Alcune star dei social hanno uno, quattro, sei anni: sono protagonisti dei video pubblicati dai genitori, ma alcuni hanno il loro account personale. Immagini, post, stories, TikTok e reels che raccontano le vite dei più piccoli nelle loro case, oppure nei resort di lusso dove vanno in vacanza con la mamma e il papà.
Una spunta blu per garantire l’autenticità del profilo del baby influencer, nonostante l’età per potersi iscrivere nei social sia stata fissata a 16 anni dal Gdpr – anche se in Italia è stata abbassata a 14. Non esiste ancora alcuna regolamentazione, tuttavia, per i bambini sorridenti sui social: decidono i genitori e i brand.
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I baby influencer presenti sui social hanno un denominatore in comune, ovvero, portano guadagni: grazie alle sponsorizzazioni, ai prodotti e ai soggiorni regalati. Tuttavia, i minori dovrebbero essere tutelati su vari aspetti, che siano relativi al lavoro, al lato economico, oppure collegati alla privacy, al diritto alla reputazione e a all’immagine.
Questo tema riguarda anche il fenomeno dello sharenting, ovvero una condivisione costante, da parte dei genitori, di contenuti che vedono protagonisti i figli, ma che non generano alcun profitto. Ebbene, ad oggi, in Italia non ci sono norme specifiche in materia.
La regolamentazione di questi aspetti viene affidata ai patti tra le parti: trattasi di contratti stipulati tra genitori e brand, che si basano su disposizioni generali, come quelle che riguardano l’uso dell’immagine, che nel caso dei minori prevedono che entrambi i genitori devono dare il proprio consenso.
Inoltre, si devono considerare anche le norme che riguardano la responsabilità genitoriale. I genitori hanno un ruolo di cura ed educazione verso i loro figli. Se violano tale obbligo, dovrà intervenire il giudice. Spesso accade, comunque, che i figli minori coinvolti nei contenuti pubblicati online non vengano affatto menzionati nei contratti che regolano le prestazioni online tra baby influencer e i brand.
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Tutti questi aspetti sono stati esaminati di fronte ad un tavolo tecnico finalizzato alla tutela dei diritti dei minori nei social. Il tavolo è stato fortemente voluto da Marta Cartabia, ex ministra della Giustizia, che con una relazione presentata l’anno scorso ha suggerito degli interventi normativi che scoraggino lo sfruttamento online dell’immagine dei figli da parte dei genitori.
Oltre a questo, Cartabia ha suggerito di coinvolgere direttamente le piattaforme per la co-regolamentazione. Tali indicazioni, per il momento, sono rimaste soltanto sulla carta, poiché dall’attuale Guardasigilli Carlo Nordio non sono partite particolari iniziative.
Il Garante Privacy e Agcom hanno istituito un tavolo per poter lavorare ad un Codice di condotta che incoraggi le piattaforme ad adottare adeguati sistemi di verifica dell’età. Spiega Maria Francesca Quattrone, avvocato dello Studio Legale Dike Legal: «L’interesse supremo deve essere la tutela del minore e per questo motivo è importante che sia il brand sia le agenzie intermediarie prevedano l’inserimento nel contratto di clausole cautelative».
Continua Quattrone: «Per esempio, i post che coinvolgono il bambino, anche se pubblicati sull’account del genitore, devono avere contenuti adeguati. Per tutelare i baby influencer o i figli di coloro che fanno questo lavoro si può fare riferimento a un patchwork di normative diverse, ma sarebbe auspicabile una legge ad hoc».
Un vuoto normativo da colmare
Per Paolo Lazzarino, socio dello Studio ADVANT Nctm «c’è un vuoto normativo, in parte colmato dalla legge sul lavoro minorile, che lo vieta sotto ai 16 anni, ma con una deroga, che si potrebbe applicare ai baby influencer, per gli impieghi culturali, artistici, sportivi, pubblicitari o nel mondo dello spettacolo».
«Questa legge richiede l’autorizzazione dell’Ispettorato territoriale del lavoro, a verifica che le attività non pregiudichino la sicurezza, l’integrità psicofisica e lo sviluppo del minore e la frequenza a scuola. Si potrebbe ipotizzare che il visto dell’Itl si possa estendere ai contratti pubblicitari che coinvolgono prestazioni non occasionali di baby artisti, ma è una prassi non testata», conclude.
Elia Barbujani dello Studio Legale Slb Consulting, invece, dice che «occorre premere per far applicare gli istituti esistenti al nuovo fenomeno. Le situazioni non regolamentate possono sfociare in controversie: tra i genitori, dato che i giudici hanno riconosciuto che pubblicare sui social immagini di minori, diffondendole tra un numero indeterminato di persone, è un’attività potenzialmente pericolosa; e del figlio, che, una volta cresciuto, può rivendicare il diritto alla privacy e all’oblio, chiedendo di cancellare le immagini».
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In Francia dal 2020 esiste una legge che tutela i baby influencer, che regola le ore di lavoro sui social e prevede un congelamento dei guadagni. Se lo richiederanno, potranno esercitare il diritto all’oblio.
In Italia, invece, il Garante per la Privacy ha diffuso suggerimenti (che in realtà sono prescrizioni) per i genitori, al fine di limitare la condivisione di contenuti online che riguardano i figli, rendendo irriconoscibile il loro volto grazie a emoticon e pixel, restringendo le impostazioni di visibilità ed evitando di creare account dedicati soltanto ai minori.
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