Nuova precisazione sul fronte della rappresentanza legale nei procedimenti disciplinari. Con la sentenza n. 389/2024, pubblicata lo scorso 4 maggio, il Consiglio Nazionale Forense ha confermato che anche gli avvocati stabiliti — ovvero i legali provenienti da altri Paesi dell’Unione Europea che esercitano stabilmente in Italia con il proprio titolo professionale d’origine — devono ricorrere al CNF attraverso il patrocinio di un avvocato abilitato al foro di Cassazione.
La vicenda trae origine dal ricorso presentato da un avvocato stabilito contro una decisione disciplinare, firmato insieme al proprio difensore. Tuttavia, nessuno dei due risultava iscritto all’albo speciale degli avvocati abilitati al patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, determinando così l’inammissibilità del ricorso stesso.
Il Consiglio Nazionale Forense ha motivato la decisione facendo riferimento all’art. 8 del D.Lgs. n. 96/2001, che disciplina l’attività degli avvocati stabiliti nel nostro Paese, i quali possono esercitare attività difensiva soltanto congiuntamente a un avvocato italiano abilitato. E laddove il procedimento si svolga dinanzi a un organo di giurisdizione superiore o speciale — come nel caso del CNF — è necessario che tale patrocinio venga esercitato da un avvocato iscritto all’albo speciale per il patrocinio in Cassazione, in linea con quanto previsto anche dall’art. 613 del Codice di procedura civile.
Questa sentenza offre un chiarimento importante in materia di rappresentanza processuale e conferma l’attenzione del Consiglio nel garantire il rispetto delle procedure previste dall’ordinamento, soprattutto in ambiti delicati come i procedimenti disciplinari forensi. Un principio che rafforza l’importanza del ruolo degli avvocati cassazionisti nelle giurisdizioni superiori e il corretto esercizio della difesa tecnica anche per i professionisti comunitari operanti stabilmente in Italia.
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