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Pmi: la digitalizzazione ora è realtà. Manca il salto di qualità

Nel corso degli ultimi tre anni, il mondo delle imprese ha attraversato delle situazioni che hanno stimolato l’adozione di nuovi modelli di business e organizzativi. La pandemia ha fatto sorgere i primi segnali della crisi nel mondo del mercato degli approvvigionamenti, e le tensioni geo-politiche hanno innescato una crisi energetica importante.

È in questo contesto che le Pmi nazionali hanno reagito con flessibilità sufficiente, trovando delle valide alternative alle fonti energetiche utilizzate. Commenta il direttore dell’Osservatorio innovazione digitali delle Pmi del Politecnico di Milano, Claudio Rorato: «Tutto questo ha però provocato un rallentamento degli investimenti in digitalizzazione».

«La trasformazione digitale ha tuttavia anche delle ombre: a fronte del 42% di Pmi che crede e realizza investimenti di natura digitale, più di tre piccole e medie imprese su dieci non riconoscono il valore del digitale all’interno del loro settore di appartenenza. La crescita della cultura digitale, vale a dire capacità di elaborare nuove visioni, investire nelle competenze del personale, usare le tecnologie per agire sui modelli organizzativi, di business e relazionali, è ancora una debolezza diffusa».

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Il Pnrr ha messo a disposizione 13 miliardi sulla transizione 4.0, con l’obiettivo di promuovere la trasformazione digitale delle imprese andando ad incentivare, con il riconoscimento di crediti d’imposta, investimenti in beni e in attività per la digitalizzazione dei processi.

Inoltre, il Pnrr mette a disposizione servizi dedicati alle imprese attraverso bandi diretti: troviamo, per esempio, 750 milioni per i contratti di sviluppo che vanno a finanziare progetti di investimento per quanto riguarda le filiere produttive e 400 milioni di euro per la creazione di imprese femminili.

Precisa Roberto Trainito di Intellera Consulting: «Tutti questi bandi sono già partiti: hanno lanciato un primo bando e spesso ne seguiranno altri, visto che il processo di spesa dei fondi Pnrr deve durare fino al 2026». La risposta ai bandi di solito è adeguata: «Nel piano Transizione 4.0 c’era per esempio una misura specifica sulla formazione digitale per i dipendenti con 300 milioni di euro stanziati che sono stati spesi interamente».

Non manca, comunque, il rovescio della medaglia. «Come sistema paese, stiamo commettendo un errore quando affidiamo la digitalizzazione delle pmi esclusivamente ai loro imprenditori, poiché non possono affrontare da soli la sfida», dichiara Rorato.

«Il loro vero problema risiede nella gestione quotidiana dell’attività imprenditoriale. Gli imprenditori soffrono di solitudine poiché non hanno ammortizzatori interni per affrontare le difficoltà. Cosa succederà in futuro?».

Tutto dipende «dalla capacità dell’ecosistema di sostenere gli imprenditori. Alcuni segnalano che non sono riusciti ad attivare la fabbrica 4.0 a causa della latenza che impediva alle macchine di comunicare tra loro. Qui, per esempio, entra in gioco la connettività e l’infrastruttura, non è responsabilità degli imprenditori».

Un altro aspetto cruciale è la formazione, che deve partire dall’ecosistema. Conclude Rorato: «I finanziamenti sono disponibili, ma spesso gli imprenditori si trovano con una macchina parcheggiata nel box di casa senza nessuno che sappia guidarla. Non si tratta solo di avere molti soldi, ma di comprendere come utilizzarli. Questa comprensione non dovrebbe provenire solo dagli imprenditori stessi, ma anche dall’ecosistema che deve comprendere le problematiche specifiche e sostenere il sistema imprenditoriale».


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Digital companion: arrivano i partner basati sull’Intelligenza Artificiale

Per alcuni, la prossima ondata tech riguarderà la costruzione dei digital companion, ovvero qualcuno con cui parlare e con cui avere una relazione digitale. Per l’imprenditore digitale Shaan Puri «il prossimo Zuckerberg è lì fuori e sta progettando una fidanzata o un fidanzato basato sull’intelligenza artificiale».

Di recente si è parlato di GirlfriendGPT, ovvero un progetto interamente basato sull’ia e attraverso il quale uno sviluppatore ha deciso di ricreare una versione digitale della sua fidanzata con cui intrattiene conversazioni su Telegram 24/24.

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Lo sviluppatore di cui stiamo parlando si chiama Enias Cailliau, e durante un’intervista ha spiegato che per poter realizzare il bot avrebbe prima creato un modello personalizzato di linguaggio, capace di ricreare la personalità della sua fidanzata, Sacha.

Per riuscire a portare a termine l’operazione ha utilizzato anche Bard di Google, al fine di riprodurre la personalità della fidanzata in maniera più efficace. Inoltre, ha utilizzato anche una piattaforma di sintesi vocale basata sull’intelligenza artificiale, ElevenLabs, per riuscire ad imitare la voce di Sacha.

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È stato aggiunto nel codice anche uno strumento che consente di generare dei selfie attraverso Stable Diffusion, per offrire la possibilità al bot di inviare foto non così realistiche. Alla fine, tutto è stato collegato a Telegram attraverso l’app Steamship.

Il risultato, attualmente, è accettabile, soprattutto per quel che concerne gli aspetti multimediali. Infatti, la voce e le foto generate non sono poi così realistiche: Cailliau ha comunque deciso di condividere online il codice, per offrire a tutti la possibilità di sperimentare la creazione di diverse personalità.

Non si tratta, comunque, della prima esperienza del genere. Il caso più noto riguarda Replika, e ultimamente se ne è riparlato dato che una donna ha dichiarato di essersi innamorata di un tale, Eren, e di volerlo sposare.

Eren non esiste, visto che è un avatar che è stato creato su Replika. Spiega la donna: «Eren non ha i problemi che hanno le persone, che generalmente si portano con sé un bagaglio personale, un carattere, un ego. Non devo avere a che fare con la sua famiglia, con i suoi figli o i suoi amici. Sono in controllo e posso fare quello che voglio».

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Da questi presupposti parte anche il lavoro dell’azienda statunitense Forever Voices, della quale si è molto parlato nel corso delle scorse settimane, visto che è stata la prima a ricreare una particolare versione di un’influencer, Caryn Marjorie, basata sull’intelligenza artificiale.

Racconta John Mayer, CEO dell’azienda: «L’idea è iniziata per la mia volontà di parlare di nuovo con mio padre, deceduto qualche anno fa. Una volta sviluppata la tecnologia, abbiamo pensato potesse essere interessante applicarla al mondo degli influencer, per offrire ai follower la possibilità di una forma di interazione più diretta. Siamo in grado di replicare in modo molto credibile la voce e la personalità e abbiamo un sistema in grado di identificare eventuali comportamenti pericolosi degli utenti».

Hackerare le emozioni umane

L’intelligenza artificiale di Caryn Marjorie è stata sin da subito un gran successo, ma con alcuni problemi di sicurezza.

Sono tanti gli utenti e i giornalisti che hanno segnalato la tendenza del bot a portare la conversazione su temi di natura sessuale: la ragione è l’utilizzo del bot da parte degli iscritti, che riceve tantissime richieste in quella direzione.

Anche i bot più efficaci simulano reazioni, emozioni e sentimenti: il rischio che si corre è l’umanizzazione, ovvero dimenticare che stiamo interagendo con un robot, non con una persona. Alcuni servizi, come Character.AI indicano espressamente questa cosa: Ricorda, tutto quello che dice il personaggio è falso.

Ma per alcuni, tali avvisi potrebbero essere inefficaci. «Il linguaggio è una componente fondamentale di ciò che ci rende umani. E quando l’intelligenza artificiale lo usa in modo credibile è come se hackerasse le nostre emozioni», dichiara Maarten Sap del Carnegie Mellon’s Language Technologies Institute.

Per Marco Dehnen della Arizona State University l’intelligenza artificiale potrebbe rappresentare un passo verso un’epidemia di solitudine. «Ci sono molte questioni da discutere quando si parla di partner artificiali, prima fra tutte il fatto che sono gestiti da aziende private».

«Tuttavia, ad oggi non conosciamo abbastanza sugli effetti per raggiungere delle conclusioni. Sappiamo, ad esempio, che possono dare sollievo a chi vive una condizione di solitudine. E’ importante che ci sia una legislazione per proteggere gli utenti, ma senza pregiudiziali».


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Le critiche a Nordio sul disegno di legge sulla Giustizia

Addio all’Abuso d’Ufficio

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Le critiche a Nordio sul disegno di legge sulla Giustizia

Il Governo ha approvato un disegno di legge pensato da Carlo Nordio, che deve ancora arrivare in Parlamento, ma che ha già attirato tantissime critiche da parte dei politici dei partiti dell’opposizione e da parte dei magistrati.

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Il Guardasigilli ha risposto alle critiche mostrando una dose di insofferenza. Infatti, dopo il Cdm con il quale si era provveduto all’approvazione del disegno di legge, Nordio ha dichiarato che «il magistrato non può criticare le leggi, come il politico le sentenze (…) Non sono ammesse interferenze».

Dopo tali dichiarazioni erano arrivate altre polemiche, sulle quali Nordio è ritornato durante un intervento a Taormina: «Se un magistrato, singolarmente, ritiene dal suo punto di vista che la legge sia sbagliata dal punto di vista tecnico, nessuno ha il diritto di togliergli la parola o dirgli che interferisce».

Nordio ha poi parlato delle critiche del presidente dell’ANM, Giuseppe Santalucia, che durante un’intervista rilasciata a Repubblica era stato molto preciso per quanto riguarda le critiche al disegno di legge: «In questo caso non era un magistrato qualunque, era un rappresentante di un sindacato dei magistrati che aveva, prima ancora che fosse noto ufficialmente il testo del disegno di legge, pronunciato tutta una serie di critiche severissime, “inconcepibile, contrario alla costituzione”, qualcuno ha detto addirittura non so se “un regalo alla mafia” o comunque ecco, tutte queste cose secondo me in corretto italiano significano interferenze».

Durante un’intervista a Repubblica, Santalucia aveva dichiarato che «i dubbi di costituzionalità sono fortissimi». Non è ben chiaro se fosse riferito a Nordio nel passaggio in cui parlava di «regalo alla mafia».

Santalucia si è riferito all’impossibilità per i pubblici ministero di ricorrere in appello, anche se in quel momento non era stato approvato il disegno di legge. Nell’intervista ne parlava come se il divieto fosse sempre valido, ma in realtà vedrà la sua applicazione soltanto per i reati meno gravi.

Sabato sera Santalucia ha risposto a Nordio: «I magistrati e l’ANM hanno non solo il diritto ma anche il dovere di prendere parola, per arricchire il dibattito sui temi della giustizia».

I punti fondamentali del disegno di legge sulla giustizia riguardano l’abolizione del reato di abuso d’ufficio e alcune modifiche al sistema delle intercettazioni. Sul secondo punto, la maggior parte delle critiche derivano dalla stampa, visto che il disegno di legge consentirebbe la pubblicazione delle intercettazioni soltanto se vengono citate negli atti dei giudici oppure quando vengono utilizzate durante un dibattimento.

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Per alcuni, tutto questo andrebbe a limitare la libertà di stampa. Nordio è intervenuto anche su questo aspetto, dichiarando che le intercettazioni costano molto allo Stato e vengono effettuate per «inchieste che raggiungono risultati minimi, tra l’altro rovinando la vita delle persone».

Aggiunge: «Vorrei ricordare che la legge impedisce la pubblicazione degli atti giudiziari. Vengono pubblicati lo stesso e nessuno dice nulla. Ma la legge c’è già».


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nordio abuso d'ufficio

Addio all’Abuso d’Ufficio

La riforma della Giustizia del Guardasigilli Carlo Nordio, dopo sette mesi, ha preso forma. 

Dichiara Francesco Paolo Sisto, viceministro di Forza Italia: «E’ un passo importante verso un processo davvero giusto». La norma più discussa è quella sull’abuso d’ufficio, norma che viene cancellata con un tratto di penna, poiché c’è eccessivo squilibrio tra condanne ed iscrizioni nel registro degli indagati.

«Cambieremo anche la Costituzione», assicura Nordio durante la conferenza stampa. «Siamo intervenuti sull’informazione di garanzia, che è diventata una garanzia di informazione, nel senso che il giorno dopo finisce sui giornali. Ma non si tratta di un bavaglio alla stampa».

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Continua: «Spero che questa approvazione ora passi all’esame del Parlamento nel più breve tempo possibile e auspico che l’opposizione faccia sì il suo lavoro ma in termini razionali, non emotivi».

«Il Parlamento deve essere disposto ad ascoltare. L’auspicio è che si argomenti con delle ragioni non del cuore né tanto meno della pancia ma del cervello. Confrontiamoci non in vuote formule di estrazione metafisica che non nascondono ma solo povertà di idee».

Sostanzialmente, le modifiche previste saranno le seguenti:

  • Abrogazione del reato di abuso d’ufficio e modifiche al reato di traffico d’influenze illecite: «Si abroga la fattispecie dell’abuso d’ufficio (articolo 323 del codice penale) e si introduce un’ampia riformulazione del reato di traffico di influenze illecite (articolo 346-bis), che rispetto alla norma precedente, prevede, tra l’altro, che: le relazioni del mediatore con il pubblico ufficiale devono essere sfruttate (non solo vantate) e devono essere esistenti (non solo asserite); le relazioni devono essere sfruttate “intenzionalmente”; l’utilità data o promessa al mediatore deve essere economica; il denaro o altra utilità deve essere dato/promesso per remunerare il soggetto pubblico o per far realizzare al mediatore una mediazione illecita (della quale viene data una definizione normativa); il trattamento sanzionatorio del minimo edittale sale da 1 anno a 1 anno e 6 mesi. Si rendono applicabili anche per il traffico d’influenze illecite le attenuanti per la particolare tenuità o per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili o per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite. Si estende al traffico d’influenze illecite la causa di non punibilità per la cosiddetta collaborazione processuale».
  • Modifiche al codice di procedura penale sulle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni: «Si amplia il divieto di pubblicazione del contenuto delle intercettazioni, che viene consentita solo se il contenuto è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o è utilizzato nel corso del dibattimento. Si stabilisce il divieto di rilascio di copia delle intercettazioni delle quali è vietata la pubblicazione, quando la richiesta è presentata da un soggetto diverso dalle parti e dai loro difensori, salvo che tale richiesta sia motivata dalla esigenza di utilizzare i risultati delle intercettazioni in altro procedimento specificamente indicato. Si afferma il divieto per la polizia giudiziaria di riportare nei verbali di intercettazione i ‘dati relativi a soggetti diversi dalle parti, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini. Si vieta al giudice di acquisire (nel cosiddetto stralcio) le registrazioni e i verbali di intercettazione che riguardino soggetti diversi dalle parti, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza. Si stabilisce il divieto per il pubblico ministero d’indicare nella richiesta di misura cautelare, con riguardo alle conversazioni intercettate, i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione. In modo corrispondente, si vieta al giudice di indicare tali dati nell’ordinanza di misura cautelare».

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  • Interrogatorio preventivo per l’eventuale applicazione della misura cautelare: «Si generalizza l’istituto dell’interrogatorio preventivo rispetto alla eventuale applicazione della misura cautelare e si estende il principio del contradditorio preventivo in tutti i casi in cui, nel corso delle indagini preliminari, non risulti necessario che il provvedimento cautelare sia adottato ‘a sorpresa’. L’interrogatorio preventivo è quindi escluso se sussistono le esigenze cautelari del pericolo di fuga e dell’inquinamento probatorio. È, invece, necessario se è ipotizzato il pericolo di reiterazione del reato, a meno che non si proceda per reati di rilevante gravità (delitti commessi con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale). Si prevede l’obbligo del giudice di valutare, nell’ordinanza applicativa della misura cautelare e a pena di nullità della stessa, quanto dichiarato dall’indagato in sede di interrogatorio preventivo. Si prevede, altresì, la nullità dell’ordinanza se non è stato espletato l’interrogatorio preventivo o se quest’ultimo è nullo. L’interrogatorio di garanzia (oggi previsto dopo l’applicazione della misura cautelare) non sarà richiesto se è stato svolto quello preventivo. Una volta applicata la misura cautelare, in caso di impugnazione, il verbale dell’interrogatorio preventivo sarà inviato al Tribunale del riesame».
  • Collegialità del giudice della misura cautelare della custodia in carcere: «Si prevede il giudice collegiale per l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere o di una misura di sicurezza provvisoria quando essa è detentiva. Per consentire l’adeguato rafforzamento dell’organico, si prevede che tali norme si applichino decorsi due anni dall’entrata in vigore della legge e l’aumento del ruolo organico del personale di magistratura ordinaria di 250 unità, da destinare alle funzioni giudicanti di primo grado, con autorizzazione a bandire nel 2024 un concorso da espletare nel 2025».
  • Informazione di garanzia: «Sono inserite alcune innovazioni relative all’informazione di garanzia: si specifica testualmente che essa debba essere trasmessa a tutela del diritto di difesa dell’indagato; si specifica che in essa debba essere contenuta una “descrizione sommaria del fatto”, oggi non prevista (è richiesta solo l’indicazione della norma violata). Si limita la notifica dell’atto tramite la polizia giudiziaria ai soli casi di urgenza. È espressamente sancito il divieto di pubblicazione dell’informazione di garanzia, finché non siano concluse le indagini preliminari».
  • Inappellabilità da parte del p.m. delle sentenze di proscioglimento: «Si modifica la disciplina dei casi di appello del pubblico ministero, che attualmente consente d’impugnare le sentenze di proscioglimento, stabilendo che l’organo di accusa non può appellare le sentenze di proscioglimento per i reati oggetto di citazione diretta indicati all’art. 550 del Codice di procedura penale (contravvenzioni, delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla pena detentiva e altri reati specificamente indicati). Restano appellabili le decisioni di proscioglimento per i reati più gravi e le sentenze di condanna per i reati a citazione diretta nei casi in cui l’ordinamento vigente consente l’appello delle sentenze di condanna da parte del p.m. (per esempio: mancato riconoscimento di circostanze ad effetto speciale; riqualificazione del reato)».
  • Corte d’assise: «Si introduce l’interpretazione autentica di una disposizione relativa al limite di età per i giudici popolari della corte d’assise. Si prevede che il limite massimo di 65 anni di età, già vigente, debba essere considerato con riferimento al momento nel quale il giudice popolare viene chiamato a prestare servizio nel collegio».

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Scoperta una massiccia campagna di phishing: 6.000 siti fake di brand noti

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Scoperta una massiccia campagna di phishing: 6.000 siti fake di brand noti

Il phishing è una tecnica che prevede l’invio di link che conducono la vittima su siti simili a quelli reali.

Alcuni ricercatori hanno scoperto una massiccia campagna di phishing, effettuata su più di 6.000 siti fake di oltre 100 marchi noti nel settore dell’abbigliamento, degli accessori e delle calzature.

Lo scopo dei cybercriminali, ovviamente, è rubare i dati finanziari e quelli personali delle vittime.

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La tecnica è conosciuta come brand impersonation. Si tratta di una campagna iniziata più o meno un anno fa, che ha visto il picco tra i mesi di novembre 2022 e febbraio 2023. I cybercriminali avrebbero registrato migliaia di domini, con dei nomi che sembravano assolutamente legittimi, ma con domini fasulli.

Inizialmente erano più di 6.000, mentre ora risultano ancora attivi 3.000 di questi domini fake.

Tra i brand che sono stati “imitati”, anche nel design, troviamo:

  • Superga
  • Arc’teryx
  • Vivobarefoot Shoes
  • Wolverine Shoes
  • Hoka Shoes
  • Tommy Hilfigher
  • NVGTN
  • Palladium Shoes
  • Mephisto
  • Etnies
  • Keen Footwear
  • Lowa Boots
  • Kate Spade
  • Rieker
  • Salomon
  • The North Face
  • FitFlop
  • NoBull Shoes
  • Fossil
  • Guess
  • Demonia
  • Veja Shoes
  • Gola Sneakers
  • UGG
  • Young LA
  • Vibram
  • Sketchers
  • Columbia Sportswear
  • Danner Boots
  • Saunk
  • New Balance
  • Russell and Bromley
  • O’NEILL Sportswear
  • C&A Clothes
  • Timberland Shoes
  • Caterpillar
  • Rocky Boots
  • Toms Shoes
  • Reebok
  • Desigual
  • Mizuno
  • aigle
  • Native Shoes
  • Casio
  • Asics
  • lora Jewel
  • Nine West
  • Puma
  • AYBL
  • Groundies Shoes
  • Converse
  • La Sportiva
  • Tretorn
  • Salewa
  • On running
  • Kenneth Cole Shoes
  • Be Lenka
  • Nike
  • Vans
  • Muck Boots
  • Bo+Tee
  • Teva Slippers
  • PANDORA Jewelwers
  • Irish Setter Boots
  • fjallraven
  • SuperDry
  • Doc Martens
  • Miu Miu
  • Ariat
  • AllBirds
  • Kappa
  • Melissa
  • Inov-8
  • New Era Cap
  • Fila
  • Etsy
  • Alphalete

Alcuni di questi domini sono stati registrati più di due anni fa, attuando la tecnica del domain aging, che facilita le attività di phishing, visto che il sito resta online per tantissimo tempo, e non viene in alcun modo considerato sospetto.

I siti risultano indicizzati da Google e da altri motori di ricerca. Con le tecniche SEO, i criminali sono in grado di posizionarsi tra i primi risultati delle ricerche, e questo inganna tantissimo gli utenti, soprattutto quelli meno esperti.

Se una vittima, ignara, effettua un ordine, molto probabilmente non lo vedrà mai, ma nel frattempo i cybercriminali avranno raccolto sia i dati personali che quelli di pagamento, che successivamente rivendono nel dark web.

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Se vogliamo evitare di cadere in trappola, meglio prestare attenzione all’indirizzo web e confrontarlo con quello che pubblicano i brand nei loro canali social.


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Le intelligenze artificiali hanno le allucinazioni?

Nel corso degli ultimi anni, l’intelligenza artificiale ha fatto dei progressi pazzeschi, aprendosi a nuove possibilità in diversi settori. Con il crescente sviluppo delle Ai generative e complesse, tuttavia, sorge una questione importante: le macchine possono avere allucinazioni? Ebbene, sì.

Le allucinazioni che sperimentano gli esseri umani sono un’esperienza sensoriale che una persona avverte come se fosse reale, anche se sprovvista di base oggettiva nel mondo esterno.

Di solito sono collegate a disfunzioni cognitive che vengono causate da alcune condizioni mediche, come l’utilizzo di sostante psicotrope o dalla schizofrenia. Nel caso delle intelligenze artificiali non ci sono cervelli biologici, ma soltanto algoritmi e modelli di apprendimento.

L’intelligenza artificiale distorce, inventa, crea

Dunque, perché parliamo di allucinazioni? Si tratta di una forma di fantasia estrema che genera l’algoritmo nel momento in cui non riesce a trovare risposte. In parole povere, un’intelligenza artificiale, al posto di non rispondere, distorce, inventa, crea realtà di vario tipo.

Le allucinazioni, da parte delle Ai, si verificano per vari motivi, di solito legati a come le macchine interpretano ed elaborano i dati. Vediamo alcuni fattori che contribuiscono allo sviluppo di allucinazioni.

Rumore nei dati di addestramento:

Se i dati utilizzati per riuscire ad addestrare un’intelligenza artificiale sono troppo rumorosi, oppure contengono delle informazioni etichettate in modo errato, allora l’algoritmo potrebbe generare delle rappresentazioni distorte della realtà.

Tutto questo potrebbe portare anche alle allucinazioni da parte dell’intelligenza artificiale nel momento in cui viene esposta a situazioni del genere, ma che non corrispondono alla realtà iniziale.

Errata elaborazione delle informazioni:

Le intelligenze artificiali utilizzano algoritmi di apprendimento automatico, quali le reti neurali artificiali, che potrebbero elaborare le informazioni in maniera poco precisa oppure errata. Nel processo di addestramento, l’intelligenza artificiale apprende modelli e tendenze che derivano da imput.

Ma se tali informazioni risultano ambigue, incomplete o non rappresentative, allora l’Ai potrebbe generare dei risultati fantasiosi o errati, inventando ogni cosa.

Mancanza del contesto:

Le intelligenze artificiali analizzano grandi quantità di dati, ma potrebbero incontrare difficoltà nel comprendere il contesto in cui vengono presentate le informazioni. Tutto questo potrebbe condurre ad interpretazioni fantasiose o errate dei dati, generando allucinazioni.

Modello di apprendimento complesso:

Le intelligenze artificiali generative, come quelle che si basano sulle reti neurali profonde, potrebbero essere soggette ad alcuni fenomeni, i cosiddetti overfitting e overgeneralization.

L’overfitting avviene quando l’intelligenza artificiale si adatta eccessivamente ai dati di addestramento specifici, rendendola meno capace di generalizzare accuratamente sulle nuove situazioni.

Al contrario, invece, l’overgeneralization avviene nel momento in cui l’intelligenza artificiale generalizza eccessivamente, andando a creare delle connessioni bizzarre o errate tra i dati degli input.

Come evitare il rischio di allucinazioni nelle Ai

Per riuscire a mitigare il rischio di allucinazioni nelle intelligenze artificiali, sarà necessario adottare degli approcci di addestramento e di verifica parecchio rigorosi, utilizzando dati di alta qualità e di sviluppo dei meccanismi di controllo adeguati per il rilevamento e per la correzione delle rappresentazioni inverosimili o distorte.

Bisogna approcciarsi alla macchina anche con maggior consapevolezza critica, sapendo che potrebbe sbagliare o addirittura ingannare.

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Le allucinazioni nelle intelligenze artificiali sollevano delle importantissime questioni di sicurezza e questioni etiche. Se un’intelligenza artificiale responsabile di prendere delle decisioni critiche, come nel caso dei sistemi di guida autonoma, sperimentasse per qualsiasi motivo delle allucinazioni, ci potrebbero essere delle gravi conseguenze per la sicurezza degli esseri umani.

Dunque, risulta veramente importante sviluppare dei meccanismi di monitoraggio e di controllo adeguati, al fine di mitigare, rilevare e frenare le fantasie che si verificano nelle intelligenze artificiali. Se un chatbot o un’assistente virtuale comincia a fornire risposte incoerenti, l’utente potrebbe perdere fiducia nei confronti dell’affidabilità e nella capacità dell’Ia.

Approvato l’Ai Act

Nel frattempo, il Parlamento Europeo ha approvato un’attesissima legge per la regolamentazione dei software di intelligenza artificiale a livello comunitario.

L’Artificial Intelligence Act è una proposta di legge che mira all’introduzione di un quadro normativo comune per tutti i software di intelligenza artificiale nell’Ue. Si tratta di una delle prime leggi del genere sulle intelligenze artificiali a livello internazionale.

Era molto attesa: approvata con una grande maggioranza, per poter entrare in vigore definitivamente dovrà ricevere l’approvazione anche dal Consiglio Ue. Il testo era in lavorazione da più di due anni, ma nel corso degli ultimi mesi se ne era parlato con un certo livello d’insistenza dopo l’interesse rinnovato verso le intelligenze artificiali, soprattutto dopo il successo di ChatGPT.

Nella definizione delle regole, si è partiti da una valutazione del rischio in diversi settori, in base alle funzionalità delle intelligenze artificiali e delle loro evoluzioni probabili. Tra gli ambiti maggiormente a rischio si è individuato quello dell’occupazione, delle attività collegate ai diritti dei cittadini e dei servizi pubblici.

Le intelligenze artificiale con un alto livello di rischio per le persone verranno completamente proibite. Tra queste troviamo anche i sistemi che classificano le persone a seconda dei loro comportamenti sociali oppure in base alle caratteristiche economiche e personali.

Tra le varie cose, la legge vieterà di raccogliere grandi quantità di dati dai social e dai sistemi con telecamere a circuito chiuso per riuscire ad addestrare le intelligenze artificiali al riconoscimento facciale.


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L’intelligence americana ha acquistato i dati personali dei cittadini

Sembra che le agenzie di spionaggio e di intelligence americane acquistino delle enormi quantità di informazioni sensibili riguardo i cittadini statunitensi, come dati da pc, da smartphone e da veicoli connessi alla rete.

La rivelazione è stata fatta per la prima volta in assoluto grazie ad un rapporto declassificato, che è stato pubblicato venerdì scorso dal direttore dell’ODNI, l’intelligence nazionale. Tutto questo è avvenuto dopo la richiesta avanzata dal senatore Ron Wyden di rivelare in che modo l’intelligence americana ha utilizzato i dati sensibili che si trovano in commercio.

Il rapporto era stato precedentemente richiesto dal direttore dell’intelligence nazionale, Avril Haines, già nel corso del 2021, con l’intenzione di riportare alla luce gli accordi commerciali segreti tra i membri della comunità dell’intelligence statunitense e i broker di dati.

Salta fuori una cosa incredibile: le agenzie di spionaggio starebbero «acquistando informazioni sugli americani che il Congresso e la Corte Suprema hanno chiarito che il governo non dovrebbe avere», racconta l’avvocato Sean Vitka.

Il governo, comunque, è convinto di riuscire a rintracciare i cellulari di «milioni di americani» senza un mandato: basta pagare per avere tali informazioni. Se ci si limitasse a richiedere l’accesso alla posizione di un dispositivo, per il governo verrebbe considerato ricerca del quarto emendamento, e si dovrebbe ricorrere all’approvazione di un giudice.

Ma visto che le società che raccolgono questi dati si dicono disposte a venderli, e non soltanto al governo, quest’ultimo li vede come disponibili pubblicamente, e si sente in diritto di poterli acquistare.

Dati alla mercé di tutti

Per quanto la notizia che le informazioni degli utenti stiano nelle mani delle agenzie di spionaggio abbia creato scalpore, il governo ha deciso di concentrarsi, invece, sulla dimostrazione che le informazioni personali degli americani sono alla mercé di tutti, come i cybercriminali e le nazioni considerate nemiche.

Gli Stati Uniti, allo Stato attuale delle cose, non dispongono di una legge sulla privacy o sulla protezione dei dati che regoli la condivisione oppure la vendita delle informazioni private appartenenti ai cittadini.

Secondo quanto è stato riferito dal rapporto, se le informazioni degli americani sono in vendita al pubblico, le agenzie di intelligence potranno acquistarle anche se hanno bisogno di ottenere un mandato da parte del tribunale per entrare in possesso di tali dati.

Dati raccolti in base alla posizione dello smartphone

Anche se questi dati vengono venduti all’ingrosso, sembra chiaro che le agenzie riescano a deanominizzarli, per riuscire ad avere informazioni più dettagliate per quanto riguarda i singoli cittadini: dove vivono, dove lavorano, se hanno partecipato a proteste o raduni. Tutto questo basandosi sulla posizione dello smartphone.

Non sembra ancora ben chiaro perché le agenzie di intelligence abbiano voluto acquistare i dati dei cittadini americani, ma è chiara invece la problematica sollevata dal senatore Wyden riguarda il pericolo che rappresentano le «società private che raccolgono e vendono questi dati».

Per il rapporto dell’ODNI, se tali dati finissero nelle mani sbagliate, tali informazioni «potrebbero facilitare il ricatto, lo stalking, le molestie e la vergogna pubblica».


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Perché le forze dell’ordine in Italia non usano le Bodycam?

Si è riaperto il dibattito sulla necessità di dotare le forze dell’ordine italiane di bodycam e di targhette identificative, con tanto di numero di matricola. Si muove verso questa direzione un progetto di legge presentato nel 2022 dalla senatrice Cucchi, ancora fermo in Parlamento.

Le bodycam sono dei dispositivi che registrano immagini, audio e video, utilizzate molto all’estero. L’anno scorso, il ministero dell’Interno aveva pubblicato delle linee guida per riuscire a regolare l’utilizzo delle 1.000 bodycam acquistate per le forze dell’ordine.

Il ministero, con una circolare diffusa a gennaio 2022, ha assegnato 700 bodycam a 15 reparti mobili della Polizia di Stato e 249 bodycam ai Carabinieri. Secondo la direttiva, devono essere utilizzate soltanto in situazioni di rischio, come «ulteriore strumento di documentazione degli accadimenti e, nel contempo, di tutela del personale operante».

Nella circolare, oltre alle norme sull’impiego delle bodycam, troviamo anche quelle che riguardano il trattamento dei dati acquisiti, che può avvenire soltanto da un operatore autorizzato, che dovrà trasferire i file su appositi server, nei quali verranno conservati per sei mesi.

Gli agenti possono avviare la registrazione soltanto con un ordine espresso dal responsabile del servizio, mentre i file possono essere consultati subito, ma soltanto per motivi urgenti.

I pareri del Garante per la Privacy

Il Garante per la Privacy, dopo aver valutato tutte le disposizioni nazionali e sovranazionali, e tenendo presente che le bodycam raccolgono dati personali, nel 2017 ha emesso i pareri 6197365 e 6197012, al fine di disciplinare i principi secondo i quali si dovranno attenere gli uffici pubblici per l’utilizzo delle tecnologie.

Il dibattito è stato parecchio lungo e il Garante, pur consentendo l’utilizzo delle bodycam, ne vieta la registrazione continua. Non appena i dati vengono trasferiti nei server di destinazione, inoltre, dovranno essere rimossi subito dalla memoria delle bodycam.

Immagini certificate dallo Stato

La senatrice Cucchi ha rilasciato un’intervista all’Huffington Post, dichiarando che «per estendere l’utilizzo delle bodycam è sufficiente una circolare del dipartimento della Pubblica sicurezza e un confronto preventivo con le organizzazioni di rappresentanza del personale che, dal Silp Cgil sino a quelle autonome, condividono da tempo tale linea».

«I primi a volere le telecamere non possono non essere proprio le poliziotte e i poliziotti, che durante tutte le manifestazioni sono ormai immortalati da migliaia di telefonini pronti a cogliere qualsiasi comportamento. Con le bodycam, almeno in parte, ci sarebbe un riequilibrio e una maggiore tutela anche per i cittadini attraverso immagini certificate dallo Stato, senza rischio di manipolazioni».

Cosa dice il Gdpr

In Europa, i singoli Paesi devono tener conto delle norme del Gdpr. Sono tantissime le forze di polizia che utilizzano le bodycam, e il problema della privacy ha trovato una soluzione condivisa.

I volti delle persone, infatti, vengono oscurati, e viene creato un omologo gemello digitale nei confronti di eventuali fuggitivi o sospettati che la polizia sta ricercando, e lo fa attraverso parametri come corporatura, altezza e colori degli abiti, e non con le fotografie del loro viso.

Le bodycam giovano a tutti

Il Bureau of Justice Statistics, una specie di Istat americano, ha stilato una graduatoria dei vantaggi delle bodycam:

  1. Sicurezza degli agenti;
  2. Miglioramento della qualità delle prove;
  3. Riduzione del numero di denunce da parte dei civili;
  4. Riduzione della responsabilità degli agenti.

L’impiego delle bodycam, dunque, gioverebbe alle forze dell’ordine, alla giustizia e alla collettività.

In linea di massima, si può dire che, basandosi sugli studi e sulle statistiche sulle bodycam, si sono registrate meno lamentele della comunità, anche rispetto all’operato delle forze dell’ordine, confermando la natura difensiva di questi strumenti.


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È atteso per domani, dopo mesi di annunci, il Consiglio dei ministri per la discussione della Riforma della Giustizia. Oggi si terrà il primo vaglio nel Preconsiglio, ovvero la riunione tecnica preparatoria del Consiglio dei Ministri.

Nella proposta è previsto un unico disegno di legge con 8 articoli, che contengono interventi riguardo intercettazioni, informazioni di garanzia, custodia cautelare e reati contro la PA, a partire dall’abuso d’ufficio e dal traffico di influenze illecite.

Con questa scelta, il governo vorrebbe rendere un tributo a Silvio Berlusconi: infatti, il ministro Nordio ricorda l’importanza del suo ruolo nel dibattito sulla giustizia, che aveva intenzione di «orientare in senso garantista e liberale».

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I riflettori sono ora puntati sulla riforma dell’abuso d’ufficio, tema su cui si è discusso sia dentro che fuori dalla maggioranza.

Favorevole sin da subito alla cancellazione del reato, e ritenuto come causa principale della «paura della firma», da parte degli amministratori locali, Nordio sembra aver superato i dissensi interni alla maggioranza, per quanto riguarda questa scelta così radicale.

Tutte le maggiori riserve provenivano dalla Lega, anche se l’impegno del ministro per rimodulare tutto l’insieme dei reati contro la PA ha convinto anche Salvini a dare l’ok finale.

«Sulla riforma dell’abuso di ufficio c’è l’accordo politico», ricordando come su 1000 fascicoli aperti, 995 si concludono con un nulla di fatto. Anche le condanne sono poche – soltanto 18 nel 2021.

Un altro tema molto caldo è sicuramente quello delle intercettazioni. L’intervento previsto all’interno del ddl rappresenta il primo step, e punta alla tutela dei terzi estranei alle indagini. L’obiettivo è quello di evitare che tali conversazioni finiscano sotto atti di indagine che verranno divulgati.

Si tratta del primo passaggio verso una riforma ancora più ampia. «In un tempo successivo faremo una radicale revisione del sistema delle intercettazioni che tuteli anche la correttezza delle indagini e combatta la strumentalizzazione che viene fatta con la diffusione pilotata» delle intercettazioni, spiega il ministro.

«Non si possono spendere 200 milioni all’anno per intercettazioni che si rivelano nella maggioranza dei casi inutili», continua Nordio.

Invece, per quanto riguarda la custodia cautelare, c’è l’intenzione di intervenire con una duplice azione: sulla richiesta avanzata dal pm ci dovrà essere un organo collegiale, e non soltanto un giudice. L’indagato, prima della richiesta di effettuare il carcere preventivo, dovrà essere interrogato.

Cambia anche l’informazione di garanzia per aver maggior tutela dell’indagato, visto che, come spiega Nordio, nel momento in una persona riceve «l’avviso e il suo nome esce sui giornali, la condanna è già anticipata».


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I Beatles, con 12 album in studio, centinaia di milioni di dischi venduti e decine di singoli, sono stati una delle band con maggior successo commerciale nella storia della musica. Paul McCartney, che nel gruppo scriveva, suonava e cantava, oggi annuncia di aver utilizzato un software di intelligenza artificiale per registrare il «brano finale dei Beatles».

McCartney racconta in un’intervista come l’intelligenza artificiale gli sia servita per riuscire ad estrarre da una registrazione di bassa qualità la voce di John Lennon per inserirla in una nuova registrazione effettuata in studio.

Non è stato specificato il nome del brano, ma per BBC dovrebbe essere Now and Then, brano composto nel 1978 da Lennon. Anche Kenneth Womack, docente di musica pop alla Monmouth University e autore di vari libri sui Beatles è d’accordo.

Now and Then

Now and Then è una delle canzoni che apparivano su una cassetta indirizzata a McCartney, che Yoko Ono gli consegnò dopo la morte del marito. Composta da Lennon a New York, poco prima della sua morte, la canzone non è mai stata pubblicata ufficialmente, anche se online sono presenti alcune versioni.

Nella cassetta in questione, Lennon suonava il piano e cantava alcuni nuovi brani nel suo appartamento a New York. Real Love e Free As A Bird furono registrate e riarrangiate da McCartney, Harrison e Starr. Now and Then, invece, non fu mai completata in modo soddisfacente, anche perché, secondo Harrison, la registrazione della voce di John Lennon sulla cassetta era di bassa qualità, con un ronzio di sottofondo.

Nel 2009 fu pubblicata una nuova versione del brano senza ronzio, su un bootleg, ovvero un disco pubblicato dai fan, che non ha nulla di ufficiale. Nessuno sa da dove arrivasse quella registrazione. Per qualcuno, è stata portata via dall’appartamento di Lennon dopo la sua morte, anche se l’audio aveva una qualità migliore rispetto a quella su cui avevano lavorato i Beatles.

Da anni, McCartney aveva intenzione di registrare la canzone, e ora ha capito di avere la possibilità di farlo grazie a nuovi software audio.

Per esempio, il regista Peter Jackson, per il suo documentario The Beatles: Get Back, ha utilizzato dei programmi per riuscire ad isolare le voci dei Beatles nelle registrazioni con tanti rumori di fondo, affinché potessero essere più chiare e comprensibili.

In realtà, separare le tracce audio per ripulirle dai rumori di fondo ed intervenire con filtri ed effetti per riuscire a modificarle è una pratica diffusa ormai da tempo. Tuttavia, dal racconto di McCartney capiamo che per lavorare in modo efficace su Now and Then è stato necessario ricorrere ai software utilizzati nel documentario di Jackson.

Racconta McCartney: «Siamo riusciti a prendere la voce di John e a renderla pulita grazie all’intelligenza artificiale e poi abbiamo mixato la canzone come si farebbe normalmente. L’abbiamo appena completata e sarà pubblicata quest’anno».

McCartney aveva già utilizzato questo software durante un concerto, per simulare un duetto con Lennon nel brano I’ve Got a Feeling. «E’ un po’ inquietante ma anche entusiasmante, perché è il futuro. E’ una cosa che al momento ci stiamo tutti attrezzando a capire e gestire, dovremo solo capire dove andrà a parare».


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