La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha emesso una dura sentenza di condanna nei confronti dell’Italia per i ritardi nella gestione dei procedimenti penali sulla violenza domestica. La decisione, resa pubblica lo scorso 13 febbraio nel caso P.P. c. Italia (Ricorso n. 64066/19), evidenzia l’inefficacia delle indagini e il mancato rispetto delle garanzie procedurali per le vittime.
Secondo la Corte, le autorità italiane non hanno agito con la tempestività e la diligenza richieste, né hanno considerato la specificità della violenza domestica, violando così l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che vieta trattamenti inumani e degradanti.
Gli Stati membri – ricorda Strasburgo – hanno l’obbligo di reprimere efficacemente ogni forma di violenza domestica e di garantire alle vittime adeguate tutele procedurali. Tra queste, la gestione celere e attenta delle denunce, con particolare riguardo alla vulnerabilità fisica e psicologica delle persone coinvolte.
Nel caso esaminato, l’Italia non ha assicurato un’indagine approfondita e tempestiva, permettendo che il reato contestato si prescrivesse. La Corte ha dunque censurato il sistema giudiziario italiano, sottolineando come l’impunità degli aggressori sia inaccettabile e incompatibile con gli obblighi derivanti dall’art. 3 CEDU.
Per Strasburgo, la lotta alla violenza domestica deve essere una priorità assoluta: lo Stato ha il dovere di contrastare il senso di impunità degli aggressori e di preservare la fiducia dei cittadini nella giustizia, impedendo ogni forma di tolleranza o collusione con questi crimini.
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