A Treviso il Congresso Giuridico “Il ruolo dell’Avvocato tra presente e futuro”

I prossimi 29 e 30 novembre 2023, nella sede della Provincia di Treviso si terrà il Congresso Giuridico “Il ruolo dell’Avvocato tra presente e futuro”, organizzato dall’Ordine degli Avvocati di Treviso, dalla Fondazione dell’Avvocatura Trevigiana e dalle Associazione Forensi locali.

Saranno due giorni di formazione, tra seminari e studi che approfondiranno varie tematiche, con l’inaugurazione di una lectio magistralis del Prof. Giuseppe Amadio. Presente anche il Guardasigilli Carlo Nordio.

Verranno riconosciuti 4 crediti formativi, 3 in deontologia e 1 in ordinamento professionale per la giornata di mercoledì 29 novembre e 2 crediti per giovedì 30 settembre.

Per iscriversi al Congresso si può utilizzare la piattaforma SFERA all’indirizzo www.albosfera.it, selezionando gli eventi dell’Ordine degli Avvocati di Treviso. Questo è valido anche per gli iscritti ad altri Fori, con registrazione alla piattaforma.

Per ulteriori informazioni scrivere alla mail formazione@ordineavvocatitreviso.it.


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Sono stati pubblicati i risultati di Future Ready Lawyer 2023, ricerca globale eseguita da Wolters Kluwer, che attestano che il settore legale si sta adattando alle novità tecnologiche degli ultimi tempi, come, per esempio, l’intelligenza artificiale generativa.

Dichiara l’Ad di Wolters Kluwer: «Anche in un mondo dove ChatGPT e altre forme di AI sono sempre più utilizzate la professione legale continua a trarre la propria forza dalle relazioni umane. Tuttavia, la ricerca Future Ready Lawyer 2023 evidenzia che gli avvocati riconoscono il ruolo centrale della tecnologia nel creare valore aggiunto per le loro organizzazioni e per la società nel suo complesso. Che si tratti di migliorare la collaborazione, consolidare le relazioni o migliorare i flussi di lavoro, la tecnologia è l’elemento trainante dell’intero settore legale verso il futuro».

Per Giulietta Lemmi, Ad di Wolters Kluwer Italia, siamo di fronte alla dimostrazione che il «settore legale sia alle prese con un periodo di cambiamenti senza precedenti. La tecnologia si conferma ancora una volta quale principale elemento di cambiamento», prosegue.

«Per l’87% degli intervistati, infatti, questa ha migliorato il lavoro quotidiano degli avvocati e degli studi legali. In questi anni abbiamo visto un costante incremento del suo utilizzo, ma mai come ora le tecnologie diventano fondamentali per favorire produttività ed efficienza. Dalla survey emerge inoltre la grande attenzione alle tematiche esg da parte delle aziende e la conseguente richiesta di consulenza professionale anche da un punto di vista legale».

Soltanto da poco gli avvocati hanno cominciato ad utilizzare l’Intelligenza Artificiale Generativa. Il 73% dei professionisti che hanno preso parte alla ricerca si aspettano di utilizzare l’IA per il proprio lavoro entro il 2024.

Il 43% degli avvocati ritiene che questo strumento sia un’opportunità mentre il 25% la considera una minaccia. In ogni caso, la maggioranza degli avvocati pensa che la tecnologia sia qualcosa di fondamentale per l’esercizio della professione legale, e l’87% dichiara che ha di gran lunga migliorato il loro lavoro.

Il 46% pensa di sfruttare del tutto la tecnologia, mentre il 50% si trova in fase di transizione. Il 4%, invece, pensa di non sfruttarla quanto dovrebbe.


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Gender gap e bassi guadagni: queste le principali difficoltà che riscontrano i giovani avvocati. Lo stabilisce il primo rapporto Aiga sulla giovane avvocatura, pensato e realizzato dalla Commissione Pari Opportunità di Aiga.

Lo studio ha coinvolto il 10% degli avvocati iscritti all’Aiga, ovvero 616 persone. Il 68% di questi ha meno di 40 anni.

Il dato principale che balza all’occhio di tutti è proprio il gender pay gap. I professionisti che percepiscono uno stipendio compreso tra 0 e 5mila euro si compongono del 23,35% delle donne e del 15,94% degli uomini.

Il 30,22% delle avvocate e il 19,92% degli avvocati inoltre percepisce un reddito compreso tra i 5mila e i 15mila euro. Per quanto riguarda la fascia reddituale compresa tra 15mila e 30mila euro troviamo il 27,20% delle donne mentre gli uomini corrispondono al 24,30%.

I professionisti più ricchi, ovvero quelli che percepiscono più di 85mila euro, sono composti dallo 0,37% di donne e dal 6,37% di uomini.

Il divario retributivo è molto più accentuato nelle isole e nel sud Italia. Esercitare la professione al Nord comporta una retribuzione più elevata, e soprattutto un’età più avanzata permette di guadagnare di più.

Avvocate donne hanno meno possibilità di guadagno rispetto ai colleghi uomini. Nel rapporto Aiga si parla anche del rapporto tra il divario retributivo e gli stereotipi relativi ai ruoli di genere, che spesso impongono alle donne di dedicarsi alla responsabilità familiari sacrificando la loro carriera professionale. Si segnala, inoltre, una carenza per quanto concerne il sistema assistenziale relativo alla maternità.

L’esercizio della professione ha influito parecchio nelle scelte di vita e personali del 53,57% delle avvocate e del 41,43% dei colleghi uomini. Le ragioni, di solito, sono legate alla formazione della famiglia, al sacrificare il tempo libero o le vacanze, continuare a vivere con i propri genitori e delle difficoltà nel rendersi più autonomi.

Le avvocate, dopo essere diventate madri, devono fare i conti con l’impossibilità di vivere la maternità allo stesso modo rispetto alle lavoratrici dipendenti. Secondo i dati, comunque, la scelta di avere un figlio viene spesso rimandata dopo i 35 anni, ma non comporta necessariamente l’interruzione della professione, anzi.

Il 9% del campione sceglie attività alternative all’esercizio della professione, prediligendo il dottorato di ricerca e il lavoro di insegnante.

Il 34,89% delle donne svolge la professione in collaborazione con il titolare dello Studio Legale. Le avvocate titolari di uno Studio che hanno meno di 35 anni corrispondono al 5%, il 12% ha un’età compresa tra 35 e 40 anni e il 10% ha più di 40 anni.

Il 40,24% degli avvocati uomini che hanno aderito al sondaggio è titolare dello Studio: ad avere meno di 35 il 7%, il 17% ha un’età compresa tra 35 e 40 anni mentre ad avere più di 40 è il 16%. Le donne avvocato, in linea di massima, raramente sono titolari di Studi Legali, oppure partner nei grandi studi associati.

Contrariamente a quanto si possa pensare, gli avvocati che lavorano all’interno degli Studi delle proprie famiglie non dispongono di stipendi così alti. Sono migliori le condizioni economiche degli avvocati che lavorano in Studi “esterni”, che contano un reddito compreso tra 15 e 30mila euro.

Il 57% dei professionisti, secondo l’indagine di Aiga, dice di non aver mai pensato di lasciare la professione, mentre il 43% ha preso in considerazione l’idea, a causa di un riconoscimento economico considerato inadeguato, dell’instabilità, e delle difficoltà di conciliazione tra lavoro e tempo libero.

Anche qui è ben presente il divario di genere, visto che a pensare ad abbandonare la professione troviamo il 53,02% delle donne contro il 37,02% degli uomini.


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Giovedì 9 novembre è cominciata la quarta edizione del convegno Genova DET – Diritto, Etica e Tecnologia, organizzata dall’Ordine degli avvocati di Genova per i giorni 9, 10 e 11 novembre 2023.

Quest’anno il titolo del convegno è “I.A ON BOARD”, e sarà caratterizzato da un alto livello scientifico, sia per quanto riguarda i temi che verranno trattati sia per i relatori che parteciperanno.

Genova DET nasce nel 2017 dall’esigenza degli avvocati genovesi di declinare il tema del diritto con quello delle nuove tecnologie, e sin da subito si è affermato come punto di riferimento nazionale su queste tematiche. Oggi l’evento richiama a Genova non soltanto il mondo dell’Avvocatura, ma anche quello dell’imprenditoria, delle libere professioni e delle Istituzioni.

Presente al convegno e impegnata in una tavola rotonda sul tema dell’Intelligenza Artificiale anche Federica Santinon, già presidente dell’Ordine degli Avvocati di Venezia e attualmente consigliera nazionale del Consiglio Nazionale Forense.

«Il presidente Greco ha questo focus molto importante per fare in modo che tutti gli avvocati italiani non restino indietro su un tema così importante e delicato», dichiara Santinon. «In particolar modo», prosegue, «il focus è in ordine al progetto del Sant’Anna che coinvolge il Tribunale di Genova e il Tribunale di Pisa, ma anche il progetto della Corte d’Appello di Perugia». Alcuni progetti si collegano al PNRR e altri ad Uni 4 Justice.

Varie università in tutta Italia si stanno impegnando nel realizzare progetti di applicazione degli strumenti di intelligenza artificiale al mondo della giustizia, spesso finanziati da fondi pubblici ed europei. Sono progetti di interesse del Ministero, visto che potranno essere applicati all’interno degli uffici giudiziari.

«Il CNF ha come obiettivo uno studio preciso e specifico per poter riuscire ad elaborare un sistema di intelligenza artificiale fruibile per tutti gli avvocati affinché nessuno resti indietro».

Secondo Santinon, l’introduzione dell’intelligenza artificiale all’interno degli Studi Legali consentirà agli avvocati di guadagnare di più. «L’importante è rimanere aggiornati e non aver timore di questo ingresso dell’intelligenza artificiale. Questo aspetto porterà innanzitutto a nuove materie e oltre a questo comporterà un migliore processo, più veloce nell’esecuzione dell’affrontare le pratiche. Quindi il messaggio è assolutamente positivo: guadagneremo di più».


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“Di carcere ci si ammala”: la crisi della sanità colpisce anche i detenuti

La durata del Processo Penale è scesa sotto i mille giorni

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Anche la salute dei detenuti è a rischio. A lanciare l’appello il notiziario dei detenuti della Casa di reclusione di Rebibbia, che ricorda come negli istituti penitenziari i medici destinati alle cure dei detenuti «sono pochi. Sempre meno. Capita che il medico di base o lo specialista che va in pensione non venga sostituito e che i bandi indetti dalle Asl vadano deserti, oppure che si debba aspettare molto tempo prima che arrivi la nuova nomina e questo significa ulteriori forti disagi per noi “ristretti” che già subiamo gli effetti nefasti del sovraffollamento».

A Rebibbia, per esempio, che conta 300 detenuti, ci sono soltanto due medici di base, al posto dei quattro previsti.

L’appello vuole ricordare che siamo di fronte a cittadini che hanno sbagliato, e proprio per questo scontano la loro condanna, ma «non per questo abbiamo perso il diritto alla salute e alla dignità di persona. Un diritto vero, non solo scritto sulla carta».

Continua l’appello: «Senza di voi, senza la vostra competenza, professionalità e generoso impegno nelle carceri, infatti, il nostro diritto costituzionale alla “cura” resta vuoto». Quello che chiedono ai medici è di far sì che i giovani li affianchino con dei tirocini, e che sia consentito «al medico o specialista di prolungare la sua attività professionale nel carcere anche se in pensione e a chi opera nelle strutture pubbliche di poter dedicare del tempo ulteriore anche al servizio della popolazione reclusa».

Necessarie molte «più ore e più specialisti per seguire chi ha patologie psichiatriche. Più risorse destinate alla sanità penitenziaria e alle attività di cura. Luoghi adeguati sul territorio per accogliere chi soffre di patologie psichiatriche o di dipendenza che non possono essere affrontate nei penitenziari».

L’appello, inoltre, ricorda come «di carcere ci si ammala. Uno studio recente attesta che una percentuale compresa tra il 60% e l’80% della popolazione detenuta è affetta da almeno una patologia. In carcere ci si ammala tanto, e curarsi è sempre più difficile, malgrado l’encomiabile impegno dei medici presenti nei penitenziari».

Tuttavia, i medici «sono sempre meno. La crisi della sanità pubblica e la mancanza di risorse, infatti, colpiscono in modo diretto e pesante i livelli di assistenza sanitaria, le condizioni di vita e di lavoro dei medici, ma anche quelli della popolazione detenuta che già oggi sconta la carenza di assistenza sanitaria, la difficoltà a usufruire in tempi efficaci di esami clinici e prestazioni specialistiche».

Anche il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, Filippo Anelli, risponde all’appello: «Il grido di allarme sulla carenza di assistenza sanitaria in carcere dei detenuti di Rebibbia (ma che vale anche per gli altri istituti di pena) non può restare inascoltato. Attiveremo le istituzioni per quanto possiamo fare noi. E siamo disponibili a sollecitare un tavolo, a trovare soluzioni e per tutto quello che può servire a migliorare il livello di assistenza nelle carceri».


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Quishing: attenzione alle truffe che utilizzano i QR Code

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Un processo penale, in media, ora dura meno di mille giorni. Accelera anche l’abbattimento dell’arretrato, perfettamente in linea con gli obiettivi prefissati dal Pnrr.

Se confrontiamo i valori del 30 giugno 2023 con quelli del 2019 notiamo una decisa riduzione della durata dei processi, che viene calcolata basandosi sul disposition time, ovvero l’indicatore di durata che va a misurare il rapporto presente tra i processi pendenti e tra quelli definiti: nel civile si registra un -19,2%, mentre nel penale un -29%.

Questo è quanto emerge dai dati del monitoraggio del primo semestre del 2023, a seguito dell’entrata in vigore delle riforme del processo penale e civile, dati che attestano i cambiamenti a livello organizzativo degli uffici giudiziari.

La tendenza che è stata registrata nel primo trimestre del 2023 è perfettamente in linea con gli obiettivi concordati con la Commissione Europea, ovvero una riduzione entro giugno 2026 del 25% della durata dei processi penali.

Un po’ più contenuto il calo dei procedimenti in ambito civile, ovvero -1% rispetto al 2022, anche se è positivo l’andamento del Tribunale (-8,9%) e della Corte d’Appello (-7,8%). Se verrà rispettato questo andamento, l’obiettivo prefissato con la Commissione europea circa la riduzione del disposition time del 40% entro giugno 2024 risulta facilmente raggiungibile.

Circa l’arretrato civile, invece, i dati segnalano un’accelerazione per quanto riguarda la tendenza allo smaltimento, in particolar modo nel Tribunale. Le variazioni rispetto al 2019 alla data del 30 giugno 2023 sono: -19,7% in Tribunale; -33,7% in Corte di appello.

Lo smaltimento dell’arretrato resta al di sotto di quello necessario per il raggiungimento degli obiettivi che sono stati concordati con la Commissione Europea, che prevedono un -90% per giugno 2026.


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Quishing: attenzione alle truffe che utilizzano i QR Code

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Sono presenti dappertutto: nelle vetrine dei negozi, nei tavoli dei ristoranti, nelle reception degli alberghi. I QR Code sono molto utilizzati per accedere a varie informazioni, ma sono anche un ottimo bersaglio da parte degli hacker.

Secondo una ricerca effettuata da Harmony Email si registra un aumento del 587% delle truffe attraverso i QR Code. Questo fenomeno ha anche un nome, il quishing, derivante dall’unione tra QR Code e phishing (ovvero la truffa telematica che estrapola informazioni personali attraverso la simulazione di finte pagine web che ingannano gli utenti).

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Per il ricercatore e analista Jeremy Fuchs, i malintenzionati creano dei falsi QR Code, così il malcapitato, una volta inquadrato il codice con la fotocamera, viene reindirizzato ad un sito nel quale dovrà inserire credenziali e dati sensibili, incluse informazioni di tipo bancario.

Questi tipi di QR Code solitamente arrivano tramite mail, accompagnati da un testo contenente finte istruzioni per l’accesso ai loro account, che risultano disattivati temporaneamente. Dichiara Fuchs: «Abbiamo implementato, rapidamente, una protezione per i QR Code. Bisogna disporre di diversi strumenti per poter reagire tempestivamente ai cambiamenti nel panorama degli attacchi. Non possiamo sempre sapere in quale direzione si muoveranno gli hacker. Ma abbiamo gli strumenti fondamentali per combatterli».

Il QR Code è un’immagine quadrata con dei moduli neri su uno sfondo bianco, contenente informazioni specifiche. È una specie di codice a barre, che, dopo essere scansionato, reindirizza verso un altro sito oppure un’altra app.

Durante la pandemia i QR Code hanno cominciato a spopolare, e per questo i criminali informatici hanno cominciato a sfruttarli. Spiega Fuchs: «Sono un ottimo modo per ingannare gli utenti. L’immagine può nascondere un collegamento dannoso e se l’immagine originale non viene scansionata e analizzata, apparirà semplicemente come un’immagine normale. E poiché gli utenti finali sono abituati a scansionare i Codici QR, riceverne uno via mail non è necessariamente motivo di preoccupazione».

Fondamentale seguire alcune semplici regole per evitare di cadere vittima degli hacker. Come prima cosa, se un QR Code arriva da uno sconosciuto evitiamo di scansionarlo, e soprattutto non condividiamo dati personali, codici di sicurezza e numeri delle carte di credito.

Controllare sempre molto attentamente anche il mittente, così come il link in allegato: prima di cliccarlo, meglio copiarlo nella barra del browser. Un altro indizio utile per comprendere se la mail arriva da malintenzionati sono gli errori grammaticali, spesso presenti in questo tipo di messaggi.


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Se gli allegati della notifica via Pec sono illeggibili il destinatario deve informare il mittente

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Se gli allegati della notifica via Pec sono illeggibili il destinatario deve informare il mittente

Nelle notificazioni tramite Pec, se il messaggio che perviene regolarmente al destinatario riporta gli estremi fondamentali per la notificazione, si denota la «nullità», e non la «inesistenza» della notificazione in caso di presenza di anomalie che rendano illeggibili gli allegati.

Il destinatario dovrà informare il mittente di eventuali difficoltà per quanto concerne la presa visione di tali allegati. Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione, ordinanza 30082/2023 del 30/10/2023.

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La Corte d’Appello aveva già dichiarato l’improcedibilità dell’appello da parte del ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca contro una sentenza nella quale il Tribunale aveva accolto le richieste avanzate da impiegati amministrativi per quanto concerne il diritto all’assunzione con contratto a tempo indeterminato.

Il ricorso in appello era stato depositato in cancelleria, ed integrato con il decreto di fissazione dell’udienza. L’Avvocatura dello Stato aveva trasmesso al difensore dei ricorrenti un messaggio a mezzo Pec, che conteneva la menzione degli atti notificati allegati al messaggio.

Tuttavia, la Corte d’Appello aveva ritenuto, vista la dimensione degli atti, ovvero di 1 byte, che si trattasse di file vuoti. Dunque, per il giudice, la notificazione dell’atto era «inesistente», a causa della «totale mancanza materiale dell’atto da notificare».

Il Ministero ha proposto ricorso per Cassazione, contestando di non aver preso in considerazione anche il dovere del destinatario della notificazione di procedere con la segnalazione al notificante di anomalie per quanto concerne l’invio degli atti tramite Pec, oltre ad aver trattato come «inesistente» una «mera irregolarità, o, al più, di nullità della notificazione».

Più volte la Cassazione ha messo in guardia il giudice circa la necessità di considerare la «inesistenza» della notificazione in quanto residuale, poiché è «configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile quell’atto» (Cassazione, Sezioni Unite, 14916/2016).

Nello specifico, la trasmissione degli atti, così come la consegna, sono avvenuti correttamente. Si rileva, tuttavia, la «totale mancanza materiale dell’atto, perché gli allegati, pur menzionati nel messaggio di posta elettronica certificata, risultano inconsistenti, come desumibile dall’indicazione delle dimensioni pressoché nulle dei relativi documenti informatici».

La Corte di legittimità, viste le dimensioni degli allegati, ribadisce il dovere del destinatario di «informare il mittente della difficoltà nella presa visione degli allegati trasmessi via Pec, onde fornirgli la possibilità di rimediare a tale inconveniente» (Cassazione 4624/2020).

Per la Cassazione è decisivo il fatto che la Pec trasmessa al difensore riportava precisamente l’oggetto della notificazione, la sua provenienza, i nomi degli appellati e il numero di iscrizione a ruolo del processo presso la Corte d’Appello.

Viene dunque esclusa la «inesistenza» della notificazione vista l’idoneità della conoscenza dell’oggetto. Per concludere, la Cassazione, «obbliga il giudice d’appello a fissare un termine perentorio per la rinnovazione che “impedisce ogni decadenza” secondo la regola generale contenuta nell’articolo 291 codice procedura civile, che prescinde da qualsiasi valutazione sulla incolpevolezza del notificante».


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Secondo l’ordinanza 27049/2023, la Cassazione stabilisce che, nel caso in cui un avvocato continui ad esercitare la libera professione, non è legittimato alla richiesta di un risarcimento per danno derivato dalla mancanza della percezione della pensione di anzianità, di cui non ha diritto a causa della mancata cancellazione dall’albo.

Un avvocato, basandosi sulla legge 45/1990, era riuscito ad ottenere il ricongiungimento dei contributi previdenziali presso Inps. Successivamente lo stesso ha deciso di intentare una causa contro Cassa Forense e contro Inps per rivalutare, a fini previdenziali, i periodi trascorsi in quanto dipendente dell’Ilva, dunque con esposizione all’amianto.

In prima istanza, il Tribunale di Taranto ha approvato la rivalutazione dei contributi, e l’Inps avrebbe dovuto versarli a Cassa Forense. Successivamente, il professionista richiede alla Cassa di risarcire il danno causato dal mancato riconoscimento alla pensione di anzianità.

Secondo il Tribunale il professionista era in possesso di tali requisiti per l’ottenimento della pensione di anzianità, concedendo il risarcimento del danno sulla mancata costituzione della pensione da parte dalla Cassa. Conferma la decisione anche la Corte d’Appello.

La difesa di Cassa Forense, di fronte alla Suprema Corte, solleva tre questioni.

Per prima cosa, viene sottolineato come la pensione di anzianità sia subordinata alla cancellazione dall’albo, e dunque anche dal termine della professione. Successivamente si afferma che in assenza del trasferimento dei contributi dell’Inps, Cassa Forense non avrebbe avuto modo di completare la procedura per la ricongiunzione.

La terza questione riguarda il fatto che il professionista aveva proseguito la sua attività lavorativa in quanto avvocato con pieno reddito, con introiti ingiustificati circa la pensione e il reddito da lavoro.

La Cassazione ammette il ricorso presentato dalla Cassa, valutando se il comportamento da parte dell’Ente previdenziale fosse contro legge, tanto da poter giustificare un eventuale risarcimento.

La sentenza, in primo luogo, non ha ritenuto che la Cassa non avesse rispettato la legge, specificando anche come la 45/1990 abbia degli obblighi procedurali ben precisi al fine della gestione previdenziale; in secondo luogo, invece, è stata esclusa la possibilità di configurare un danno risarcibile che corrisponda alla pensione di anzianità che non è stata erogata dalla Cassa.

Infatti, affinché un danno possa essere considerato risarcibile, il diritto dovrà essere pregiudicato irrimediabilmente, e il titolare non potrà procedere alla richiesta del riconoscimento di questo diritto. Nello specifico, il diritto alla pensione di anzianità non era stato permanentemente negato, poiché i contributi non erano nemmeno stati trasferiti.

Mancava anche una condizione essenziale per poter ottenere la pensione di anzianità, ovvero la cancellazione dall’albo degli avvocati. La Cassazione stabilisce pertanto che, nel caso in cui un avvocato continui nell’esercizio della professione, senza raggiungere la pensione di anzianità, non potrà richiedere un risarcimento su tale pensione, nel caso in cui non sia avvenuta la cancellazione dall’albo.


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Dal 6 novembre 2023 diventa pienamente operativo il Registro Volontario dei Testamenti Olografi, che ha visto la realizzazione da parte del Consiglio Nazionale del Notariato attraverso Notartel Spa, che si occupa della raccolta e della ricerca dei dati relativi ai testamenti olografi, depositati in precedenza presso i notai italiani che hanno aderito al servizio.

Tale strumento tecnologico consente la digitalizzazione dei depositi e della conservazione dei testamenti olografi, semplificando, in tal mondo, le operazioni di ricerca da parte dei cittadini, migliorando la prassi per la conoscibilità di questi documenti e assicurando sicurezza nel conservare tali dati e informazioni.

Ci troviamo all’interno di un progetto più ampio del Notariato, che punta alla creazione di registri sussidiari digitali, per archiviare e raccogliere atti, senza pubblicità legale, contenenti informazioni e dati d’interesse pubblico.

Il testamento olografo viene definito dall’art. 602 del Codice Civile: si tratta di un testamento scritto, datato e sottoscritto soltanto dal testatore.

D’ora in poi, i cittadini che depositano il testamento olografo da un notaio, potranno richiedere a questo di trascrivere i dati nel Registro Volontario del Testamenti Olografi, prestando consenso anche per la privacy.

Il notaio dovrà annotare sul Registro soltanto le informazioni che riguardano il testamento, come dati anagrafici, data di redazione e data del deposito. Si potrà procedere alla modifica della registrazione in qualsiasi momento.

I cittadini che sono in possesso di un certificato di morte potranno richiedere a qualsiasi notaio italiano di cercare il testamento di loro interesse.


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Mediatore Familiare: ecco il nuovo regolamento

Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

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