Durante il concorso per entrare in magistratura (GU del 10 dicembre 2021), un candidato si sarebbe messo d’accordo con uno dei componenti della Commissione esaminatrice al fine di superare l’ultima prova scritta.
La truffa consisteva nel rendere riconoscibile, tramite un segno, l’elaborato del partecipante al concorso. Tuttavia l’imprevisto, come spesso accade, è sempre dietro l’angolo. Il candidato, infatti, invia la parola chiave al commissario sbagliato; quest’ultimo, tuttavia, non perde tempo e denuncia il fatto.
Ed ecco che cominciano le indagini, coordinate da Francesco Lo Voi, procuratore capo di Roma. Ci si chiede, però: come mai un candidato ha a disposizione i numeri di telefono di alcuni esaminatori? «Abbiamo cercato i profili penali, e se non avessimo avuto il reato di tentato abuso d’ufficio su un fatto come questo, che a me appare grave, non avremmo potuto fare nulla».
Le reazioni, soprattutto sui social, non sono tardate ad arrivare. In molti si sono chiesti, infatti, come il candidato, “superato” il concorso, avrebbe svolto il suo lavoro, in veste di pm o di giudicante. Interviene sulla vicenda anche Stefano Cavanna, avvocato ed ex componente del Csm: «Il procuratore Lo Voi ha evidenziato l’evento straordinario dell’errore nell’invio di sms, che ovviamente ha reso palese la situazione».
Continua Cavanna ai microfoni del Dubbio: «Quando facevo parte del Csm, aprii una pratica in Terza Commissione. Avevo letto sulla stampa e poi ricevetti le segnalazioni di alcuni candidati al concorso in magistratura. Riguardavano diversi casi di elaborati che si presentavano in maniera molto singolare. Per esempio scritti saltando una pagina, scritti sulle pagine solo pari».
Ci sono stati anche «elaborati scritti a mezza pagina. Tutte modalità di redazione che non sono consuete quando una persona scrive su un protocollo, sostenendo una prova d’esame. La mia iniziativa fece all’epoca un certo scalpore».
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Ma tutto finì su un binario morto. Aggiunge Cavanna: «Con l’apertura della pratica ci si soffermò sui poteri in capo al Csm, considerato che la materia è di competenza prettamente ministeriale. I togati presenti a Palazzo dei Marescialli apprezzarono la mia iniziativa. Riuscimmo a convocare il Presidente della commissione esaminatrice dell’epoca, il quale fu ascoltato e mandò alcune memorie».
In seguito «emerse una situazione che per un cittadino è molto curiosa, non così, però, per un giurista. Il presidente della commissione del concorso sostenne che vennero adottati alcuni criteri conformi alla giurisprudenza del Consiglio di Stato».
A questo punto, l’analisi si fa sempre più sconsolata. «Palazzo Spada ha rilevato che un compito, anche se scritto in maniera strana, non è riconoscibile, salvo che non abbia un contenuto e non abbia niente a che fare con l’oggetto dell’esame. Mi colpì un elaborato in cui venne annotata a margine una norma che non c’entrava niente. Quello fu ritenuto un segno di riconoscimento, perché esulava dalla traccia dell’esame».
«La giurisprudenza del Consiglio di Stato e del Tar mi sembra molto permissiva. E’ ovvio che se io scrivo un compito su una pagina sì e una no, oppure a metà pagina o iniziando quattro righe dopo, posso indicare al commissario di turno certi riferimenti per il riconoscimento dell’elaborato. Quanto emerse dalle verifiche che feci avviare mi indussero successivamente a mollare la presa».
«Il messaggio», conclude, «inviato a chi non doveva riceverlo, ha fatto emergere quanto abbiamo appreso in queste ore. Tutto il meccanismo, come possiamo ben notare, si trasferisce da un piano amministrativistico ad uno penalistico, con le discussioni che ne sono conseguite sull’abuso d’ufficio. Da ex consigliere del Csm, avendo già sollevato una questione analoga, purtroppo, non mi meraviglio di niente».
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