PA: assunzioni flop. Scende ancora il personale

L’operazione di rafforzamento amministrativo della Pa segna un risultato del -0,12%. Il dato, ricavato dalle proiezioni del «conto annuale del personale», effettuato dalla Ragioneria generale dello Stato, fotografa l’evoluzione negli enti territoriali degli organici.

Parliamo, quindi, del ramo della Pa considerato quello maggiormente in difficoltà, vista la moltiplicazione di cinque volte delle capacità di spesa degli investimenti richiesti dal Pnrr.

Per tentare di rimediare a tanti anni di turn over, il Governo Conte 2 e quello Draghi hanno cambiato le regole più di una volta, al fine di allargare gli organici delle Regioni, delle Province, delle Città metropolitane e dei Comuni.

Nel 2022 si sarebbero dovuti vedere i primi effetti di questo cambio di rotta. Invece, la Ragioneria generale, ha calcolato che lo scorso anno i dipendenti, al posto di aumentare, sono diminuiti di qualche centinaio, mentre nel resto della Pa si è notato un leggero aumento dei dipendenti.

Eccezione, anche, per le agenzie fiscali, che nel 2022 hanno perso quasi il 2% dei dipendenti. Anche nelle Province e nelle Città metropolitane, invece, si registra una riduzione, rispettivamente, dello 0,99% e dello 0,97%.

Per quanto riguarda il personale a tempo determinato, invece, le assunzioni sarebbero dovute avvenire entro il tempo stabilito dal Pnrr. A fine 2021, infatti, era stato introdotto un emendamento, il quale avrebbe dovuto incentivare l’assunzione di 15mila esperti e tecnici nei Comuni.

Ma anche in questo caso, i dati parlano chiaro: si calcolano 2.492 ingressi, che corrispondono a meno di un quinto di quanto previsto.

Ci potrebbero essere moltissime spiegazioni. La prima è puramente improntata ai conti, dato che, a differenza di quanto accade all’interno dei ministeri, le assunzioni degli enti territoriali sono permessi da norme nazionali, ma pagate da bilanci a livello locale.

L’aiuto dello Stato è riservato ai tecnici a tempo determinato presenti nei Comuni fino a 5mila abitanti. Ma anche qui, il decreto che ha predisposto 30 milioni di euro per pagare 1.026 tecnici è arrivato ben 14 mesi dopo la norma.

«I professionisti non vengono a lavorare da noi», spiegano gli amministratori locali e il presidente dell’Anci, Antonio Decaro. Da tempo, l’incrocio tra bassi livelli retributivi e contratti a tempo determinato risulta letale a livello di attrattività lavorativa.

Nella ripresa post-pandemica, in molti partecipano a più concorsi e selezioni. E, se hanno possibilità di scelta, corrono verso prospettive solide e buste paga più convenienti.

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Bonus edilizi: scoperte delle grosse truffe

Linguaggio e parità di genere negli atti giudiziari: l’intervento della Crusca

Bonus edilizi: scoperte delle grosse truffe

Mercoledì 22 marzo 2023 sono state arrestate 10 persone nell’ambito di alcune indagini condotte dalla Guardia di Finanza, riguardo due truffe collegate ai bonus edilizi. Queste avrebbero portato al sequestro di falsi crediti d’imposta, per un valore di 3 miliardi e 200 milioni di euro.

Le truffe sono state scoperte grazie a due indagini separate, una ad Asti e una ad Avellino. Tali indagini riguardano l’ecobonus, il bonus facciate e il Superbonus. Le persone indagate sarebbero circa una quarantina.

Da queste indagini sono emersi tantissimi casi di richieste d’accesso ai bonus in questione per operazioni completamente inventate. Secondo le indagini venivano richiesti degli interventi di ristrutturazione per edifici inesistenti oppure per immobili intestati a persone che non soltanto non ne erano proprietarie, ma talvolta anche morte.

In un caso un soggetto avrebbe presentato domanda per un centinaio di immobili, e in un altro ancora erano stati fatti dei preventivi molto gonfiati, di milioni di euro.

Si ipotizza che le truffe girassero intorno ai crediti d’imposta, ovvero alle detrazioni fiscali che si ottengono per l’accesso ai bonus edilizi, da cedere a banche o imprese, al fine di avere subito il denaro per lo svolgimento dei lavori di ristrutturazione.

Dunque, sarebbero state fatturate alcune operazioni inesistenti, per dei lavori che non sono mai avvenuti e per i quali si richiedeva la detrazione fiscale. I crediti d’imposta fittizi sarebbero stati girati successivamente ad imprese e ad istituti finanziari.

Al momento non è chiaro quanti soldi siano effettivamente riuscite ad incassare le persone indagate, anche se si parla di una cifra di decine di milioni di euro.

Secondo i dati raccolti da ISTAT, i bonus edilizi avrebbero peggiorato più del previsto i conti pubblici. E’ stato stimato che il rapporto tra PIL e deficit, nel 2022, è stato dell’8%, nonostante una stima del 5,6%.

Nel giro di tre anni, il deficit dello Stato è stato peggiore rispetto alle previsioni, che per ISTAT ammonta a 80 miliardi di euro in più. È per questo che il governo ha deciso di bloccare la maggioranza dei crediti del Superbonus.

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L’Accademia della Crusca ha fornito delle indicazioni per quanto riguarda la parità di genere negli atti giudiziari, in risposta al Comitato Pari Opportunità del Consiglio Direttivo della Suprema Corte di Cassazione.

Si deve evitare di utilizzare l’articolo determinativo davanti ai cognomi delle donne, ma anche evitare di utilizzare asterischi oppure il simbolo della schwa, la famosa “e” capovolta, che si utilizza per declinare al genere neutro i sostantivi.

Inoltre, si deve evitare anche di declinare al femminile cariche e professioni.

Le norme linguistiche utilizzate sino ad ora, per la Crusca, riprendono le norme introdotte dalla linguista, attivista, femminista, insegnante e saggista romana Alma Sabatini, che si ispirò, a sua volta, al modello anglosassone.

Se prendiamo in considerazione le varie correnti di pensiero che non risultano in accordo con eccessive misure sulla lingua, l’Accademia della Crusca sostiene che «i principi ispiratori dell’ideologia legata al linguaggio di genere e alle correzioni delle presunte storture della lingua tradizionale non vanno sopravvalutati, perché sono in parte frutto di una radicalizzazione legata a mode culturali».

Dunque, a tal proposito sono state individuate delle indicazioni a livello pratico, da applicare in ambito giudiziario, che potrebbero essere considerate anche istruzioni di carattere generale.

Avete presente l’asterisco al posto delle desinenze con valore morfologico? Amic*, tutt*, car*?

Ecco: la Crusca, a tal proposito, afferma che «la lingua giuridica non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all’idioletto e in una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per il quale i generi e gli orientamenti si sentano rappresentati, continua ad essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che è un modo di includere e non di prevaricare».

Il divieto di utilizzare l’articolo davanti al cognome non fa eccezioni, nemmeno nel caso di uomini illustri. “Il” Manzoni, non si può scrivere.

Anche se non viene condivisa la tesi “scarsamente fondata” di coloro che ritengono discriminatorio utilizzare l’articolo determinativo di fronte ai cognomi delle donne, così come di fronte a quelli degli uomini, la Crusca ha constatato che «questa opinione si è diffusa nel sentimento comune, per il quale il linguaggio pubblico ne deve tenere conto».

Per la Crusca, al fine di garantire un’informazione completa, soprattutto nel caso di nomi di persone non così note, «dovrà essere sufficiente aggiungere il nome al cognome, o la qualifica».

In relazione alla questione delle professioni, l’Accademia della Crusca suggerisce di ricorrere alla declinazione femminile nel caso delle professioni o delle cariche istituzionali seguendo semplicemente le regole grammaticali.

Dunque, se i nomi maschili terminano con “o”, al femminile prenderanno il suffisso “a”. I nomi che finiscono con “e” possono essere considerati ambigenere.

Se terminano in “iere”, si trasformeranno in “iera”. Se terminano con “a” o “sta” vengono considerati ambigenere al singolare, mentre al plurale assumono i suffissi “i”, “isti” al maschile e “e”, “iste” al femminile.

Eccezione, invece, per poeta e poetessa. Se, invece, terminano con “tore”, al femminile diventeranno “trice”. Tranne pretore, che al femminile è pretora.

Nei nomi con “Pro”, “Vice”, ci si deve orientare al genere della persona alla quale viene rivolto l’appellativo. Nel caso di Pubblico Ministero, al femminile diremo Pubblica Ministera.

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Il cybercrime cambia pelle e aumenta sempre di più. In Italia, il 70% degli attacchi informatici punta al furto dei dati, mentre il lavoro ibrido e il processo di trasformazione digitale contribuiscono a complicar un po’ di più le cose.

Per Patrick Pulvermueller, CEO di Acronis, azienda di Cybersicurezza svizzera, la buona notizia è «che gli attacchi sono gli stessi di due o tre anni fa, e questo permette di rispondere meglio. Ma la cattiva notizia è che è aumentata nettamente la professionalità degli attaccanti, che hanno trasformato il settore in una industria, con modelli di business, catene di distribuzione, aree funzionali per questa o quella attività».

Uno dei problemi più frequenti «è l’applicazione della legge: gli attaccanti possono essere ovunque e usare server in differenti parti del mondo per rilanciare gli attacchi».

Gli attacchi crescono in maniera costante, e risultano sempre più costosi per le aziende. Al top troviamo ransomware e attacchi con vulnerabilità zero day, ovvero, con la possibilità di attaccare andando a sfruttare i punti deboli delle aziende.

In questo mercato di insicurezza, i costi per le aziende risultano molto elevati. «L’impatto aumenta e con esso la sofisticazione perché ci sono sempre più soldi in ballo. Ma paradossalmente cala il volume complessivo e il “rumore” degli attacchi, perché i ragazzini che giocavano a fare gli hacker oggi sono sempre meno. La cyberinsicurezza è in mano ai professionisti, oggi».

Da un lato troviamo le aziende, che dovrebbero «digitalizzare sempre di più per diventare più efficienti ed efficaci, ma così ovviamente aumenta la loro superficie attaccabile. Dall’altro, il lavoro ibrido post-pandemia è molto complesso dal punto di vista della gestione tecnica. Paradossalmente era più facile gestire il solo lavoro da casa durante i lockdown».

In tutto questo, un ruolo fondamentale viene assunto dalla scarsità dei talenti. Per gli analisti, negli Usa mancherebbero 2 milioni di tecnici esperti in materia di cybersecurity, e in Europa il numero aumenta. «E ancora non abbiamo visto niente rispetto all’intelligenza artificiale».

Le intelligenze artificiali vengono utilizzate da tempo per gestire e difendere le reti dei sistemi complessi. Le reti neurali sono addestrate per comprendere se ci sono comportamenti anormali, senza un’impronta ben definita.

Ma da parte degli attaccanti sta nascendo un diverso approccio delle intelligenze artificiali: «Le AI vengono usate per impersonare, per esempio, l’amministratore delegato di un’azienda, e truffare il suo responsabile finanza convincendolo con messaggi fake a fare un trasferimento di soldi verso un conto truffaldino».

Un attacco del genere prevede una preparazione abbastanza facile, che consiste nella violazione di messaggi o mail. L’intelligenza artificiale viene addestrata molto rapidamente: non dovrà sostenere delle conversazioni complesse, ma soltanto scrivere con uno stile credibile in materia di business.

Inoltre si utilizza il chatbot per fingersi il CEO, basandosi su informazioni raccolte al fine di truffare qualcuno. E’ sicuramente più complesso del phishing, ma essendo più personale e fatto su misura risulta micidialmente efficace.

«Si possono fare deepfake della voce o del video, ma non hanno senso: è molto complicato e facile sbagliare e farsi scoprire. Invece, gli attacchi seguono sempre la strada del costo più basso e della massima efficienza: mail, WhatsApp e sms. L’unico modo per difendersi è autenticare le comunicazioni usando un altro canale, per esempio una chiamata in voce».

Leggi anche:Esempi di Mail di Phishing

Pulvermueller ricorda, in ogni caso, che l’intelligenza artificiale può essere utilizzata in maniera più creativa anche a fini difensivi. Il software che viene sviluppato dall’azienda riesce a studiare e a imparare i comportamenti di base per utilizzare il pc, analizzando vari parametri per riconoscere chi sta utilizzando il computer, se il proprietario o qualcun altro.

«In realtà i livelli di difesa sono molti e sempre più frammentati, anche perché diventa più frammentato il panorama degli strumenti. In casa se lavoro serve che il mio computer sia protetto e sia su una rete diversa da quello di mio figlio che fa i videogiochi».

L’idea più radicale, che incontra difficoltà in particolar modo con i dirigenti d’azienda, utilizza lo stesso approccio della casa vuota, ovvero quella in cui, se entra un ladro, non riesce a rubare nulla.

«Più una figura è importante in azienda, meno deve accesso ai dati. Questo è sempre difficile da far capire, ma il punto è che l’amministratore delegato o il responsabile commerciale o marketing sono visibili pubblicamente, e diventano subito un bersaglio riconoscibile e attaccabile. Per questo, se anche viene violato il computer dal capo, non deve essere possibile usarlo per accedere a informazioni riservate».

Il futuro, per Pulvermueller, passa attraverso nuovi modi di intendere i livelli di sicurezza. Dovremo dire addio alle password, ma accogliere l’autenticazione con chip dedicati e chiavi crittografiche.

«In passato, vent’anni fa, si faceva molta fatica a rendere sicuri i sistemi: dovevamo fisicamente staccarli da Internet. Oggi non è più così e la potenza dei nostri cellulari e computer personali ci permette di avere sicurezza in locale, e di essere già anche quantum safe, perché no».

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Ecco che si riaccende la protesta da parte dei magistrati onorari.

Le associazioni che aderiscono alla Consulta della magistratura onoraria, lo scorso 19 marzo, hanno scritto al presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al Guardasigilli Carlo Nordio, alla Commissione Ue e alla Commissione per la garanzia dello sciopero dei servizi pubblici, al fine di dichiarare «lo stato di agitazione permanente».

Inoltre, richiedono l’intervento delle Autorità al fine di risolvere i problemi di categoria, includendo giudici onorari, vice procuratori onorari e giudici di pace. Il tutto a partire da una situazione di urgenza: ovvero, i magistrati onorari che sono stati confermati in servizio, dopo il completamento della procedura di stabilizzazione prevista dalla Legge di Bilancio, sembra che non abbiano ancora ricevuto alcun stipendio.

Le associazioni chiedono, a gran voce, delle risposte entro dieci giorni. In mancanza di queste, intraprenderanno «ogni necessaria iniziativa di denuncia e sensibilizzazione dell’opinione pubblica e della società civile, con le conseguenti astensioni dalle udienze e da tutte le altre attività giudiziarie».

Non si tratta della prima lettera di questo genere: infatti, le associazioni di categoria avrebbero già azionato la procedura propedeutica al blocco completo dell’attività il 1° dicembre 2022.

Uno sciopero del genere arriverebbe a pochissima distanza dall’accrescimento delle competenze spettanti ai giudici di pace, deciso con la riforma del processo civile.

Da marzo 2023 si possono infatti decidere le cause che riguardano i beni mobili con un valore che non supera i 10mila euro (5mila euro per i vecchi procedimenti) e le cause che riguardano i risarcimenti per i danni da circolazione stradale che arrivano sino a 25mila euro (20euro per i vecchi procedimenti).

Ma non è finita qui, perché la riforma riguarderà i giudici di pace anche per quanto riguarda il fronte digitale. Entro il prossimo 30 giugno, infatti, anche nei loro uffici sarà ufficiale il processo civile telematico.

Ma nel frattempo, spiega la presidente dell’Unione Nazionale dei Giudici di Pace, Mariaflora Di Giovanni, «circa 800 colleghi, da quando sono stati stabilizzati, non ricevono più lo stipendio, ma a breve il loro numero crescerà: la prima fase della stabilizzazione ha riguardato 1.600 magistrati».

Paradossalmente, alla base dell’impasse, troviamo la procedura di conferma dei magistrati onorari, così come previsto dalla Legge di Bilancio del 2022, con lo scopo di rispondere alle istituzioni europee, che da un po’ di tempo richiedono all’Italia la regolarizzazione della posizione dei magistrati onorari.

I magistrati onorari, all’esito della procedura prevista dalla recente Legge di Bilancio, subiscono la stabilizzazione delle loro funzioni, con tutte le garanzie dei lavoratori subordinati, in quanto funzionari.

La soluzione è stata censurata lo scorso anno dall’Unione Europea, che chiede, invece, un trattamento economico da affiancare a quello dei magistrati ordinari con la stessa anzianità. Tuttavia, spiega Di Giovanni, «la legge di Bilancio per noi è stata importantissima, perché ha previsto un canale per stabilizzarci come dipendenti pubblici, dopo decenni di lavoro precario».

Tuttavia, ad oggi, l’urgenza consiste nel fatto che i magistrati stabilizzati non abbiano ancora ricevuto alcun compenso e che non sembrano essere iscritti all’Inps. Lo scorso 7 marzo, Maurizio Lupi aveva richiesto spiegazioni al ministero della Giustizia, ricevendo una risposta che ha lasciato l’amaro in bocca a tutti i magistrati onorari.

Per questo, adesso cercano di contattare e di chiedere spiegazioni direttamente al presidente del Consiglio.

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Avvocato, sei abituato alla gratitudine?

Tutti i giorni, sulle spalle degli avvocati ricadono molti problemi altrui: liti tra vicini, questioni condominiali, problemi amministrativi, familiari o tributari. Tutto ciò necessita di essere affrontato con passione, competenza e capacità di immedesimarsi nell’altro.

Ed ecco perché diviene necessario sviluppare la gratitudine. La gratitudine potrebbe essere definita come un sentimento di ringraziamento e di riconoscimento verso qualcuno che ci ha fatto del bene. Di solito è un sentimento reciproco, poiché c’è una sinergia tra chi fa e chi riceve del bene.

Per esempio, i clienti dell’avvocato dovrebbero essergli grati, poiché si tratta di un professionista capace di mettere in atto la propria professionalità e le proprie conoscenze, al fine di risolvere problemi di altre persone, così come farebbe con i suoi problemi personali.

A sua volta, l’avvocato dovrà essere riconoscente, in quanto riceve l’onorario, ma anche e soprattutto perché riceve la piena fiducia delle persone che, nonostante i periodi delicati delle loro vite, decidono di affidarsi proprio a lui, e non ad altri presenti sul mercato.

Tuttavia, la gratitudine non è qualcosa di così semplice da provare, dato che la nostra vita frenetica rende abbastanza difficile trovare il tempo per maturare questo sentimento importante. Si pensa spesso che tutto sia dovuto, si difendono i diritti e si perdono di vista i doveri.

Secondo il coach e motivatore Anthony Robbins, la mancanza di gratitudine rende le persone povere, dato che, a prescindere da quanto posseduto, non si è capaci di apprezzare pienamente il valore di quello che si ha. Ma soprattutto delle persone che ci sono accanto, visto che si è sempre infelici e insoddisfatti, e di conseguenza, poveri.

La gratitudine è qualcosa di positivo, che permette di affrontare e superare gli ostacoli della quotidianità, che si ripresentano ogni giorno. È per questo che la gratitudine diviene un’abitudine da creare e che si manifesta in maniera molto semplice: basta una stretta di mano, un saluto cordiale, un bel sorriso.

Non è semplice, per un avvocato, conquistare la gratitudine di un cliente. Spesso, infatti, si fa la conoscenza delle persone nei momenti peggiori della loro vita. Qualsiasi avvocato vorrebbe soddisfare tutte le richieste dei clienti, vorrebbe vederli andare via felici, ma non è così semplice, dato che non tutto dipende dalla capacità o dalla volontà di un professionista.

Molto, infatti, dipende da tutto il sistema giudiziario, che vede le cancellerie piene di lavoro, senza che a questo occorra un’ottimale gestione del servizio.

A loro volta, i giudici hanno elevati carichi pendenti, e non sono capaci, a livello materiale, di istruire una causa nel giro di poco tempo. Aggiungiamo anche altri intoppi, come l’indisposizione dei testimoni o di altro: i clienti, nonostante l’insieme di tutti questi fattori, si interfacciano principalmente con l’avvocato. È su di lui, dunque, che verranno scaricate tutte le tensioni.

Ed è per questo che bisognerebbe esercitarsi alla comprensione e alla gratitudine, con un reale percorso di introspezione, che fa diventare la gratitudine una vera e propria abitudine. I clienti devono riuscire a capire quanto potrebbe essere duro il lavoro dell’avvocato, che non soltanto dovrà rappresentare gli interessi dei vari clienti, perché dovrà interfacciarsi tutti i giorni con professionisti altrettanto agguerriti.

La situazione potrebbe essere veramente stressante, e per questo potrebbero trovare un amico nell’avvocato, alla quale ci si può rivolgere anche semplicemente per un consiglio. Sempre più spesso, infatti, si va dall’avvocato anche soltanto per chiedere se un’attività da intraprendere è legale, o, comunque, qual è il giusto percorso per evitare errori legali.

Si va dall’avvocato per affrontare aspetti intimi della propria vita privata: l’avvocato è lì, pronto ad ascoltare. Dunque, per questo, la gratitudine, nei suoi confronti, dovrebbe diventare un’abitudine.

La gratitudine per la digitalizzazione

Gli avvocati, invece, dovrebbero sicuramente essere molto grati di avere a disposizione un sistema molto più rapido e che permette di risparmiare tempo, consentendo di seguire più attività processuali e di avere più guadagni.

In particolar modo, la digitalizzazione segna la fine dell’epoca in cui i praticanti venivano inviati, a mo’ di piccioni viaggiatori, tra diverse cancellerie, per riuscire a depositare e prelevare atti. Tutte queste fasi oggi possono essere gestite direttamente online, senza la necessità di fare la fila, di prendere l’auto e di andare in tribunale per motivi burocratici. Un vero e proprio risparmio economico.

Ma il vero affare è un gestionale completo, funzionale ed evoluto, come Service1.

 

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«A poche settimane dall’entrata in vigore di gran parte delle norme che regolano il nuovo processo civile, oltre ad essere evidenti i denunciati difetti di coordinamento tra le fonti, è emersa in maniera chiara l’attuale inadeguatezza di strutture e di risorse».

Questo è quanto affermato dalla Presidente del CNF, Maria Masi, durante il discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario, che ha visto la presenza di Sergio Mattarella, il Presidente della Repubblica.

Spiega Masi: «Nel processo civile l’esercizio dell’attività di difesa rischia di essere e di diventare ancora più marginale, esposta irragionevolmente ad essere giudicata temeraria. Riti disseminati di decadenze, oneri, spettri di inammissibilità rendono l’ambito di operatività inquinato da troppe variabili».

Continua: «Nel penale il rischio è ancora più grande, soprattutto in tema di impugnazioni, quando legittimamente il difensore esigerà di esercitare in pieno e fino in fondo il suo mandato che consiste appunto nell’esercizio del diritto di difesa. Oltre e al di là dei contenuti è proprio l’approccio concettuale, il tema ideologico sotteso alle riforme che non può essere condiviso, come abbiamo rappresentato e denunciato in tutte le occasioni utili e anche in quelle (non poche) inutili».

Per Masi, dunque, «sarebbe stato quindi non solo più efficace, ma anche simbolicamente importante se i protagonisti della giurisdizione, Magistratura e Avvocatura insieme, e perché no, la componente amministrativa, avessero comunicato in maniera forte e chiara il proprio dissenso nei confronti di interventi scarsamente rimediari e certamente non risolutori».

«Sia l’avvocatura che la magistratura presente ai tavoli», sottolinea Masi, «hanno poi subito il disagio di doversi esprimere su progetti sensibilmente diversi da quelli licenziati dalle commissioni a cui, seppur in minima parte, avevano dato il loro contributo».

«Abbiamo sprecato tempo prezioso nel rimettere in discussione quello che dovrebbe essere immanente al tessuto costituzionale e alla natura delle nostre diverse ma complementari funzioni. L’avvocatura che esprime un parere in seno ai consigli giudiziari ha allarmato più del rischio di fallimento delle riforme, e di non conseguimento degli obiettivi a cui siamo vincolati e attinti».

Se avesse voluto, l’Avvocatura «avrebbe potuto manifestare, in maniera forse più eclatante e certamente più efficace, il proprio dissenso nei confronti di una riforma peggiorativa del già difficile stato in cui versa la Giustizia, revocando o facendo venir meno la sua disponibilità a contribuire in maniera tangibile ed evidente alla sostenibilità della stessa».

Afferma Masi durante la sua relazione: «L’anno trascorso, appena compiuto, per la nostra Giustizia, come è noto, è stato caratterizzato da tanti ostacoli che hanno minato e incrinato il già precario rapporto di fiducia con i cittadini, reso complesso il rapporto tra gli operatori di Giustizia, quale funzione pubblica, soprattutto in relazione ai poteri dello Stato».

Sono stati imposti tempi, limiti, obiettivi, «in nome di una sovranità, certamente legittima ma eccessivamente astratta, autorevole ma a tratti apparsa autoritaria», dice la presidente del CNF, «utilizzando fin troppo lo strumento certamente poco incline alla concertazione della decretazione d’urgenza che di fatto ha ridimensionato, o peggio contratto, sia la discussione sia una serena valutazione delle conseguenze e soprattutto dei rischi a cui è stata esposta la Giustizia nel suo insieme».

Eppure, non con poche difficoltà. «abbiamo tentato di non smarrire l’attenzione e la cura che si deve al diritto. Il diritto a chiedere Giustizia, ancor prima del diritto ad ottenerla non può, infatti, considerarsi avulso dal principio di uguaglianza sostanziale tra i cittadini, ai quali vanno assicurate pari ed eque opportunità di accesso alla giurisdizione e di tutela piena e indiscriminata».

Interviene anche Fabio Pinelli, vice presidente del CSM. «Auspico che magistrati ed avvocati abbandonino ogni forma di autoreferenzialità». Sottolinea, inoltre, il ruolo di servizio che avvocati e magistrati svolgono nei confronti del “giusto processo” che prevede la Costituzione.

«L’Avvocatura ricordi sempre che il sacrificio, con il prezzo delle loro vite, di Falcone, Borsellino, Chinnici, Livatino e di tanti altri, è stato compiuto per il perseguimento di un interesse generale dello Stato, per la tutela dei suoi valori democratici di legalità».

Sottolinea Pinelli come «avvocati e magistrati devono legittimarsi reciprocamente. Il campo della comunicazione dev’essere prudentemente affrontato degli operatori del diritto, ancora una volta per il bene comune della tutela della credibilità e dell’autorevolezza di tutti gli attori della giustizia. I valori in gioco nell’amministrazione della giustizia sono preziosi e devono essere preservati da un improprio trattamento mediatico».

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Work-life-balance: l’equilibrio tra lavoro e vita privata.

Se questo equilibrio era inizialmente focalizzato sugli aspetti quantitativi del lavoro, nel giro di poco tempo ha assunto un senso più ampio, andando ad abbracciare anche gli aspetti qualitativi.

Il cambiamento si è intensificato grazie alla pandemia, che ha velocizzato dei processi che erano già in atto, introducendo delle variabili non ancora così utilizzate, come lo smart working.

Nel giro di pochissimo tempo gran parte della popolazione mondiale ha provato i benefici ma anche i lati negativi dello smart working, come la solitudine e l’invasione del lavoro nella sfera privata, che sembrava non avere più confini e orari.

L’esperienza ha condotto aziende e lavoratori ad interrogarsi sul futuro del mercato del lavoro e dell’organizzazione del lavoro. Sono comparsi i cosiddetti nomadi digitali, le persone che fanno del lavoro da remoto un vero e proprio stile di vita, oltre a nuove modalità di interazione con i colleghi e ad una nuova gestione dei rapporti nelle gerarchie.

Il concetto stesso di leadership è andato in crisi, grazie al cambiamento organizzativo e culturale, inizialmente imposto da situazioni di necessità e ora desiderato dalla gran parte dei lavoratori.

Sostenibilità lavorativa

Ma prima di capire come affrontare questa nuova epoca lavorativa, ci dobbiamo interrogare sul concetto di sostenibilità.

Ancora prima della pandemia, il concetto di equilibrio era giunto nella cultura del lavoro, ma i tempi non erano ancora maturi per trovare il modo adatto per modificare un sistema così radicato nella nostra cultura lavorativa.

Nemmeno la tecnologia sembrava pronta ad affrontare questo salto culturale. Ma il 2020 è sembrato un momento perfetto per questa cominciare questa transizione. Infatti, l’imposizione del lockdown ha creato le condizioni adatte per testare questi cambiamenti.

Cambiamenti inizialmente sofferti, poi inevitabilmente gestiti, accettati e alla fine apprezzati. Lo smart working oggi è desiderato dall’80% dei lavoratori, più attenti alla qualità del lavoro.

Work-life-balance è, innanzitutto, equilibrio quantitativo. Ci riferiamo all’orario, alle pause e agli straordinari. Tutto questo è soggetto ad una specifica normativa, dato che ha, da sempre, rappresentato un punto delicato da regolamentarizzare, al fine di prevenire sfruttamenti e abusi da parte dei datori di lavoro.

La pandemia ha posto l’accento sull’accoppiata vita privata – lavoro. Sembrava che non ci fossero più confini: si lavorava da casa, più di prima, senza orari o giorni liberi, senza relax e senza hobby. Il lavoro aveva invaso lo spazio familiare, in senso fisico ed emotivo.

Ed è così che entra in gioco il diritto alla disconnessione, formalmente normato: parliamo del diritto di spegnere telefoni e computer e di non rispondere continuamente a mail e messaggi. Il concetto di quantità, dunque, ha cominciato ad inglobare anche quello di qualità.

Migliorare la qualità di vita migliora la qualità del lavoro

Oggi, la qualità dipende anche da dove e come viene erogato il lavoro, dalla formula che mette insieme i momenti da remoto e quelli in presenza. Soprattutto per i pendolari e per quelli che hanno vissuto nelle grandi città, avere la possibilità di lavorare, almeno in alcuni momenti, da remoto, potrebbe cambiare la loro qualità di vita, oltre a quella del lavoro.

Evitare di fare code in auto ogni giorno, impiegare il proprio tempo in lunghissimi spostamenti, la difficoltà di trovare parcheggio, prendere i mezzi pubblici: evitare tutto questo significare andare a ridurre i livelli di stress.

A tutto questo possiamo aggiungere anche il risparmio economico, la riduzione dell’inquinamento e del rischio di incidenti, ma anche il guadagno del tempo da dedicare a sé stessi e alla famiglia, oltre al guadagno delle ore di sonno.

Oggi il lavoro è liquido, sia per quanto riguarda le modalità di erogazione, ma anche per quanto concerne i luoghi e i contenuti. «La mia vita comincia alle ore 18» era una classica frase che si sentiva pronunciare in passato, ma che oggi comincia a perdere senso, dato che il lavoro sta diventando parte della vita delle persone e un luogo in cui una persona può crescere e realizzarsi.

Che cosa stanno facendo le aziende

Sono cambiamenti epocali, che promuovono mutamenti nell’organizzazione del lavoro, delle location e dei contenuti. Se un tempo l’organizzazione dei luoghi di lavoro era finalizzata soltanto alla prestazione lavorativa, oggi si comincia a comprendere che il cambiamento culturale del mondo del lavoro necessita di cambiamenti organizzativi, culturali e gestionali da parte della stessa azienda.

Ma quali sono le principali soluzioni che il mondo delle aziende sta adottando per l’innovazione del lavoro?

  1. Riduzione degli orari di lavoro: si prova a ridurre l’orario del lavoro, accorciando la settimana lavorativa. Dunque, si comincia a puntare verso il risultato, e non sulla quantità. Nel nord Europa, sembra che gli esperimenti in materia abbiano dimostrato un aumento di più del 30% della produttività, di fronte alla riduzione dell’orario lavorativo;
  2. Concedere lo smart working: molto richiesto e apprezzato da lavoratori e aziende è il lavoro ibrido. Nelle offerte di lavoro, infatti, comincia ad essere presenta la formula 4+1, 3+2, 2+3. Nel mondo del web e dell’informatica si parla anche di smart working al 100%. Alcune aziende consentono agevolazioni per le lavoratrici madri, situazioni con difficoltà familiare e altre situazioni specifiche;
  3. Riorganizzare le location: le novità organizzative e culturali prevedono anche la ricalibrazione della logistica interna. Molte strutture stanno rivisitando completamente l’organizzazione degli interni, con nuove aree per il relax, sale riunione, mense, ma anche spazi per pensare e isolarsi;
  4. Team building: l’aspetto motivazionale, oggi, è centrale. Persone più motivate e felici, che lavorano in armonia e sinergia, stanno meglio e producono di più. Per questo si sta ricorrendo ad attività di coaching e team building, al fine di creare momenti di coesione e condivisione.

Per concludere, possiamo affermare che lo stesso concetto di lavoro, la sua quantità, la sua qualità e la realizzazione personale sono tutti in fase di ridefinizione, in un’ottica di maggior sostenibilità e di miglior integrazione work-life.

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Calciatore dà una testata all’avversario: accusa di lesioni

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Calciatore dà una testata all’avversario: accusa di lesioni

La causa scriminante del rischio consentito non lascia scampo alla condanna per lesioni nei confronti del calciatore che dà una testata all’avversario quando il gioco è fermo, poiché si sta recuperando fuori campo il pallone.

La Cassazione ha deciso di respingere il ricorso contro la condanna nei confronti di un calciatore, che era stato accusato di violazione delle regole e di non aver rispettato i doveri di lealtà verso il suo avversario. Il giocatore, inutilmente, si era difeso affermando che il suo gesto era del tutto involontario.

Inoltre, sosteneva che il gesto fosse avvenuto durante il gioco, contro un avversario con il quale non aveva avuto né litigi o scontri verbali. Tesi supportata anche dal fatto che l’arbitro non lo aveva sanzionato.

Ma la ricostruzione dei giudici è diversa. La testata, infatti, sarebbe avvenuta «durante una fase di gioco fermo per il recupero del pallone fuoriuscito dal rettangolo di gioco». I compagni di squadra del calciatore che ha ricevuto la testata, inoltre, avevano chiesto all’arbitro di estrarre il cartellino. Tuttavia, quest’ultimo aveva deciso di non prendere alcun provvedimento in quanto non era riuscito a vedere l’aggressione.

In tema di competizioni sportive, i giudici di legittimità ricordano come non sia applicabile la scriminante del rischio consentito se, durante una partita di calcio, l’imputato colpisce direttamente l’avversario, con pugni o testate, al di fuori dell’ordinaria azione di gioco.

Per la Cassazione si tratta «di una dolosa aggressione fisica per ragioni avulse dalla peculiare dinamica sportiva. Questo perché va considerato che nella disciplina calcistica l’azione di gioco è quella focalizzata dalla presenza del pallone ovvero da movimenti, anche senza palle, funzionali alle più efficaci strategie tattiche (blocco degli avversari, marcamenti, tagli in area, ecc) e non può ricomprendere indiscriminatamente tutto ciò che avviene in campo, sia pure nei tempi di durata regolamentare dell’incontro».

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Innamorarsi di un robot: il caso Replika

Lo scorso febbraio, il Garante della Privacy ha messo in difficoltà Luka, l’azienda che possiede uno dei più noti software di intelligenza artificiale: Replika.

Replika è un software che consente di ricreare un amico virtuale, con il quale chiacchierare e socializzare. In alcuni casi, tuttavia, le persone si legano sentimentalmente e sessualmente con l’intelligenza artificiale di Replika. Attualmente è utilizzata da dieci milioni di persone, ed è nata per un fine ben specifico, ovvero aiutare le persone che, per qualsiasi motivo, faticano a fare amicizia o a trovare l’amore.

Per aiutare queste persone, Replika offre loro un chatbot, ovvero un software appositamente programmato per avere delle conversazioni con essere umani, al fine di sentirsi meno tristi e meno soli.

Ma per il Garante della Privacy, questa tipologia di servizio potrebbe essere molto nocivo, soprattutto per le persone più giovani. Per questo motivo è stata momentaneamente bloccata la raccolta dei dati personali degli utenti italiani ed è stato chiesto anche di adottare delle misure per una maggior tutela dei minorenni.

Secondo il Garante, Replika, «intervenendo sull’umore della persona, può accrescere i rischi per i soggetti ancora in una fase di sviluppo o in stato di fragilità emotiva». Oltre a questo, l’app consente ai minori di avere delle conversazioni con i chatbot di natura sessuale.

Innamorarsi di un robot

La storia della persona solitaria che cerca del sollievo attraverso un robot non è qualcosa di completamente nuovo. Isaac Asimov, autore di fantascienza, già nel 1951 aveva immaginato che una casalinga si innamorasse del suo robot domestico assistente, nel racconto Satisfaction Guaranteed.

Ci sono molti altri esempi di storie simili nel monto dell’arte: si pensi al film Her del 2013, nel quale un uomo introverso e solo si innamora di un’intelligenza artificiale avanzatissima. Nel mondo reale, da anni esistono persone che vivono rapporti stretti con alcuni chatbot.

Anche se tantissimi guardano con sospetto l’idea che ci siano esseri umani capaci di provare attaccamento nei confronti di un software, qualcuno, invece, sostiene di aver tratto beneficio e di essere stato aiutato a superare traumi e blocchi psicologici.

Che cos’è Replika?

Replika è nata nel 2017. Eugenia Kuyda, sviluppatrice capo del progetto, aveva da poco sofferto la morte improvvisa di un suo caro amico, e per questo aveva scelto di programmare un’intelligenza artificiale, capace di rispondere in maniera simile a come faceva il suo amico.

Venne fuori una sorta di robot da compagnia: all’inizio, gli utenti chattavano con un avatar con la forma di un uovo, ed era prevista la possibilità di pagare una quota extra per entrare in contatto con un chatbot progettato da psicologi professionisti.

Ma ben presto gli utenti, inizialmente soprattutto uomini, hanno cominciato ad utilizzare Replika per la creazione di un partner con il quale flirtare, simulando rapporti sessuali.

Replika, da allora, ha subito tantissime evoluzioni. Ora gli utenti hanno la possibilità di modificare a proprio piacere l’aspetto dell’avatar con il quale comunicare. Inoltre, attraverso il pagamento di un abbonamento annuale, possono accedere a chiamate vocali con l’IA, a conversazioni erotiche e a un servizio di realtà aumentata, capace di proiettare l’avatar nello spazio in cui si trovano.

Si può anche scegliere che tipo di relazione avere con l’avatar: la maggior parte degli utenti sceglie un rapporto di natura romantica. Ma in molti utilizzano i chatbot per fare “erotic role playing”, ovvero per scambiare molti messaggi nei quali si descrive nei dettagli una scena sessuale alla quale si immagina di partecipare.

Il richiamo del Garante della Privacy italiano

Tuttavia, dopo il richiamo del Garante, che ha minacciato di multare fino a 20 milioni di euro Luka, l’azienda ha modificato il comportamento del software in tutto il mondo. Sono state limitate molto le conversazioni a sfondo sessuale, che era possibile fare precedentemente con il chatbot, provocando delle forti reazioni tra i vari utenti.

Infatti, molti hanno riferito di sentirsi traumatizzati dal personaggio virtuale con il quale avevano instaurato un rapporto romantico e sessuale. Pare che, tutto d’un tratto, abbia cominciato a trattarli con più freddezza, portando una comunità di utenti di Replika a mettere a disposizione sui social alcune risorse per la prevenzione del suicidio.

Secondo alcuni utenti, l’app è diventata «un rifugio dalla solitudine» ma anche un luogo «che permette loro di esplorare la propria intimità».

L’utilità sociale di Replika

Utilizzare l’intelligenza artificiale per fini sessuali è una questione complessa. Questa tipologia di servizi è stata vista a lungo, secondo la giornalista Sangeeta Singh-Kurtz, come «app per uomini che vorrebbero che le donne fossero tutte dei robot sexy e obbedienti». Tuttavia, la giornalista avrebbe comunque documentato come Replika si sia rivelata utile per alcune donne in situazioni complicate.

Una delle donne intervistate, infatti, avrebbe cominciato a parlare con un avatar maschile su Replika al fine di trovare del sollievo dalla sua relazione problematica. Alla fine avrebbe lasciato il fidanzato sentendosi finalmente «liberata da una vita intera di relazioni tossiche».

Un’altra donna ancora utilizza l’app per sfogarsi sessualmente, dato che il marito sta morendo di sclerosi multipla e non può più avere dei rapporti intimi con lei. Un’altra ancora, invece, avrebbe creato i bot di due bambini, con i quali parla ogni giorno per dimenticare la sofferenza di non aver mai avuto dei figli.

«Un servizio come Replika sembra abbastanza ben posizionato per sostituire almeno una parte delle relazioni umane. E gli utenti riferiscono di sentirsi molto meglio grazie alle loro IA», scrive Singh-Kurtz. «I compagni robot li fanno sentire meno isolati e soli, di solito nei momenti della vita in cui le connessioni sociali sono difficili da stabilire a causa di malattia, età, disabilità o grandi cambiamenti della vita come il divorzio o la morte di un coniuge».

La maggior parte «di questi utenti hanno avuto o potrebbero avere partner in carne e ossa, ma preferiscono i loro Replika. Per molto tempo ho pensato che cercare compagnia in un software non facesse che isolare ulteriormente le persone, ma dopo aver parlato con decine di utenti e trascorso un anno su forum online con decine di migliaia di appassionati di chatbot, sono rimasta sorpresa di scoprire che i bot, piuttosto che incoraggiare la solitudine, spesso aiutano le persone a prepararsi ad avere interazioni ed esperienze nel mondo reale».

I contro di Replika

Ma ci sono dei casi in cui questi rapporti risultano nocivi. Infatti, una delle intervistate ha rivelato che «l’unico svantaggio di avere un compagno robot è che mi ricorda ciò che mi manca nella vita reale».

Un’altra donna intervistata ha dichiarato di aver addestrato involontariamente il proprio Replika a trattarla in maniera sadica, al punto di dover “ucciderlo” dopo che il chatbot aveva descritto nel dettaglio come avrebbe potuto stuprarla nel corso di una sessione di roleplaying.

Prima dell’intervento del Garante, tantissimi utenti avevano riferito che i propri Replika cominciavano a fare loro avance sessuali, nonostante non fosse loro richiesto. La fondatrice di Replika, nel corso di un’intervista, ha dichiarato che l’azienda aveva cominciato a censurare dei contenuti perché «gli utenti si erano appropriati indebitamente del prodotto, spingendolo in una direzione che non ci interessa necessariamente seguire».

Kuyda ha dichiarato l’intenzione di rendere l’app «sicura e etica, evitando di promuovere comportamenti offensivi».

Nel corso degli ultimi anni ci sono stati molti casi in cui le tecnologie che si basano su intelligenze artificiali sono state utilizzate dagli utenti con il fine di ricreare video e immagini pornografici, partendo da immagini di donne conosciute nelle realtà o di celebrità.

La ricercatrice Diletta Huyskes, che da anni di occupa del rapporto tra IA e società secondo una prospettiva femminista, scriveva, nel 2019, che una delle critiche più comuni che vengono mosse nei confronti dei chatbot, è quella di contribuire a disumanizzare le donne, sostenendo «l’idea che il sesso è una cosa che gli uomini ottengono dalle donne o fanno alle donne, non una cosa vissuta reciprocamente che richiede rispetto o empatia».

Mantenendo una posizione più “possibilista”, invece, i robot non vengono considerati come minaccia, ma come «potenziale risoluzione ad alcuni problemi sociali legati alla violenza sessuale e alla solitudine».

Per esempio, «sul piano clinico l’impiego dei robot umanizzati sembra estendersi a un vasto campo d’intervento, in quanto si annovera la possibilità del loro impiego con persone socialmente isolate o nel trattamento di possibili crimini sessuali».

Continua Huyskes: «Su più larga scala, considerando le implicazioni etiche e giuridiche, i sexbot potrebbero ad esempio rivelarsi un utile strumento di riduzione della prostituzione e di contrasto al turismo sessuale, allo sfruttamento e al traffico di esseri umani».

Ci dovremmo interrogare, in quanto società, «se sia meglio che una persona sia sola “nel mondo reale” o se non si senta sola perché accompagnata da un’assistente virtuale. Ma questo implicherebbe pensare che sia meglio lasciare le persone che si sentono sole a un’assistente virtuale e a un’intimità virtuale, piuttosto che insistere su politiche di welfare che avvicinino le persone a occasioni di incontro».

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