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G7 Avvocature: “L’intelligenza artificiale non potrà sostituire le persone”

Sette anni fa è nato il G7 delle Avvocature. In quel momento, il Consiglio Nazionale Forense, decise di costituire un tavolo di lavoro permanente tra i maggiori esponenti delle avvocature di Francia, Canada, Giappone, Germania, Stati Uniti, Gran Bretagna e Italia.

Quest’anno il Consiglio Nazionale Forense dovrà presiedere e organizzare il G7 delle Avvocature, e la scelta sull’argomento è ricaduta su un tema attuale, ovvero l’impatto dell’intelligenza artificiale sulle democrazie.

Spiega Francesco Greco: «Si tratta di un tema che coinvolge il mondo nella sua globalità e tutti gli aspetti del sapere. Tra essi si annovera quello della giustizia, intesa sia, classicamente, come esercizio della giurisdizione che, nella post-modernità, come componimento dei conflitti attraverso sistemi di giustizia conciliativa e riparativa».

«In un simile contesto», prosegue, «, in cui la macchina sembra dover sostituire l’uomo in molte azioni e attività, è lecito porsi una serie di interrogativi, tra i quali la ragionevole certezza che chi dovrà decidere un processo accetterà di farsi carico del peso della decisione, piuttosto che affidare alla macchina intelligente la scelta della soluzione? Soluzione che, senza empatia, senza soppesare le variabili umane, potrà decidere un processo o, peggio, il destino di una persona semplicemente rifacendosi allo stare decisis».

Il fine è la tutela da un futuro in cui il diritto potrebbe essere deciso da programmi come ChatGPT. I diritti, spiega Greco, «riguardano le persone, e, come tali vengono tutelati dagli avvocati, la cui professione ha come missione la tutela dei diritti e dei principi di democrazia e dai magistrati che non potranno e non dovranno essere sostituiti da un algoritmo nella decisione di un processo».

Il CNF avanza alcune proposte. «L’impiego dei sistemi di AI per la difesa dei diritti in ambito giudiziale e stragiudiziale dovrà essere trasparente ed equo e solo di supporto al lavoro degli avvocati, che però dovranno ricevere un’adeguata formazione sul loro funzionamento e utilizzo».

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Fondamentale anche la certificazione dei dati utilizzati «nei sistemi, sia sotto il profilo della loro autenticità sia della legittimità per l’uso. Dobbiamo poi definire i principi di responsabilità dell’utilizzatore per tutte le fasi del processo, sino all’affermazione della sua responsabilità per sistemi non certificati».

Conclude Greco: «L’avvocatura, come sempre ha fatto e continuerà a fare, vigilerà affinché la tutela dei diritti non sia compromessa da un sistema che per quanto efficiente o intelligente, non potrà sostituire la persona».


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Autovelox approvato ma non omologato

Autovelox approvato ma non omologato: annullata una multa

Giovedì 18 aprile 2023, con una sentenza della Corte di Cassazione è stata annullata una multa per eccesso di velocità che riguardava un avvocato di Treviso, Andrea Nalesso.

L’avvocato aveva ricevuto una multa poiché, mentre percorreva la tangenziale, aveva superato il limite di 7 km/h. Tuttavia, la Cassazione ha deciso di annullare la multa, in quanto l’Autovelox in questione era stato approvato, ma non era ancora stato omologato.

Da anni l’omologazione e l’approvazione degli autovelox è argomento di discussione nel mondo della giurisprudenza. I termini, infatti, suggeriscono due procedure diverse, nonostante il ministero dei Trasporti dichiari che si tratti della medesima procedura.

I termini “omologazione” e “approvazione” si trovano nell’art. 192 del Codice della Strada. Il Ministero dei Trasporti, nel 2020, aveva pubblicato una circolare nella quale spiegava che le due procedure sono equivalenti.

Al comma 1 dell’art. 192 leggiamo: «Ogni volta che nel codice e nel presente regolamento è prevista la omologazione o la approvazione…», e questo per il ministero corrisponde alla «perfetta equivalenza dei due termini».

Al comma 3 si parla dell’omologazione: «Quando trattasi di richiesta relativa ad elementi per i quali il presente regolamento non stabilisce le caratteristiche fondamentali o particolari prescrizioni, il ministero dei Lavori pubblici approva il prototipo seguendo, per quanto possibile, la procedura prevista dal comma 2».

Secondo il ministero, tale terminologia determina la «totale equivalenza delle procedure di approvazione e di omologazione», in quanto i due termini «vengono spesso utilizzati in correlazione tra loro, uniti dalla congiunzione coordinativa “od”», e non da “e”.

Per la giurisprudenza le cose non stanno così. Infatti, secondo una sentenza del Giudice di Pace di Milano del 2019:

«Vi è una distinzione chiara e netta tra l’omologazione e l’approvazione dei dispositivi elettronici, non tanto sulla procedura (poiché il comma 3 dell’art. 192 C.d.S. richiama il comma 2), quanto sulla finalità perseguita: nel caso dell’approvazione, il Legislatore ha richiesto vincoli meno stringenti per accertamenti che richiedono una minor precisione; nel caso dell’omologazione, vincoli più forti di rispondenza a determinate caratteristiche e prescrizioni, poste, evidentemente, nell’interesse della collettività, a presidio della garanzia del diritto di difesa. Pertanto, la sua mancanza si traduce in un vulnus alle garanzie dei cittadini che subiscono gli accertamenti».

Secondo Carlo Rapicavoli, direttore veneto dell’ANCI, gli autovelox non omologati approvati sarebbero «la stragrande maggioranza di quelli che si trovano tra le strade».

Per l’avvocato Emanuele Ficara «la legge parla di approvazione e omologazione come fossero la stessa cosa, ma secondo un filone giurisprudenziale maggioritario sono distinte».


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Sempre più imprese si affidano ad un avvocato-consulente

imprese avvocato-consulente

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Secondo il “Rapporto imprese e avvocati 2024”, promosso dall’OCF, la figura dell’avvocato è sempre più richiesta come consulente delle imprese.

La consulenza legale, per il 93,1% delle imprese, è un elemento fondamentale per ridurre potenziali contenziosi. Quasi il 76% delle imprese italiane si affida a servizi legali esterni, come conseguenza all’aumento della complessità normativa.

Il 61% delle imprese preferisce i liberi professionisti, il 31% è più orientato verso Studi Legali di medie dimensioni e soltanto il 2% si rivolge a quelli di grandi dimensioni.

Dichiara Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia: «Oltre il 90% delle imprese è soddisfatta della consulenza, perché riduce il contenzioso. La consulenza, dunque, è un fattore di prevenzione ed è gradita dalle imprese come importante fattore di riduzione del rischio».

«Il rapporto è ricco di spunti e suggestioni», dichiara la Senatrice Mariastella Gelmini. «Anzitutto, condivido senza riserve la visione di fondo circa il ruolo dell’avvocato: questa immagine, direi correttamente, viene ricalibrata e attualizzata nel nuovo contesto economico e produttivo, in cui l’avvocato non è più solo il professionista che cura le fasi “patologiche” e il contenzioso, ma è divenuto anche un co-protagonista e un consigliere nei fisiologici processi decisionali».

«L’avvocato, come ogni giurista, è portatore della “forza della ragionevolezza”, una risorsa inestimabile nelle scelte imprenditoriali, aziendali o della pubblica amministrazione».

Le imprese, secondo il rapporto, preferiscono gli avvocati esterni, dimostrando in tal modo di aver bisogno di ricorrere a soluzioni personalizzate e flessibili.

Gli avvocati, sempre secondo l’analisi, hanno la necessità di specializzarsi in diversi ambiti di tipo legale, per poter fornire un valore aggiunto alle aziende che hanno bisogno di avvalersi di particolari competenze.

Le imprese, inoltre, non valutano soltanto esperienza e competenza, ma anche l’abilità di instaurare relazioni professionali che si basano su empatia e fiducia.

Le aree in cui si concentrano le richieste per l’assistenza di tipo legale corrispondono al recupero crediti, i contratti commerciali, privacy, sicurezza sul lavoro e fisco. Sono dati che fotografano la complessità delle esigenze legali delle imprese, vista la sempre crescente rilevanza dei regolamenti e delle normative nei settori più importanti.


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Il Ministero della Giustizia, a seguito della decisione del Tar del Piemonte, dovrà corrispondere 10.000 euro ad un agente di polizia penitenziaria per danno morale.

L’agente si era infatti rivolto al Tar per richiedere «il risarcimento del danno non patrimoniale subito per la condotta dell’amministrazione consistita nell’averlo sottoposto, in relazione ad un procedimento disciplinare instaurato nei suoi confronti sulla base di dichiarazioni spontaneamente rese da due detenuti, a controlli psichiatrici volti all’accertamento della propria omosessualità».

Tali accertamenti sarebbero scattati a seguito di una segnalazione di avances a sfondo sessuale, successivamente risultata falsa, verso due detenuti. Nel corso del procedimento disciplinare, l’agente sostiene di essere stato «sottoposto a domande “ambigue” circa il proprio orientamento sessuale ed erano stati disposti accertamenti psichiatrici svolti dalla Commissione medica ospedaliera che aveva riscontrato elementi da cui desumere l’inidoneità del ricorrente pertanto il procedimento disciplinare veniva archiviato per mancanza di prova dei fatti contestati».

Secondo l’agente, «la condotta con cui l’amministrazione lo aveva “messo alla gogna” sottoponendolo a penetranti controlli psichiatrici aveva determinato uno stato di sofferenza».

I giudici hanno rilevato come «la condotta tenuta dall’amministrazione possa essere qualificata come illecita e foriera per il ricorrente di un danno non patrimoniale risarcibile. Può, infatti, ritenersi che la circostanza di essere stato sottoposto ad accertamenti psichiatrici finalizzati a valutare l’idoneità al servizio in ragione della presunta omosessualità sia idonea a cagionare una sofferenza morale in quanto veniva messa in dubbio l’idoneità del dipendente allo svolgimento delle proprie mansioni in ragione di quello che si presumeva fosse il suo orientamento sessuale veicolando l’idea per cui l’omosessualità (attribuita al ricorrente) potesse essere ritenuta un disturbo della personalità».


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A Londra, una coppia sposata ha deciso di rivolgersi ad uno Studio Legale per cominciare le pratiche per il divorzio, che solitamente richiedono mesi di tempo. In questo caso, tuttavia, ci sono voluti soltanto 21 minuti.

La coppia, dopo 21 anni di matrimonio, si è affidata ad un’avvocata divorzista londinese dello Studio Legale Vardags, poiché la moglie voleva divorziare, mentre il marito no.

I legali, tuttavia, hanno scambiato la loro causa legale con quella di un’altra coppia che aveva il loro stesso cognome. Dunque, hanno aperto un fascicolo elettronico per richiedere un’ordinanza di separazione definitiva.

Gli avvocati dello Studio Vardags, che rappresentavano la moglie, avrebbero utilizzato il portale senza aver ricevuto l’autorizzazione della cliente, e il sistema informatico avrebbe concesso l’autorizzazione per il divorzio della coppia in 21 minuti.

Dopo due giorni gli avvocati si sono resi conto dell’errore, e hanno prontamente richiesto all’Alta Corte di procedere con l’annullamento della pratica.

Tuttavia, il giudice non ha accolto la richiesta, visto che non è possibile procedere in assenza dell’ordine di divorzio definitivo. Prima di confermare la pratica, il sistema richiede più di una verifica dell’identità: dunque, la richiesta dei legali, per il giudice, non sembra essere credibile.

Dichiara il giudice McFarlane: «Come molti processi online simili, un operatore può arrivare alla schermata finale in cui viene effettuato l’ultimo clic del mouse solo dopo aver attraversato una serie di schermate precedenti».

Lo Studio Legale Vardags non è d’accordo: se non è presente la volontà della persona che richiede il divorzio e sono tutti d’accordo nel ritenere la situazione frutto di errore, questo dovrà essere corretto. Dichiara lo Studio Legale alla rivista People: «Lo Stato non dovrebbe costringere le persone a divorziare sulla base di un errore materiale».

«Ci deve essere intenzione da parte della persona che divorzia, perché il principio dell’intenzione è alla base della giustizia del nostro sistema giuridico. Quando un errore viene portato all’attenzione di un tribunale e tutti accettano che sia stato commesso un errore, ovviamente deve essere annullato. Ciò significa che, per ora, la nostra legge dice che puoi divorziare da un errore commesso su un sistema online. E questo semplicemente non è giusto, non è sensato, non è giustizia».

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Dall’inizio dell’anno sono già avvenuti 29 suicidi nelle carceri italiane. È un numero terribile, che ricorda il 2022, quando ci sono stati 84 suicidi, ovvero uno ogni 4 giorni.

Qualche giorno fa il Guardasigilli Nordio ha deciso di firmare un decreto per lo stanziamento di 5 milioni di euro per prevenire il fenomeno del suicidio in carcere e diminuire il disagio psicologico provato dai detenuti.

L’ultimo suicidio in carcere è avvenuto il 2 aprile, a Cagliari: un 32enne si è impiccato nella sua cella.

Tuttavia, l’allarme non coinvolge soltanto i detenuti, ma anche la polizia penitenziaria. 3 agenti, infatti, si sarebbero uccisi nel corso dei primi mesi dell’anno.

Dichiara Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone: «Il ritmo delle morti in questi primi mesi dell’anno è impressionante. Sicuramente l’intervento del governo va nella direzione di maggiore disponibilità di risorse umane, in questo caso di psicologi e questo va bene. Così come va bene l’aumento della paga per gli stessi psicologi che operano nelle carceri».

«Però», prosegue, «non è minimamente sufficiente poiché occorre investire sulla qualità della vita. La metà dei suicidi avvengono nei primi sei mesi di detenzione, ciò significa che bisogna intervenire in quel momento, non solo con gli psicologi e il sostegno del personale, ma evitando che in quel periodo finiscano nelle peggiori celle del carcere».

«Aumentare le telefonate con i familiari e più in generale riempire di vita il carcere perché la maggior parte delle ore i detenuti le trascorrono in cella e questo è devastante dal punto di vista psico-fisico. Occorre modernizzare e rendere la vita in carcere meno medievale», conclude Gonnella.

Dichiara all’AGI Donato Capece, segretario del Sappe: «Speriamo quest’anno di non dover superare i numeri del 2022, il suicidio di un detenuto è sempre una sconfitta per lo Stato. Le cause sono da ricondurre sempre al sovraffollamento e alla carenza del personale».

«I suicidi purtroppo, nonostante tutto il nostro sforzo, non si riesce a impedirli. A Teramo a marzo, ad esempio, un giovane detenuto di vent’anni ha dialogato con un agente fino alle 4 della mattina e sembrava che non ci fossero problemi, poi alle 5.30 è stato trovato impiccato».


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Secondo una nuova normativa dell’UE, dal 2027 verrà introdotta la legge sullo stipendio trasparente. In sostanza, se prima le aziende non avevano alcun obbligo a comunicare pubblicamente le proprie politiche salariali, grazie alle nuove normative Ue dovranno sia comunicare le differenze retributive presenti tra uomini e donne sia intraprendere azioni concrete per risolverle.

Spiega Patrizia Biscaro di Alight Solutions: «Le differenze potranno essere basate sui ruoli, sull’esperienza e sulle categorie di lavoro, ma non sul genere e su altri criteri ingiustificati e ingiustificabili».

Dunque, dal 2027 le società dovranno rendere pubbliche le informazioni relative allo stipendio con un report che riguarda il 2026. Nel report non ci dovranno essere differenze retributive che superano il 5%: in caso contrario, le aziende saranno soggette ad analisi maggiormente approfondite e avranno l’obbligo di porre fine alle disparità.

Se ciò non verrà eseguito, dichiara Biscaro, si rischiano sanzioni finanziarie il cui importo «non è ancora stato definito. […] È certo che la reputazione di un’azienda risulterà danneggiata».

«Sebbene molte aziende credano di essere trasparenti ed esenti da gap salariali, attraverso la semplice rendicontazione di ruoli e stipendi potrebbero scoprire di non essere in linea con gli standard: pertanto, è opportuno che inizino ad approfondire le conoscenze di questi aspetti attraverso l’analisi e la rendicontazione», conclude Biscaro.


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Poste Italiane: tirocinio per praticanti avvocati

Poste Italiane ha deciso di aprire le porte anche ai praticanti avvocati, offrendo loro l’opportunità di svolgere un tirocinio professionale in varie città italiane.

Con la collaborazione dei Consigli degli Ordini degli Avvocati, l’iniziativa punta all’attivazione dei tirocini per i praticanti a Roma, Cagliari, Napoli, Venezia, Catanzaro e Bologna, presso la Funzione di Affari Legali di Poste Italiane, al fine di raggiungere l’abilitazione alla professione.

Per accedere alla selezione, i candidati dovranno avere i seguenti requisiti:

  • cittadinanza italiana o di uno Stato membro dell’Unione Europea o di uno Stato non appartenente all’Unione Europea in possesso dei requisiti previsti dall’art. 17 comma 2 della Legge n. 247 del 2012;
  • laurea magistrale in giurisprudenza con la massima votazione conseguita da non più di 24 mesi;
  • iscrizione al registro dei praticanti presso il Consiglio dell’Ordine di Roma, Napoli, Bologna, Cagliari, Catanzaro o Venezia da non più di 2 mesi.

Il rimborso spese previsto equivale a 600 euro lordi, e il tirocinio avrà durata compresa tra 6 e 12 mesi.

La domanda potrà essere inviata fino al 30 aprile 2024.

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Per ulteriori informazioni consigliamo di visitare il sito di Poste Italiane.


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Il Consiglio Nazionale del Notariato, assieme alle associazioni dei consumatori, ha presentato una nuova guida alla Camera, Volontaria giurisdizione. Il notaio e le fragilità sociali: una nuova disciplina per i minori e i soggetti incapaci.

La guida, che può essere scaricata dal sito www.notariato.it, descrive la nuova procedura che è stata introdotta grazie al dlgs 149/2022, che, con il fine di alleggerire il carico di lavoro dei Tribunali, prevede la possibilità di affidarsi ad un notaio per compiere alcuni atti di amministrazione da parte di minori o soggetti fragili, per i quali è necessario che intervenga il giudice.

In Italia aumentano i soggetti fragili. Secondo il ministero della Giustizia, le amministrazioni di sostegno in questo momento sono 350.000, circa 140.000 persone hanno subito l’interdizione e le persone con disabilità sono quasi 13 milioni.

Il notaio, grazie a questa riforma, potrà rilasciare le autorizzazioni per stipulare gli atti pubblici e le scritture autenticate in cui interviene un minore, un inabilitato, un interdetto o un soggetto beneficiario di amministrazione di sostegno. Potranno, inoltre, essere rilasciate le autorizzazioni circa gli atti con oggetto beni ereditari.

Dichiara il Consiglio durante la presentazione: «Il vademecum, nato dalla sinergia tra Notariato e associazioni dei consumatori, spiega passo per passo come funziona la nuova procedura e fornisce un primo aiuto concreto con l’obiettivo di supportare il sistema Giustizia. La fragilità non è più solo un problema giudiziario, ma è diventato un vero e proprio tema sociale. Occorre fare un lavoro di rete, valorizzare le attività di volontariato, il terzo settore e tutti gli enti intermedi, per rendere effettivo l’esercizio dei diritti da parte dei soggetti più fragili».


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Vi arriva una telefonata da parte di un parente, che dice di essere stato coinvolto in un bruttissimo incidente stradale, e che ha bisogno che voi gli inviate dei soldi.

Il numero di telefono e la voce sembrano quelli del vostro parente; tuttavia, percepite che c’è qualcosa di strano. Se riagganciate e richiamate il numero, la persona dall’altra parte del telefono vi dirà di non avere la minima idea di che cosa state parlando.

Ebbene, era una chiamata truffa, realizzata per mano dell’intelligenza artificiale. Infatti, con i passi in avanti da parte degli strumenti di IA generativa, creare degli audio tanto fake quanto convincenti diventa sempre più semplice e abbordabile economicamente.

I malintenzionati sfruttano le innovazioni per trarre in inganno le vittime, al fine di convincerle di parlare con una persona a loro cara. Ma che cosa possiamo fare per correre ai ripari da queste truffe?

Secondo gli esperti di sicurezza, far sì che una telefonata sembri provenire da un numero di telefono reale non è un’operazione così complicata. Spiega Michael Jabbara di Visa: «Molte volte i truffatori falsificano il numero da cui vi chiamano. Dovete essere proattivi».

Infatti, che sia la banca o un parente, se ricevete una telefonata nella quale vi vengono richiesti soldi oppure informazioni personali, chiedete se potete richiamare l’interlocutore. Cercate online o tra i vostri contatti il numero, e richiamate. In alternativa, inviate una mail o avviate una videochat con il presunto interlocutore.

Secondo Steve Grobman di McAfee, una buona strategia è quella di trovare una parola di sicurezza da condividere soltanto con i parenti più stretti, che potete richiedere durante la telefonata: «Potete accordarvi su una parola o una frase che i vostri cari possono usare per dimostrare chi sono veramente».

In assenza di una parola di sicurezza, potete anche optare per una domanda personale: «Va bene anche una cosa semplice, come una domanda a cui solo il vostro caro saprebbe rispondere. Per esempio: ‘Ehi, voglio essere sicuro che sei davvero tu. Puoi ricordarmi cosa abbiamo mangiato a cena ieri sera?’ Assicuratevi che la domanda sia abbastanza specifica per fare in modo che un eventuale truffatore non possa indovinare la risposta».

I cloni audio fatti con l’intelligenza artificiale non colpiscono solo le persone famose. Per Rahul Sood di Pindrop «un errore comune è pensare che non possa succedere a te, che nessuno possa clonare la tua voce. Quello che la gente non capisce è che bastano solo 5-10 secondi della vostra voce presi da una clip di TikTok o da un video su YouTube per creare facilmente il vostro clone».

In ogni caso, i truffatori sono abili nel guadagnarsi la vostra fiducia, insistendo sui vostri punti deboli. Per evitare di cadere nella trappola, dice Jabbara, «diffidate di qualsiasi situazione che susciti in voi emozioni forti, perché i migliori truffatori non sono necessariamente gli hacker più abili tecnicamente».


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