C’è un momento in cui la storia economica chiede di scegliere: cambiare o restare ancorati al passato. Per la finanza digitale, quel momento è arrivato. A dimostrarlo è il Genius Act, la nuova normativa statunitense dedicata alla regolamentazione delle stablecoin, che promette di trasformare il settore, imponendo trasparenza e garanzie per i consumatori.
L’Europa, invece, rischia di arrivare ancora una volta in ritardo. Nonostante i progressi introdotti con il regolamento Micar e l’attuazione della Travel Rule, il vecchio continente continua a oscillare tra prudenza e timore. Il punto è che le criptovalute non sono un pericolo da demonizzare, ma una realtà da governare. E le stablecoin, in particolare, dimostrano quanto sia urgente adottare regole moderne e flessibili, senza soffocare l’innovazione.
Perché le stablecoin non sono “moneta tossica”
A differenza di altre criptovalute, le stablecoin devono la loro stabilità all’ancoraggio a valute tradizionali, come il dollaro, e alla copertura con asset liquidi e a basso rischio. Il Genius Act, infatti, prevede obblighi rigorosi: divieto di investire le riserve in operazioni speculative, trasparenza nei bilanci, audit indipendenti e controlli costanti. Una cornice che non frena il mercato, ma lo rende più sicuro e competitivo.
Non basta: la normativa statunitense si pone anche l’obiettivo di rafforzare il ruolo del dollaro sui mercati globali, aumentando l’attrattività del debito e stabilizzando i tassi di interesse. Una strategia che unisce tutela dei consumatori e vantaggi macroeconomici.
Il paradosso europeo
Mentre Washington accelera, l’Europa rischia l’ennesimo passo falso. Eppure, il contesto normativo non è fermo: il regolamento Micar rappresenta una best practice in termini di vigilanza e autorizzazione degli operatori, mentre il recepimento della Travel Rule nel nostro ordinamento, con il D.Lgs. 204/2024, rafforza i presidi contro il riciclaggio e le operazioni sospette. Ma il problema è nella rigidità delle regole: se non verranno bilanciate da strumenti flessibili, il mercato rischia di soffocare, spingendo l’innovazione altrove.
Il peso dei numeri
I dati parlano chiaro: al 31 dicembre 2024, i 166 Virtual Asset Service Provider registrati presso l’OAM gestivano cripto-attività per oltre 2,6 miliardi di euro. Un segmento in crescita che, se governato, potrebbe ridurre tempi e costi delle transazioni, offrendo vantaggi enormi a imprese e consumatori. Non si tratta di un “pozzo oscuro”, ma di una leva strategica che può rilanciare competitività e inclusione finanziaria.
La domanda è semplice e cruciale: chi ha paura delle cripto? Se l’Europa non saprà superare il pregiudizio ideologico e affrontare il tema con regole trasparenti e proporzionate, il rischio è quello di abdicare a un ruolo attivo nella finanza globale. Una scelta che, in tempi di rivoluzione digitale, non possiamo permetterci.
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