Il presidente dell’Unione nazionale delle Camere Penali Petrelli è stato audito nei giorni scorsi in Commissione Giustizia del Senato sul DDL 1217 per “Modifiche al codice di procedura penale in materia di rispetto dell’oralità e del contraddittorio nel giudizio penale di appello”. In allegato le note depositate dalla Giunta UNCP per esprimere apprezzamento per il ripristino dell’oralità, e per auspicare che il principio generale del rispetto dell’oralità e del contraddittorio venga, analogamente, reintrodotto anche per il giudizio di cassazione.
La questione all’esame della Commissione attiene al più vasto problema di rapporti fra efficienza del processo e tutela dei principi dei diritti e delle garanzie ad esso connesse. Tale rapporto, squilibrato prima dai provvedimenti emergenziali relativi all’emergenza pandemica e, successivamente, dagli interventi della riforma “Cartabia”, deve essere necessariamente riequilibrato. A tal fine, occorre sottolineare come la più volte proclamata necessità di conferire “efficienza” al sistema processuale penale, tende a considerare esclusivamente il fattore “quantitativo” e “produttivo” mentre trascura del tutto la “qualità” del metodo e del risultato processuale. La reintroduzione dei principi dell’oralità e del contraddittorio nel giudizio penale di appello si colloca certamente nell’ambito di un’elaborazione normativa di recupero del modello processuale accusatorio e del giusto ed equo processo, in linea con i principi generali indicati nell’art. 111 della Costituzione.
Abbiamo, infatti, assistito ad una progressiva svalutazione del valore della discussione del difensore, divenuta, nella sensibilità dei giudici, quasi un inutile “ornamento” o una inutile incombenza estranea all’economia del processo e alle dinamiche della cognizione, come dimostrano alcuni casi di cronaca (nei quali le decisioni sono state assunte senza dare la parola ai difensori).
Al contrario, l’oralità deve essere apprezzata quale elemento fondamentale della cognizione e come tale concorrente in maniera decisiva alla qualità complessiva del giudizio.
In una corretta logica di recupero della dialettica propria della fase della cognizione, il DDL conferisce il “giusto” rilievo all’oralità della discussione che, oltre ad assicurare il pieno esercizio del diritto di difesa, è anche garanzia della collegialità in quanto evita il rischio che le decisioni una volta cartolarizzate possano essere anche delocalizzate rispetto alla simultanea valutazione di tutti i giudici all’interno della camera di consiglio. Non vi è dubbio, infatti, che la cartolarizzazione dell’appello contribuisce ad una svalutazione della collegialità con il concreto rischio che il controllo assuma una gestione del tutto sostanzialmente monocratica.
Il DDL in esame pone, peraltro, un opportuno argine ad una scelta normativa emergenziale, successivamente confermata, destinata ad incidere in concreto anche sulla corretta individuazione del giudice naturale.
Un ulteriore elemento che rende opportuno l’intervento normativo in esame è quello relativo alla necessità di preservare la pubblicità delle udienze quale ulteriore elemento di garanzia e quale strumento di controllo democratico dell’attività giurisdizionale altrimenti del tutto inaccessibile alla pubblica opinione.
Una più attenta valutazione deve essere volta con riferimento alla lettera a) del dell’art. 1, comma 1, del DDL in esame, la quale prevede che il rito cartolare possa essere disposto esclusivamente su richiesta dell’imputato, specificando, al comma 2, che detta richiesta debba essere formulata “personalmente dall’imputato o per mezzo di procuratore speciale”.
Si ritiene, infatti, che il principio dell’oralità non dovrebbe subire alcuna deroga, come peraltro previsto per i casi di rinnovazione parziale (art. 2 lett. b) e per la relazione (art. 5), che non può mai essere omessa, neppure in caso di un accordo delle parti.
Tuttavia, laddove si ritenga opportuna una apertura in tal senso l’eventuale richiesta di trattazione cartolare dovrebbe essere consentita, oltre che all’imputato personalmente, anche al difensore, senza essere necessariamente munito di procura speciale.
Si tratta, infatti, di una regola eccessivamente formalistica che sminuisce le facoltà del difensore, equiparando, sostanzialmente, la richiesta di trattazione cartolare addirittura alla rinuncia all’impugnazione, ovvero alla rinuncia all’acquisizione della prova in contraddittorio (art. 111, co. 5 Cost.), a ragion veduta considerata un atto personalissimo dell’imputato.
Ci sono ulteriori facoltà già fisiologicamente attribuite alla discrezionalità del difensore quale, ad esempio, la rinuncia ai testimoni della difesa, ovvero all’acquisizione di atti di indagine che fanno propendere per una più agevole disciplina dell’accesso al rito cartolare in tutti quei casi in cui l’oggetto o le circostanze del giudizio consiglino un risparmio di risorse.
Conseguentemente, alla lettera a) dell’art. 1 del DDL in esame, dopo le parole “su richiesta dell’imputato”, andrebbe aggiunto l’inciso “o del suo difensore”, con la conseguente armonizzazione delle successive disposizioni relative alla legittimazione alla richiesta.
Quanto alla modifica dell’art. 602 c.p.p. con la quale si intende affermare la inderogabilità della relazione, essa appare coerente con la finalità di un integrale recupero di una corretta dialettica processuale, in considerazione del fatto che la relazione costituisce un momento fondamentale della costruzione dialogica del giudizio, ponendo il difensore e le parti in genere nella condizione di integrare i punti omessi dalla relazione, ovvero di correggere o sviluppare i temi indicati dal giudice relatore. Qualche dubbio, tuttavia, discende dalla introduzione di una sanzione di nullità derivante dalla omissione della relazione, anche in caso di accordo delle parti.
Si auspica, in ultimo, che il principio generale del rispetto dell’oralità e del contraddittorio venga, analogamente, reintrodotto anche per il giudizio di cassazione.
Roma, 26 marzo 2025
La Giunta UCPI
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