La PEC diventa europea: quali saranno le conseguenze?

Ripassiamo insieme: che cos’è una PEC

La PEC è considerata alla pari di una raccomandata con ricevuta di ritorno. Funziona in modo molto simile alle caselle di posta elettronica tradizionali e non richiede l’utilizzo di dispositivi ad essa dedicati.

La PEC soddisfa i requisiti previsti dal Regolamento eIDAS per il servizio elettronico di recapito certificato (SERC). Non soddisfa, invece, i requisiti previsti per il servizio elettronico di recapito certificato qualificato (SERCQ).

Questo significa che ad oggi la PEC non è in grado di certificare l’identità del mittente e del destinatario. Inoltre, non essendo riconosciuta dai territori UE, attualmente ha validità legale soltanto nel territorio italiano.

La PEC nel mondo

Si cita spesso Hong Kong e il suo sistema e-Cert, anche se non è propriamente simile alla PEC, in quanto strumento di firma elettronica emesso dalle Poste di Hong Kong. IncaMail, invece, è un sistema svizzero lanciato nel 2017. Erogato dalle Poste Centrali svizzere, permette di certificare delle mail verso determinati destinatari. Infine, possiamo menzionare De-Mail, un progetto tedesco molto simile alla PEC italiana.

La soluzione italiana è stata del tutto trascurata in altri stati, che invece si affidano a dei portali che permettono la creazione di un account che attribuisce all’utente tutte le operazioni che avvengono dopo il login.

Necessità di un quadro giuridico per il riconoscimento transfrontaliero

In materia di servizi fiduciari per le transazioni elettroniche e di identificazione elettronica, il Regolamento (UE) n. 910/2014 del 23 luglio 2014 sottolinea l’essenzialità di un quadro giuridico che agevoli il riconoscimento transfrontaliero tra gli ordinamenti giuridici nazionali in materia di servizi elettronici di recapito certificato.

Questi servizi vogliono assicurare la trasmissione di dati fra terzi per via elettronica, fornendo prove dell’avvenuto invio e dell’avvenuta ricezione dei dati. Inoltre, proteggono i dati trasmessi dal rischio di furto, modifiche non autorizzate, danni o perdita.

La standardizzazione europea

AgID, con un comunicato che è stato diffuso il 27 giugno sostiene l’approvazione di uno standard ETSI (European Telecommunications Standards Institute) che mira all’interoperabilità delle firme digitali e dei sistemi REM (Registered Electronic Mail). Tra questi sistemi rientra anche la nostra PEC.

La spinta verso questo tipo di standardizzazione parte dal territorio italiano, proprio grazie ad AgID che ha cominciato a lavorare su tale standard già dal 2019. Il processo di adeguamento agli standard europei inizierà a settembre 2022 e si concluderà nel 2024. In questo periodo si dovranno definire i passaggi con i vari clienti e i partner.

Esportare la PEC al di fuori dell’Italia

Adottare uno standard è un passo significativo per far diventare la PEC interoperabile con tutti gli altri recapiti certificati europei e per aiutare ad esportare questo strumento italiano al di fuori del nostro paese.

Ma la strada è ancora lunga. Uno standard, infatti, rappresenta una proposta di legislazione: non impone alcun tipo di adozione.

Lo standard ETSI si basa sul modello italiano della PEC. La novità dello standard riguarda la proposta di un’interfaccia tecnologica condivisa (CSI) che potrebbe diventare la base per l’internazionalizzazione della PEC.

Questa interfaccia condivisa dovrebbe armonizzare i sistemi REM a livello nazionale. Inoltre, crea un sistema che garantisce una comunicazione registrata tra il mittente e il destinatario.

Lo standard suggerisce anche il quadro normativo minimo necessario al funzionamento della tecnologia REM, che ha bisogno di una disciplina uniforme anche dal punto di vista delle firme digitali e delle marche temporali che permettono il suo funzionamento.

Gli step necessari per adeguarsi agli standard europei

Il primo passaggio necessario per l’adeguamento agli standard europei è il riconoscimento dell’utente titolare di PEC. L’operazione potrà avvenire attraverso SPID, firma digitale, CIE 3.0, Tessera Sanitaria – Carta Nazionale dei Servizi, DVO con operatore – oppure direttamente di persona, recandosi agli sportelli autorizzati.

Il secondo step, invece, prevede l’attivazione dell’Autenticazione a due fattori (2FA) da parte di tutti gli utilizzatori, anche se non sono titolari della PEC.

L’Autenticazione a due fattori è obbligatoria per operare con la PEC a livello europeo; l’utente potrà accedere alla PEC utilizzando Username, password + OTP e notifica push di autorizzazione. Tuttavia, si potrà scegliere di disattivare l’opzione in qualsiasi momento.

Cosa succede se un avvocato non si adegua ai nuovi standard?

Il passaggio alla PEC europea sarà obbligatorio. Chi non si adegua alle nuove regole potrà semplicemente “consultare” la vecchia PEC. Nel caso in cui più utenti utilizzino la stessa PEC sarà possibile attivare la multiutenza: ogni utente dovrà utilizzare le sue credenziali e l’Autenticazione a due fattori.

In Europa, la PEC sarà valida dai primi mesi del 2024; tuttavia, siamo ancora in attesa del DPCM normativo. Nei prossimi mesi vedremo come si evolverà la questione, e soprattutto se ci saranno delle conseguenze per avvocati e professionisti.

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Comunicazione legale nel mondo digitale: gli errori da non commettere

Analisi della clientela e marketing dello Studio legale

Il business development e il marketing negli ultimi anni sono diventati molto più sofisticati. Anche gli studi legali cominciano a cimentarsi nelle ricerche di mercato e nell’analisi del tipo di marketing da analizzare. Si prendono in considerazione, per esempio:

  • i piani strategici, che possono essere annuali o di periodo;
  • i servizi ai clienti, nuovi o diversi;
  • le strategie di comunicazione e di promozione;
  • come utilizzare il sito e i social media;
  • la partecipazione ad award e ranking di settore.

Tuttavia, alcuni assiomi del marketing non cambiano mai: non c’è alcuna sofisticazione che tenga!

Concetti fondamentali

Mentre si comincia o ricomincia a compiere le dovute analisi per definire le strategie di business development da adottare, bisogna tenere ben presenti due concetti:

  1. tutti i ricavi dello studio provengono dagli attuali clienti;
  2. tutti i ricavi attuali provengono dai servizi legali che si erogano in questo momento.

Quindi, tutto comincia dall’attività e dai clienti che abbiamo oggi.

Di conseguenza possiamo constatare che i clienti tornano soltanto se sono soddisfatti e che i nuovi clienti arrivano soltanto se lo studio gode di buona reputazione (che spesso viene stabilita dai vecchi clienti).

Come arrivano i clienti di oggi?

Comprendere come arrivano gli attuali clienti sottolinea il comportamento dei singoli avvocati o dei gruppi di lavoro. Vengono chiarite le dinamiche esistenti e le caratteristiche dello studio che i clienti percepiscono dall’esterno.

Infatti, non è raro che la percezione del cliente sia decisamente diversa dalle aspettative degli avvocati. Ottenere dei feedback e delle opinioni da parte dei clienti è molto importante per lo Studio per formare delle strategie di marketing.

Misurare e conoscere il modo in cui arrivano i clienti è un passaggio decisivo per riuscire a valutare se la comunicazione e il marketing adottati hanno prodotto i risultati sperati. Questa analisi è finalizzata all’identificazione delle fonti dalle quali provengono i clienti, sui referral sui quale possiamo fare affidamento e su quali sono gli avvocati maggiormente portati per le relazioni e il new business.

Relazioni di successo con i clienti

Dopo l’analisi della base dei clienti attuali e dei servizi attualmente erogati dallo studio, possiamo cominciare a valutare se esiste la necessità di espandere, aumentare o diversificare i servizi dello studio e degli avvocati. Oppure, se c’è necessità di aumentare il numero dei clienti.

Tramite un’analisi attenta del portafoglio e del successo (o dell’insuccesso) nel processo di costruzione dei rapporti di lunga durata con i clienti, si possono individuare dei fattori che conducono alla costruzione delle relazioni di successo con i clienti. Lo scopo è quello di concentrarsi sulle attività di comunicazione e marketing che funzionano concretamente.

Database della clientela

Il cuore dell’analisi della clientela comprende una consistente base di dati. Un tempo si utilizzava il Repertorio dell’avvocato, mentre ora troviamo il Database della Clientela, che si trova nella maggior parte dei software gestionali degli studi.

Se invece lo studio non è dotato del Database, dovremo costruirlo con un apposito sistema per estrarre i dati tramite chiavi di ricerca. Per essere funzionale al marketing dello studio, il database dovrà indentificare:

  • la provenienza del cliente – da dove arriva, chi l’ha portato;
  • la fedeltà del cliente – quante volte si è rivolto allo studio;
  • la tipologia di cliente – privato, imprenditore, ente, azienda, ecc;
  • la dimensione – nel caso di enti e aziende.

Suddividere i clienti per cluster

Lo scopo principale dell’analisi della clientela è valutare i punti di forza dello studio e adottare le relative strategie di rafforzamento.

I clienti devono essere divisi per cluster o segmenti, quindi fatti rientrare in una categoria che lo studio dovrà predeterminare. Si dovrà assegnare a ciascun cluster la tipologia di lavoro fornita dallo studio. In questo modo la mappa consentirà di comprendere verso quali clienti i servizi si sono rivelati maggiormente efficaci e redditizi (e viceversa).

I cluster forniscono i numeri effettivi delle persone, rendendo più semplice il percorso di valutazione. Per esempio: nel primo anno di analisi, le giovani donne che hanno chiesto assistenza per separazione giudiziale erano cinque, mentre l’anno successivo sono raddoppiate. Dunque, la strategia adottata per quel singolo cluster si è rivelata efficace e dovrebbe essere sfruttata.

Mentre gli uomini sono diminuiti: la colpa potrebbe essere della reputazione dello studio, che viene visto come un punto di riferimento per le donne in ambito di controversie familiari.

Dalle varie riflessioni nasceranno spunti utili per l’individuazione degli obiettivi strategici, come aumentare la clientela, disfarsi di altra clientela oppure concentrarsi su un cluster particolare.

Senza dati siamo soltanto persone con opinioni. I risultati che si ottengono attraverso l’analisi possono identificare con estrema precisione i punti di forza e i servizi da rinnovare o diversificare.

Comunicazione legale nel mondo digitale: gli errori da non commettere

La comunicazione legale non segue regole scientifiche, ma non è nemmeno un territorio selvaggio dove ogni cosa è concessa.

Alcuni episodi hanno acceso un grosso dibattito circa l’utilizzo dei social network da parte degli avvocati. Spesso, gli errori di qualcuno ricadono interamente sulle spalle di chi, invece, “si comporta bene”.

Dignità, moralità e decoro rappresentano le basi della deontologia forense e tutelano la percezione di fiducia che le persone hanno nei confronti della figura dell’avvocato.

L’avvocato ha il dovere di comportarsi in maniera leale e corretta in qualsiasi situazione – lavorativa o privata. Dunque, anche nel mondo digitale bisogna  rispettare queste basi.

Lo Studio italiano dell’anno

Possiamo trarre alcuni spunti di riflessione da uno di questi episodi, per capire che cosa non si deve mai fare nel campo della comunicazione legale.

Un importante Studio milanese, specializzato nel diritto del lavoro, ha ricevuto il premio «Studio italiano dell’anno nel settore del diritto del lavoro».

Chi conosce i meccanismi segreti di questi “award”, sa benissimo che vengono conferiti da una giuria che segue determinati criteri, come il valore e l’importanza delle operazioni e dei processi di cui si sono occupati e dal gradimento che hanno espresso i clienti.

La candidatura poggia sulle operazioni maggiormente rilevanti che lo Studio ha seguito nel corso dell’anno.

Gli award nel mondo legale

Ricerche, premi e survey per avvocati e Studi legali si sono letteralmente moltiplicati negli ultimi anni. Ma non tutti hanno lo stesso valore reputazionale, statistico e scientifico. Importati dagli States ed esportati in Inghilterra, i primi Legal Awards sono apparsi in Italia nel 2006.

Un premio offre un’opportunità preziosissima di comunicazione per lo Studio. Se ben sfruttata, potrebbe migliorare l’opinione dei clienti e dei potenziali contatti.

Non sono sempre chiari i criteri che vengono utilizzati dagli organizzatori per decidere e distribuire i premi. Non sono nemmeno così trasparenti le composizioni delle giurie e i meccanismi di voto. Ma nonostante queste opacità, gli Studi decidono comunque di investire delle cifre parecchio importanti nelle serate di gala, nella speranza di ricevere i premi.

Tutti gli Studi che attirano l’attenzione di case editrici e riviste vengono contattati per essere convinti a inviare la propria candidatura per una o più categorie e indicare i migliori successi nel proprio settore.

Errori che compromettono la reputazione dello Studio

Lo Studio milanese sopracitato ha deciso di pubblicare su LinkedIn un post per esprimere la soddisfazione per il premio appena ricevuto. Nulla di male, giusto?

Tuttavia, si legge nel post:

«Stimato per la proattività e la lungimiranza con cui affianca i clienti. Come nell’assistenza a […] per la chiusura dello stabilimento fiorentino e l’esubero di circa 430 dipendenti. Lavoro di #squadra, #passione e #dedizione, questi i valori nei quali crediamo e che ci spingono a voler raggiungere traguardi sempre più alti».

L’uscita non è passata affatto inosservata, suscitando moltissime critiche anche a livello di stampa nazionale. Anche i sindaci del comune e del capoluogo interessati hanno sottolineato la mancanza di tatto del post in questione. Inoltre, il licenziamento collettivo di cui lo studio si è vantato nel post, nel frattempo è stato annullato dalla magistratura.

Comunicazione e deontologia forense

L’attenzione si è focalizzata sulle espressioni utilizzate, come quel “circa” in riferimento ai lavoratori che sono stati licenziati e l’entusiasmo inappropriato nei confronti di un evento parecchio delicato.

Inoltre, si è parlato molto di deontologia forense. È proprio il Codice Deontologico Forense a vietare espressamente di «indicare il nominativo dei propri clienti o parti assistite, ancorché questi vi consentano».

Dopo le polemiche il post è stato prontamente rimosso da tutti i social dove era stato pubblicato e il sito dello Studio è stato oscurato.

Breve elenco degli errori commessi

Facciamo un breve recap degli errori che ha commesso lo Studio in questione:

  • aver utilizzato un tono eccessivamente trionfalistico e autocelebrativo;
  • la menzione al nome del cliente;
  • aver gioito per il licenziamento di tantissimi lavoratori;
  • rivendicare il successo di una causa persa;
  • l’utilizzo generale della lingua italiana;
  • hashtag non significativi a livello di indicizzazione del post.

Come sistemare la situazione?

La reputazione è l’opinione che hanno gli altri dello Studio, del leader e dei componenti, delle qualità professionali ma anche personali.

Non c’è assolutamente nulla di male, dunque, nel rendere note le competenze e i successi professionali. Ma l’opinione da parte degli altri deve migliorare, non essere compromessa.

Tutti si chiedono come si possa sistemare la situazione nel momento in cui vengono commessi errori da parte dello Studio legale. La regola principale da mettere in atto quando avvengono crisi a livello comunicativo è quella di dire il vero e dirlo per primi!

Se l’evento imbarazzante o la notizia negativa vengono commentati da terzi, ovviamente assisteremo ad un peggioramento della percezione dello Studio. L’onestà e l’osservanza della deontologia potrebbero benissimo emergere da un articolo finalizzato al chiarimento di quanto accaduto.

Lo Studio non ha responsabilità o possibilità di incidere sulla volontà del cliente di licenziare i lavoratori, ma può e deve fare il suo lavoro, rispettando la scelta e la dignità dei lavoratori che si troveranno a vivere una situazione spiacevole.

Per concludere

Se abbandoniamo e oscuriamo i social, dimostriamo che non abbiamo la minima idea di come gestire la situazione. Ma soprattutto che non disponiamo di argomenti validi per la difesa della nostra immagine. Bisognerebbe prendere atto dell’errore commesso e scusarsi pubblicamente!

Lasciarsi andare ad un facile vittimismo per tutti gli attacchi ricevuti non è una buona soluzione. Prendiamo come riferimento questa vicenda per capire che la presenza di un brand online non può essere una cosa improvvisata.

Se si vuole stare nel web è necessario affidarsi a dei professionisti della comunicazione per elaborare una strategia di comunicazione efficace, che prevede anche la gestione di un’eventuale crisi.

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Cambiare avvocato durante la pratica forense: si può?

Time management: strategie per gestire il tempo in maniera ottimale

 

Cambiare avvocato durante la pratica forense: si può?

Sei uno studente di giurisprudenza e il tuo sogno, sin da bambino, è quello di diventare un bravissimo avvocato. Sei cresciuto a suon di film americani con l’affascinante figura del professionista che difende a tutti i costi il suo cliente.

Per non parlare di Perry Mason: è il tuo mito assoluto! Odi le ingiustizie e gli abusi, infatti vorresti assomigliare a lui. Ti stai impegnando tantissimo nel tuo percorso di studi e ora stai per cominciare il tirocinio. Devi trovare un avvocato che contribuisca alla tua formazione e che ti insegni i segreti del mestiere.

Ma non mancano i dubbi: e se la tua scelta fosse sbagliata? E se non ti trovassi bene all’interno dello Studio? Durante la pratica forense esiste la possibilità di cambiare avvocato?

La pratica forense

Nel momento in cui decidi di iscriverti a giurisprudenza, sai benissimo che subito dopo la laurea non avrai automaticamente il titolo di avvocato. Per riuscire ad esercitare la professione, infatti, dovrai svolgere obbligatoriamente un periodo di tirocinio in uno studio legale disposto ad accoglierti.

Questo periodo di formazione è la pratica forense, che negli ultimi anni è divenuta oggetto di interessanti modifiche. Ovviamente, come ben sai, dopo il tirocinio ci sarà l’esame di Stato che ti permetterà di iniziare ad esercitare.

Accedere al tirocinio professionale

All’inizio, per accedere all’esame di abilitazione alla professione legale, bisognava svolgere un periodo di pratica di almeno due anni. Ma nel 2012 è arrivata la riforma dell’ordinamento forense.

Si è deciso di adottare una legge specifica per indicare i compiti che deve svolgere il praticante. Al termine del suo percorso di studi, quest’ultimo dovrà presentare al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati una domanda d’iscrizione all’interno del registro dei praticanti.

La richiesta verrà esaminata dai consiglieri durante la prima seduta utile. Se l’esito dell’istanza sarà positivo, l’aspirante avvocato comincerà una formazione che porterà all’acquisizione:

  • delle capacità necessarie per riuscire ad esercitare la professione;
  • delle conoscenze fondamentali per la gestione di uno Studio legale;
  • dell’etica e della deontologia del settore.

 Ad oggi, il tirocinio deve essere svolto per almeno 18 mesi. Se ci sarà un’interruzione per più di sei mesi senza una giustificazione, ciò comporterà la cancellazione del tirocinante dal registro dei praticanti.

Ovviamente sarà possibile richiedere di nuovo l’iscrizione.

Diritti e doveri del praticante

Subito dopo i primi sei mesi di pratica, l’aspirante avvocato potrà esercitare la propria attività sostituendosi all’avvocato presso il quale sta svolgendo il tirocinio. In questi casi il lavoro del praticante si limiterà alle materie di competenza del giudice di pace e del tribunale per le cause civile, mentre per le cause penali alle materie contravvenzionali.

L’attività del praticante, in entrambe le circostanze, viene svolta sotto la responsabilità dell’avvocato presso lo studio in cui svolge il tirocinio. Nel suo periodo di formazione, il tirocinante dovrà osservare le stesse regole deontologiche degli avvocati. Inoltre, è sottoposto anche al potere disciplinare del consiglio dell’Ordine.

Il praticante non potrà pretendere una retribuzione per l’attività che svolge. Dunque, la pratica forense non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato. Tuttavia, ha diritto ad un rimborso per tutte le spese sostenute per conto dell’avvocato formatore.

Dopo aver concluso i diciotto mesi di tirocinio, l’aspirante avvocato avrà diritto al rilascio del certificato che riconosce l’attività svolta. Questo documento è indispensabile per accedere all’esame di abilitazione per l’esercizio della professione legale.

Il dominus

La pratica forense deve essere svolta nello studio di un avvocato abilitato all’accoglienza dei tirocinanti. Nel gergo comune, questo professionista prende il nome di dominus (signore).

Il tirocinio, secondo le disposizioni di legge, può essere svolto:

  • presso un avvocato iscritto all’albo da almeno 5 anni;
  • presso l’Avvocatura dello Stato/ufficio legale di un ente pubblico/ufficio giudiziario per non più di 12 mesi;
  • presso professionisti legali di un altro Paese dell’UE per non più di 6 mesi;
  • presso l’Università per non più di 6 mesi.

Il dominus ha degli obblighi da rispettare. Non può accettare (salvo diversa autorizzazione del Consiglio dell’Ordine) più di tre praticanti contemporaneamente. Deve verificare costantemente, inoltre, che il tirocinio venga svolto in modo dignitoso e proficuo.

Scegliere il dominus o il tirocinante è un discorso molto soggettivo. In certi casi lo studio legale potrebbe decidere di aprire le selezioni, in altri è direttamente il neolaureato a chiedere all’avvocato di accoglierlo nel suo Studio. Altre volte, invece, si procede grazie ad amicizie e conoscenze personali.

Ma quindi, posso cambiare avvocato durante il tirocinio sì o no?

Per un praticante, la scelta del dominus è una cosa fondamentale. Come tutti i legali ben sanno, il futuro professionale del tirocinante è condizionato dal formatore. Infatti, il dominus plasma il modo di esercitare la professione e la relazione con tutti gli altri soggetti del settore – come cancellieri, magistrati, colleghi, corpo di polizia, ecc.

Il ricordo del dominus sarà un ricordo nostalgico che accompagnerà il futuro avvocato per tutta la vita… ma non sono rari i casi in cui tra avvocato e praticante ci sono molti conflitti. Infatti, alcune divergenze possono condurre a rotture insanabili.

Ma cosa si può fare, in questi casi? Possiamo cambiare dominus o dobbiamo sopportare litigi e malumori? Per rispondere a questa domanda, possiamo prendere come punto di riferimento la legge di riforma dell’ordinamento forense del 2012.

Esiste la possibilità, per il praticante, di spostarsi da uno studio legale all’altro. Anzi, in alcuni casi è ammessa anche la possibilità di svolgere la formazione presso due studi legali differenti (magari uno specializzato in diritto penale e uno in diritto civile).

L’autorizzazione al trasferimento

La sostituzione del dominus deve essere fatta con un giustificato motivo. La motivazione proposta dal praticante deve essere valuta dall’Ordine degli Avvocati, che autorizzerà il trasferimento.

Nel momento in cui i Consiglieri valutano in modo positivo la richiesta di cambiamento rilasciano anche un certificato che attesta che il periodo di tirocinio è stato compiuto regolarmente. Grazie al documento sarà possibile iscriversi al Consiglio dell’ordine del nuovo luogo in cui si vuole proseguire le pratica forense.

La procedura sarà ancora più semplice se il praticante vuole trasferirsi in uno Studio che opera nello stesso Foro di provenienza. In tal caso, sarà sufficiente richiedere l’autorizzazione al cambiamento direttamente al proprio ente di appartenenza.

 

time management

Time management: strategie per gestire il tempo in maniera ottimale

Gestione del tempo, tabella di marcia: chiamalo come vuoi, ma il time management è la soluzione migliore per conciliare vita privata e lavoro. Ogni cosa ha il suo tempo, certo, ma la pianificazione della propria attività non può prescindere dal time management.

Vediamo insieme come ottimizzare il proprio tempo partendo dalla pianificazione quotidiana del lavoro.

Pianificare al meglio le proprie attività

Il Time Management riguarda tutte le strategie che servono a pianificare nel modo migliore il tempo per eseguire delle attività – legate o meno alla propria professione.

Per alcuni la gestione del tempo è una passeggiata. Per altri, invece, è un ostacolo insuperabile. Niente paura: esistono delle strategie finalizzate al miglioramento dall’amministrazione del proprio tempo.

Time management inconsapevole

Hai mai utilizzato dei promemoria sul cellulare per ricordare che alle 17 hai un appuntamento nel tuo studio legale? Anche se non te ne accorgi, pratichi spessissimo il time management! Anche quando scrivi che il giorno X alle ore Y hai un’udienza importantissima. Forse hai anche attaccato un post-it nella tua agenda che ti ricorda di studiare alla perfezione le ultime pronunce della Cassazione, per difendere al meglio il tuo assistito.

Ogni mattina la sveglia suona alle 7 e raggiungi lo Studio alle 9. Prepari nella tua 24 ore tutti i fascicoli delle cause del giorno. Magari anticipi la partenza da casa di 15 minuti per fare colazione con un collega al bar. Durante la pausa pranzo andrai a mangiare sushi con i soci dello studio, mentre nel pomeriggio dedicherai la tua ora libera alla preparazione degli atti giudiziari da inoltrare telematicamente.

Ma non è finita qui: alla sera studierai i documenti, ma solo dopo aver mangiato di fretta un boccone e magari aver finito di guardare l’ultima puntata della tua serie tv preferita. Anche se sarai talmente stanco che i tuoi occhi si chiuderanno dalla stanchezza, hai comunque programmato un caffè per cercare di non sprecare il tempo.

Prima di andare a dormire, programmerai la sveglia sul telefono sempre alle 7 del mattino. Tutto questo è pure time management!

Organizzare il proprio tempo: fondamentale per qualsiasi lavoro

Il time management potrebbe rivelarsi fondamentale in alcuni casi, soprattutto se parliamo di lavoro. Parecchi esperti del settore propongono delle tecniche di gestione del tempo, per migliorare la produttività della persona.

Vorresti destreggiarti meglio fra appuntamenti e doveri per risparmiare tempo e magari dedicarti ad altre attività? Al posto di perderti nello studio delle ultime sentenze per riuscire a trovare tutte le informazioni utili per il tuo caso, potresti dedicarti ad un cliente importante, la cui vittoria rappresenterebbe un grosso valore aggiunto per il tuo Studio.

Questo esempio semplice è utile per farti capire lo scopo della gestione del tempo. Il time management dovrebbe avere ripercussioni positive sulla tua carriera, sul nome dello Studio e sui guadagni.

Tutti vogliono lavorare in uno Studio importante

Il livello più semplice di time management è quello che prevede l’utilizzo di app, agende e device, mentre quello più complesso consente di pianificare l’attività nel mediolungo periodo. Ci si basa sugli obiettivi da raggiungere, sulle priorità, sulle strategie e sugli strumenti da adottare per ottimizzare il proprio lavoro.

In ambito legale, il time management ha molta importanza in virtù delle tempistiche processuali degli avvocati. Spesso, un professionista finisce per diventare succube dei tempi eccessivamente lunghi prima della pronuncia definitiva della causa.

Nel frattempo, accumula lavoro, assiste altri clienti e cerca di utilizzare il tempo per migliorare i guadagni, ma soprattutto sé stesso. Uno studio legale che funziona non è soltanto proficuo per il professionista, ma gioverà anche alla carriera di chiunque avrà l’opportunità di collaborarci.

Dunque, uno studio legale rinomato attira anche i migliori futuri avvocati e clienti importanti! Il lavoro non sarà una semplice professione, ma una continua avventura di cui sarà difficile stancarsi.

Varie tecniche di time management

Ad oggi esistono tantissime tecniche di time management. Basta cercare online per scoprire le strategie di gestione del tempo. Di solito i coach insegnano le proprie tecniche tenendo sempre conto delle necessità delle persone.

Le tecniche degli esperti variano sulla base di alcuni fattori:

  • capacità di amministrazione del tempo;
  • raggiungimento degli obiettivi;
  • tipo di attività;
  • risorse di cui si dispone.

Non esiste un modello universale di time management, dipende dagli scopi: alcuni lo utilizzano per migliorare la concentrazione, altri per riuscire a memorizzare tanti concetti in un tempo breve, altri ancora per trovare velocemente le soluzioni migliori.

Pomodoro technique

Una delle tecniche maggiormente gettonate è sempre quella del pomodoro. Di solito questa tecnica viene utilizzare per studiare, a livello scolastico/accademico (ma anche in campo lavorativo).

È un metodo di gestione del tempo ideato da uno sviluppatore di software e imprenditore italiano. Il nome deriva dai timer a forma di pomodoro che si utilizzano in cucina per sorvegliare i tempi di cottura.

La tecnica prevede:

  • la scelta di un’attività da portare a termine, magari una noiosa, che si tende a rimandare;
  • impostare il timer a 25 minuti;
  • eliminare ogni distrazione e concentrarsi sull’attività fino al suono del timer;
  • prendersi una pausa di 5 minuti;
  • dopo 4 “pomodori”, le pause si devono allungare di 15-30 minuti.

Altri metodi utili

Un’altra tecnica è quella di dedicare 5 minuti al mattino per organizzare tutto il lavoro da svolgere durante la giornata. In molti, però, preferiscono svolgere questa attività alla sera, prima di andare a dormire. Sempre secondo alcuni, questo aiuta a conciliare il sonno. La pianificazione della giornata viene fatta sull’agenda, mentre segniamo gli appuntamenti più importanti.

Un’altra tecnica ancora è l’applicazione dei principi di Pareto (regola dell’80/20) ai compiti da svolgere in un determinato arco temporale. In questo modo si riesce a prediligere impegni che richiedono molto tempo, ma che permettono di ottenere maggior produttività. È un metodo difficile da utilizzare, poiché spesso riteniamo importante un’attività che potrebbe essere poco utile.

Il metodo Eisenhower, invece, prevede prima lo svolgimento delle attività più importanti e urgenti e poi lo svolgimento di attività altrettanto importanti ma meno urgenti. Anche qui incontriamo le stesse difficoltà del metodo precedente. Per questo motivo è sempre necessario uno sforzo in più e l’analisi obiettiva delle priorità.

Gestire il “tempo legale”

L’avvocato che desidera gestire nel modo migliore il proprio tempo può fare affidamento alle tecniche che abbiamo appena visto.

Per esempio: ti trovi nel bel mezzo dello studio di una causa difficilissima? Pomodoro technique. Ti prende il panico perché non sai da dove cominciare? Utilizza 5 minuti prima di andare a dormire per pianificare la giornata. Troppi impegni? Svolgi la sera prima quelli più impegnativi ma che generano maggior profitto.

Ma come fare se tutti i lavori sembrano prioritari? Osservati dall’esterno per valutare le tue attività. Fai finta di essere un’altra persona che ti osserva e che individua le cose più importanti che dovresti svolgere.

Delega e collaborazione

Oltre a stabilire obiettivi e priorità dovrai servirti della delega e della collaborazione. Una parte del tuo lavoro, infatti, potrebbe essere affidato a collaboratori o assistenti.

Tanti professionisti, come commercialisti, amministratori e manager utilizzano la delega per ottimizzare il proprio tempo. L’importante è rivolgersi a persone fidate e in gamba!

E tu, che esperienza hai con il time management? Hai già trovato la soluzione ideale per gestire il tuo tempo? Faccelo sapere nei commenti!

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È arrivata una segnalazione da parte delle Cancellerie Civili di un malfunzionamento del dominio giustizia. In particolar modo per quanto riguarda la possibilità di vedere e accettare in SICID gli atti depositati dagli Avvocati

 

È stato segnalato dalle Cancellerie Civili un malfunzionamento del dominio giustizia, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di vedere ed accettare in SICID gli atti depositati dagli Avvocati.

Per questo motivo tutti gli Avvocati che riscontrino difficoltà nel deposito telematico degli atti sono autorizzati al deposito cartaceo degli atti del processo (introduttivi, costituzioni etc.) nonché ai pagamenti del c.u. e delle altre marche tramite lottomatica, sino alla ripresa del funzionamento regolare del dominio giustizia.

Sono autorizzati anche al libero accesso al Tribunale negli orari di apertura delle Cancellerie per il deposito degli atti.

Clicca qui per leggere il Comunicato del Presidente del Tribunale Ordinario di Venezia.

 

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Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze n.55 dell’11 marzo 2022 «recante disposizioni in materia di comunicazione, accesso e consultazione dei dati e delle informazioni relative alla titolarità effettiva di imprese dotate di personalità giuridica, di persone giuridiche private, di trust produttivi di effetti giuridici rilevanti ai fini fiscali e di istituti giuridici affini al trust»

Il DM 55/2022, pubblicato il 25 maggio 2022 sulla Gazzetta Ufficiale, pone a carico di una vasta platea di soggetti l’attuazione di alcune importanti operazioni finalizzate alla trasparenza degli assetti proprietari, come previsto dal Codice Antiriciclaggio. Alla base del provvedimento troviamo il concetto di “titolarità effettiva”, che è l’oggetto di una nuova comunicazione obbligatoria, che dovrà avvenire per via telematica con la firma digitale.

Lo scopo è quello di tenere un registro delle persone fisiche beneficiarie dell’attività d’impresa. Parliamo quindi di una manovra antiriciclaggio, che aiuta a trovare le imprese che cercano di nascondere la loro reale titolarità, diventando aziende di comodo che nascondono i beneficiari effettivi degli introiti.

Come si definisce il titolare effettivo

Ma chi è il “titolare effettivo”? È la persona fisica (o le persone fisiche) che controlla o possiede il cliente. Parliamo della persona fisica per la quale viene realizzata un’attività o un’operazione. I criteri in gioco vengono specificati nell’allegato tecnico del decreto.

Nel caso di entità giuridica, sono le persone fisiche che controllano o possiedono tale entità e che di conseguenza ne risultano beneficiari.

Comunicare il titolare effettivo con la firma digitale

Comunicare la titolarità effettiva è un’operazione che deve essere effettuata entro 30 giorni dal compimento dell’atto che dà origine ad un’eventuale variazione. «Gli stessi soggetti comunicano annualmente la conferma dei dati e delle loro informazioni, entro dodici mesi dalla data della prima comunicazione o dell’ultima comunicazione della loro variazione o dall’ultima conferma».

Per trasmettere la comunicazione si può utilizzare il sistema Depositi e Istanze Registro Imprese (DIRE). Per utilizzare questo sistema bisogna essere in possesso di: firma digitale, PEC e Utenza Telemaco (anche tramite SPID). In questo modo si può portare avanti l’adempimento delle variazioni di indirizzo di sede, i rinnovi delle camere amministrative, trasferimenti d’azienda e molto altro ancora.

Se l’obbligo di comunicazione viene dimenticato o aggirato, la Camera di Commercio deve constatare la violazione attraverso sanzioni che arrivano ad un massimo di 1.032,00 euro. La sanzione potrebbe essere ridotta di un terzo della somma nel caso in cui «la denuncia, la comunicazione e il deposito avvengano nei trenta giorni successivi alla scadenza dei termini prescritti».

Combattere l’evasione

L’obiettivo è mantenere ben saldo il controllo sul rapporto tra società e privati, evitando che le ultime diventino veicolo di evasione e di occultamento di denaro che potrebbe alimentare i fondi per terrorismo e malaffari.

È un escamotage burocratico che ha nobili finalità. L’esecuzione è facilitata dal fatto che una semplice firma digitale consente l’identificazione del dichiarante da remoto, senza dover effettuare l’operazione in presenza.

Da quest’aspetto possiamo notare l’importanza della transizione digitale all’interno del nostro Paese, che da decenni è intrappolato nelle ragnatele della burocrazia. Negli strumenti dell’innovazione digitale possiamo osservare un bagliore di crescita ed emancipazione.

Ma che cos’è la firma digitale?

La firma digitale è il miglior sistema per firmare documenti online in tutta tranquillità e sicurezza. Equivale ad una firma cartacea, ed è attualmente l’unica tipologia di firma elettronica che possiede questa peculiarità.

Un documento con firma digitale ha valenza legale se rispetta tre caratteristiche:

  • autenticità, che garantisce l’identità del soggetto;
  • integrità, che assicura che il documento non ha subito modifiche;
  • non ripudio, ovvero il disconoscimento della firma.

Tutti i punti precedenti possono essere ottenuti facilmente mentre si firma un documento cartaceo. Nella firma digitale, però, il rischio di truffe e frodi è molto più alto. Non basterà utilizzare soltanto un pennino elettronico, oppure apporre la foto della firma per rendere un documento legalmente autentico.

Varie tipologie di firma elettronica

La firma elettronica che tutti conoscono è quella che si fa con un pennino elettronico touch, per esempio, quando si ritira un pacco.

Quando firmiamo con un pennino elettronico la firma non ci risulta molto simile alla nostra. Infatti, questa ha valore legale soltanto attraverso un giudice, in quanto non dispone di criteri di valutazione di autenticità. In caso di disputa legale si rende necessaria una perizia calligrafica per riconoscere l’autenticità della firma.

La firma elettronica avanzata, invece, ha valore legale, perché consente di firmare con strumenti in grado di dimostrare l’autenticità dell’identità dell’individuo. Questa firma si può utilizzare, per esempio, per acquistare un dispositivo elettronico, ma non per un contratto immobiliare. Infatti, non possiede tutti i tre principi che abbiamo elencato.

La firma elettronica qualificata, invece, è un tipo di firma elettronica che unisce la firma elettronica avanzata ad un sistema asimmetrico di chiavi a coppia: una privata e una pubblica.

Quella privata consente al titolare di verificare correttamente l’autenticità e la provenienza del documento e quella pubblica esegue la verifica per il destinatario. Questa firma, dunque, garantisce autenticità e inalterabilità delle informazioni.

La firma digitale rispetta i tre punti sopracitati soltanto grazie ad un ente esterno che attesta la firma e la rende identica ad ogni sottoscrizione digitale.

Hai già provato la nostra firma elettronica? Dai un’occhiata cliccando qui 🙂

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Studi legali e digitalizzazione: a che punto siamo?

Avvocati e stress: approcciarsi alla meditazione

 

digitalizzazione studi legali

Studi legali e digitalizzazione: a che punto siamo?

Tutti gli Studi legali gestiscono un grande numero di informazioni, spesso sensibili, come dati particolari o giudiziari dei clienti. Oppure prototipi, contratti e strategie di business. La sicurezza del patrimonio informativo dello Studio legale è un’esigenza prioritaria per l’avvocato, poiché è tenuto a rispettare la segretezza e la riservatezza.

Negli ultimi due anni la professione legale è stata protagonista di un cambiamento strutturale – ma inevitabile. La digitalizzazione, infatti, ha cambiato radicalmente il modo di lavorare degli avvocati. Non soltanto per quanto riguarda gli strumenti operativi, ma anche nel rapporto con i clienti.

In questo processo di evoluzione, la tecnologia è diventata uno strumento indispensabile per proseguire con la propria attività. Tuttavia, il mondo tecnologico richiede un altissimo livello di attenzione nei confronti della protezione di dati e delle informazioni dello studio legale, per ridurre i rischi e le conseguenze di un’eventuale violazione.

Il cambio di rotta degli Studi legali

Come per molte altre categorie di Professionisti, la pandemia ha segnato un decisivo cambio di rotta anche per gli Studi legali. Gli Avvocati hanno cercato di reagire nel minor tempo possibile ad una situazione anomala che richiedeva la continuità dei servizi.

È stata proprio la pandemia ad evidenziare le lacune e gli scarsi livelli di digitalizzazione degli Studi legali. Inoltre, si è reso anche sempre più evidente il divario sul mercato tra le grandi e le piccole realtà.

Gli Studi legali sono da sempre allineati con le tecnologie più tradizionali, come i sistemi di videoconferenza e gli applicativi di controllo di gestione, ma mostrano una maturità limitata nei confronti delle tecnologie maggiormente evolute. La pandemia ha spinto gli Studi legali a impegnarsi in progetti come la dematerializzazione dei documenti, l’introduzione di tecnologie per migliorare l’efficienza interna e la ricerca di collaborazioni con altri Studi.

Che cos’è la digitalizzazione? E la dematerializzazione?

Per digitalizzazione intendiamo la migrazione di tutte le attività del professionista verso un ambiente completamente virtuale/digitale e l’adozione di processi remotizzati. La dematerializzazione, invece, corrisponde all’abbandono dello studio come struttura fisica che si basa su sistemi cartacei e server in sede e l’interazione fisica come impostazione predefinita.

Questi fenomeni coinvolgono tutta l’organizzazione della professione, determinando una nuova visione della professione legale e la necessità di raggiungere un livello di sicurezza più elevato.

In tempi di Covid, le soluzioni tecnologiche da un lato hanno consentito ai professionisti di proseguire la loro attività in maniera efficiente. Dall’altro, hanno esposto i dati a maggiori rischi: il processo di digitalizzazione è stato improvviso e imprevisto, e in alcuni casi ha permesso ai cybercriminali di agire indisturbati.

La violazione delle informazioni e dei dati personali ha effetti economici, legali e reputazionali devastanti per gli Studi stessi e per i clienti. È fondamentale che tutti gli Studi, per scongiurare il rischio di un eventuale attacco digitale, siano dotati di policy e misure adeguate.

Un “pacchetto base” per la digitalizzazione

Il processo di digitalizzazione è inevitabile e necessario, ma non può prescindere dalle esigenze degli Studi e dei professionisti.

Certamente la dimensione dello studio può fare la differenza, ma l’adozione di un “pacchetto base” di azioni/regole potrebbe assicurare a tutti un beneficio rapido e significativo.

Sono indispensabili:

  • antivirus per proteggere i dati da malware;
  • email e PEC con misure di sicurezza e capienza adeguate;
  • firme digitali, che possono essere utilizzate anche in caso di incidente fisico ai dispositivi collegati;
  • connettività sottoposte a monitoraggi che rilevano in maniera tempestiva ogni intrusione;
  • una messaggistica adeguata al livello di riservatezza dei messaggi;
  • backup e Disaster Recovery, che garantiscono la continuità operativa;
  • scanner e multifunzione con misure di sicurezza che garantiscono la protezione delle informazioni.

Sono caldamente consigliati, invece:

  • suite di sicurezza professionali con moduli dedicati alla protezione per alcune minacce specifiche, come i ransomware;
  • gestore di password che le memorizza in un luogo sicuro ma facilmente accessibile;
  • VPN che garantisce la riservatezza delle comunicazioni anche su reti che non sono verificate;
  • crittografia per la sicurezza dei dati;
  • videoconferenze con misure di sicurezza e affidabilità contro intrusioni e conservazione illecita dei dati;
  • cloud con spazi e misure di sicurezza adeguati;
  • condivisione e tracciabilità idonee con log management.

A tal proposito, puoi dare un’occhiata ai nostri prodotti cliccando qui.

Il fattore umano

Ricordiamoci sempre, però, che l’adozione di certe misure non prescinde dal fattore umano. Le persone sono gli anelli deboli all’interno dei processi di sicurezza, soprattutto se non vengono dati loro gli strumenti adeguati alla comprensione degli effetti dei loro comportamenti sui sistemi. Un utente non qualificato potrebbe ignorare o sottovalutare le precauzioni di sicurezza che gli vengono suggerite.

Gli attacchi su rete, come gli incidenti di sicurezza e la violazione dei dati sono causati da condotte umane non adeguate. Per esempio:

  • inviare per errore una mail ad un cliente con informazioni molto riservate;
  • condividere password tra più utenti o utilizzare password facilmente individuabili;
  • condividere documenti che contengono dati particolari attraverso canali non protetti;
  • utilizzare reti pubbliche;
  • non aggiornare i dispositivi.

Queste sono soltanto alcune delle condotte che avvengono per mancata conoscenza delle nozioni di sicurezza informatica e della normativa in materia di protezione dati. Ad oggi, l’avvocato non deve escludere dalla propria formazione professionale questo tipo di conoscenza.

La sensibilità nei confronti di queste tematiche e la loro diffusione tra dipendenti e lavoratori è essenziale per riuscire a tutelare un sistema informatico. Soltanto la consapevolezza delle lacune e delle misure che si potrebbero adottare per colmarle è in grado di evitare eventi spiacevoli, permettendo all’avvocato di eseguire in sicurezza il proprio lavoro.

Il “pacchetto avanzato”

Nel “pacchetto avanzato”, invece, troviamo:

  • la separazione dei dati e delle Reti per la riduzione dell’impatto di incidenti o violazioni;
  • scalabilità e adattabilità degli strumenti per rispettare i principi di privacy;
  • monitoraggio di dati personali e avvisi di possibile compromissione;
  • polizza di cyber security per limitare i danni di un data breach;
  • un responsabile della protezione dei dati;
  • controllo centralizzato dei dispositivi:
  • personale IT che sviluppa soluzioni efficaci e adeguate allo Studio;
  • gestione dei consensi per ottimizzare il trattamento dei dati;
  • controllo della filiera consulenti e fornitori.

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Avvocati e stress: approcciarsi alla meditazione

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meditazione

Avvocati e stress: approcciarsi alla meditazione

In media, un dipendente di un’azienda lavora 8 ore al giorno. Un avvocato, invece, può arrivare a 12 ore! Senza contare anche il tempo che dedica allo studio delle nuove leggi e delle sentenze giurisprudenziali. Et voilà, ecco che le ore di “libertà” si riducono notevolmente.

Anche se in molti credono che la professione dell’avvocato sia una delle più appaganti in assoluto, spesso ignorano lo stress che si accumula e che potrebbe riversarsi nel lavoro e nei rapporti affettivi.

Non basta una vacanza o uno sport per eliminare le energie negative. Avete mai pensato di affidarvi alla meditazione?

La vita frenetica di un avvocato

La vita dell’avvocato non è come quella dei film: è una continua avventura. Al mattino ci sono le udienze in tribunale, mentre il pomeriggio è destinato agli incontri con i vari clienti.

La pausa pranzo è accompagnata dal ripasso generale e nel dopocena non si prende nemmeno in considerazione di accendere Netflix, perché ci sono nuove leggi da studiare. E così si accumulano stress, ansia, nervosismo, stanchezza e insoddisfazioni.

Inoltre, i clienti richiedono moltissima lucidità e diplomazia. L’avvocato cerca di spiegare che la vittoria assoluta non è sempre contemplata, e che ci sono molte strade giuridiche che portano ad ottimi risultati.

Il cliente, non conoscendo i meccanismi segreti della giurisprudenza si aspetta sempre il massimo dal suo legale. Il massimo non arriva? La reputazione dell’avvocato e dello studio legale potrebbero risentirne.

Il weekend è veramente rilassante?

Sabato e domenica: finalmente un po’ di relax! Però, l’avvocato assicura la reperibilità anche nel weekend, e deve riuscire a conciliare i doveri personali con gli affetti.

Ecco arrivare brusii nella testa, confusione, disorientamento e difficoltà di concentrazione. Si cerca in tutti i modi di calmare la mente, di raggiungere un po’ di meritata quiete. L’obiettivo della meditazione è proprio quello di dominare la propria mente, senza lasciarsi sopraffare da tutte queste emozioni negative.

Esistono due tipi di meditazione: quella recettiva e quella riflessiva. Quella più semplice da praticare è quella riflessiva, perché permette di focalizzare completamente l’attenzione su un oggetto. Mentre la meditazione recettiva ordina alla mente di liberarsi dai pensieri: un’operazione parecchio difficile!

Tenere pulita la mente

Nello stesso modo in cui si tiene pulita la casa, anche la mente ha bisogno di essere ripulita dalla polvere e dalla sporcizia. Spazzare via le ansie e lo stress non è affatto semplice – come la polvere, le emozioni negative si riproducono continuamente, senza volerlo.

La meditazione recettiva dovrebbe aiutare le persone a raggiungere un certo livello di consapevolezza, per liberare la mente dai pensieri. E no, non è un sonno ristoratore, perché in questo caso c’è bisogno della piena consapevolezza.

Esistono tantissime tecniche di meditazione

I due tipi di meditazione sono soltanto la punta dell’iceberg: per raggiungere gli obiettivi delle pratiche si possono adottare diversi metodi ed esercizi.

Ogni cultura popolare ha la sua personale tecnica di meditazione. Nell’estremo oriente possiamo osservare delle pratiche simili tra loro. Noi possiamo scegliere quella più adatta alle nostre esigenze, ovviamente lasciandoci guidare da un esperto. Infatti, almeno per i primi tempi, è meglio non affidarsi al fai da te, perché la situazione potrebbe addirittura peggiorare.

I benefici della meditazione

I benefici della meditazione riguardano la salute fisica, ma soprattutto quella psicologica. Sono il cervello, la memoria, la concentrazione e l’umore a percepire i maggiori effetti positivi della pratica.

Se la meditazione viene praticata ogni giorno per almeno 30 minuti, i risultati su concentrazione e memoria potrebbero essere notevoli. Non è un’affermazione casuale, ma frutto di numerosi studi e ricerche. Alla base dei risultati ottenuti troviamo la capacità di riflessione e quella di focalizzazione, tipiche della meditazione di tipo riflessivo.

La visualizzazione e la consapevolezza di un oggetto rende la persona abituata alla pratica della meditazione più capace di concentrarsi e lavorare meglio. Liberare le mente, utilizzando lo spazio a disposizione per cose di maggiore importanza, aiuta molto anche la memoria.

Eliminiamo le attività non prioritarie

Quella mezz’ora giornaliera utilizzata soltanto per la meditazione toglierà tempo ad altre attività, magari non prioritarie o necessarie ed altamente stressanti. La meditazione è meglio di un bagno caldo: la mente e i muscoli si riposano e si rilassano.

Tuttavia, la meditazione richiede molta pazienza. Non è semplice e automatico gestire la propria mente, ma una volta imparato, vita, lavoro e affetti personali andranno sempre meglio. Aumenterà la produttività e sarà più semplice raggiungere gli obiettivi prefissati.

Si imparerà a visualizzare la strategia migliore, eliminando le pratiche dannose e centrando l’obiettivo.

Come rendere efficace la meditazione

Per essere efficace, la meditazione deve durare dai 30 ai 45 minuti. Inoltre, deve essere eseguita in maniera costante: non bisogna saltare la pratica durante il weekend (ma siamo certi che una volta cominciato non potrete più farne a meno).

Un avvocato dovrebbe meditare subito dopo il lavoro, quando non ci sono appuntamenti o adempienze a cui dar seguito. Sarebbe meglio evitare di mettere in atto le pratiche di meditazione poco prima di andare a letto. Si rischierebbe di prendere sonno perdendo di vista l’obiettivo principale, ovvero la concentrazione che libera la mente.

Dunque, meglio meditare mezz’ora dopo cena o subito dopo il lavoro. In questo modo, la serata proseguirà tranquilla, e si andrà a dormire senza tutti quei pensieri dannosi che alimentano l’insonnia.

Alcune precisazioni

Il luogo dove praticare la meditazione dovrebbe essere un ambiente privo di distrazioni. Lo spazio deve essere libero da oggetti che spingono la mente verso altri luoghi.

Silenzio e solitudine sono altri fattori decisamente fondamentali per la pratica. Il vicino di casa che urla, il ticchettio della sveglia, il motore assordante del frigorifero non aiutano affatto. Una soluzione utile sono i tappi per le orecchie, ma ci sono molti suoni messi a disposizione da siti e applicazioni perfettamente appropriati alla pratica.

E voi, che esperienze avete con la meditazione? Fatecelo sapere nei commenti!

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avvocati

Avvocati e psicologia: qual è il legame?

Gli avvocati sono soltanto esperti di diritto? In realtà, potrebbero essere inconsapevolmente anche psicologi! Alcuni professionisti legali, con l’esperienza, riescono a comprendere sempre meglio le personalità dei clienti. Alcuni diventano anche capaci di esercitare un certo tipo di influenza sulla persona che hanno di fronte.

Vediamo qual è il rapporto tra avvocati e psicologia

Il metodo di studio degli avvocati

Nei corsi di giurisprudenza la psicologia non viene quasi menzionata. In alcuni Atenei si studia un po’ di economia, in altri c’è la possibilità di approcciarsi alla criminologia – ma soltanto in maniera opzionale.

Come si spiega, allora, il fatto che la psicologia sia una delle qualità maggiormente acquisite dagli studenti di legge? Semplice, grazie al loro metodo di studio! Nel corso dei cinque anni di università le materie affrontate sono molte, e spesso vengono rese più comprensibili grazie all’aiuto di case history.

Uno studente di giurisprudenza ha un metodo di studio completamente differente rispetto a quello delle altre facoltà. Deve sapere utilizzare al meglio la logica e la memoria per interpretare al meglio tutte le cose che gli passano tra le mani.

L’interpretazione

L’interpretazione, per uno studente di giurisprudenza, serve per evitare di imparare a memoria tutto il codice civile, oppure per orientarsi al meglio nel mondo della legge italiana ed estrapolare il senso di una norma.

La psicologia interpreta i comportamenti e le conseguenze dell’agire umano. Si osserva attentamente il modus operandi di una persona e si cerca di rispondere alla domanda delle domande: “Perché?”.

Nel penale, il comportamento della persona è fondamentale per almeno due motivi: per la capacità di intendere e volere, che spesso ribalta l’esito di una sentenza, e per riuscire ad individuare il movente. Un avvocato che lavora nel penale deve avere decisamente molta dimestichezza con la psicologia umana.

L’avvocato ha capacità psicologiche, ma non è uno psicologo

L’avvocato ha certamente delle capacità psicologiche, ma non si sostituisce agli esperti abilitati nell’esercizio di tale professione. Non fingerà mai di essere uno psicologo e non firmerà mai alcun tipo di perizia.

Un avvocato si serve della psicologia per lavorare al meglio, evitando anche problemi e fraintendimenti con i clienti. Diventa psicologo tutte le volte che ha a che fare con un avversario o con un cliente, interpretando al meglio le esigenze di quest’ultimo.

Non vuole semplicemente assecondare le richieste di chi vuole vincere a tutti i costi una causa, ma aiutare le persone a comprendere che cosa vogliono veramente.

Gli avvocati hanno poteri magici?

Molti clienti pensano di trovarsi di fronte a supereroi con poteri magici in grado di risolvere qualsiasi problema. L’avvocato, tuttavia, deve certamente essere di parte, ma deve anche aiutare a definire correttamente gli obiettivi da raggiungere.

Per fare questa operazione, deve calarsi nei panni dello psicologo, per aiutare il cliente a scegliere l’obiettivo migliore. Ecco, è proprio questo il punto che spinge le persone a dare dell’incapace all’avvocato!

Spesso, infatti, quando una persona non si sente dire ciò che vuole sentirsi dire, finisce per maltrattare il legale.

Psicologia o manipolazione?

Un avvocato deve essere capace di scegliere le parole più giuste quando entra in relazione con un potenziale cliente. L’ars oratoria non è cosa da tutti, ma qualsiasi professionista deve saper parlare e consigliare con sensibilità e delicatezza.

Un avvocato è un buon psicologo anche nel momento in cui ha a che fare con i suoi avversari. Per ottenere l’adempimento dell’obbligazione si utilizzano delle espressioni per far leva sulla psiche dell’avversario.

Non si tratta di minacce, ma di piccoli escamotage ammessi dalla legge. Tuttavia, bisogna sempre tenere a mente che il confine con la minaccia è sottile.

Psicologia loves giurisprudenza (e viceversa)

La psicologia non può prescindere dalla giurisprudenza. Viceversa, la giurisprudenza non può esistere senza psicologia. La professione dell’avvocato si basa su alcuni principi che possono essere messi in pratica soltanto se si è anche dei buoni psicologi.

Secondo il Codice Deontologico Forense, l’avvocato deve seguire attentamente una serie di doveri, in particolar modo nel momento in cui si instaura un rapporto di assistenza con il cliente. I doveri si traducono in fedeltà, fiducia, lealtà, diligenza e correttezza.

Se uno di questi doveri viene meno, l’avvocato dovrà risponderne davanti al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, che deciderà la sanzione disciplinare più appropriata.

Fedeltà e fiducia

Tra tutti i doveri che sono stati menzionati, fedeltà e fiducia meritano particolare attenzione.

Secondo il Codice, il dovere di fedeltà richiede il fedele adempimento al mandato, svolgendo l’attività nel pieno interesse del cliente. Mentre nel caso del dovere di fiducia, il codice deontologico non lo definisce in maniera precisa: dobbiamo affidarci al vocabolario di italiano.

La fiducia è una valutazione positiva verso un’altra persona, che si traduce in atteggiamenti di sicurezza e stima. Quando una persona infonde fiducia suscita anche un senso di tranquillità – e capacità di risolvere determinate situazioni.

Quando un avvocato instaura un rapporto di fedeltà e fiducia con il proprio cliente, dimostra di essere all’altezza del mandato. La fiducia è propedeutica alla fedeltà, e l’una non può prescindere dall’altra.

Il metodo migliore per infondere fiducia nelle persone è essere il più trasparente possibile. Aggiungiamo anche un pizzico di ottimismo da infondere al cliente, ed il gioco è fatto!

Psicologia giuridica

La psicologia giuridica, ovvero la scienza che studia gli aspetti psicologici di coloro che si ritrovano coinvolti in un processo è tutta un’altra storia.

Di solito, si ricorre alla psicologia giuridica quando si richiede l’inabilitazione o l’interdizione di un soggetto riguardo le disposizioni patrimoniali. Oppure, quando si richiede una perizia tecnica in grado di stabilire la capacità di un soggetto in alcune circostanze.

Nel campo civile, la psicologia giuridica interviene quando si ha a che fare con i minori e quando si parla di danni morali. Il danno morale può essere spiegato soltanto se si riesce a focalizzare l’entità delle emozioni e dei sentimenti negativi che prova la vittima. Il risarcimento, infatti, dovrà essere proporzionale e legittimo all’offesa ricevuta.

Nel penale, invece, la psicologia giuridica ha maggior valenza. Può incidere molto sull’esito di una sentenza, poiché il riconoscimento di una malattia psichica può ribaltare la decisione finale.

Insomma, gli avvocati non sono soltanto esperti di diritto, ma sono anche inconsapevolmente psicologi.

E tu, che legame hai con la psicologia? Faccelo sapere nei commenti!

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