Nella decisione sul diritto all’assegno di divorzio, il giudice dovrà tenere in considerazione anche della convivenza precedente al matrimonio.
Le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno riconosciuto la stessa identica valenza del matrimonio al tempo trascorso come coppia di fatto. Si tratta di una decisione storica, che strizza l’occhio ai cambiamenti culturali, ignorati completamente dalla legge n. 898 del 1970.
Per i giudici «la convivenza prematrimoniale è ormai un fenomeno di costume sempre più radicato nei comportamenti della nostra società cui si affianca un accresciuto riconoscimento dei legami di fatto intesi come formazioni familiari e sociali di tendenziale pari dignità rispetto a quelle matrimoniali».
La Suprema Corte ha invitato a considerare i casi in cui prima del matrimonio ci sia stata una convivenza, «avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase “di fatto” di quella medesima unione e la fase “giuridica”».
Nella decisione relativa al diritto e all’entità dell’assegno, il giudice dovrà procedere con la verifica del contributo dato a chi lo richiede «alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi».
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Si deve valutare l’esistenza, nel corso della convivenza prematrimoniale, delle «scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all’interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio».
Dunque, la giurisprudenza si fa carico dell’evoluzione dei costumi sociali, adeguandosi alla nuova interpretazione di «famiglia, un concetto caratterizzato da una commistione intrinseca di fatto e diritto».
Dunque, ad oggi, non si può ignorare la convivenza prematrimoniale, soprattutto se protratta nel tempo, con la nascita di un figlio e con il «consolidamento» dei ruoli domestici, possibile causa di «scompensi» che si proiettano sul matrimonio e sul divorzio.
Leggiamo nella sentenza: «Non si tratta, quindi, di introdurre una, non consentita “anticipazione” dell’insorgenza dei fatti costitutivi dell’assegno divorzile, in quanto essi si collocano soltanto dopo il matrimonio, che rappresenta, per l’appunto, il fatto generatore dell’assegno divorzile, ma di consentire che il giudice, nella verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno al coniuge economicamente più debole, nell’ambito della solidarietà post coniugale, tenga conto anche delle scelte compiute dalla stessa coppia durante la convivenza prematrimoniale, quando emerga una relazione di continuità tra la fase “di fatto” di quella medesima unione, nella quale proprio quelle scelta siano state fatte, e la fase “giuridica” del vincolo matrimoniale».
I sacrifici reddituali e professionali «non dipendono dall’esistenza tra le parti di un vincolo matrimoniale, ma dalla configurabilità di una vita familiare, tutelata dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo».
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