Fallimentare: riscritte le regole sui compensi ai legali

Un avvocato, a seguito dello svolgimento della sua professione in una procedura fallimentare, e dopo aver richiesto la liquidazione dei suoi compensi a seconda di quanto definito giudizialmente, ha deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione per contestare la decisione presa dal Tribunale di Brescia, che rifiutava altre richieste di compenso da parte dell’avvocato.

Con l’ordinanza n. 32558/2023, la Cassazione conferma che la determinazione degli onorari dell’avvocato nel corso di una procedura fallimentare corrisponde ad un atto giurisdizionale autonomo, che risulta separato dalle decisioni riguardanti le spese processuali.

Basandosi su tale presupposto, la Corte ribadisce un principio fondamentale, cioè che la determinazione degli onorari che il cliente doveva all’avvocato non è determinato dalle disposizioni del giudice, che troviamo nella sentenza che ha condannato la controparte agli onorari e alle spese di causa.

Tale distinzione è decisiva poiché l’obbligo del pagamento degli onorari da parte del cliente ha fondamento nel contratto della prestazione dell’opera. Per quanto concerne la parte soccombente, invece, l’obbligo risulta collegato al principio di causalità nei confronti dell’esito del procedimento legale.

Si sottolinea anche che, con il passaggio dal sistema tariffario al sistema dei parametri (legge 241/2012), se non concordato per iscritto tra avvocato e cliente, l’importo del compenso verrà determinato sulla base dei parametri stabiliti dal D.M. 55/2014.

Nello specifico, le spese processuali sono state liquidate in modo maggiore rispetto a quanto è stato indicato dal giudice delegato, consentendo all’avvocato di richiedere una somma aggiuntiva per il lavoro svolto.

La Corte concorda che tale somma extra avrebbe dovuto essere liquidata poiché la prestazione era vantata dalla massa fallimentare, evitando in tal modo un arricchimento illecito per la procedura fallimentare.

La Cassazione, dunque, accoglie il ricorso che è stato presentato dal professionista.


LEGGI ANCHE:

Come scaricare i certificati ANPR

Approvata una norma scritta da ChatGPT

Come scaricare i certificati ANPR

Dal prossimo 11 dicembre gli avvocati potranno scaricare gratuitamente i certificati anagrafici dal sito dell’ANPR, l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente. La nuova procedura semplifica il lavoro legale, rendendo più semplice accedere a documenti molto importanti.

Gli avvocati potranno scaricare 13 tipologie di certificato anagrafico da parte dei cittadini che sono iscritti all’ANPR. Si tratta di documenti quali certificati di nascita, cittadinanza, atti di matrimonio, stato civile e stato di famiglia.

Leggi anche: Anagrafe nazionale: sbloccata la consultazione per gli avvocati

Per effettuare l’accesso si dovrà procedere con l’autenticazione tramite SPID, CIE o CNS, scegliendo la finalità della richiesta, ovvero uso notifica, stragiudiziale oppure in giudizio, dichiarando inoltre l’intenzione di procedere in quanto esecuzione di un mandato professionale.

Al fine di garantire sicurezza, il sistema procede con la verifica dell’iscrizione dell’Avvocato all’Ordine Forense mediante i sistemi di interoperabilità con l’Albo del CNF.

L’avvocato dovrà inserire i dati identificativi del soggetto per il quale richiederà in certificato, come CF, nome, cognome, data e luogo di nascita.

Invece, per riuscire ad ottenere la data precisa del mandato, l’avvocato potrà utilizzare la marcatura temporale che gli è stata fornita dal fornitore della firma digitale, o, in alternativa, auto-inviandosi una PEC contenente la copia del mandato. Attenzione, perché questo punto è fondamentale affinché la richiesta abbia valenza legale.

L’avvocato, dopo aver effettuato la richiesta, potrà scegliere se scaricare il certificato dal sito dell’ANPR, oppure se riceverlo tramite mail o al proprio domicilio digitale.

Cliccando sopra questo link sarà possibile consultare la guida operativa alla procedura pubblicata dal CNF. 


LEGGI ANCHE:

Approvata una norma scritta da ChatGPT

Attenzione alla truffa del QR Code: ecco come riconoscerla

Approvata una norma scritta da ChatGPT

A Porto Alegre, una città brasiliana di circa 1,5 milioni di abitanti, i 36 membri del consiglio comunale hanno approvato una norma che è stata scritta completamente da ChatGPT.

La norma in questione permette ai cittadini di ottenere in maniera gratuita la sostituzione dei contatori dell’acqua che sono stati rubati, ed è ufficialmente entrata in vigore il 23 novembre. Tuttavia, fino a qualche giorno fa, quasi tutti i consiglieri non sapevano che era stata scritta da un software di IA.

Il consigliere che aveva avanzato la proposta della norma, Ramiro Rosário, ha rivelato pubblicamente il fatto durante un’intervista rilasciata al Washington Post. L’atto in questione durerebbe normalmente circa tre giorni; tuttavia, grazie ad un comando testuale di poche centinaia di caratteri, ChatGPT ha svolto il lavoro in 15 secondi.

Il comando inserito recitava: «Scrivi una norma municipale per la città di Porto Alegre, di origine legislativa e non esecutiva, che vieti al Dipartimento municipale dell’acqua e delle fognature di addebitare al proprietario dell’immobile il pagamento di un nuovo contatore dell’acqua in caso di furto».

La proposta avanzata da ChatGPT, secondo Rosário è stata sbalorditiva, poiché conteneva idee che non gli erano ancora passate per la mente, come fissare il termine di 30 giorni per sostituire i contatori rubati.

Il consigliere si dice anche molto ottimista circa il futuro di questo tipo di tecnologia: «Ritorno a quella frase che è già diventata un cliché in questo argomento: nessuno sarà sostituito dall’intelligenza artificiale, ma tutti potremmo essere sostituiti da coloro che sanno come usare l’intelligenza artificiale. Quindi dobbiamo prepararci ad affrontare questo percorso».

Ha aggiunto di aver deciso di aspettare un paio di settimane prima di rivelare la verità, visto che, secondo lui, se l’avesse fatto prima, la proposta non sarebbe mai stata votata. «Molti dei miei colleghi hanno ancora dei pregiudizi contro l’intelligenza artificiale, e non volevo rischiare che una norma utile e giusta non venisse votata solo perché scritta da una chatbot».

Alcuni consiglieri non hanno reagito in maniera positiva alla rivelazione di Rosário: per Hamilton Sossmeier, il presidente del Consiglio, questo potrebbe essere un «pericoloso precedente».


LEGGI ANCHE:

Attenzione alla truffa del QR Code: ecco come riconoscerla

Come sconfiggere i call center e il telemarketing selvaggio?

Attenzione alla truffa del QR Code: ecco come riconoscerla

È stata recentemente segnalata una truffa riguardo ad alcune multe false per il parcheggio. Si tratta di multe che vengono lasciate sul parabrezza delle auto, e sono praticamente identiche alle multe reali.

Tuttavia, si tratta di una multe false, che si presentano su un foglio con sopra il simbolo del Comune, affiancato alla scritta “Notifica di Violazione”. Nelle finte multe è presente anche la targa del veicolo e un messaggio, molto simile a quello di un verbale ufficiale.

È presente, inoltre, un Qr Code, che dovrà essere utilizzato per pagare la “sanzione” di 25 euro, con la proposta di uno sconto del 50% se verrà pagata entro cinque giorni. Si tratta, senza alcuna ombra di dubbio, di un segnale di truffa.

Un altro dettaglio utile a comprendere se la multa che abbiamo ricevuto è falsa è la data che troviamo riportata sul verbale, come 05 dicembre 2024. Una data, ovviamente, improbabile per la ricezione di una multa.

I 25 euro da pagare, così come la promessa di uno sconto del 50% non corrispondono alle tariffe ufficiali, poiché si prevede uno sconto del 30% se il pagamento viene effettuato entro i primi cinque giorni.

Le multe per divieto di sosta, inoltre, non vengono più lasciate sul parabrezza delle auto: ora la notifica arriva sul fascicolo del cittadino, oppure tramite tradizionale copia cartacea.

Se ti accorgi di aver ricevuto una di queste finte multe, procedi immediatamente a segnalare il fatto alle autorità locali, e non seguite le istruzioni riportate per il pagamento!


LEGGI ANCHE:

Come sconfiggere i call center e il telemarketing selvaggio?

Deposito Telematico: rinviato l’obbligo di un anno

Come sconfiggere i call center e il telemarketing selvaggio?

Chiamano a qualsiasi ora. Dall’altra parte del telefono sentiamo una voce meccanica o una persona fisica che recita una filastrocca di servizi e di offerte. Ormai è da molti anni che in Italia si tenta di sconfiggere il telemarketing selvaggio, ma sembra che non ci sia nulla da fare, anzi, diventa sempre più aggressivo.

Siamo quasi sempre noi a fornire il nostro consenso, inconsapevolmente, a questa scocciatura. Ogni volta che ci registriamo ad un sito web, ogni volta che forniamo dei dati per i quali seguirà il loro inserimento in un gestionale (parrucchiere, Poste Italiane, fornitore di bevande, estetista, WhatsApp, sostanzialmente tutte le entità che usano software di terzi) anche se indicato il diniego all’utilizzo dei dati o la divulgazione a terzi, gli stessi verranno presi ed utilizzati ugualmente.

Nonostante il mancato consenso, i dati vengono fagocitati dalla rete mondiale, talvolta anche senza consapevolezza dell’operatore che li sta inserendo (estetista, ristorante, ecc.).

Il fallimento del Registro Pubblico delle Opposizioni

Ci hanno detto che abbiamo a disposizione delle armi affinché queste telefonate non arrivino più, come, per esempio, il Registro Pubblico delle Opposizioni (RPO). È un servizio gratuito che viene fornito dal Ministero dello Sviluppo Economico e che consente ai cittadini di richiedere il blocco delle chiamate da parte dei call center.

Il Registro Pubblico delle Opposizioni è attivo già dal 2010, ma dallo scorso luglio, grazie al Dpr 26/2022 è stato esteso anche ai numeri di cellulare. Teoricamente, le chiamate di telemarketing dovrebbero essere interrotte entro 15 giorni dall’iscrizione al registro.

Con l’iscrizione si annullano in maniera automatica tutti i consensi che sono stati rilasciati in precedenza, tranne quelli con i gestori delle utenze telefoniche. Restano validi, invece, quelli che vengono attivati dopo l’iscrizione al registro.

I call center e gli operatori devono consultare ogni mese il RPO; lo devono fare anche prima di svolgere qualsiasi nuova campagna pubblicitaria telefonica. Il problema è che il Registro Pubblico delle Opposizioni proprio non funziona, anche perché la maggior parte di queste chiamate sono a capo di società estere che non sanno nemmeno cosa sia un registro opposizioni.

Hiya e Truecaller

Si potrebbe pensare, dunque, di appoggiarsi alle app che identificano e bloccano le chiamate spam, come Hiya e Truecaller. Purtroppo, recentemente si è scoperto che proprio queste app rubano i dati degli utenti, per rivenderli a terzi. Quest’ultimi, sulla base di tali dati, studiano la miglior strategia per raggiungere un utente senza trovare “resistenze”.

Servicematica Security mette in guardia da queste società che vendono ad aziende e privati la possibilità di chiamare i consumatori senza poter essere segnalati o bloccati.

Il consumatore, all’oscuro di queste dinamiche, vedrà i propri dati venduti a terzi, che li utilizzeranno per ricerche di mercato e per il telemarketing.

Il Garante della Privacy non è in grado di bloccare tutte queste minacce, nonostante sia nato anche per questo scopo, quindi dobbiamo provare a difenderci autonomamente.

Vi sarà stato anche suggerito di bloccare manualmente il numero dal quale si riceve la chiamata, inserendolo nella blacklist del telefono. Dunque, ogni volta che richiamerà verrà considerato come spam e bloccato immediatamente dal nostro smartphone.

Ma è una tecnica che non funziona, visto che i call center ci richiameranno con altri numeri. Il dott. Piero Menetto, componente del team di Cyber Security Servicematica, spiega come la maggior parte delle telefonate avvenga con dei numeri camuffati, ovvero con la tecnica dello spoofing, che rende piuttosto difficile per noi comprendere chi c’è dietro una chiamata e molto semplice per le aziende falsificare continuamente il loro numero, utilizzandone uno virtuale.

Sembra che attualmente non esistano armi per sconfiggere del tutto i call center e il telemarketing selvaggio, ma…possiamo provare a difenderci!

Come possiamo difenderci dai call center?

L’unica difesa che abbiamo per smascherare questi pirati selvaggi è quella di verificare il numero che ci sta chiamando.

Come fare?

L’azione da intraprendere è quella di non accettare la chiamata in entrata e richiamare subito il numero chiamante.

Può sembrare un’azione folle, ma se analizzata attentamente non è poi così spiacevole o impercorribile. Se ci pensate bene, sarebbe limitata a quei numeri non registrati in rubrica, e nel caso fosse un cliente, verrebbe ricontattato immediatamente.

Per capire se il numero che ci sta chiamando arriva da un call center, dunque, quello che possiamo fare è mettere giù e richiamare. Se quando richiamiamo il numero risulta inesistente, avremo la certezza di aver a che fare con un call center, poiché si tratta di un numero finto/virtuale.

Il gruppo Servicematica Cybersecurity ha testato questa tecnica su un campione di 100 persone per un periodo di 6 mesi ed i risultati ottenuti sono stati ottimi.

Nel lungo termine le chiamate diminuiscono, viene meno il loro scopo di contattarci, e sarà sicuramente un forte segnale per questi pirati. Da non sottovalutare anche la soddisfazione di averli bloccati.


LEGGI ANCHE:

Riforma Giustizia: per 3 italiani su 4 è una priorità

Deposito Telematico: rinviato l’obbligo di un anno

Riforma Giustizia: per 3 italiani su 4 è una priorità

La riforma del sistema giudiziario è una priorità per 3 italiani su 4. Questo è quanto emerso da un sondaggio realizzato da Quorum/YouTrend per Sky TG24.

Secondo il 72% degli intervistati, infatti, questa riforma è qualcosa di prioritario, anche se soltanto per il 20% di questi è una priorità assoluta. L’urgenza della riforma è avvertita principalmente dagli elettori della maggioranza, mentre le opposizioni la vedono come una cosa meno prioritaria.

Secondo il 40% degli italiani intervistati, all’interno della magistratura è presente una corrente che tenta di ostacolare il governo Meloni, mentre il 41% non è d’accordo con questa affermazione. Secondo il 56%, invece, è molto difficile riformare il mondo della Giustizia, poiché la magistratura potrebbe ritorcersi contro la politica.

Gli italiani, in materia di riforma della giustizia, sostengono soltanto la separazione delle carriere. Tra i vari elementi della riforma, questo, infatti, è l’unico che mette d’accordo la maggior parte degli intervistati, ovvero il 65%.

Nel complesso, il 45% degli italiani è d’accordo con la riforma della giustizia, mentre il 34% ha un giudizio negativo in merito.

Per quanto concerne il lavoro dei magistrati, invece, il 69% degli italiani intervistati è convinto che il sistema dovrebbe essere più rigido. Per il 42% degli intervistati, per valutare l’operato della magistratura ci dovrebbe essere una commissione nominata dal Csm.

fonte: Sky TG24


LEGGI ANCHE:

Deposito Telematico: rinviato l’obbligo di un anno

 

Giustizia, Nordio: “Fondamentale la collaborazione tra Csm e ministro”

Deposito Telematico: rinviato l’obbligo di un anno

Rinviato al 1° gennaio 2025 l’entrata in vigore definitiva del processo penale telematico.

Francesco Greco, il presidente del Consiglio Nazionale Forense, sin dal principio ha richiesto al Ministero della Giustizia una soluzione di buon senso, tenendo in considerazione determinati limiti oggettivi, come, per esempio, l’infrastruttura telematica, che talvolta non permette di portare a termine la procedura di deposito, così come la formazione dei magistrati e del personale delle cancellerie.

Le richieste avanzate dal Cnf, dall’Ocf, dall’Unione delle Camere penali italiane e dall’Aiga sono state accolte positivamente, a seguito di un confronto per esporre le principali preoccupazioni degli avvocati.

L’utilizzo esclusivo del deposito telematico degli atti penali a partire dal 1° gennaio 2024 avrebbe comportato troppi rischi. Dunque, resta la possibilità per un altro anno del deposito in cancelleria degli atti in formato cartaceo e con PEC.

Francesco Greco sottolinea quanto lavoro di squadra si sia fatto nel corso degli ultimi mesi: «Il risultato conseguito è frutto della collaborazione con le altre componenti dell’avvocatura e della disponibilità mostrata dal ministero della Giustizia, nella persona del viceministro Sisto. Una soluzione saggia per dare piena attuazione al processo penale, che, però, non può essere lasciato al caso, all’improvvisazione, ma necessita di andare avanti per gradi in modo da approdare definitivamente al ppt senza rischi».

«L’avvocatura», prosegue, «non è contro il processo penale telematico. Si tratta di uno strumento tecnologico con il quale gli avvocati devono confrontarsi, ma pretendiamo che ci siano le giuste garanzie di efficienza. Il portale presenta tuttora aspetti problematici, per questo abbiamo chiesto la possibilità di prevedere un ulteriore periodo di rodaggio, fino al 31 dicembre 2024, per consentire agli avvocati di depositare gli atti anche tramite posta certificata».

Per Francesco Paolo Sisto, viceministro della Giustizia, «L’obiettivo è consentire la definitiva digitalizzazione. Il portale, a fine corsa, sarà l’unico luogo in cui gli atti potranno essere depositati. Questo percorso viene accompagnato, fino a quando non avremo la certezza che il portale sarà perfettamente funzionante, da alcune forme alternative da intendersi di soccorso all’utilizzo del portale stesso. Non dimentichiamo, infine, che vanno implementati i percorsi formativi sia per i cancellieri che per gli avvocati. Abbiamo provato a far partire la digitalizzazione dal basso, anziché dall’alto. È stato questo lo spirito che ci ha animato, rendendo l’avvocatura pienamente partecipe».


LEGGI ANCHE:

Giustizia, Nordio: “Fondamentale la collaborazione tra Csm e ministro”

Stretta sulle intercettazioni: vietato l’ascolto delle conversazioni tra legale e indagato

Giustizia, Nordio: “Fondamentale la collaborazione tra Csm e ministro”

«La collaborazione tra Csm e Ministro è la chiave per restituire al Paese una giustizia sempre più vicina ai bisogni della collettività». Esordisce così il Guardasigilli Nordio durante il plenum straordinario. La riunione si è tenuta oggi, 30 novembre 2023, ed è stata presieduta da Sergio Mattarella.

Sottolinea il ministro Nordio: «La mia presenza oggi oltre ad essere l’occasione di un doveroso omaggio all’alta Istituzione che mi accoglie, intende riaffermare uno dei principi costituzionali che auspico possa connotare ogni segmento del mio servizio: la leale collaborazione».

Tale concetto dovrà essere inteso in quanto principio che «orienta gli attori del sistema ordinamentale verso un raccordo, di pensiero e di azione, per il raggiungimento degli obiettivi comuni».

Prosegue il Guardasigilli: «Troppo importante per chi vi parla è contribuire a rinsaldare il rapporto di fiducia della collettività nei confronti della magistratura, uno dei pilastri dello stato di diritto. È questa una delle direttrici essenziali del disegno riformatore portato avanti dal Governo».

Tutte le riforme in materia di giustizia non intaccheranno in alcun modo la libertà e l’indipendenza del mondo della magistratura. Sono temi che rappresentano «una grande conquista che sarà ribadita dalle riforme, ma la vera indipendenza è dentro di noi».

Aggiunge: «A questo mondo non vi è nulla di eterno tranne le parole del Signore. Il resto è mutevole. E così è anche la Costituzione», che, se dovesse subire modifiche, «mai e poi mai vi sarebbe una soggezione anche minima del pm al potere esecutivo».

Durante il plenum Nordio parla anche di processo penale telematico, che dal prossimo gennaio «sarà una realtà: la affronteremo insieme, a cadenze serrate ma con opportuna gradualità che porta a sintesi le esigenze e le soluzioni rappresentate così dall’Avvocatura come dagli uffici giudiziari».


LEGGI ANCHE:

Stretta sulle intercettazioni: vietato l’ascolto delle conversazioni tra legale e indagato

Test psico-attitudinali per entrare in magistratura

Stretta sulle intercettazioni: vietato l’ascolto delle conversazioni tra legale e indagato

Stretta sulle intercettazioni: d’ora in avanti sarà vietato ascoltare le conversazioni tra legale e indagato, «salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato».

Non potrà più avvenire nemmeno il sequestro indiscriminato dei vari dispositivi elettronici, quali smartphone, pc e tablet. Inoltre, si mette un freno all’utilizzo del trojan, ovvero lo strumento informatico che consente ai pm di conoscere qualsiasi cosa relativa all’indagato.

Il governo, dichiara Carlo Nordio ai microfoni del Corriere, si muoverà molto rapidamente, per poter assicurare la «parità tra accusa e difesa» e «l’inviolabilità delle comunicazioni» che avvengono tra il difensore e l’assistito.

Si tratta di una tutela già prevista dal Codice Penale, ma anche da varie sentenze da parte della Cassazione, della Cedu e dell’Ue, che, tuttavia, è stata snobbata nella pratica.

Da queste premesse parte la proposta di legge del senatore di FI Pierantonio Zanettin. Tranne i casi nei quali il pm abbia un motivo fondato di credere che le telefonate tra avvocato e indagato compongano «il corpo del reato», sarà vietato il sequestro e qualsiasi «forma di controllo».

Se intercettate, le telefonate con gli avvocati, non potranno «in alcun caso essere trascritte nemmeno sommariamente, sono immediatamente distrutte». Se i giudici non si adegueranno commetteranno un «illecito disciplinare».

Tale riforma sarà completamente «a tutela del diritto di difesa». In questo momento in cui cresce la tensione tra le toghe e il governo, si tenta di evitare uno scontro frontale con i giudici scrivendo un nuovo testo mirato, tecnico. Troviamo anche un intervento circa la durata delle intercettazioni, ponendo un limite alle proroghe che richiede il Pm.

Questa nuova disciplina, anticipata da una proposta di legge firmata da Forza Italia, metterà il pm nelle condizioni di fermarsi ad una sola proroga per quanto concerne le captazioni telefoniche nel caso in cui «nel corso degli ultimi due periodi di intercettazione precedenti, comunque autorizzati, non siano emersi elementi investigativi utili alle indagini».

Presente anche una nuova norma che assimila il sequestro di pc, smartphone e tablet alle intercettazioni. Il pm, dunque, sarà autorizzato ad estrarre soltanto le informazioni essenziali per le indagini, e dovrà anche procedere alla «duplicazione integrale» dei dispositivi su ulteriori supporti informatici, consentendo all’indagato di verificare se sono presenti manomissioni.


LEGGI ANCHE:

Test psico-attitudinali per entrare in magistratura

Negli uffici pubblici i dipendenti non potranno indossare il velo islamico

Test psico-attitudinali per entrare in magistratura

A Palazzo Chigi si punta all’introduzione dei test psico-attitudinali per entrare in magistratura. Ci potrebbe volere del tempo, certo, ma intanto l’ipotesi è stata messa sul tavolo, nonostante non sia stata inserita nel due decreti legislativi varati dal Cdm per proseguire con la Riforma della Giustizia.

L’opposizione richiede che il ministro riferisca al più presto in Aula alla Camera, e anche l’Anm esorta a non «lasciare che le sue parole cadano nel vago».

I test psico-attitudinali esistono già per le forze dell’ordine, e vengono effettuati con cadenza periodica. Il governo vorrebbe estendere questi test a quei pubblici ufficiali che hanno alti incarichi di responsabilità, dai quali «dipende la libertà dei cittadini, come appunto i magistrati: è una questione di buonsenso».

Non si è ancora trovato lo spazio per l’introduzione della questione all’interno dei due decreti legislativi. In uno viene rivisto il sistema per la valutazione dei magistrati, mentre nell’altro troviamo una stretta riguardo il collocamento fuori ruolo delle toghe, portando il limite a 7 anni.

Di certo non è la prima volta che si discute sul tema, visto che anche in magistratura è avvenuto un confronto sui sistemi che devono essere affiancati al concorso. Tuttavia, ha creato non poche tensioni tra la politica e le toghe.


LEGGI ANCHE:

Negli uffici pubblici i dipendenti non potranno indossare il velo islamico

Per 3 milioni di famiglie l’Avvocato è un lusso

Servicematica

Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

Iso 27017
Iso 27018
Iso 9001
Iso 27001
Iso 27003
Agid
RDP DPO
CSA STAR Registry
PPPAS
Microsoft
Apple
vmvare
Linux
veeam
0
    Prodotti nel carrello
    Il tuo carrello è vuoto