16 Novembre 2022

Il dramma del suicidio nelle carceri italiane

Il 2022 si preannuncia essere l’anno con il più alto numero di suicidi in carcere dal 2009. Da gennaio ad oggi sono già avvenute 77 morti per suicidio.

Il 4 ottobre, gli attivisti di Antigone hanno tenuto un sit-in davanti al tribunale di Palermo. «Basta morti in carcere. Si è fatta una campagna elettorale nel silenzio perché nessuno dei leader nazionali ha toccato questo tasto, nonostante fosse un periodo molto caldo per i suicidi in carcere».

Il tema della salute mentale

Michele Miravalle, dell’osservatorio nazionale di Antigone, rivela: «Ci sono stati casi di suicidio pochi mesi prima dell’uscita dal carcere». Inoltre, la maggior parte delle persone erano in attesa di giudizio e ed erano affette da patologie psichiatriche.

Il problema della salute mentale in carcere «è forse la grande emergenza del carcere di oggi in Italia. Il 40% delle persone detenute fa uso sistematico di psicofarmaci», continua Miravalle. Il carcere «non ha strumenti per affrontare molte di queste situazioni perché c’è un’emorragia di personale professionale sanitario e di operatori di salute mentale che sistematicamente mancano e quindi, spesso, si ricorre allo psicofarmaco senza poter fare null’altro».

Le richieste alle istituzioni

Il tema della salute mentale era tra quelli trattati durante il sit-in di Palermo. «Chiediamo di evitare la detenzione per i soggetti fragili, identificati come malati psichiatrici o con gravi problemi psicologici».

Hanno chiesto anche di «creare le condizioni affinché i detenuti in attesa di giudizio possano scontare a casa il periodo che li vede lontani dalla condanna» e «un intervento svuota-carceri che metta fuori i ragazzi dai 20 ai 30 anni che sono negli istituti penitenziari per reati minori», che rappresentano la seconda fascia d’età nei casi di suicidio.

L’inadeguatezza dello Stato e delle carceri

Il suicidio di una persona che è stata privata della propria libertà rappresenta il fallimento del ruolo punitivo e riabilitativo del nostro Stato. Se uno Stato non riesce ad impedire la morte di un condannato, dovrebbe perdere le funzioni che ne giustificano la potestà punitiva.

I suicidi delle persone detenute provocano sempre scalpore e indignazione. Le loro storie sono testimonianze dell’ultimo step di vicende personali drammatiche, che nella carcerazione raggiungono il loro culmine.

Dopo notizie di questo genere, è evidente l’inadeguatezza delle carceri nell’affrontare i disagi delle persone che si trovano al loro interno per scontare una pena. Anzi, spesso la carcerazione diventa uno shock letale per le persone più fragili, incapaci di adattarsi alla drammaticità della situazione che devono affrontare.

La fragilità nelle nostre prigioni

Il nostro paese ha i più bassi tassi di suicidio. Ma da alcuni dati diffusi dall’OMS è emerso come in Italia, il divario tra l’incidenza del suicidio tra le persone incarcerate e quelle libere, sia il più alto in tutta Europa. La distanza ci porta inevitabilmente a ragionare sulla qualità delle nostre prigioni e sull’efficacia dei programmi di prevenzione.

Da non sottovalutare nemmeno gli episodi di autolesionismo e di tentato suicidio. La popolazione detenuta, infatti, si compone sempre più da soggetti fragili ed emarginati. La rivendicazione dei propri diritti, di conseguenza, viene sostituita dai corpi feriti e dalle condotte autolesioniste come richieste di supporto e attenzione.

Una telefonata allunga la vita

Il mondo del carcere si sta riprendendo dalla pandemia in maniera più lenta rispetto alla società. I progetti di volontariato sono andati avanti a singhiozzo e alcuni si sono interrotti definitivamente. Risulta evidente come il carcere rappresenti un luogo di abbandono e di solitudine, oggi più che mai.

La scorsa estate Antigone ha lanciato la campagna “Una telefonata allunga la vita”. Spiega Miravalle: «Ovviamente le telefonate non sono risolutive del problema, ma sono un importante strumento di prevenzione».

È recente la circolare del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) che affida ai direttori delle carceri le decisioni nelle autorizzazioni dei colloqui telefonici o delle videochiamate. L’intervento, tuttavia, dovrà essere stabilizzato dal nuovo governo.

Il Dap «ha scelto una strada abbastanza prudente suggerendo ai direttori di avere un’applicazione meno restrittiva del regime delle telefonate che era stato allargato durante il Covid e che noi auspicavamo diventasse legge. Non siamo ancora a quel punto, ma è un primo risultato di percezione di un disagio che va affrontato».

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