9 Novembre 2022

Il programma Le Iene è responsabile di istigazione al suicidio?

Nell’epoca della digitalizzazione, capita sempre più spesso che le storie d’amore nascano nel mondo virtuale. Ci si incontra online, iniziando ad intrattenere dei rapporti che potrebbero evolversi in qualcosa di concreto e reale.

Ma non è sempre così: in molte situazioni, la persona con cui stiamo chattando non è chi crediamo che sia. Scoprire l’inganno, anche a distanza di anni, potrebbe innescare delle reazioni drammatiche, che portano ad esiti tragici.

Questo è quello che è successo a Daniele, un ventiquattrenne di Forlì, che nel 2021 ha deciso di uccidersi dopo aver scoperto che dietro alla sua fidanzata virtuale, Irene, si nascondeva un uomo di 64 anni, Roberto Zaccaria.  Oltre a spacciarsi per la ragazza, Zaccaria ha finto anche di essere un’amica di lei (Claudia) e suo fratello (Braim).

La famiglia del ragazzo ora chiede giustizia, perché convinta che il suicidio sia avvenuto a causa della truffa subita. La Procura, invece, ha richiesto l’archiviazione del caso.

Daniele scopre l’inganno

Daniele e Irene si sono scambiati più di 8mila messaggi nel corso di un anno. Parole dolci, progetti di vita insieme tra matrimonio e figli: tutto senza mai incontrarsi nel mondo reale.

Daniele credeva di stare insieme ad una ragazza bellissima di 20 anni. Ma dopo un po’ di ricerche online scopre che le foto della ragazza appartengono ad una modella di Roma. Quindi chiede subito spiegazioni alla fidanzata, che, colta in fragrante, non esita a metter un punto alla relazione.

Il 24enne capisce di essere stato ingannato per lungo tempo. Il mondo gli cade addosso, e decide di togliersi la vita il 21 settembre 2021, lasciando ai familiari una lettera d’addio.

Le Iene entrano in scena

La Procura di Forlì ha ritenuto Zaccaria colpevole del reato di sostituzione di persona, convertendo la condanna in sanzione pecuniaria di 825 euro e archiviando l’ipotesi secondo la quale la condotta dell’uomo avrebbe spinto il giovane al suicidio.

La decisione non è piaciuta alla famiglia di Daniele, che ha deciso di rivolgersi al programma Le Iene per avere più giustizia. Matteo Viviani, volto storico del programma, ha raggiunto il truffatore con le telecamere, per metterlo di fronte alle proprie responsabilità.

L’uomo, apparentemente turbato, ha risposto che «era uno scherzo, non volevo che finisse così». Una giustificazione che era già stata respinta dall’avvocata Sabrina Mancini, che rappresenta la famiglia di Daniele, che sottolinea come il ragazzo «gli aveva detto che voleva suicidarsi, ma a nostro parere l’indagato non ha fatto nulla per evitare questa tragedia».

La gogna mediatica

Matteo Viviani, nel servizio, ha posto delle domande parecchio pressanti a Zaccaria, che cercava di allontanarsi mentre spingeva la carrozzina dove sedeva la madre disabile.

Nel servizio delle Iene il volto di Zaccaria è stato oscurato, ma l’uomo è stato riconosciuto lo stesso. Il giorno dopo, infatti, a Forlimpopoli, città dove viveva Zaccaria, erano apparsi alcuni manifesti con il volto dell’uomo con scritto “Muori e vai all’inferno”.

L’uomo è stato contattato successivamente dal Resto del Carlino, dichiarando: «Sono stanco, mi stanno rovinando la vita». Zaccaria non ha retto alla gogna mediatica, e lo scorso 6 novembre ha deciso di uccidersi: è stato ritrovato morto nella sua casa, a causa di un mix letale di farmaci.

“Una tragedia nella tragedia”

Zaccaria, tramite l’avvocato Pier Paolo Benini, qualche giorno prima del suicidio aveva inviato una diffida a Mediaset per non mandare in onda il servizio. Per il legale, «dal programma si evince chiaramente malgrado i pixel del volto che molte immagini sono state mandate in onda senza il consenso di Roberto Zaccaria».

Non è la prima volta che il programma viene accusato di utilizzare metodi aggressivi e di sottoporre le persone alla gogna mediatica. Secondo il web, la responsabilità del suicidio è da attribuire a Le Iene, e sono in molti a chiedere che il programma venga cancellato.

Il programma ha replicato alle polemiche e alle accuse durante la trasmissione dell’8 novembre, che ha contato 1.228.00 telespettatori, con uno share del 9,5%. Viviani ha dichiarato: «Sicuramente continueremo a occuparci di catfishing perché imparare a riconoscere il problema è un passo per evitarlo».

Teo Mammucari, conduttore del programma, ha spiegato: «Una tragedia nella tragedia, sono giorni che non parliamo d’altro. Questo tema merita riflessioni profonde che continueremo a condividere con voi». Secondo il programma, altri ragazzi hanno avuto rapporti virtuali con “Irene”.

Viviani ha continuato: «Il catfishing è un fenomeno molto più ampio e pericoloso di quello che si può immaginare e le vittime sono sempre i soggetti più deboli, quelli che dovrebbero essere maggiormente tutelati. La domanda è: abbiamo gli strumenti per proteggere le persone più a rischio? Nel nostro ordinamento è previsto il reato di sostituzione di persona, ma siamo sicuri che sia sufficiente?».

Che cos’è il Catfish

Il termine Catfish (pesce-gatto) è stato utilizzato per la prima volta in un docufilm del 2010, diventato successivamente una serie tv/reality trasmessa in Italia su MTV, dove gli autori aiutavano le vittime a smascherare le reali identità che si nascondevano dietro ai profili falsi.

Navigando in Internet e chattando sui vari social network, occorre prestare molta attenzione a non imbattersi su profili falsi. Di solito, questi profili utilizzano nickname particolari, hanno poche informazioni personali e rendono discutibile la veridicità dell’account.

L’attivazione di un profilo falso potrebbe sembrare uno scherzo innocente, ma in realtà non sono pochi i casi in cui gli utenti denunciano di aver subito delle molestie da parte di soggetti che si nascondono dietro a false identità.

Reato di sostituzione di persona

Secondo Ansa, un account su tre è fake. Per la Cassazione «l’attivazione di un profilo fake è reato punibile con la reclusione fino ad un anno». Utilizzare questi profili significa realizzare reato di sostituzione di persona, come disciplinato dall’art. 494 del codice penale:

«Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno.»

Costituisce reato sia la creazione di profili falsi con immagini riferibili ad un’altra persona, sia l’attivazione di un profilo falso per molestare gli interlocutori.

I motivi del Catfish

Non si sanno ancora i motivi per cui Zaccaria si è finto Irene per più di un anno. Di solito, le persone scelgono questa strada per:

  • insicurezza: alcune persone si sentono “brutte”, o “non abbastanza brave”, e si sentono più a loro agio se usano immagini di altre persone, “attraenti” e “degne”;
  • malattie mentali: alcune forme di malattia mentale spingono una persona a provare ansia nel rivelare il proprio sé, creando un alter ego come unico modo per comunicare con gli altri;
  • estorsione di denaro;
  • vendetta, magari nei confronti di partner precedenti, per umiliarli o danneggiare la loro reputazione;
  • molestie: qualcuno crea più di un account falso, al fine di massimizzare l’impatto emotivo del catfishing;
  • esplorare le preferenze sessuali.

Le conseguenze psicologiche

Essere vittime di catfishing potrebbe rivelarsi estremamente dannoso per la salute mentale, soprattutto nei casi in cui si è investito molto nell’amicizia o nella relazione d’amore con la persona nascosta dietro il profilo fake.

Le vittime potrebbero trovare molte difficoltà nel fidarsi ancora di qualcuno, influenzando negativamente tutte le loro future relazioni personali e professionali.

Secondo il dottor Davide Algeri, psicologo e psicoterapeuta milanese, «cadere in queste trappole è facile perché tendiamo a fidarci delle persone, quando conosciamo qualcuno non stiamo a fare tante dietrologie. Ma quando una persona fa tante domande e racconta poco di sé tutta questa gratuità di attenzioni dovrebbe far accendere qualche spia».

Continua: «Un fattore di protezione può essere lavorare sulla propria autostima. La paura di rimanere soli, la tendenza a svalutarsi o costruire il proprio valore sul fare per gli altri sono tutte fragilità su cui i manipolatori possono fare leva. Prendersi cura di sé aiuta a rafforzare le proprie difese emotive, sia online che offline».

Vittima e carnefice

La vicenda de Le Iene ci dovrebbe spingere a soffermarci e a riflettere su ogni gesto, pensiero, o clic di tastiera, che nel web diventa un’arma di distrazione delle masse e di distruzione dei singoli.

Daniele e Roberto, vittima e carnefice, non hanno retto al peso dello stesso identico meccanismo perverso, seppur con ruoli diversi. Nella piazza virtuale tutti i drammi si fondono: sono lì, e ci richiedono il conto. Soprattutto quando divengono assolutamente reali.

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