In tema di procreazione medicalmente assistita (PMA) e adozioni in casi particolari, la Corte di Cassazione torna a ribadire un principio cardine: al centro di ogni valutazione deve restare il superiore interesse del minore. Con la sentenza n. 16242, depositata il 17 giugno 2025, la Prima sezione civile ha infatti confermato la validità di un’adozione disposta in favore della madre d’intenzione, nonostante la ferma opposizione della madre biologica con cui era cessato da tempo il legame affettivo e convivente.
La decisione arriva al termine di una complessa vicenda giudiziaria: in primo e secondo grado, infatti, l’adozione era stata negata sulla base del diniego espresso dalla madre naturale, considerato come ostacolo insuperabile. Successivamente, però, la Cassazione aveva annullato con rinvio tale decisione, affermando che il diniego non può essere considerato preclusivo quando dall’esame concreto emergano il valore e la solidità del rapporto affettivo instaurato tra il minore e il genitore d’intenzione.
Il valore della relazione concreta
Nel caso in esame, il giudice di merito, alla luce di questa indicazione, ha poi accolto l’appello della madre sociale, riconoscendo la continuità e l’intensità del rapporto con il minore, anche al di là di un periodo di forzato distacco dovuto alla conflittualità tra le due ex compagne. Il minore, evidenzia la sentenza, ha mostrato di conservare un legame affettivo autentico e significativo con la madre d’intenzione, capace di comprenderne i disagi emotivi e di offrire un supporto stabile e affettuoso, anche grazie a un percorso psicoterapeutico avviato per affrontare le difficoltà relazionali.
La qualità del legame al centro della valutazione
La Cassazione ha richiamato un orientamento ormai consolidato secondo cui i requisiti di effettività e stabilità del rapporto affettivo non devono essere letti in chiave puramente cronologica o quantitativa, ma in base alla qualità della relazione instaurata e alla percezione soggettiva del minore. Non è dunque determinante l’interruzione del contatto tra il minore e il genitore sociale, soprattutto se questa è conseguenza di comportamenti ostativi posti in essere dal genitore biologico.
In tal senso, spiega la Corte, l’eventuale discontinuità della relazione non deve essere valutata a sfavore del genitore sociale, né può precludere l’accertamento della sussistenza dei presupposti per l’adozione.
Interesse del minore al di sopra di tutto
Nel confermare la legittimità dell’adozione, la sentenza ribadisce che l’interesse del minore non coincide necessariamente con la permanenza in un nucleo familiare integro e privo di conflitti, quanto piuttosto con la possibilità di mantenere rapporti significativi e continuativi con entrambe le figure genitoriali da lui riconosciute come tali, anche se tra loro in disaccordo.
È su questo punto che la Corte richiama i giudici a una verifica particolarmente rigorosa quando la situazione familiare risulti frammentata o caratterizzata da alta conflittualità. Tuttavia, tale accertamento non può risolversi in una presunzione automatica di inidoneità genitoriale della parte richiedente, ma deve fondarsi su una valutazione concreta e caso per caso della capacità affettiva, relazionale ed educativa del richiedente.
Convivenza non necessaria
Altro elemento chiarito dalla pronuncia è che l’assenza di convivenza non costituisce di per sé un ostacolo all’adozione, laddove permanga un legame affettivo effettivo e il genitore sociale dimostri di saper rispondere ai bisogni evolutivi ed emotivi del minore.
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