Roma – Silvio Berlusconi, anche dopo la sua scomparsa, continua a essere la figura simbolica che condiziona il dibattito sulla riforma della giustizia. La sua eredità politica aleggia sulle scelte del Governo Meloni, impegnato a portare avanti una delle riforme più ambiziose: la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri.
L’obiettivo della premier Giorgia Meloni e del ministro della Giustizia Carlo Nordio è chiaro: evitare che la riforma sia percepita come una “vendetta” contro la magistratura, come avvenuto negli anni dei governi Berlusconi. La sfida è ancora più alta in vista di un possibile referendum confermativo, che potrebbe spaccare il Paese in due tifoserie contrapposte: da un lato i sostenitori del centrodestra, spesso critici verso l’operato delle Procure, dall’altro gli elettori di centrosinistra, tradizionalmente vicini alle ragioni della magistratura.
Tre segnali di disarmo
Negli ultimi giorni, tre segnali chiari mostrano una strategia più prudente da parte del Governo, mirata a smorzare le tensioni e favorire un approccio “ecumenico” alla riforma.
- Il decreto “spuntato” sulle ordinanze cautelari
Il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legislativo sulle ordinanze cautelari in una versione meno rigida del previsto. Nonostante le critiche del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), Giuseppe Santalucia, la norma non vieta ai giornalisti di riferire i contenuti degli atti giudiziari, limitandosi a proibire la pubblicazione in forma “letterale”. In assenza di sanzioni concrete, la multa prevista resta quella storica del codice penale fascista, da 51 a 258 euro, una cifra simbolica e priva di reale effetto deterrente.
- Accantonato l’illecito disciplinare per i magistrati “troppo indulgenti”
La proposta di introdurre un illecito disciplinare contro i magistrati considerati “culturalmente orientati all’accoglienza dei migranti” è sparita dai radar. Inizialmente sostenuta dalla Lega, la norma avrebbe dovuto limitare l’autonomia dei magistrati su temi legati all’immigrazione. Ma il decreto giustizia del 29 novembre (Dl 178/2024) non ha incluso questa disposizione, e la proposta è finita in una sorta di limbo normativo.
- Nessuna novità sul conflitto d’interessi di de Raho e Scarpinato
Anche il tema del conflitto d’interessi di Federico Cafiero de Raho e Roberto Scarpinato, parlamentari ed ex magistrati M5S, è scomparso dall’agenda politica. La proposta di introdurre regole che impedissero loro di partecipare ad alcuni lavori della Commissione Antimafia è stata depositata in Parlamento, ma non è mai stata discussa né alla Camera né al Senato.
Una riforma “ecumenica” per lasciare il segno
Questi segnali di “disarmo” indicano la volontà di Meloni e Nordio di procedere con cautela, evitando scontri frontali con la magistratura e l’opinione pubblica. L’obiettivo è costruire un consenso più ampio possibile attorno alla riforma della separazione delle carriere, affinando la strategia in vista del referendum confermativo.
“Vogliamo una riforma per tutti, non solo per il centrodestra”, sembra essere il messaggio che Meloni e Nordio vogliono lanciare. La posta in gioco è alta. La premier punta a lasciare un’impronta significativa sull’ordinamento costituzionale, mentre Nordio ambisce a essere ricordato come il ministro che ha realizzato una riforma storica. Ma per raggiungere questo traguardo, il Governo dovrà allontanare l’ombra del “regolamento di conti” con la magistratura e trasformare una battaglia politica in una riforma condivisa e duratura.
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