La difesa può essere appassionata, decisa e persino dura nei toni, ma non deve mai scadere nell’insulto personale. A ricordarlo è il Consiglio Nazionale Forense, che con la sentenza n. 23/2025 ha sanzionato un avvocato per aver rivolto alla controparte espressioni gravemente offensive, tanto in sede verbale quanto negli atti difensivi.
La dialettica processuale ha dei limiti
Il principio riaffermato dal CNF è chiaro: la libertà di espressione del difensore, seppur ampia e protetta dal mandato professionale, incontra un limite invalicabile nella tutela della persona del contraddittore. È ammesso che nel confronto processuale possano emergere asprezze di linguaggio e toni accesi, purché essi rimangano confinati alla sfera oggettiva del dibattito e alle questioni strettamente processuali.
Quando, invece, il confronto degenera in attacchi personali, il confine della correttezza deontologica viene superato, e scatta la violazione dell’articolo 52 del Codice Deontologico Forense, che tutela il decoro e la dignità della professione.
Il caso: insulti personali in atti e udienza
Nella vicenda decisa dal CNF, un avvocato aveva apostrofato la controparte con una serie di pesanti epiteti: “sfrontato”, “farneticante”, “proclive a delinquere”, “spregiudicato”, “losca figura”, “arrogante malavitoso” e “malfattore che opera all’insegna del malaffare”. Espressioni gravemente lesive della dignità personale e professionale del soggetto destinatario, utilizzate tanto in udienza quanto nei propri scritti difensivi.
Il Consiglio Nazionale Forense, presieduto in funzione di presidente facente funzioni da Corona e con relatore Brienza, ha ritenuto che tali condotte non solo travalicassero i limiti della dialettica processuale, ma integrassero una violazione disciplinare da sanzionare.
Libertà di difesa sì, aggressione verbale no
La decisione richiama la necessità di mantenere la disputa processuale sul terreno delle argomentazioni giuridiche e dei fatti di causa. L’avvocato è certamente libero di usare anche un linguaggio incisivo e di esprimere valutazioni severe sul comportamento altrui, ma senza mai trasformare il processo in un’arena personale di aggressioni verbali.
Come ha sottolineato il CNF nella motivazione della sentenza, «la crudezza del linguaggio e l’asperità dei toni possono trovare ammissibilità quando limitate alle questioni dibattute e alle tesi contrapposte, ma divengono sanzionabili quando la diatriba assume un contenuto personale e soggettivo, lesivo della dignità del contraddittore e della professione forense».
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