La riforma previdenziale per gli avvocati, entrata in vigore il 1° gennaio, si pone come una soluzione necessaria per garantire la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale per i prossimi trent’anni. L’invecchiamento progressivo della platea, la diminuzione degli iscritti attivi e il basso reddito di molti professionisti hanno messo a rischio l’equilibrio tra avvocati in attività e pensionati, con il 70% dei 237mila avvocati attivi che dichiara un reddito inferiore ai 35mila euro.
Uno dei principali cambiamenti introdotti dalla riforma è il passaggio al sistema contributivo pro rata: i versamenti effettuati fino al 2024 continueranno ad essere calcolati con il metodo retributivo, mentre quelli successivi adotteranno il sistema contributivo. A partire dal 2025, tutti i nuovi iscritti al sistema previdenziale avranno una pensione completamente contributiva. I requisiti di accesso alle prestazioni pensionistiche per gli iscritti più anziani rimangono invariati (70 anni con 35 anni di contributi, o 62 anni con almeno 40 anni di contributi), mentre per i nuovi iscritti la pensione potrà essere ottenuta a 70 anni con almeno cinque anni di contributi o a 65 anni con almeno 35 anni di contributi versati, con un importo pari al trattamento minimo vigente nell’anno.
Dal 2025, si prevede anche un progressivo innalzamento delle aliquote: il contributo soggettivo passerà dal 15% al 16%, salendo al 17% nel 2026 e al 18% nel 2027. I pensionati attivi pagheranno il 12,9% (rispetto al precedente 7,5%), ma beneficeranno di una retrocessione triennale pari al 6%.
La riforma introduce anche agevolazioni per i redditi più bassi e per i giovani professionisti. Fino a un reddito di 17.190 euro, si verserà solo il contributo minimo soggettivo, che scenderà da 3.354 euro a 2.750 euro. I neolaureati under 35, invece, pagheranno metà dei contributi minimi per i primi sei anni, ma vedranno riconosciuto l’anno intero ai fini dell’anzianità contributiva.
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