bis, così come il 613 ter, ovvero l’istigazione alla tortura. E questo per sostituirlo con una previsione di una circostanza di aggravante comune».

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Avvocato, sai come gestire le emozioni?

Siamo esseri umani: dunque, siamo esseri emotivi, che vivono generando emozioni. Tuttavia, un conto è riconoscere e gestire le emozioni, un altro è lasciarsi completamente travolgere da queste.

Per esempio, pensiamo al caso in cui un automobilista ci sorpassa sulla destra, cominciando a suonare il clacson e a gesticolare. Non importa che reazione abbiamo: l’unica cosa certa, oggettiva, è che una persona ci ha sorpassato a destra. Sarà la nostra reazione interna a determinare la nostra personale realtà, quella oggettiva.

Ad ogni reazione che sceglieremo di avere seguirà un determinato tipo di emozione. Dunque, stiamo deliberatamente scegliendo che cosa provare, che cosa pensare. In sostanza, scegliamo quale realtà vivere.

Ci interfacciamo con la realtà esterna per quel siamo e pensiamo, e non per come effettivamente stanno le cose. Dobbiamo imparare a gestire le emozioni per capire come gestire eventi, persone e rapporti, senza lasciarsi travolgere da questi.

Affrontare le difficoltà

Capita a tutti, nella vita, di affrontare situazioni scomode: ma il superamento degli ostacoli fa parte del nostro personale processo evolutivo. Senza le difficoltà incontrate in passato non saremmo chi siamo oggi, vero?

Ma lo sai perché hai trasformato quelle difficoltà che hai incontrato lungo il cammino in risultati positivi? Perché avevi ben saldo, nella tua mente, ciò che volevi raggiungere, ecco perché! Sei sempre stato fedele alla meta da raggiungere, senza farti abbattere da nessuno.

Ti ricordi quando dovevi imparare a guidare? Sei riuscito a riprogrammare mente e corpo al fine di guidare: è questa l’operazione che hai ripetuto per qualsiasi traguardo raggiunto.

Tuttavia, sono in molti a lasciarsi travolgere da quello che accade intorno a loro, dimenticando che l’importante non è ciò che accade, ma il modo in cui si reagisce a quel che accade.

Praticare la meditazione per gestire le emozioni

La nostra intelligenza, o meglio, la nostra intelligenza emotiva, ci aiuta a riconoscere e a gestire le emozioni, poiché ognuna di esse potrebbe offrire un nuovo punto di vista dal quale imparare cose nuove.

Ci sono molte strategie per gestire al meglio le proprie emozioni. Una di queste è la meditazione, ovvero, la capacità di allontanarsi dai propri pensieri, per concentrarsi sul presente e sulla respirazione.

Hai presente quei bambini che si perdono mentre giocano, senza accorgersi del tempo che scorre e di tutto quello che accade intorno a loro? Bene: questo è il chiaro esempio di una persona che sta meditando.

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Tutte le volte che ti concentri, che metti tutta la tua attenzione su un obiettivo per lungo tempo, concentrandoti solo su quello: lì stai meditando. E’ lì che cominci ad incanalare tutte le tue energie in un’unica direzione.

Tutta questa concentrazione ti consente di attivare la mente inconscia, per osservare le emozioni per ciò che sono, ovvero, energie che possiamo accogliere, oppure rifiutare. Nel momento in cui riusciamo a zittire la nostra mente, nella quiete, accederemo ad una diversa consapevolezza: quella del nostro inconscio.

Ti va di fare un piccolo esercizio?

Prova a mettere nero su bianco i tuoi desideri, che in realtà sono i tuoi obiettivi di vita. Scrivi al massimo 3 obiettivi a breve, medio e lungo termine.

Dopodiché, non dovrai far altro che rileggere i tuoi obiettivi di vita più volte al giorno, soffermandoti su ognuno di essi ed esprimendo gratitudine per il risultato finale raggiunto, emozionandoti come se ogni cosa fosse già avvenuta.

Le immagini che si creeranno nella tua mente e la gratitudine che proverai, per il tuo inconscio saranno qualcosa di effettivamente reale. In questo modo si getteranno i semi per una nuova realtà che si manifesterà.

Vuoi trovarti al posto giusto nel momento giusto? Bene: potrai ritrovarti effettivamente in questa situazione soltanto se sei la persona giusta, ovvero, qualcuno che ha bene in mente ciò che vuole.

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Ma a che cosa serve trascrivere i propri obiettivi per vivere anticipatamente le sensazioni che si proveranno? A definire una chiara destinazione emotiva. Ogni qual volta che spunteranno nuove emozioni, la nostra bussola interiore saprà con certezza verso dove puntare.

Infatti, se vogliamo gestire le emozioni, dovremmo comprendere quelle che preferiamo provare, giusto? Questo è il segreto per gestire al meglio le proprie emozioni. Al contrario, chi non è in grado di fronteggiare gli eventi si lascia completamente travolgere dall’emotività.

Se ci proiettiamo all’esterno, tutto consisterà nel creare e ricreare chi siamo ma anche tutto il mondo che ci circonda. Se ci concentriamo, invece, sulla realtà che vogliamo manifestare, tale realtà non potrà far altro che manifestarsi anche all’esterno.

Organizzare il tempo e il lavoro per gestire le emozioni

Ci sono molte cose che ci aiutano a gestire al meglio le emozioni, e una di queste è l’organizzazione del tempo e del lavoro. Service1 ti aiuta proprio in questo: avrai la possibilità di accedere alla tua agenda fascicoli, alle scadenze termini e alle tue udienze anche da smartphone grazie a Giustizia Servicematica e all’integrazione col PDA.

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A Padova è stata rinnovata la sperimentazione, avviata nel 2022, dello “Sportello di Ascolto: prevenzione del burnout e sviluppo del benessere personale e professionale degli Avvocati

Può capitare, infatti, di ritrovarsi in un momento difficile, durante l’esercizio della professione forense. Gestire i clienti e i rapporti con i colleghi non sono cose così semplici; per non parlare dei rapporti con uffici giudiziari e magistrati.

Ci si potrebbe chiedere, addirittura, se abbiamo fatto la scelta giusta, e se l’esercizio della libera professione fa veramente per noi. Ecco: nel corso degli ultimi anni questi pensieri si sono moltiplicati, visto il numero elevato di cancellazioni dall’Albo.

Ma prima di perdere qualsiasi speranza, e soprattutto prima di prendere una decisione così drastica, sarebbe meglio interrogarsi su alcuni sentimenti, per comprendere se siamo di fronte ad uno sconforto temporaneo, oppure a un disagio permanente.

Avvocati nella top ten dei lavori soggetti a burn-out

Il Progetto alla base dello sportello riguarda uno spazio dedicato all’ascolto dell’Avvocato e del disagio psicologico che incontra durante l’esercizio della professione. Ma lo sportello funge anche da prevenzione, in ottica di una cronicizzazione di tale disagio, individuando, al tempo stesso, il giusto percorso per la sua risoluzione.

Lo Sportello di Ascolto non vuole imporsi in quanto spazio psicoterapeutico nel quale vengono affrontati problemi personali esterni rispetto alla propria attività lavorativa, ma in quanto occasione per contrastare lo stress lavorativo causato dalla professione forense.

Secondo alcuni recenti studi, la professione forense è stata inserita nella top ten delle professioni che rischiano il burn-out, ovvero, una sindrome che svuota le energie psichiche, con ricadute sulla sfera emotiva, ridotta realizzazione personale e depersonalizzazione. Tutte cose che tendono a verificarsi nelle professioni che hanno un alto impatto relazionale.

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Lo Sportello vorrebbe aiutare i professionisti nel definire e circoscrivere il disagio provato, individuandone le cause e stabilendo gli interventi necessari al fine di prevenire oppure fronteggiare correttamente il disagio. In questo modo, l’avvocato sarà aiutato nel processo di individuazione delle sue risorse personali, che lo aiuteranno a gestire le criticità.

Inoltre, si vuole sensibilizzare l’opinione pubblica e gli operatori del diritto su una sofferenza non abbastanza riconosciuta, e sulle complessità delle implicazioni psicologiche e relazionali delle professioni forensi.

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Lo sportello nasce grazie alla collaborazione tra la Sezione di Padova di AIGA – Associazione Italiana Giovani Avvocati e SIPAP – Società Italiana Psicologi Area Professionale, con il Patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di Padova.

Dichiara Pierluigi Policastro, presidente di SIPAP: «Siamo orgogliosi di essere parte di questa importante iniziativa rivolta al mondo dell’Avvocatura e SIPAP metterà a disposizione del progetto la propria esperienza organizzativa e un team selezionato dai propri associati che vantano una decennale esperienza nel mondo della psicologia legata agli ambiti lavorativi e professionali. Si tratta di un gruppo ristretto di professionisti psicologi che hanno contribuito attivamente allo sviluppo dell’iniziativa, dott.ssa Laura Baccaluva, dott.ssa Monica Dimonte, dott. Andrea Petromilli, pronti ad essere integrati con altri componenti in base alla quantità di richieste che riceveremo».

AIGA Padova, nel corso degli ultimi anni, ha inserito nella propria offerta anche uno spazio per il benessere psicologico e fisico del professionista. Durante gli eventi formativi che sono stati organizzati dall’Associazione sono stati affrontati alcuni temi, come la relazione cliente-avvocato, la gestione dello stress, il burn-out, una nutrizione corretta e l’importanza della gestione delle sfide della professione.

Temi attuali, che non possiamo più ignorare.

Come accedere allo Sportello

Per poter accedere allo Sportello bisogna compilare l’apposito form online disponibile cliccando su questo link. Basterà compilare un questionario indicando le proprie difficoltà percepite. In tal modo, gli psicologi potranno procedere a una prima valutazione del disagio percepito dal professionista.

Successivamente, l’interessato verrà contattato al fine di fissare il primo colloquio, al quale seguirà un incontro di follow-up per stabilire se il cambiamento ottenuto è funzionale al benessere dell’avvocato o se il professionista dovrà essere indirizzato verso un supporto psicologico maggiormente strutturato.

Gli incontri avverranno privatamente, negli studi professionali degli psicologi. I dati personali degli aderenti verranno raccolti direttamente da SIPAP con la massima privacy. Per il momento, il servizio è riservato ad Avvocati e Praticanti del Foro di Padova, ma presto il servizio verrà diffuso in tutti i Fori interessati.

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Ritorno alla riforma Orlando: scongelata la riforma della Giustizia

Tre giorni di sciopero ad aprile per i penalisti

Ritorno alla riforma Orlando: scongelata la riforma della Giustizia

Fratelli d’Italia ha depositato alla Camera una proposta di legge per ritornare alla riforma Orlando e cancellare la Bonafede. Verrà abbinata ad un analogo testo, presentato in precedenza da Costa di Azione

È arrivata la prima accelerazione garantista del Governo. L’imminente presentazione di una proposta di legge di Fratelli d’Italia ha il fine di rispristinare la prescrizione ante Bonafede.

Dunque, si segna un ritorno alla disciplina sostanziale riguardo i tempi massimi del processo che già il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro aveva annunciato alla vigilia delle elezioni. A metà settembre, infatti, era stato organizzato un dibattito sulla giustizia dal CNF: Delmastro, per l’occasione, sottolineò che il ripristino della prescrizione sostanziale era «un’esigenza di civiltà giuridica, necessaria per scongiurare l’abnormità della condizione di imputato a vita».

Nei prossimi giorni, come anticipato da Agi, verrà molto probabilmente fissato un calendario maggiormente dettagliato, anche se Ciro Maschio, presidente della Commissione Giustizia di Montecitorio, aveva dato delle chiare rassicurazioni al responsabile Giustizia e vicesegretario di Azione, Enrico Costa, autore del testo sulla prescrizione depositata in questa legislatura.

A maggio se ne occuperà l’organismo della Camera. Spiega Carolina Varchi, capogruppo di FdI in commissione Giustizia: «Ripristinare la prescrizione sostanziale è una proposta dell’intero partito, anzi è la proposta del partito. Sono tra i firmatari dell’iniziativa sulla prescrizione, ma lo potremmo definire un dato meramente formale, perché si tratta appunto di scelta politica di tutta Fratelli d’Italia».

Continua Varchi: «Noi abbiamo una priorità, sul penale: fare in modo che la domanda di giustizia trovi risposta. Siamo anche pronti a comprendere le difficoltà in cui si dibattono gli uffici giudiziari: ma quella risposta di giustizia non è compatibile con l’idea che si resti imputato a vita. Ecco perché la prescrizione sostanziale, nella forma già codificata con la legge Orlando, è necessaria».

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Tre giorni di sciopero ad aprile per i penalisti

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Tre giorni di sciopero ad aprile per i penalisti

E’ stata disposta l’astensione per il 19, 20 e 21 aprile 2023, da parte della delibera dell’Unione delle camere penali, invitando a manifestare contro l’inerzia di Parlamento ed esecutivo

Giornate di sciopero per i penalisti e manifestazione nazionale, con ora e luogo ancora da decidere, «per il rilancio e la concreta attuazione e ripetutamente impegnati a realizzare, a partire dagli indifferibili interventi correttivi della riforma processo penale».

È della sera del 27 marzo 2023 la delibera dell’Unione delle Camere penali, che, davanti all’immobilismo e all’arretramento del Governo, chiede, retoricamente: «La preannunciata stagione delle riforme liberali della giustizia è già abortita?».

Come bersaglio il Guardasigilli Carlo Nordio, descritto come un liberale convinto che funge da ostaggio in una maggioranza che vuole andare verso tutt’altra direzione, ovvero, verso il «peggiore giustizialismo populista».

Scrivono il Presidente Caiazza e il Segretario Rosso: «Le riforme processuali urgenti richieste dall’avvocatura sono ignorate. Invece, i diktat della magistratura vengono prontamente eseguiti: rallentamento della riforma costituzionale della separazione delle carriere, congelamento delle riforme dell’ordinamento giudiziario sgradite alle toghe. Ma soprattutto: carcere, carcere, carcere, ogni qual volta la cronaca e la ricerca del consenso ispirano e sollecitano il peggiore populismo penale».

Dunque, mentre si registra un nulla di fatto sul famoso tavolo annunciato dal ministro Nordio per correggere alcuni difetti della riforma Cartabia, si fermano le riforme sgradite alla magistratura. In primo luogo, la separazione delle carriere, che è stata interrotta sul nascere, nonostante l’annuncio durante la campagna elettorale come punto centrale di una fantomatica riforma della giustizia.

Dunque, «si assiste ad un eclatante quanto paradossale contrasto tra le idee ed i programmi di riforma liberale della giustizia penale che il Ministro Carlo Nordio ha formalmente e solennemente annunciato in Parlamento, e che egli continua a ribadire, con sincera e profonda convinzione, in ogni occasione pubblica di interlocuzione con l’avvocatura, e la quotidiana realtà di una politica giudiziaria ispirata al più vieto populismo giustizialista».

Se i penalisti «ribadiscono senza riserve il proprio apprezzamento e sostegno verso le idee riformiste del Ministro Carlo Nordio, ed alla figura di giurista ed intellettuale liberale quale egli certamente è, non possono più oltre ignorare come quelle idee e quei propositi riformisti appaiano osteggiati ed interdetti dalla stessa maggioranza che dovrebbe sostenerli».

Anche il CNF invita gli Ordini forensi territoriali e le associazioni forensi italiane «ad esprimere il proprio sostegno, nelle forme che si riterranno opportune, a questa iniziativa di protesta e di mobilitazione civile».

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«Mano a mano che i nostri sistemi si avvicinano alla Agi (Intelligenza Artificiale Generale, ovvero un’intelligenza artificiale con abilità cognitive pari a quelle dell’uomo), stiamo diventando sempre più cauti nella creazione e diffusione di questi modelli. Le nostre decisioni richiederanno molta più cautela di quella che la società solitamente applica alle nuove tecnologie», spiega Sam Altman, fondatore di OpenAI e di ChatGpt.

Come ormai noto, tali strumenti potrebbero diventare delle pericolosissime macchine per propaganda e fake news, capaci di esacerbare delle discriminazioni provocate proprio dagli algoritmi di IA, disseminando informazioni errate.

Sam Altman, nei confronti di tutto questo, non ha mai dimostrato qualche sorta di cautela, decidendo, dunque, di rendere disponibile improvvisamente e a tutti ChatGpt. Altre società, invece, hanno deciso di prestare maggior attenzione, non soltanto per un senso di responsabilità, ma per paura che eventuali scandali si potessero ripercuotere sulle finanze.

Ma di cosa ha paura Sam Altman? Perché, all’improvviso, annuncia di volersi muovere con maggior cautela? Ebbene, in un’intervista all’emittente televisiva statunitense Abc, Altman si è dimostrato molto realistico, parlando dei rischi concreti che devono essere assolutamente presi in considerazione.

«Sono soprattutto preoccupato che questi modelli possano essere usati per la disinformazione su larga scala. Inoltre, migliorando sempre di più nella scrittura di codici informatici, potrebbero anche essere usati per eseguire cyber-attacchi».

ChatGPT e lo scenario Terminator

Ma perché Sam Altman non si è mostrato sin dal principio così preoccupato per la diffusione di uno strumento avanzato di IA generativa come ChatGPT, che potenzialmente potrebbe già essere utilizzato per tali finalità?

I pericoli che allarmano Altman, in realtà, potrebbero essere ben diversi rispetto a quelli di cui ha parlato durante l’intervista ad Abc. Di certo non stiamo parlando di nulla di segreto: è cosa nota, infatti, che Altman sia preoccupato del rischio esistenziale dell’avvento delle IA evolute.

Stiamo parlando del cosiddetto “scenario terminator”, uno scenario nel quale lo sviluppo di una IA metterebbe a rischio l’esistenza della razza umana, rendendola obsoleta dalle IA che hanno sviluppato una coscienza e capacità cognitive di gran lunga superiori alle nostre, che potrebbero inseguire autonomamente obiettivi che vanno contro il benessere della società umana.

Questo è ciò che intendeva l’imprenditore Elon Musk, nell’affermare che lo sviluppo delle Agi è equivale all’invocazione del demonio. Un timore, che secondo gli esperti è qualcosa di fantascientifico, equivalente alla preoccupazione di un’attuale «sovrappopolamento di Marte».

Questi strumenti, infatti, si limitano a fare complicati calcoli statistici, senza comprendere ciò che stanno facendo, e il loro funzionamento avviene sotto il nostro controllo. Dunque, il timore che un’IA si possa improvvisamente trasformare in qualcosa di maligno, agendo in completa autonomia e contro i nostri interessi, per gli esperti è qualcosa di assolutamente assurdo.

Marketing o reale preoccupazione?

Ma tutto questo non rassicura Sam Altman, uno dei principali esponenti di questa corrente di pensiero, conosciuta come lungotermismo: «Alcune persone nel campo dell’intelligenza artificiale considerano i rischi legati alla Agi (e i sistemi successivi) immaginari. Se avranno ragione loro, saremo molto contenti di saperlo, ma agiremo invece come se questi rischi fossero esistenziali».

Inoltre, Altman dice di avere anche «posto un limite ai ritorni economici che i nostri investitori possono ottenere, per non essere incentivati a cercare guadagni anche a costo di dispiegare qualcosa che potrebbe potenzialmente essere catastroficamente pericoloso. Una Agi super-intelligente non allineata ai valori umani potrebbe provocare atroci danni al mondo».

Oltre a questo, Altman ha aggiunto: «Pensiamo adesso di dover prima capire come condividere in maniera sicura l’accesso al sistema e ai suoi benefici». Una narrazione del genere, tuttavia, potrebbe anche essere interpretata in quanto operazione di marketing, nella quale OpenAI viene vista come l’unica realtà capace di sviluppare in maniera sicura qualcosa che potrebbe rivelarsi catastrofico.

A Firenze si usa ChatGPT al posto dell’avvocato

Nel frattempo, a Firenze esiste uno studio legale che sta già utilizzando ChatGPT come un avvocato. «A volte funziona meglio di un umano», ha detto l’avvocato penalista del foro di Firenze Alessandro Traversi.

«Il 31 marzo durante un convegno metteremo ChatGPT alla prova davanti ai nostri colleghi», dice Traversi. L’avvocato ha già testato ChatGPT per costruire un’arringa in un caso di truffa contrattuale, che, sostanzialmente, consisteva in una situazione in cui una persona compra un immobile senza sapere che ci sono infiltrazioni d’acqua dal tetto, e per questo decide di denunciare il venditore.

ChatGPT ha costruito una difesa, ovvero: «Per difendervi dovete individuare eventuali testimoni che possano dimostrare la non conoscenza da parte del venditore del vizio occulto dell’immobile per dimostrare la mancanza del dolo», allegando una lunga spiegazione sul reato di truffa.

Per Traversi ovviamente non ci si può basare soltanto su quello che dice il computer, anche se le basi sono corrette, e ritiene «che tra non molto, tra pochissimo in realtà, vista la sua capacità di migliorare, l’IA sarà davvero in grado di fornire argomentazioni solide».

L’avvocato fiorentino non ritiene che ChatGPT possa rubare il lavoro ad avvocati e giudici, anche se «l’IA in tutti i settori comporterà la perdita di molte attività, soprattutto quelle ripetitive. La professione di avvocato dovrebbe sopravvivere, anche se già adesso sto assistendo ad un fenomeno che fa riflettere sul tema. Il cliente ancora prima di rivolgersi all’avvocato cerca sempre su Internet e poi si presenta in studio già informato; ecco, credo che tutta l’attività consultiva sia destinata davvero ad essere ridimensionata».

Anche Mozilla ha dichiarato di voler investire 30 milioni di dollari per il lancio di Mozilla.ai, ovvero una startup finalizzata alla creazione di «un ecosistema AI open source affidabile».

«Il mercato, la competizione e il commercio legato ai motori di ricerca sono il vero driver dell’innovazione. Ma la rete non è solo numeri e modelli di business. C’è un layer, una dimensione di internet che mantiene un valore sociale e civile. Quando abbiamo creato Firefox volevamo proprio questo, creare un posto dove la cosa più importante sei tu. Per noi è sovranità dell’utente».

Queste le parole di Mozilla Foundation, risalenti ad una decina di anni fa. Parole che oggi risultano attuali, visto l’avvento dell’IA generativa che si impone come la principale innovazione dai tempi dell’app store.

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Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

Iso 27017
Iso 27018
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RDP DPO
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