Commercialisti, la svolta digitale è ora: tra AI, incentivi e nuove sfide professionali

Professione commercialista, tempo di cambiamenti. Se fino a pochi anni fa il lavoro in studio si fondava su pratiche consolidate e gestioni amministrative tradizionali, oggi la digitalizzazione è diventata un requisito essenziale. A spingere questa transizione sono sia le riforme normative, a partire dalla Legge di Bilancio 2025, sia le opportunità offerte dalle tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale.

Le nuove misure fiscali introducono modifiche sostanziali: dalla riduzione dell’IRES per le imprese che reinvestono gli utili, al taglio strutturale del cuneo fiscale, passando per la semplificazione delle aliquote IRPEF. A questi interventi si affianca il rafforzamento degli incentivi per la digitalizzazione delle aziende con il piano Transizione 5.0 e l’estensione dell’obbligo di fatturazione elettronica ai professionisti in regime forfettario. Una trasformazione che impone agli studi di aggiornare processi e strumenti, rendendo indispensabile l’adozione di software gestionali avanzati e soluzioni cloud.

In questo scenario, l’AI si candida a diventare il vero alleato dei commercialisti. Dall’analisi dei flussi finanziari alla previsione di rischi fiscali, fino alla personalizzazione di strategie per i clienti, l’intelligenza artificiale consente di automatizzare compiti ripetitivi e potenziare la consulenza strategica. Il mercato italiano dell’AI, che nel 2024 ha toccato quota 1,2 miliardi di euro, offre soluzioni sempre più accessibili anche per i piccoli studi professionali. Tuttavia, restano margini di crescita: solo una parte degli studi ha investito in modo strutturale nell’innovazione tecnologica, mentre una quota significativa rimane ancora cauta di fronte al cambiamento.

Parallelamente cresce l’attenzione alla protezione professionale. Con l’aumento dell’uso di strumenti digitali e l’evoluzione normativa, il rischio di errori o contestazioni fiscali cresce. Le nuove polizze assicurative per i commercialisti si stanno adeguando, offrendo coperture personalizzate e premi calcolati sulla base del profilo di rischio reale dello studio.

Non è più tempo di rimandare. L’incrocio tra innovazione digitale, nuove normative e mutati bisogni dei clienti sta ridisegnando il ruolo del commercialista: da mero gestore della burocrazia fiscale a consulente strategico capace di orientare le decisioni finanziarie e supportare la crescita delle imprese in un contesto economico sempre più digitale e competitivo.


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SXO e Intelligenza Artificiale: la nuova frontiera oltre la SEO

SXO: perché la SEO tradizionale non basta più

Nel panorama digitale attuale, il semplice posizionamento nei motori di ricerca non è più sufficiente. A imporsi è una nuova disciplina: la Search Experience Optimization (SXO). Più di una semplice evoluzione della SEO, la SXO integra esperienza utente, contenuti, branding e intelligenza artificiale, puntando a rendere ogni interazione rilevante, coerente e capace di rafforzare l’identità del brand.

In un contesto dove l’utente trova spesso risposte già confezionate da AI Overview o snippet interattivi, costruire esperienze di valore lungo tutto il customer journey diventa una necessità strategica. Non è più questione di esserci, ma di esserci nel modo giusto e nel momento giusto.

SXO diffusa: quando l’esperienza esce dal sito

Il concetto di SXO diffusa parte da una consapevolezza chiara: il sito web non è più l’unico touchpoint digitale rilevante. YouTube, TikTok, Reddit, newsletter e marketplace diventano luoghi decisivi nel percorso d’acquisto e di informazione dell’utente.

Prendiamo ad esempio chi cerca un nuovo paio di scarpe da palestra. Prima scorre TikTok per consigli e recensioni, poi approfondisce su Google, dove tra i risultati spunta un box AI che aggrega opinioni e guide. È in questo scenario che si gioca la partita: essere presenti nei contenuti giusti, sui canali giusti, in modo coerente e riconoscibile.

L’AI rivoluziona il marketing esperienziale

L’intelligenza artificiale è ormai una colonna portante del marketing digitale. Nella SXO, non sostituisce il lavoro umano ma lo potenzia: aiuta a scoprire nuovi intenti di ricerca, simulare comportamenti utenti, personalizzare messaggi e ottimizzare i contenuti sulla base di trend e dati predittivi.

Con AI generativa e modelli predittivi è possibile, ad esempio, testare virtualmente contenuti e interfacce con focus group digitali, velocizzare il clustering semantico o intercettare bisogni latenti con rapidità mai vista prima.

Il ritorno del brand e di una link building intelligente

Se le AI sintetizzano le informazioni e indicano le fonti, la reputazione del brand diventa ancora più centrale. Essere citati tra le fonti autorevoli di un box AI non vale solo un clic, ma consolida un’immagine di competenza e affidabilità.

In questo contesto anche la link building torna protagonista, non come mera pratica tecnica ma come rete reputazionale costruita attraverso contenuti di valore su portali verticali, collaborazioni con creator e campagne di digital PR strategiche.

Da SEO a SXO: il cambio di paradigma

Il tempo della SEO vista come ottimizzazione isolata è finito. Il digital marketing deve ora unire dati, contenuti, tecnologia ed empatia per progettare presenze online che non siano solo algoritmicamente efficienti, ma esperienzialmente memorabili.


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Privacy, sanzione da 5 milioni a Replika: troppe falle nei controlli sull’età dei minori

L’intelligenza artificiale porta con sé opportunità, ma anche rischi che le autorità di controllo europee continuano a monitorare con attenzione. È quanto emerge dal recente provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali, che ha inflitto una sanzione di 5 milioni di euro alla società statunitense Luka Inc., titolare del popolare chatbot Replika, per gravi violazioni del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR).

L’istruttoria dell’Autorità ha rilevato criticità su più fronti, a partire da un sistema di verifica dell’età inefficace e facilmente eludibile, fino a informative sulla privacy incomplete, fuorvianti e disponibili esclusivamente in lingua inglese, nonostante il servizio fosse erogato anche in Italia.

Le violazioni accertate: privacy policy carente e controlli aggirabili

Dagli accertamenti è emerso che, alla data del 2 febbraio 2023, la privacy policy di Replika non rispettava i principi di trasparenza e correttezza imposti dal GDPR: mancava l’indicazione puntuale delle basi giuridiche per ogni trattamento, delle tipologie di dati trattati, delle finalità specifiche e del periodo di conservazione dei dati personali. La policy inoltre non chiariva in modo adeguato le modalità di trasferimento dei dati fuori dallo Spazio Economico Europeo, generando confusione tra gli utenti.

Quanto al sistema di verifica dell’età, il Garante ha rilevato falle tecniche significative. Era infatti possibile modificare liberamente la propria data di nascita nel profilo senza che ciò determinasse un nuovo controllo. Inoltre, il cosiddetto cooling off period di 24 ore per bloccare temporaneamente i tentativi di accesso dei minori non funzionava nella navigazione in incognito. Nessun meccanismo, poi, obbligava gli utenti a riconfermare la maggiore età in caso di dichiarazioni che facessero sospettare il contrario durante l’interazione.

Aggiornamenti parziali e criticità persistenti

A seguito delle contestazioni, Luka Inc. ha aggiornato la privacy policy il 23 febbraio 2024, correggendo alcune delle incongruenze rilevate. Tuttavia, il documento continua a essere disponibile solo in inglese e a non fornire informazioni chiare sulla durata di conservazione dei dati. Restano inoltre irrisolte le problematiche relative alla verifica dell’età, con il sistema che consente ancora di modificare i dati anagrafici senza controlli efficaci.

Le prescrizioni del Garante e le lezioni per il mercato digitale

Alla luce di queste gravi carenze, l’Autorità ha imposto alla società di conformare il proprio servizio alle norme del GDPR, intervenendo sia sulla privacy policy sia sul sistema di verifica dell’età per renderlo realmente efficace nella tutela dei minori.

Questo caso rappresenta un precedente importante per tutte le aziende che operano nel settore dell’intelligenza artificiale e dei servizi digitali rivolti al pubblico. La protezione dei dati personali e il rispetto dei diritti degli utenti, soprattutto dei soggetti vulnerabili come i minori, devono essere considerati aspetti centrali nella progettazione dei servizi, pena pesanti sanzioni e un grave danno reputazionale.


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Navigazioni sorvegliate: il Garante privacy detta le regole per i controlli sui dipendenti

Aziende ed enti pubblici possono controllare la navigazione internet dei propri dipendenti, ma solo rispettando precise regole. Lo ha ribadito il Garante per la protezione dei dati personali con l’ingiunzione n. 243 del 29 aprile 2025, intervenendo su un caso che ha visto protagonista un ente pubblico, colpevole di aver conservato per un intero anno i log di navigazione dei propri dipendenti — inclusi i tentativi di accesso a siti inseriti in una black list — senza alcun accordo sindacale e senza adottare le garanzie previste dalla normativa.

La disciplina è chiara: i datori di lavoro, siano essi imprese o pubbliche amministrazioni, possono raccogliere e conservare i cosiddetti log di navigazione — ossia le registrazioni degli accessi a internet — solo in presenza di specifiche condizioni e garanzie. Tra queste, spicca l’obbligo di stipulare preventivamente un accordo con le rappresentanze sindacali ai sensi dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori (legge 300/1970), anche se i sindacati non sollevano obiezioni.

Inoltre, i log non possono essere conservati per più di 90 giorni, salvo anomalie di sicurezza o richieste specifiche dell’autorità giudiziaria. Superato questo termine, i dati devono essere anonimizzati o cancellati.

Le regole del Garante

Il Garante ha sottolineato che i controlli devono bilanciare la necessità di garantire la sicurezza informatica con il rispetto della riservatezza dei dipendenti. Non è infatti lecito schematizzare o profilare i lavoratori sulla base della loro attività in rete, anche quando questa sia solo tentata.

Per procedere legittimamente, le imprese devono:

  • Predisporre una valutazione d’impatto privacy (DPIA) ai sensi dell’articolo 35 del GDPR;
  • Stabilire un termine massimo di conservazione dei dati, fissato dal Garante in 90 giorni;
  • Sottoscrivere un accordo sindacale per l’attivazione di sistemi di controllo indiretto;
  • Limitare la possibilità di risalire all’identità del singolo dipendente, separando le informazioni tecniche dai dati personali.

Inoltre, l’identità del dipendente che utilizza un determinato dispositivo deve essere associata al log solo in casi di comprovata necessità e attraverso procedure graduali e controllate, sempre previa verifica a livello aggregato.

Tempi e modalità di conservazione

Anche la conservazione delle richieste di assistenza tecnica rivolte ai fornitori informatici deve essere limitata nel tempo. Nel caso specifico, il Garante ha ritenuto congruo un periodo massimo di 12 mesi.

Sono invece considerati strumenti di lavoro ordinari e quindi esclusi dall’obbligo di accordo sindacale i sistemi che bloccano automaticamente l’accesso a siti vietati senza però registrare i tentativi di connessione.

In ogni caso, le operazioni di verifica devono essere affidate a un numero ristretto di persone autorizzate e specificamente designate, con istruzioni precise sui rischi e le modalità di trattamento dei dati.

Il principio di proporzionalità

Il principio cardine, ribadisce il Garante, è quello di proporzionalità e minimizzazione: le attività di controllo devono essere strettamente necessarie, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità di sicurezza informatica e buon andamento dei servizi.

In mancanza di accordo sindacale e adeguate garanzie, ogni trattamento di dati sui dipendenti rimane privo di base giuridica e rischia di esporsi a pesanti sanzioni amministrative, come accaduto nel caso in esame.


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IA generativa, UE: enorme potenziale, ma servono regole e investimenti

Secondo una nuova relazione scientifica del Centro comune di ricerca (JRC) della Commissione europea, l’intelligenza artificiale (IA) generativa potrebbe stimolare in modo significativo l’innovazione e la produttività in settori chiave dell’Unione, dall’assistenza sanitaria, all’istruzione, alle industrie culturali e creative. La relazione sulle prospettive evidenzia il potenziale trasformativo dell’IA generativa in termini di innovazione, produttività e cambiamento sociale. Ma sottolinea anche che il suo rapido sviluppo comporta rischi trasversali, tra cui l’amplificazione della misinformazione, distorsioni algoritmiche, perturbazioni del lavoro e problemi di privacy, che richiedono un’attenzione urgente.

Per sfruttare i vantaggi dell’IA generativa salvaguardando al contempo i diritti fondamentali, la relazione sottolinea la necessità di un approccio programmatico multidisciplinare e strategico. Viene richiesto inoltre uno stretto allineamento con le normative dell’Unione europea, quali il regolamento sull’IA e la legislazione sui dati, nonché con le politiche di innovazione dell’UE in materia di IA per garantire che la IA generativa rimanga affidabile, inclusiva e pienamente allineata ai valori democratici e alle leggi dell’UE.

Ekaterina Zaharieva, Commissaria per le Start-up, la ricerca e l’innovazione, ha dichiarato: “L’Europa ha il potenziale per assumere un ruolo guida nell’IA generativa. Con le politiche e gli investimenti giusti possiamo stimolare la competitività e l’innovazione. La consulenza scientifica indipendente aiuta l’Unione europea a beneficiare di una tecnologia complessa e rapida come l’IA generativa”.

La Commissione ha avviato una prima serie di opportunità di finanziamenti dell’Unione europea con quasi 700 milioni di € per integrare l’IA generativa in settori strategici europei quali l’industria manifatturiera, la robotica, la salute e l’energia. Ricercatori, innovatori, imprese industriali e altri soggetti candidati entreranno a far parte di GenAI4EU, l’iniziativa faro della Commissione per promuovere l’IA generativa “made in Europe”.

La relazione è disponibile online.


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Giustizia lumaca a Roma: udienze al Giudice di Pace fissate a tre anni e mezzo

Tre anni abbondanti per fissare un’udienza davanti al Giudice di Pace di Roma. È la rappresentazione plastica della crisi drammatica che affligge l’ufficio giudiziario della Capitale, dove il 9 giugno scorso un giudice della Terza Sezione Civile ha fissato l’udienza di comparizione delle parti al 10 ottobre del 2028. Una lentezza insostenibile nella definizione delle causa che spinge il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, Paolo Nesta, a denunciare una situazione che non esita a definire di denegata giustizia.

“Nelle settimane scorse avevamo raccontato di una vicenda analoga a Busto Arsizio – spiega Nesta – oggi ci troviamo a descrivere la stessa situazione nella Capitale. Come dicevo all’epoca, il Giudice di Pace – prosegue Nesta  – rappresenta l’accesso primario alla giurisdizione per il cittadino. Ma è evidente che se il cittadino si trova dinanzi a una simile lentezza, facilmente rinuncia a chiedere la tutela dei propri diritti”.

A livello nazionale, i dati dell’ultimo monitoraggio confermano una scopertura degli organici dei Giudici di Pace del 63%, con punte che nelle grandi città raggiungono l’80%. A Roma, nonostante il recente insediamento di 16 nuovi Giudici di Pace, la situazione resta critica, con rinvii come quello denunciato dal COA della Capitale.

“Parliamo di un rinvio di tre anni solo per comparire davanti al giudice – conclude Nesta – non certo per la definizione della causa, che anzi di rinvio in rinvio rischia di trascinarsi per anni senza che il cittadino sappia come si concluderà la sua vicenda processuale”.

Di qui la denuncia del Presidente Nesta, che per l’ennesima volta lancia un appello alle istituzioni.  “Se la Giustizia non è più in grado di garantire risposte ai cittadini in tempi ragionevoli, come garantito dall’art. 111 della Costituzione, la Giustizia non è più tale ma diventa un mero esercizio burocratico fine a se stesso”.


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Domani è il Tax day: all’erario 42 miliardi. Altri 17 entro il 30 giugno

E’ in arrivo il primo ingorgo fiscale dell’anno. Anche se, in teoria, venerdì scorso abbiamo celebrato il giorno di liberazione fiscale, la realtà, purtroppo, è molto diversa e tutt’altro che rassicurante. Entro lunedì prossimo, infatti, i contribuenti italiani saranno chiamati a versare all’erario 42,3 miliardi di euro in tasse. Un importo, quest’ultimo, che secondo l’Ufficio studi della CGIA è certamente sottodimensionato, poiché non include il valore economico dei contributi previdenziali che dovranno essere pagati dalle imprese e dai lavoratori autonomi. In sostanza, tra poche ore, questa enorme responsabilità fiscale si concretizzerà senza possibilità di sconto. Considerando poi la cronica carenza di liquidità che affligge soprattutto il mondo delle piccole aziende, molti imprenditori hanno cerchiato sul calendario con il pennarello rosso sia il 16 che il 30 giugno: due scadenze fiscali che mettono “paura” e fanno “tremare” chiunque abbia a cuore la propria attività.

Entro domani, infatti, i titolari di impresa saranno chiamati a versare all’erario almeno 34 miliardi di euro, quasi la totalità del gettito totale previsto (l’80 per cento circa). Questa cifra assoluta in capo alle aziende comprende, in particolare, le ritenute Irpef sui lavoratori dipendenti e sui collaboratori familiari (14,4 miliardi), l’Iva (13,2), l’Imu (5) e le ritenute Irpef dei lavoratori autonomi (1,3). È fondamentale sottolineare che per le imprese il pagamento delle ritenute Irpef dei propri dipendenti e dell’Iva — importo stimato dalla CGIA in 27,5 miliardi di euro — rappresenta una mera partita di giro: nel caso delle ritenute Irpef, infatti, le aziende agiscono come sostituti d’imposta per conto dei propri lavoratori; riguardo all’Iva, invece, si tratta di somme già incassate in precedenza, ogni qual volta hanno ricevuto un pagamento dalla clientela a seguito dell’emissione di una fattura. Nonostante ciò, rimane il solito problema della liquidità. Con tempi di pagamento tra le imprese private in costante aumento, tantissime attività sono a corto di liquidità, anche perché le banche, in particolare alle piccole imprese, continuano a erogare il credito con il contagocce. Questa situazione, se ancora ce ne fosse bisogno, dimostra con chiarezza la responsabilità cruciale che grava sulle imprese nel garantire il corretto flusso fiscale verso lo Stato.

  • Giugno è da sempre il mese delle tasse

Giugno e anche novembre sono da sempre i mesi delle tasse. E se la scadenza di dopodomani sta togliendo il sonno a molti contribuenti in preda alle difficoltà di reperire i soldi per onorare le richieste del fisco, anche la scadenza di lunedì 30 giugno sarà tra le più importanti dell’anno. Nonostante il Consiglio dei Ministri abbia opportunamente rinviato al 21 luglio prossimo e senza alcuna maggiorazione il pagamento dell’Ires, dell’Irap, dell’Irpef e delle addizionali Irpef ai forfetari e alle partite Iva soggette agli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), sempre secondo le stime dell’Ufficio studi della CGIA, nell’ultimo giorno di questo mese è previsto un gettito per l’erario di 17 miliardi di euro. Soldi che arriveranno dal pagamento dell’Ires (9,8 miliardi), dell’Irap (4,9), dell’Irpef (1,5) e delle addizionali regionali/comunali Irpef (0,9). In buona sostanza, dalle due scadenze previste in questo mese (lunedì 16 e lunedì 30), le casse dello Stato riscuoteranno complessivamente 59,3 miliardi di euro.

  • Rimaniamo tra i più tartassati in UE

Nel 2024[1] la pressione fiscale in Danimarca era al 45,4 per cento del Pil, in Francia al 45,2, in Belgio al 45,1, in Austria al 44,8 e in Lussemburgo al 43. Tra tutti i Paesi dell’UE, l’Italia si posizionava al sesto posto con un tasso del 42,6 per cento del Pil. Se tra i nostri principali competitor commerciali solo la Francia presentava un carico fiscale superiore al nostro, gli altri, invece, registravano un livello nettamente inferiore. Se in Germania il peso fiscale sul Pil era al 40,8 per cento (1,8 punti in meno rispetto al dato Italia), in Spagna addirittura al 37,2 (5,4 punti in meno che da noi). Il tasso medio in UE, invece, era al 40,4, 2,2 punti in meno della nostra media nazionale.

  • Record dell’ “oppressione” fiscale

Oltre ad avere un carico fiscale tra i più elevati d’Europa, l’Italia è il Paese, assieme al Portogallo, dove pagare le tasse è più difficile, in particolar modo per le imprese. Secondo le ultime statistiche elaborate dalla Banca Mondiale[2], i nostri imprenditori “perdono” 30 giorni all’anno (pari a 238 ore) per raccogliere tutte le informazioni necessarie per calcolare le imposte dovute; per completare tutte le dichiarazioni dei redditi e per presentarle all’Amministrazione finanziaria; per effettuare il pagamento on line o presso le autorità preposte. In Francia per espletare le incombenze burocratiche derivanti dal pagamento delle tasse sono necessari solo 17 giorni (139 ore), in Spagna 18 (143 ore) e in Germania 27 (218 ore), mentre la media dell’Area dell’Euro è di 18 giorni (147 ore). I dati si riferiscono a una media impresa (società a responsabilità limitata), al secondo anno di vita e con circa 60 addetti.

  • L’evasione comunque è in calo

Nel 2024 l’Agenzia delle Entrate ha recuperato dalla lotta all’evasione fiscale 33,4 miliardi di euro; una cifra che costituisce un record assoluto. A questa buona notizia se ne affianca un’altra: secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) l’evasione è in calo[3]. Se nel 2017 toccava i 108,4 miliardi di euro, nel 2021, ultimo anno in cui il dato è disponibile, è scesa a 82,4 miliardi (vedi Graf. 1); di cui 72 sono ascrivibili al mancato gettito tributario e gli altri 10,4 sono il “frutto” dell’evasione contributiva. Sebbene non possiamo contare su oltre 82 miliardi di euro di entrate tributarie e contributive ogni anno, negli ultimi tempi l’Amministrazione finanziaria italiana ha imboccato la strada giusta e per gli evasori la vita è diventata molto più difficile. Grazie all’applicazione della compliance fiscale[4], dello split payment[5], della fatturazione elettronica e dell’invio telematico dei corrispettivi, una serie di contribuenti – tra cui gli evasori seriali, chi riceveva i pagamenti dallo Stato per un servizio o una prestazione lavorativa resa e poi non onorava il pagamento dell’Iva e, infine, i professionisti delle cosiddette “frodi carosello”[6] – sono stati indotti a ravvedersi. Certo, il lavoro da fare rimane ancora molto, ma le misure messe in campo in questi ultimi anni stanno riscuotendo un buon successo.

  • In valore assoluto è al top in Lombardia, in percentuale, invece, il picco massimo è in Calabria

Se “regionalizziamo” gli 82,4 miliardi di euro[7] di evasione fiscale stimati dal MEF (vedi Graf. 1), l’area geografica che in valore assoluto registra l’evasione più elevata d’Italia è la Lombardia con 13,6 miliardi. Seguono il Lazio con 9,2 e la Campania con 7,7. Rammentando che la Lombardia conta quasi 10 milioni di abitanti – mentre il Lazio e la Campania rispettivamente 5,7 e 5,6 – da un punto di vista comparativo è certamente più “corretto” misurare in mancato gettito imputabile agli evasori, calcolando l’incidenza percentuale dell’evasione sul gettito tributario e contributivo incassato in ciascuna regione. Ebbene, se decidiamo di utilizzare questa modalità, il tasso di evasione più elevato si attesta al 20,4 per cento e riguarda la Calabria. Al 19,1 scorgiamo la Campania, al 18,7 la Puglia e al 18,3 la Sicilia. L’area più “fedele” al fisco d’Italia, invece, risulta essere la Provincia Autonoma di Bolzano con un tasso dell’8,6 per cento. La media Italia è al 12,5 per cento (vedi Tab. 5).

  • Chi non paga si sconfigge con un fisco più efficiente

Per avere la meglio sugli evasori bisogna continuare a sfruttare in modo sempre più efficiente i dati detenuti dall’Amministrazione fiscale, al fine di ottimizzare i controlli su fenomeni che, secondo le valutazioni dell’Agenzia delle Entrate, presentano elevati livelli di rischio. Tra questi si annoverano: le frodi IVA; l’uso improprio di crediti inesistenti e/o aiuti economici non dovuti; la fittizia dichiarazione di residenza fiscale all’estero; e l’occultamento di patrimoni al di fuori dei confini nazionali[8].

[1] Ultimo anno in cui i dati ci consentono di fare una comparazione tra i paesi europei

[2] Doing Business 2020

[3] Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva. Anno 2024, pag. 5.

[4] Prassi introdotta con la legge n° 190/2014 in base alla quale l’Agenzia delle Entrate con apposita comunicazione informa il contribuente su possibili irregolarità invitandolo a verificare e a ravvedersi, incentivando così l’assolvimento spontaneo degli obblighi tributari e favorendo l’emersione spontanea delle basi imponibili.

[5] Detta anche scissione dei pagamenti, è una forma di liquidazione Iva. Questo provvedimento prevede che, nei rapporti tra aziende/professionisti e la Pubblica Amministrazione, sia quest’ultima a trattenere e versare l’imposta relativa alla transazione. Questa procedura, diventata operativa a partire dal 1° luglio 2017, devia dalla regola generale secondo cui l’Iva viene addebitata in fattura al cliente e poi versata alle casse dell’Erario dal fornitore impone invece che sia la Pubblica Amministrazione a farlo direttamente.

[6] E’ un’operazione fittizia o inesistente che avviene tra varie società in UE appositamente create a questo scopo. Questo tipo di illecito termina nella richiesta di rimborso Iva non spettante.

[7] L’ultimo anno disponibile è il 2021

[8] Audizione del Direttore dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione, Avv. Ernesto Maria Ruffini, Senato della Repubblica 6ª Commissione Finanze e Tesoro, Roma, 27 febbraio 2024, pag. 12.


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SPID sotto attacco: così il furto dell’identità digitale passa per trappole invisibili

Nel pieno della digitalizzazione dei servizi pubblici italiani, SPID è diventato molto più di un semplice sistema di autenticazione: è la chiave di accesso a dati personali, pratiche amministrative e diritti fondamentali. Ed è proprio questa centralità a renderlo oggi uno degli obiettivi più ambiti della criminalità informatica. Negli ultimi mesi, i casi di frode legati a SPID si sono moltiplicati, svelando una vulnerabilità non tanto nei sistemi informatici quanto nelle abitudini e nella consapevolezza degli utenti.

Il meccanismo è spesso subdolo e ingannevole. Arriva un SMS che sembra provenire dall’Agenzia delle Entrate o da un ente previdenziale, corredato di logo istituzionale e link plausibile. Il cittadino, spinto dalla fretta e dalla fiducia negli strumenti digitali, clicca senza troppe verifiche. Il resto lo fa l’ingegneria sociale: pagine di phishing ben costruite e messaggi automatizzati trasformano in pochi minuti dati sensibili e credenziali in strumenti per rubare l’identità.

Tra le frodi più insidiose c’è quella del cosiddetto doppio SPID, ossia la creazione di una seconda identità digitale a nome della vittima, attivata presso un altro Identity Provider sfruttando informazioni personali già trafugate. A rendere il tutto possibile sono falle procedurali nell’identificazione remota: selfie manipolati, documenti digitali alterati e una carenza di notifiche tra i vari gestori dell’identità digitale permettono ai criminali di muoversi indisturbati.

Il risultato è devastante: un truffatore può accedere al fascicolo sanitario elettronico, cambiare IBAN per ricevere bonifici o presentare pratiche INPS a nome della vittima. E spesso ci si accorge dell’attacco solo quando è troppo tardi.

La questione solleva interrogativi non solo tecnologici, ma anche giuridici e culturali. Chi è davvero responsabile di queste frodi? Quanto pesa l’ingenuità dell’utente rispetto alle lacune degli operatori? E soprattutto: quali strumenti concreti abbiamo per prevenire e contrastare questi fenomeni?

Se la tecnologia, sulla carta, è solida, è l’ecosistema a mostrarsi fragile: mancano campagne di sensibilizzazione efficaci, procedure di sicurezza uniformi tra i gestori SPID e sistemi di allerta rapidi per l’utente. In questo contesto, la prevenzione passa tanto dal rafforzamento dei protocolli tecnici quanto dalla formazione digitale dei cittadini, oggi più che mai indispensabile.


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Intercettazioni e difesa: accesso ai files di log solo con richiesta motivata

Il diritto alla difesa si confronta con le nuove frontiere del processo penale digitale. La Corte di Cassazione, con una recente sentenza (n. 18464/2025), ha stabilito che i files di log relativi alle intercettazioni — quei registri digitali che tracciano le attività di captazione e ascolto — sono equiparabili alle registrazioni audio, ma il loro rilascio alla difesa non è automatico. Per ottenerne copia, occorre formulare una richiesta sorretta da motivazioni concrete, indicando quale specifico interesse difensivo verrebbe leso dal mancato accesso.

Il caso riguardava un indagato per associazione mafiosa, la cui custodia cautelare si fondava esclusivamente su intercettazioni eseguite tramite captatore informatico. La difesa aveva eccepito la violazione del diritto di ottenere copia dei files di log — strumenti ritenuti essenziali per verificare eventuali anomalie nell’acquisizione dei dati — sostenendo che il diniego ne pregiudicasse il diritto di difesa.

La Suprema Corte ha però rigettato il ricorso, chiarendo che, pur riconoscendo ai files di log pieno valore probatorio, la richiesta di copia deve essere giustificata da specifiche contestazioni o da ragioni difensive precise. Una richiesta meramente esplorativa, priva di indicazioni su possibili vizi o manipolazioni delle captazioni, non è sufficiente a ottenere il rilascio.

Stessa sorte per un ulteriore motivo di ricorso, con cui si contestava il mancato rispetto della regola che assegna al difensore l’ultima parola in udienza. I giudici di legittimità hanno ribadito che, nelle udienze di riesame cautelare, tale disciplina non si applica.

Una pronuncia che non mancherà di far discutere. Se da un lato la Corte ribadisce il valore dei files di log come vere e proprie “impronte digitali” delle intercettazioni, dall’altro restringe l’accesso difensivo a questi documenti essenziali, subordinandolo alla dimostrazione di un interesse concreto.


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Fisco, slittano al 21 luglio i versamenti per 4,6 milioni di partite IVA

Slittano al 21 luglio i termini per il versamento delle imposte per circa 4,6 milioni di partite IVA. È quanto prevede il decreto fiscale approvato ieri dal Consiglio dei ministri, che accoglie così le richieste delle categorie professionali e delle imprese preoccupate per le scadenze concentrate a fine giugno. Nessuna maggiorazione fino a quella data; dal 22 luglio al 20 agosto scatterà invece l’aggiunta dello 0,4%.

La proroga riguarda i versamenti legati alle dichiarazioni dei redditi, IVA e IRAP per i soggetti che esercitano attività economiche con indici di affidabilità fiscale approvati (i cosiddetti Isa) o per chi rientra in regimi agevolati, compresi forfettari e minimi.

Con il provvedimento vengono inoltre allentate alcune strette fiscali. Le spese di trasferta, ad esempio, dovranno essere tracciabili solo se sostenute in Italia, mentre viene ufficialmente cancellato dal 1° luglio lo split payment IVA per le società quotate, in linea con la scadenza dell’autorizzazione europea.

Novità anche per le plusvalenze realizzate da professionisti e studi associati attraverso la cessione onerosa di quote societarie: da ora tassate con un’imposta sostitutiva del 26%.

Il decreto prevede poi interventi nel settore della logistica, con l’estensione del reverse charge ai trasporti, e anticipa l’entrata in vigore di alcune regole per la produzione di vino dealcolato, fissando il via alla data di pubblicazione delle disposizioni attuative.

Sul fronte delle scadenze, prorogato al 31 ottobre il termine per l’invio della documentazione sul disallineamento da ibridi e al 15 settembre quello per le delibere Imu dei comuni.

Soddisfazione da parte dei professionisti. Il Consiglio nazionale dei commercialisti ha accolto positivamente la proroga, considerandola un segnale di attenzione verso le esigenze operative di contribuenti e intermediari, specie in un’estate caratterizzata da importanti novità fiscali.


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