Roma — Nell’epoca dei social e della giustizia spettacolo, il confine tra diritto di difesa e sovraesposizione mediatica si fa sempre più sottile. A rilanciare il tema è l’Osservatorio Deontologia dell’Unione Camere Penali Italiane, che, prendendo spunto dalle recenti cronache legate al caso Garlasco, ha diffuso una nota per ribadire principi e limiti della comunicazione dell’avvocato sui media e sulle piattaforme digitali.
«Il nostro codice deontologico — ricordano i penalisti — non vieta agli avvocati di intervenire nel dibattito pubblico per tutelare il proprio assistito, anche al di fuori del processo, purché nel rispetto dei doveri professionali e con esclusivo riferimento al diritto di difesa». La presenza sempre più massiccia di avvocati in tv, talk show e social network solleva tuttavia interrogativi sulla misura e l’opportunità di certe esposizioni.
Tra i punti richiamati dall’Osservatorio: il divieto di diffondere notizie coperte dal segreto investigativo, l’obbligo di riservatezza, equilibrio e rispetto verso le parti processuali, e il dovere di garantire comunicazioni sempre corrette, complete e tecnicamente accurate. Ma soprattutto — sottolinea la nota — «ogni intervento mediatico deve essere valutato in funzione dell’interesse esclusivo della difesa e mai per finalità autopromozionali o di visibilità personale».
Un monito che arriva in un momento di particolare attenzione mediatica attorno ai processi di cronaca e che, secondo l’UCPI, impone alla categoria di riflettere sull’etica della comunicazione e sulla tutela della dignità della professione forense anche al di fuori delle aule di giustizia.
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