La discussione sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri si colloca al centro di un acceso dibattito politico e giuridico. Secondo Luciano Violante, in un’intervista al Corriere della sera di oggi, l’obiettivo della riforma non riguarda semplicemente l’amministrazione della giustizia, ma rappresenta un tentativo di riequilibrare i rapporti tra politica e magistratura. Tuttavia, la soluzione proposta comporta significativi rischi per le libertà dei cittadini.
Rischi di una nuova “corporazione giudiziaria”
La creazione di un Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) separato per i pubblici ministeri, distinto da quello dei giudici, potrebbe dar vita a una nuova corporazione giudiziaria autogestita e priva di controlli, una sorta di “superpolizia” con ampi poteri d’ingerenza nella vita privata e pubblica. Violante sottolinea come tale modello, sconosciuto ai paesi civili, possa minacciare diritti fondamentali come la reputazione, la privacy e la libertà personale.
Il confronto con Francia e Germania
Nel dibattito parlamentare si è spesso fatto riferimento ai modelli di Francia e Germania, dove le carriere sono separate. Tuttavia, in questi paesi i pubblici ministeri dipendono dal ministro della Giustizia e l’azione penale è discrezionale. Inoltre, il passaggio tra le funzioni di giudice e pm è considerato un valore aggiunto, diversamente da quanto previsto in Italia, dove sarebbe vietato.
Il rischio del “policentrismo anarchico”
Un altro aspetto critico riguarda l’assenza di vincoli gerarchici nelle Procure, che potrebbe portare a un policentrismo anarchico. “Avremmo 1.500 pm titolari della politica criminale del Paese, con modalità operative diverse da caso a caso,” avverte Violante. La recente circolare del CSM, che propone una gestione assembleare delle Procure, già solleva preoccupazioni per la parità di trattamento dei cittadini.
Riflessioni sul referendum
Violante invita a un ripensamento anche in vista di una possibile campagna referendaria, sottolineando il rischio che i cittadini non si esprimano su una legge, ma “pro o contro la magistratura”. Questo scenario potrebbe trasformare la giustizia in un campo di conflitto politico, con conseguenze difficilmente prevedibili.
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