Qualche tempo fa vi avevamo parlato della sentenza di marzo 2021 della Corte di Giustizia Europea secondo cui l’Autorità Giudiziaria può acquisire i tabulati telefonici di un indagato solo dopo il benestare di un’autorità indipendente o di un giudice terzo.
Con l’entrata in vigore del Gdpr (Reg. Ue 16/679) la tutela dei dati dei cittadini si è fatta più stringente. Proprio questi cambiamenti hanno spinto la Corte UE a sviluppare una normativa comunitaria in materia e a introdurre la necessità di una valutazione indipendente.
Ma nell’ordinamento italiano i tabulati possono essere acquisiti su richiesta della Polizia Giudiziaria e con decreto di autorizzazione del Pubblico Ministero. Non serve alcun vaglio.
Del resto, la Corte costituzionale e la Cassazione non hanno mai ritenuto che l’acquisizione dei tabulati telefonici fosse un’operazione così invasiva della privacy da richiedere le stesse garanzie previste per un’intercettazione vera e propria.
ACQUISIZIONE DEI TABULATI TELEFONICI, LE REAZIONI
La sentenza della Corte di Giustizia Europea ha dato il via a un vivace dibattito interno.
Già ad aprile 2021, poche settimane dopo la sentenza, il Gip di Roma ne riconosceva le ripercussioni sul nostro ordinamento e proponeva che l’acquisizione dei tabulati telefonici seguisse la procedura prevista per l’autorizzazione delle intercettazioni telefoniche (procedura che non si discosta molto da quella richiesta dalla Corte di Giustizia UE).
A maggio, il Tribunale di Rieti ha dichiarato che applicare in modo diretto la sentenza UE determinerebbe notevoli difficoltà in via di prassi.
Il Gip di Tivoli ha invece definito impossibile la diretta applicazione alla sentenza a causa dei principi troppo generici in essa contenuti e delle specificità del nostro ordinamento.
La Corte d’Assise di Napoli ha così commentato: «la disciplina italiana di conservazione dei dati di cui all’art. 132 d. lgs. 196/2003 deve ritenersi compatibile con le direttive in tema di privacy, e ciò poiché la deroga stabilita dalla norma alla riservatezza delle comunicazioni è prevista dall’art. 132 cit. per un periodo di tempo limitato, ha come esclusivo obiettivo l’accertamento e la repressione dei reati ed è subordinata alla emissione di un provvedimento di una autorità giurisdizionale indipendente (come è in Italia il PM)».
Con la sentenza del luglio 2021, depositata il 7 settembre, la Corte di Cassazione ha confermato che non è possibile l’applicazione diretta alla sentenza della Corte di Giustizia UE.
TRA GIUSTIZIA E PRIVACY
Il valore della sentenza della Corte di Giustizia UE e del dibattito scaturito in Italia sta nel conflitto tra due principi fondamentali che appaiono in conflitto tra loro: la necessità di garantire la giustizia accertando i reati e la tutela della privacy.
L’Avv. Massimo Borgobello, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, spiega che «va dato atto che nel sistema penale italiano la cultura della protezione dei dati non è particolarmente sviluppata: basti pensare che l’utilizzo del trojan horse è ai primi posti nel mondo ed è stato necessario il famoso “caso Palamara” perché si facesse luce sull’utilizzo, spesso distorto, dello strumento captativo. […] Resta però un dato di fondo: c’è un Giudice a Bruxelles e le normative europee in termini di data retention e data protection sono realtà.»
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