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Cassa Forense, Formazione obbligatoria: nuovi corsi gratuiti disponibili online

Cassa Forense aggiunge nuovi corsi nella piattaforma e-learning (FAD) che permettono l’acquisizione di crediti formativi, ordinari e deontologici, online, gratuitamente e 24 ore su 24. Alla fine sarà possibile ottenere un attestato con i crediti formativi maturati, che corrispondono ad uno per ogni ora di video.

La settimana prossima verrà caricato un nuovo corso, che si compone di 10 incontri della durata di un’ora. I legali, in relazione al Dlgs 231/2001, potranno accedere al corso attraverso Piattaforme Web – FAD. Il corso online segue quello avvenuto in presenza nell’Auditorium di Cassa Forense.

Tra i vari argomenti trattati troviamo:

  • La mappatura dei rischi;
  • L’individuazione dei presìdi;
  • La formazione ex Dlgs 231/2001;
  • La predisposizione di un Modello Organizzativo Preventivo.

Dallo scorso 16 dicembre, invece, sono presenti i corsi “Comunicazione, Contatti Cassa, Polizza e Convenzioni” e “Neo iscritti Cassa e Donne Avvocato“. Ricordiamo che nel corso degli ultimi tre mesi dello scorso anno i corsi forniti da Cassa Forense sono stati seguiti da più di 20.000 avvocati.

Da dicembre 2023, infatti, il Consiglio Nazionale Forense ha la responsabilità circa l’obbligo formativo degli avvocati. Ogni iscritto dovrà adempiere l’obbligo formativo conseguendo almeno 15 crediti formativi, e il 2024 non verrà conteggiato come triennio formativo

Questi crediti potranno essere conseguiti in modalità FAD: il sistema vi chiederà se siete iscritti o meno alla piattaforma. Se siete iscritti, verrete rimandati alla home page per effettuare l’accesso, se non siete iscritti, dovrete inserire il codice meccanografico e il CF per verificare l’iscrizione alla Cassa. Successivamente riceverete le credenziali per accedere alla piattaforma.


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Cos’ha detto la Cassazione sul saluto romano

Corte di giustizia UE: le ferie non godute devono essere pagate

Cos’ha detto la Cassazione sul saluto romano

Giovedì 18 gennaio 2024 la Corte di Cassazione ha annullato la condanna emessa dalla Corte d’appello di Milano del 2022 a carico di otto persone, che, durante una commemorazione, hanno fatto il saluto fascista.

I fatti sono avvenuti a Milano il 29 aprile 2016, durante una commemorazione dedicata a Sergio Ramelli, militante del Fronte della Gioventù, ucciso da militanti di sinistra nel 1975.

Durante la commemorazione, otto persone sono state accusate di violazione della legge Mancino per aver fatto il saluto fascista. La legge Mancino, oltre a vietare la creazione di organizzazioni ispirate a questi valori, punisce chiunque diffonda «in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».

Secondo la Cassazione, il saluto romano viola la legge soltanto se accompagnato ad un «concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito [fascista]». La sentenza si inserisce in una recente discussione in merito alla recente commemorazione avvenuta a Roma in memoria della strage di Acca Larenzia, in cui decine di persone hanno fatto il saluto romano.

Da ormai molti anni il 29 aprile alcuni militanti di estrema destra organizzano cortei per ricordare Ramelli. Spesso, nel corso di queste commemorazioni, alcuni fanno il saluto romano in onore delle persone uccise.

Nello specifico, gli 8 indagati nel 2020 erano stati assolti in primo grado, per poi essere condannati a due mesi di reclusione nel 2022 dalla Corte d’appello di Milano. Inoltre, erano stati condannati anche al pagamento di una multa da 200 euro.

Giovedì è stato fatto ricorso in Cassazione, che ha annullato la sentenza della Corte d’appello, stabilendo la necessità di svolgere un processo d’appello bis, per chiarire «se dai fatti accertati sia conseguita la sussistenza del concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista».

La Cassazione in questo caso si è riferita alla legge Scelba, che introdusse nel 1952 il reato di apologia del fascismo e proibisce anche l’organizzazione di manifestazioni fasciste. Tuttavia, nel 1958 la Corte Costituzionale ha stabilito che tali manifestazioni erano vietate soltanto se propedeutiche alla ricostruzione del partito fascista.

Secondo il legale di due degli otto imputati, il saluto romano non è reato se avviene nel corso di una commemorazione, mentre per l’accusa rientra nei reati previsti dalla legge Mancino, visto che siamo di fronte ad un «pericolo concreto per l’ordine pubblico».


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Corte di giustizia UE: le ferie non godute devono essere pagate

Ecco come difendere l’anonimato online

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Corte di giustizia UE: le ferie non godute devono essere pagate

Se, prima di dare le dimissioni, un lavoratore non ha fruito di tutti i giorni di ferie annuali retribuite, avrà diritto ad un’indennità di tipo finanziario.

Questo è quanto stabilito dalla Corte di Giustizia Ue. Per limitare questo diritto, inoltre, gli Stati membri non potranno giustificare una decisione simile per motivi connessi al contenimento della spesa pubblica.

La sentenza si riferisce ad un funzionario del comune di Copertino (Lecce), che, dopo essersi volontariamente dimesso per il prepensionamento, aveva richiesto il riconoscimento ad un’indennità sostitutiva per quanto riguarda le ferie annuali non godute, corrispondenti a 79 giorni.

Il Comune, invece, riteneva che il funzionario fosse ben consapevole dell’obbligo di prendere i giorni mancanti di congedo prima delle dimissioni, e che inoltre non avrebbe potuto monetizzarli.

Secondo la legge italiana i lavoratori pubblici non hanno diritto al pagamento delle ore di ferie non utilizzate. La monetizzazione potrebbe avvenire soltanto nei casi in cui il congedo non è stato preso per motivi importanti quali la malattia.

I giudici di Lussemburgo confermano che il diritto europeo va contro la normativa italiana che vieta il versamento al lavoratore di un’indennità finanziaria relativa ai giorni di ferie non goduti nel caso in cui il lavoratore dia le dimissioni.

La Corte ricorda, inoltre, come la sostituzione di un’indennità finanziaria non potrà dipendere da motivazioni economiche, come il contenimento della spesa pubblica.


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Ecco come difendere l’anonimato online

La prescrizione cambia un’altra volta

Ecco come difendere l’anonimato online

Oggigiorno, su Internet sembra essere molto difficile mantenere l’anonimato. Tuttavia, con un paio di escamotage, è possibile nascondere la propria identità online.

Prima di tutto, è consigliato bloccare i tracker invisibili, così come gli annunci che tracciano gli utenti. Gli inserzionisti, tuttavia, potrebbero utilizzare anche la tecnica del fingerprinting, un metodo che si serve delle impostazioni del browser per la profilazione.

Se siete curiosi di scoprire in che modo il browser che utilizzate vi tiene sotto controllo, potreste utilizzare lo strumento Cover Your Tracks, che esegue velocemente un test sul vostro sistema.

Ci sono alcune estensioni che bloccano i tracker su Chrome, ovvero Privacy Badger e Ghostery.

Non dimentichiamoci che anche i tracker presenti nelle app mobili sono in grado di raccogliere dati sulle vostre attività online. Chi utilizza Android dovrebbe accedere al Centro per gli annunci di Google, disattivando gli annunci personalizzati cliccando su off.

È possibile anche cancellare l’ID pubblicità accedendo a Impostazioni – Privacy – Annunci e cliccando su “Elimina ID pubblicità”.  Su iOs, invece, si deve accedere a Impostazioni – Privacy – Sicurezza – Tracciamento e disattivare “Richiesta tracciamento attività”.

Alcuni siti o servizi raccolgono più dati rispetto ad altri. Per limitare la vostra esposizione online potreste scegliere servizi che non raccolgono le vostre informazioni grazie alla crittografia end-to-end, che rende difficile far vedere alle aziende tali dati.

Un’app per la messaggistica che raccoglie poche informazioni è Signal. Nessuno al di fuori del mittente e del destinatario può visualizzare il contenuto dei vostri messaggi grazie alla crittografia end-to-end

Attenzione anche alla scelta della mail: Tuta e Proton, per esempio, hanno la crittografia end-to-end gratuita.

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Meno cose si condividono online, meno si risulta identificabili. Prestate molta attenzione, quindi, a quello che pubblicate online, soprattutto per quanto riguarda le informazioni che potrebbero identificare voi e le persone che vi circondano, oltre a quelle che potrebbero risalire alla vostra posizione.

Se state cercando di cancellare le vostre tracce su internet, procedete con la rimozione delle vostre informazioni personali dai risultati di Google, così come i vecchi post sui social e tutti gli account inutilizzati.

L’anonimato online è difficile da creare e da mantenere, ma utilizzando alcuni accorgimenti non sarà difficile riuscire nell’impresa!


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La prescrizione cambia un’altra volta

ChatGpt verrà utilizzato per scopi militari

 

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La prescrizione cambia un’altra volta

Martedì 16 gennaio 2024 alla Camera è stata ricevuta la prima approvazione relativa alla proposta di legge che reintroduce la prescrizione. Si tratta della quarta riforma nel corso di sette anni.

Nel 2022 era stata abolita dall’allora ministro della Giustizia Andrea Bonafede; ora il Governo ha deciso di reintrodurla, anche dopo il primo grado, con lo scopo di ridurre i tempi del processo e per fornire maggiori garanzie agli imputati.

La Riforma è stata approvata alla Camera con 173 sì e con 79 no. La proposta di legge, ora dovrà essere discussa e votata in Senato, anche se non sembra che ci saranno particolari problemi nella sua approvazione.

Con la nuova riforma il Governo ha deciso di reintrodurre i limiti in seguito alla sentenza di primo grado eliminati da Bonafede, tornando, dunque, alle regole della precedente riforma, introdotta nel 2017 dal ministro Orlando.

Dunque, il corso della prescrizione resterà sospeso non oltre i due anni in seguito alla sentenza di condanna di primo grado, e non oltre un anno in seguito alla sentenza di appello di conferma della condanna di primo grado.

Nel caso in cui la sentenza di impugnazione non interverrà entro le tempistiche previste, la prescrizione riprenderà e il periodo di sospensione verrà conteggiato nella prescrizione; se verrà successivamente sciolta o annullata la condanna in Cassazione o in appello, si dovrà comunque conteggiare il periodo di sospensione.

L’ANM aveva richiesto al Parlamento l’introduzione di una norma transitoria, ovvero una serie di regole che evitassero l’applicazione della riforma ai processi in corso.

Di certo l’applicazione della prescrizione andrebbe a smaltire i processi troppo lunghi, ma per la magistratura questo potrebbe creare eccessiva confusione, che andrebbe ad inceppare il sistema, impedendo il dimezzamento dei tempi del processo e lo smaltimento dei processi arretrati.


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ChatGpt verrà utilizzato per scopi militari

L’intelligenza artificiale impatterà sul 60% dei posti di lavoro

ChatGpt verrà utilizzato per scopi militari

OpenAI, azienda produttrice di ChatGPT, la scorsa settimana ha cancellato una frase presente nelle sue politiche di utilizzo, ovvero quella che vietava l’utilizzo della tecnologia a scopo bellico. Sino al 10 gennaio, OpenAI proibiva le «attività che presentano un alto rischio di danni fisici, tra cui lo sviluppo di armi», e l’utilizzo dello strumento di IA a fini «militari e di guerra».

Tuttavia, oggi OpenAI ha deciso di eliminare questa specifica, vietando comunque l’utilizzo del «servizio per danneggiare sé stessi o altri». Il cambiamento, per quanto silenzioso, non è passato inosservato agli esperti del settore.

Infatti, tutto questo arriva in un momento storico importante, caratterizzato da un sempre maggior interesse delle agenzie militari per quanto riguarda l’utilizzo dell’intelligenza artificiale.

Nonostante tutto, OpenAI non sembra possedere una tecnologia progettata per uccidere, anche se non si possono escludere attività in cui l’IA potrebbe pianificare e portare a termine l’omicidio di una o più persone.

La società non è all’oscuro di questo particolare, ed è per questo che ha aggiornato le politiche di utilizzo, allo scopo di renderle comprensibili e leggibili per tutti. Chiarisce il portavoce di OpenAI, Niko Felix: «Un principio come “non danneggiare gli altri” è ampio ma facilmente comprensibile e rilevante in numerosi contesti. Qualsiasi uso della nostra tecnologia, incluso da parte dei militari per [sviluppare] o [usare] armi, [ferire] gli altri, [distruggere] proprietà, o [impegnarsi] in attività non autorizzate che violano la sicurezza di qualsiasi servizio o sistema, non è consentito».

Dunque, sembra che ChatGPT non verrà utilizzato per sviluppare armi letali, ma la tecnologia potrà essere utilizzata per i «casi d’uso legati alla sicurezza nazionale» allineati alla mission della compagnia.

Recentemente, OpenAI ha lavorato con la sezione del Dipartimento della Difesa degli USA che sviluppa nuove tecnologie a scopo militare, il DARPA. Lo scopo è la creazione di «nuovi strumenti di sicurezza informatica» che proteggano i software open source sui quali si basano le infrastrutture critiche.

Anche se siamo in ambito militare, non si pensa dunque alla produzione di armi. Sempre secondo Felix «non era chiaro se questi casi d’uso vantaggiosi sarebbero stati consentiti ai sensi “militari” nelle nostre politiche precedenti. Pertanto, l’obiettivo del nostro aggiornamento delle politiche è fornire maggiore chiarezza e rendere possibili queste discussioni».


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L’intelligenza artificiale impatterà sul 60% dei posti di lavoro

Avvocati e social: come rispettare il codice deontologico?

L’intelligenza artificiale impatterà sul 60% dei posti di lavoro

Una recente ricerca del Fondo monetario internazionale ha indagato il potenziale impatto dell’IA sul mercato del lavoro globale, raggiungendo dei risultati a suo dire “impressionanti”.

Lo studio, come riportato dal Sole 24 Ore, mette in evidenza come l’intelligenza artificiale interesserà circa due posti di lavoro su cinque; nelle economie avanzate il numero sale a tre.

Circa la metà delle professioni potrebbe trarre vantaggio nell’integrazione di tale tecnologia per quanto riguarda la produttività, al contrario dell’altra metà, che potrebbe assistere l’intelligenza artificiale mentre esegue dei compiti fondamentali, che per ora appartengono all’essere umano.

Tutto questo potrebbe ridurre la domanda di lavoro, portare a salari più bassi, assunzioni ridotte e nel peggiore dei casi alla scomparsa di alcuni lavori. Il fenomeno avrà dimensioni ridotte nei mercati emergenti, così come in quelli a basso reddito, laddove l’impatto dell’IA nel mondo del lavoro si fermerà rispettivamente al 40% e al 26%.

Ci sono ancora tantissimi paesi privi di una forza lavoro in grado di sfruttare i vantaggi della tecnologia, che, nei prossimi anni potrebbe aumentare il divario tra le nazioni.

Secondo Kristalina Georgieva, direttrice generale dell’Fmi, «siamo sull’orlo di una rivoluzione tecnologica che potrebbe far ripartire produttività, stimolare la crescita globale e aumentare i redditi in tutto il mondo e che potrebbe anche sostituire i posti di lavoro e approfondire le diseguaglianze».

Georgieva solleva «importanti domande sul potenziale impatto dell’IA sull’economia globale. L’effetto netto è difficile da prevedere, poiché essa si diffonderà attraverso le economie in modi complessi. Avremo bisogno di elaborare una serie di politiche per sfruttare in modo sicuro il vasto potenziale dell’intelligenza artificiale a vantaggio dell’umanità».


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Nell’epoca dei social ogni cosa è cambiata: la nostra vita è in rete, e di conseguenza anche la pubblicità si è spostata online. Anche il lavoro dell’avvocato è stato investito da questi cambiamenti. Ma una domanda sorge spontanea: come mantenere i capisaldi della deontologia forense nel mondo dei social?

Ogni regola deontologica si basa su probità, dignità e decoro, anche e soprattutto per quanto riguarda la fiducia che la collettività ripone nell’avvocato. Dunque, in qualsiasi situazione, anche nella vita privata e nei social, l’avvocato ha il dovere di comportarsi secondo tali principi.

Il codice deontologico, infatti, non opera distinzione tra dimensione pubblica e privata: entrambe potrebbero ledere i principi dell’avvocato riflettendosi in maniera negativa sulla professione e sulla credibilità della categoria.

Per poter verificare se sono stati violati i canoni deontologici generali nei social ci si basa sull’art. 17, secondo cui «è consentita all’avvocato, a tutela dell’affidamento della collettività, l’informazione sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti».

Le informazioni «diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative. In ogni caso le informazioni offerte devono fare riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale».

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Secondo il nuovo art. 35 del Codice di deontologia forense, «l’avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse, deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale».

Dunque, il rispetto dell’etica professionale non dovrà mai essere sacrificata, nemmeno dinanzi a scenari economici che sembrano molto accattivanti. L’avvocato, secondo la delibera del CNF del 22 gennaio 2016, potrà anche pubblicizzare la sua attività professionale, ma tenendo sempre ben saldi i principi di verità, trasparenza, correttezza, riservatezza e segretezza.

Per concludere, possiamo dire che ogni mezzo è ammesso, basta che l’utilizzo avvenga nel rispetto dei principi deontologici dell’avvocato. Secondo l’art.24 della direttiva Ce 123/2006, «gli stati membri provvedono affinché le comunicazioni commerciali che emanano delle professioni regolamentate ottemperino alle regole professionali, in conformità del diritto comunitario, riguardanti, in particolare, l’indipendenza, la dignità e l’integrità della professione nonché il segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna professione. Le regole professionali in materia di comunicazioni commerciali sono non discriminatorie, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e proporzionate».


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Chat delle mamme: una lite diventa diffamazione via social

Google e Yahoo bloccheranno le mail

Chat delle mamme: una lite diventa diffamazione via social

Una madre ha ricevuto sulla chat delle mamme un invito ad andare a prendere suo figlio «in fretta» per portalo via da una festa, a causa della sua eccessiva vivacità che l’ha trasformato in un ospite non gradito.

La donna ha reagito scrivendo sui social che, oltre ad essere insensibile e indelicata, la madre che ha scritto questo messaggio punta «ad estorcere qualche soldo per nuove dimore o serate tra banchetti e alcol».

Questa reazione, alla fine, ha ricevuto l’attenzione dei giudici, arrivando ad una condanna, in Corte d’Appello, per diffamazione. Il reato è stato confermato anche dalla Cassazione, che riconosce la tenuità del fatto. Tuttavia, il reato permane.

Il ricorso della madre viene respinto, ma non in termini di punibilità. La guerra tra donne è stata scatenata da un’eccessiva vivacità del figlio dell’imputata ad una festa tra ragazzini. Tale vivacità aveva spinto la padrona di casa a pregare la madre di andare a prenderlo.

L’imputata, nello spiegare il perché della sua reazione eccessiva pubblicata su Facebook, ha spiegato di aver provato un grande panico nel leggere i messaggi dove le veniva intimato di andare a prendere il figlio ma senza avere spiegazioni in merito.

Per la donna, il figlio aveva ricevuto offese, e giustifica la reazione social per una a causa di una grande preoccupazione per la questione. I giudici, tuttavia, non sono affatto d’accordo.

La frase incriminata, infatti, è diffamante, non soltanto per l’accusa di insensibilità e indelicatezza, ma anche per un’ipotetica scorrettezza nella richiesta economica per alcool e banchetti.

Per la Cassazione la condotta della vittima non deve essere considerata ingiusta, «non potendo ritenersi tale l’eventuale richiesta di contenimento della estrema vivacità del figlio dell’imputata, suo ospite, né la richiesta di portarlo via dalla festa che si teneva in casa della vittima, né essendo provato, infine, che costei lo abbia in qualche modo offeso».


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Google e Yahoo bloccheranno le mail

Dal 1° febbraio 2024 Google e Yahoo introdurranno regole e standard più severi per chiunque invii email VERSO @gmail e @yahoo, allo scopo di proteggere meglio le caselle di posta dallo spam (ovvero l’invio di email non richieste), dal furto di dati personali (il cosiddetto phishing) e dal fenomeno dello spoofing (ossia dalle identità false presenti sul web).

Le nuove regole interesseranno tutti, ma in particolar modo i mittenti di email in blocco. Si tratta di account di posta che in un giorno inviano più di 5.000 mail e che utilizzano le mail per fare campagne di marketing di massa, annunci e newsletter.

È bene sottolineare che, anche chi invia 1000 mail in una giornata, in determinate condizioni potrebbe essere considerato come mittente di email in blocco.

Nuove policy di Gmail e Yahoo

Dunque, dal prossimo 1° febbraio 2024, chiunque utilizzi Gmail, Yahoo, Google Workspace e Googlemail dovrà seguire queste nuove regole. Nel caso dei mittenti di email in blocco, ci saranno requisiti aggiuntivi.

Se non ti adegui a questi nuovi standard, Google e Yahoo potrebbero contrassegnarti come spam, oppure bloccarti e inserirti nella blacklist. Essere contrassegnato come spam potrebbe danneggiare gravemente la tua reputazione e tutti gli invii di mail successivi.

Nello specifico, dovrai cominciare ad utilizzare un dominio personale, e abbandonare un dominio mittente libero come @gmail o @yahoo. Il dominio personale dovrà essere autenticato tramite SPF o DKIM (non ti preoccupare, tra un po’ ti spieghiamo come fare!).

Autenticare il proprio dominio significa creare una specie di carta d’identità digitale, o se vogliamo, una spunta blu dei social: in questo modo i destinatari saranno sicuri che il mittente è realmente chi dice di essere.

Come adeguarsi agli standard entro il 1° febbraio 2024

Nello specifico, tutti i mittenti email dovranno:

  • Autenticare il dominio di invio attraverso l’autenticazione SPF o DKIM;
  • Abilitare la possibilità di disiscrizione semplice, includendo un link ben visibile per annullare l’iscrizione;
  • Restare al di sotto dello 0,3% per quanto riguarda le segnalazioni di spam.

I mittenti di email in blocco, oltre a rispettare i precedenti requisiti, dovranno:

  • Allineare il dominio mittente con il dominio della firma DKIM o con l’envelope sender (SPF);
  • Creare una policy DMARC.

SPF, DKIM e DMARC sono meccanismi che aiutano a rendere le mail più sicure, prevenendo i fenomeni di spoofing e phishing.

Come impostare il record SPF

Da pannello DNS, aggiungere un record SPF come segue:

v=spf1 ip4:192.168.0.0/16 include:_spf.tuogestore.com ~all

Come impostare DKIM

https://support.google.com/a/answer/180504?hl=it#:~:text=Gmail.-,Fai%20clic%20su%20Autentica%20email.,sar%C3%A0%3A%20Autenticazione%20email%20con%20DKIM

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Nel corso degli anni SM - Servicematica ha ottenuto le certificazioni ISO 9001:2015 e ISO 27001:2013.
Inoltre è anche Responsabile della protezione dei dati (RDP - DPO) secondo l'art. 37 del Regolamento (UE) 2016/679. SM - Servicematica offre la conservazione digitale con certificazione AGID (Agenzia per l'Italia Digitale).

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