14 Dicembre 2023

Ai Act: nuove sfide per gli avvocati

Il nuovo regolamento europeo sull’Intelligenza Artificiale apre la strada a nuovi scenari giuridici ed economici. Di certo l’Europa ha fatto una scelta importantissima, che inciderà molto sulle nostre vite.

Per Lucilla Gatt, direttrice del Research Centre of European Private Law e docente di diritto privato e diritto delle nuove tecnologie, «questa volta non sono solo parole ma anche fatti: con l’AI Act l’Unione Europea diventa il riferimento non tanto e non solo di una regolamentazione generale di una delle tecnologie più disruptive della storia dell’umanità ma, più incisivamente, si impone, come spazio territoriale e ordinamentale dove, entro breve tempo, si dovranno sviluppare strumenti per classificare le AI in base al livello di rischio di danno sull’essere umano e sull’ambiente, nonché strumenti che ne misurino l’impatto sui diritti fondamentali, mentre per altre sarà necessario dimostrare volta per volta che l’immissione sul mercato è comunque compatibile con il rispetto di questi diritti».

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A Bruxelles, per Gatt, è stata fatta una «scelta etica chiara, nel senso di una prevalenza della dimensione dell’interesse pubblico su quell’interesse privato». Di certo, il mondo dell’avvocatura si ritaglierà un ruolo da protagonista.

«Cambia la prospettiva della tutela dell’essere umano e dell’ambiente di fronte allo sviluppo tecnologico. L’approccio è quello di una tutela ex ante, che si concretizza in processi di misurazione del livello di rischio e di certificazione della compliance ai diritti fondamentali sul modello del GDPR», prosegue.

Gli avvocati «saranno chiamati a contribuire alla creazione di questi strumenti di misurazione del rischio e della compliance ai fundamental rights, nonché a rivedere le categorie civilistiche di quantificazione del danno derivante da un prodotto dotato di AI, dando il giusto peso all’inosservanza totale o parziale di questi obblighi preliminari di misurazione. È un mondo nuovo quello che si apre agli avvocati, abituati a ragionare in termini di risarcimento ex post. E, inoltre, nell’era degli standard e degli indici di misurazione gli avvocati dovranno sempre più ricorrere a programmi di quantificazione automatica del danno».

In ambito giuridico, le applicazioni dotate di intelligenza artificiale «vengono classificate nell’AI Act come ad alto rischio di impatto dannoso sull’essere umano e saranno, dunque, tra le prime a dover essere sottoposte ad una valutazione di conformità ai diritti fondamentali. Allo stato, dunque, lo sviluppo alquanto scomposto dell’AI in ambito forense e giudiziario dovrebbe andare incontro ad un momento di pausa o, meglio, ad una fase di adeguamento alla nuova regolamentazione europea».

Secondo la docente di Scienza politica e riti della legalità nell’era digitale Daniela Piana, l’intelligenza artificiale «rappresenta oggi e per il futuro un orizzonte, un ambito di scoperta e l’origine di molte sfide alle garanzie così come le abbiamo pensate ad attuate sino ad oggi. Gli sviluppi recenti che si sono prospettati a livello internazionale, prima ancora che europeo, ci hanno obbligato a riflettere su quale sia l’asticella al di sotto della quale non siamo disposti ad andare rischiando di sacrificare la tutela della persona al raggiungimento di obiettivi connessi all’efficienza, all’innovazione e al profitto».

Per gli avvocati si pongono delle nuove questioni per quanto concerne l’utilizzo dell’IA. Dichiara Piana: «L’avvocatura è depositaria di una cultura della garanzia nella giurisdizione di una dinamica dialettica. Deve però essere costruito un percorso di consapevolezza in merito alla professionalità forense e su come un algoritmo potrà intervenire e cosa attiene alla cruciale “riserva di umanità”, ossia l’esercizio dell’autonomo giudizio dal quale dipende la legittimazione stessa del rendere giustizia».

La giustizia non è un calcolo, poiché «dipende dall’autonomo e critico esercizio del ragionamento umano, avente una intrinseca dimensione istituzionale che bypassa quella soggettiva individuale. Un ragionamento che si basa sul dubbio, una delle forme dell’intelligenza professionale, deontologica ed istituzionale di cui l’avvocatura è voce nella giurisdizione».

Conclude: «Dobbiamo costruire una cultura che mette le proprie radici nella deontologia, nella conoscenza e nella professionalità. Senza dimenticare la condivisione di certificazioni di strumenti di cui l’avvocatura si può avvalere e di cui è in grado di darne conto».


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