Roma — Non basta essere cointestatari di un conto corrente per evitare il sequestro preventivo di somme riconducibili a un indagato. A ribadirlo è la Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, che con la sentenza n. 17894 del 13 maggio 2025 ha confermato la legittimità di un sequestro disposto su conti cointestati tra un imputato e la moglie, estranea al procedimento penale.
Il caso riguardava un sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente di somme depositate su conti correnti intestati sia all’indagato sia alla consorte. Quest’ultima aveva richiesto la restituzione della metà dei saldi, invocando la presunzione civilistica di divisione paritaria tra cointestatari. Richiesta respinta dai giudici di merito e ora anche dalla Suprema Corte, che ha chiarito come ai fini penali conti esclusivamente le disponibilità effettive e non le presunzioni previste per regolare i rapporti bancari o patrimoniali interni.
Secondo la Cassazione, infatti, la misura cautelare reale si estende a tutto ciò che è nella disponibilità dell’indagato, a prescindere dai vincoli civilistici che regolano la cointestazione dei conti. Solo se il terzo estraneo al reato dimostra la titolarità esclusiva delle somme sequestrate, potrà ottenere la restituzione di quanto di sua proprietà.
I giudici hanno anche ribadito che i limiti di impignorabilità previsti dal codice di procedura civile trovano applicazione solo rispetto al denaro di proprietà dell’indagato e non valgono in favore di terzi, se non dopo aver accertato in concreto la loro esclusiva titolarità sulle somme sequestrate.
In definitiva, chi condivide un conto con una persona sottoposta a indagini deve essere pronto a dimostrare, con elementi concreti, la propria effettiva disponibilità esclusiva sulle somme, altrimenti il sequestro potrà riguardare anche le somme formalmente intestate a entrambi.
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