La gip di Roma ha ordinato l’imputazione coatta per Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia e deputato di FdI, indagato per rivelazione di segreto d’ufficio.
L’inchiesta era stata aperta lo scorso febbraio dopo che Giovanni Donzelli, un altro deputato di FdI, durante un discorso alla Camera aveva riportato parti di conversazioni avvenute in carcere tra Alfredo Cospito, il militante anarchico insurrezionalista, e due detenuti della criminalità organizzata.
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È risultato evidente sin da subito che Donzelli, visto il ruolo che ricopre, non potesse essere a conoscenza delle conversazioni avvenute tra i carcerati sottoposti al 41-bis, che ha rigidi protocolli di segretezza. Era stato lui stesso a spiegare che gliele aveva riferite Delmastro, suo compagno di partito e coinquilino, che poteva accedere a tali informazioni visto il suo ruolo di sottosegretario alla Giustizia con delega al DAP.
Lo scorso maggio, la procura di Roma aveva richiesto l’archiviazione per Delmastro, andando a sostenere come non ci fossero evidenti prove a sostegno del fatto che il sottosegretario conoscesse la segretezza delle conversazioni.
Emanuela Attura, la gip di Roma, aveva accolto la richiesta, fissando un’udienza per il 6 luglio, nella quale aveva deciso di ordinare l’imputazione coatta. Verrà dunque nominato un giudice per l’udienza preliminare per decidere se iniziare il processo o emettere una sentenza di non luogo a procedere.
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Il ministero della Giustizia si dice pronto ad intervenire sull’avviso di garanzia, come confermato da alcune fonti di via Arenula, manifestando «lo sconcerto e il disagio per l’ennesima comunicazione a mezzo stampa di un atto che dovrebbe rimanere riservato. La riforma proposta mira a eliminare questa anomalia tutelando l’onore di ogni cittadino presunto innocente sino a condanna definitiva».
Con una nota, il ministero della Giustizia ha messo sotto la lente l’istituto dell’imputazione coatta, sottolineando che questa, «nei confronti dell’On. Delmastro Delle Vedove, come nei confronti di qualsiasi altro indagato, dimostri l’irrazionalità del nostro sistema. Nel processo che ne segue, infatti, l’accusa non farà altro che insistere nella richiesta di proscioglimento in coerenza con la richiesta di archiviazione. Laddove, al contrario, chiederà una condanna non farà altro che contraddire se stesso».
Leggiamo ancora nel comunicato: «Nel processo accusatorio, il pubblico ministero, che non è, né deve essere soggetto al potere esecutivo ed è assolutamente indipendente, è il monopolista dell’azione penale e quindi razionalmente non può essere smentito da un giudice sulla base di elementi cui l’accusatore stesso non crede».
La maggior parte «delle imputazioni coatte si conclude, infatti, con assoluzioni dopo processi lunghi e dolorosi quanto inutili, con grande spreco di risorse umane ed economiche anche per le necessarie attività difensive. Per questo è necessaria una riforma radicale che attui pienamente il sistema accusatorio».
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