La CTU è un atto processuale che permette al giudice di valutare meglio i fatti, ma quest’ultimo non è obbligato a tenerne conto. In sostanza, la CTU consente di ricavare “il fatto storico” evidenziato dal consulente, ma non è il “fatto storico”.
Lo chiarisce la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 12387 del 24 giugno 2020.
LA CTU NON RAPPRESENTA “FATTO STORICO”
La Cassazione ha rigettato un ricorso mosso da:
- – la presunta violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 61 e 62 c.p.c., poiché il tribunale ha riconosciuto la validità della consulenza tecnica non ne ha accettato gli esiti senza dare alcuna giustificazione.
- – la presunta nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., per aver omesso l’esame degli esiti della CTU, considerati dalla ricorrente un fatto decisivo per il giudizio.
I motivi del rigetto sono:
- – la presunta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non è coerente con i contenuti normativi degli articoli.
«La ricorrente si duole della valutazione della c.t.u., assunta ad elemento probatorio, operata dalla Corte territoriale, ma non già che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nell’art. 115 c.p.c., ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, ovvero ancora, quanto all’art. 116 c.p.c., che il giudice abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista, oppure, al contrario, abbia valutato secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. n. 11892/2016)». - – l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella vigente formulazione riguarda l’omesso esame di un “fatto storico”, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo.
Nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, «il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua ” decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra le tante v. Cass., S.U., n. 8053/2014)».
«Le doglianze si risolvono nella prospettazione di un vizio di motivazione non coerente con il paradigma attualmente vigente, nonché volta ad una nuova valutazione dei fatti e delle risultanze istruttorie, non ammissibile in questa sede».
La Cassazione ribadisce che il “fatto storico” è «accadimento fenomenico esterno alla dinamica propria del processo, ossia a quella sequela di atti ed attività disciplinate dal codice di rito che, dunque, viene a caratterizzare diversa natura e portata del “fatto processuale”, il quale segna il differente ambito del vizio deducibile, in sede di legittimità ai sensi dell’art. 4, dell’art. 360 c.p.c.».
La CTU costituisce l’elemento istruttorio da cui è possibile trarre il “fatto storico”, ma non è “fatto storico”.
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