18 Aprile 2025 - La sentenza

Rischia il carcere per falso in atto di nascita la madre coniugata che impedisce al marito i propri diritti

La Cassazione conferma: dichiarare di non essere sposata per dare al figlio il proprio cognome è reato, anche dopo la sentenza della Consulta sulla parità dei cognomi.

Dichiarare il falso all’anagrafe al momento della nascita di un figlio può costare caro, anche se si è in fase di divorzio e si invoca il diritto a trasmettere il proprio cognome. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15138, depositata il 16 aprile 2025, confermando la condanna – ai soli fini civili per intervenuta prescrizione – di una donna che aveva falsamente dichiarato di non essere sposata, omettendo informazioni sul padre del neonato e attribuendogli solo il proprio cognome.

Il caso riguarda una madre, legalmente ancora coniugata, che alla nascita del figlio aveva compilato il modulo destinato ai bambini “riconosciuti dalla sola madre naturale”, affermando di essere divorziata e di non avere più notizie del marito. Una dichiarazione che ha impedito al padre biologico di riconoscere il bambino per oltre tre anni, finché non è intervenuto il tribunale.

Secondo la Suprema Corte, la donna ha agito in maniera consapevole, violando il vincolo matrimoniale ancora in essere e impedendo al padre – che si era anche presentato all’ospedale per la registrazione – di esercitare i propri diritti. In questo comportamento, la Cassazione ha ravvisato una doppia falsità: l’inesistenza del divorzio e l’occultamento volontario della presenza del padre.

L’elemento centrale della sentenza riguarda l’irrilevanza, ai fini penali, della decisione della Corte costituzionale n. 131 del 2022, che ha riconosciuto il diritto dei genitori di scegliere liberamente il cognome del figlio. La Cassazione precisa che questa sentenza non legittima la madre a nascondere l’esistenza del matrimonio né a compiere dichiarazioni unilaterali sull’identità del figlio. Il cognome, infatti, può essere scelto congiuntamente dai genitori o attribuito secondo l’ordine da loro concordato. Diversamente, l’atto risulta irregolare e penalmente rilevante.

La V Sezione penale della Corte ha quindi rigettato i ricorsi difensivi, sottolineando che “alla nuova disciplina non può annettersi alcuna valenza scriminante” e che non sussistono i presupposti per prosciogliere l’imputata. In assenza della prescrizione, la pena prevista sarebbe stata tra 1 e 5 anni di reclusione.

Una pronuncia che fa chiarezza su un tema delicato, ribadendo i limiti entro cui possono esercitarsi i nuovi diritti in materia di filiazione e cognome, e richiamando al rispetto della verità nei rapporti con le istituzioni.


LEGGI ANCHE

Nuove imprese e studi professionali, incentivi legati alla formazione

Da 60 a 200 ore di corsi per accedere ai contributi di “Resto al Sud 2.0” e “Autoimpiego Centro Nord”. In campo 800 milioni di…

Avvocati di ieri e di oggi: com’è cambiata la professione nel corso del tempo?

L’avvocato è capace di adattarsi ai tempi che corrono: infatti, a differenza degli altri lavori che, con il trascorrere degli anni divengono obsoleti, l’attività del…

comunicato stampa

Giustizia; Scialla (OCF): “Nessuno tocchi le libertà degli avvocati impegnati nella difesa dei cittadini”

Organismo Congressuale Forense (OCF) COMUNICATO STAMPA GIUSTIZIA; SCIALLA (OCF): “NESSUNO TOCCHI LE LIBERTA’ DEGLI AVVOCATI IMPEGNATI NELLA DIFESA DEI CITTADINI”  Milano 4 luglio 2024 – Al…

TORNA ALLE NOTIZIE

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Acn
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto