La carta d’identità elettronica dei minori dovrà riportare la dicitura “genitore” e non più “padre” e “madre”. Con una sentenza destinata a fare giurisprudenza (n. 9216/2025), la Corte di Cassazione ha messo la parola fine a un dibattito che durava da anni, bocciando il decreto del Ministero dell’Interno del 31 gennaio 2019, voluto all’epoca dal governo Conte I, che aveva reintrodotto la distinzione di genere nei documenti dei minori.
Per i giudici supremi, quella scelta era irragionevole e discriminatoria, perché non teneva conto delle famiglie composte da genitori dello stesso sesso. In particolare, il caso esaminato riguardava una bambina figlia di due madri – una biologica, l’altra adottiva tramite stepchild adoption – che aveva diritto a un documento che rispecchiasse la sua reale condizione familiare, anche in vista dei viaggi all’estero.
“Il modello predisposto dal Viminale non rappresenta tutte le legittime conformazioni dei nuclei familiari”, si legge nella motivazione della sentenza. E ciò comporta una discriminazione inaccettabile: la carta d’identità elettronica, infatti, consentiva di indicare in modo corretto solo una delle due madri, costringendo l’altra ad apparire come “padre”, una classificazione non conforme alla sua identità di genere.
Già il Tribunale di Roma, prima, e la Corte d’Appello poi, avevano accolto il ricorso presentato dalla coppia di madri. Ora la Cassazione conferma: non è più tollerabile che un documento pubblico rappresenti in modo parziale e discriminatorio la realtà familiare dei minori.
La decisione segna un passaggio importante anche sul piano simbolico: una svolta verso il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali e dei diritti dei bambini che ne fanno parte. Un principio, quello dell’uguaglianza, che la Carta d’identità – oggi più che mai – deve essere in grado di garantire.
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