Linguaggio e parità di genere negli atti giudiziari: l’intervento della Crusca

L’Accademia della Crusca ha fornito delle indicazioni per quanto riguarda la parità di genere negli atti giudiziari, in risposta al Comitato Pari Opportunità del Consiglio Direttivo della Suprema Corte di Cassazione.

Si deve evitare di utilizzare l’articolo determinativo davanti ai cognomi delle donne, ma anche evitare di utilizzare asterischi oppure il simbolo della schwa, la famosa “e” capovolta, che si utilizza per declinare al genere neutro i sostantivi.

Inoltre, si deve evitare anche di declinare al femminile cariche e professioni.

Le norme linguistiche utilizzate sino ad ora, per la Crusca, riprendono le norme introdotte dalla linguista, attivista, femminista, insegnante e saggista romana Alma Sabatini, che si ispirò, a sua volta, al modello anglosassone.

Se prendiamo in considerazione le varie correnti di pensiero che non risultano in accordo con eccessive misure sulla lingua, l’Accademia della Crusca sostiene che «i principi ispiratori dell’ideologia legata al linguaggio di genere e alle correzioni delle presunte storture della lingua tradizionale non vanno sopravvalutati, perché sono in parte frutto di una radicalizzazione legata a mode culturali».

Dunque, a tal proposito sono state individuate delle indicazioni a livello pratico, da applicare in ambito giudiziario, che potrebbero essere considerate anche istruzioni di carattere generale.

Avete presente l’asterisco al posto delle desinenze con valore morfologico? Amic*, tutt*, car*?

Ecco: la Crusca, a tal proposito, afferma che «la lingua giuridica non è sede adatta per sperimentazioni innovative minoritarie che porterebbero alla disomogeneità e all’idioletto e in una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, lo strumento migliore per il quale i generi e gli orientamenti si sentano rappresentati, continua ad essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che è un modo di includere e non di prevaricare».

Il divieto di utilizzare l’articolo davanti al cognome non fa eccezioni, nemmeno nel caso di uomini illustri. “Il” Manzoni, non si può scrivere.

Anche se non viene condivisa la tesi “scarsamente fondata” di coloro che ritengono discriminatorio utilizzare l’articolo determinativo di fronte ai cognomi delle donne, così come di fronte a quelli degli uomini, la Crusca ha constatato che «questa opinione si è diffusa nel sentimento comune, per il quale il linguaggio pubblico ne deve tenere conto».

Per la Crusca, al fine di garantire un’informazione completa, soprattutto nel caso di nomi di persone non così note, «dovrà essere sufficiente aggiungere il nome al cognome, o la qualifica».

In relazione alla questione delle professioni, l’Accademia della Crusca suggerisce di ricorrere alla declinazione femminile nel caso delle professioni o delle cariche istituzionali seguendo semplicemente le regole grammaticali.

Dunque, se i nomi maschili terminano con “o”, al femminile prenderanno il suffisso “a”. I nomi che finiscono con “e” possono essere considerati ambigenere.

Se terminano in “iere”, si trasformeranno in “iera”. Se terminano con “a” o “sta” vengono considerati ambigenere al singolare, mentre al plurale assumono i suffissi “i”, “isti” al maschile e “e”, “iste” al femminile.

Eccezione, invece, per poeta e poetessa. Se, invece, terminano con “tore”, al femminile diventeranno “trice”. Tranne pretore, che al femminile è pretora.

Nei nomi con “Pro”, “Vice”, ci si deve orientare al genere della persona alla quale viene rivolto l’appellativo. Nel caso di Pubblico Ministero, al femminile diremo Pubblica Ministera.

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